LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DEL LAZIO 
                             Sezione 14 
 
    Riunita in udienza il 17 ottobre  2023  alle  ore  11,00  con  la
seguente composizione collegiale: 
        Lorelli Quirino, Presidente e relatore; 
        Del Giudice Bruno, giudice; 
        Speranza Liliana, giudice; 
    in data 17 ottobre 2023  ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza
sull'appello n. 2164/2020 depositato il 25 aprile  2020  proposto  da
P.r. Service S.r.l. - 02676610609, difeso da  dott.  Emilio  Munno  -
MNNMLE59M18H443C     ed     elettivamente     domiciliato      presso
emilio.munno@odcec.legalmail.it 
    Contro Ag. entrate Direzione provinciale Frosinone  elettivamente
domiciliato presso dp.frosinone@pce.agenziaentrate.it 
    Avente ad oggetto l'impugnazione di: 
        pronuncia  sentenza  n.  484/2019  emessa  dalla  Commissione
tributaria provinciale Frosinone sez. 4 e pubblicata  il  28  ottobre
2019. 
    Atti impositivi: 
        avviso di accertamento n. TKQ038H00463 IRES-Aliquote 2013; 
        avviso di accertamento n. TKQ038H00463 IVA-Aliquote 2013; 
        avviso di accertamento n. TKQ038H00463 IRAP 2013; 
    a seguito di discussione in pubblica udienza. 
 
                          Elementi in fatto 
 
    1. Con ricorso depositato il 25 aprile  2020,  la  societa'  P.R.
Service s.r.l.,  rappresentata  e  difesa  dal  dott.  Emilio  Munno,
impugnava la sentenza n. 484/2019 del 28  ottobre  2019,  resa  dalla
C.T.P. di Frosinone, che aveva rigettato il  ricorso  proposto  dalla
societa' contro l'avviso di accertamento TKQ038_H00463/2018, relativo
ad IRES ed altre imposte del 2013, riproponendo  tutte  le  doglianze
mosse avverso l'atto impositivo nel ricorso di primo grado. 
    Si costituiva in  giudizio  l'Agenzia  delle  entrate,  Direzione
provinciale di Frosinone, Ufficio legale, depositando controdeduzioni
in data 28 maggio 2020,  deducendo  la  infondatezza  del  gravame  e
chiedendo la conferma della sentenza di  primo  grado,  con  vittoria
delle spese di giudizio. 
    Il 7 ottobre 2023 parte  appellante  depositava  al  giudizio  la
domanda di definizione agevolata delle liti  tributarie  pendenti  di
cui all'art 1, commi da 186 a 202 della legge 29  dicembre  2022,  n.
197,  nonche'  un  modello  di  pagamento  F24,   recante   l'importo
quietanzato  di  euro  2.013,40.  Depositava  altresi'   istanza   di
sospensione/cessazione del processo a firma del difensore indirizzata
alla Corte di giustizia tributaria di Secondo grado per il  Lazio  ed
all'Agenzia delle entrate. 
    All'udienza del 17 ottobre 2023 fissata per la discussione  della
causa, il rappresentante dell'Amministrazione finanziaria  dichiarava
di non opporsi alla domanda di  definizione  agevolata.  Quindi  alla
contestuale Camera di consiglio si e' ritenuto  di  dover  sottoporre
alla Corte costituzionale la seguente questione. 
 
                               Diritto 
 
1. Questioni di legittimita' costituzionale. 
    Preliminarmente e d'ufficio, ritiene questo giudicante  di  dover
sollevare questione di legittimita' costituzionale: 
        A) dell'art. 1, comma 198, della legge 29 dicembre  2022,  n.
197,  recante  «Bilancio  di  previsione  dello  Stato   per   l'anno
finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il  triennio  2023-2025»,
in vigore  dal  1°  gennaio  2023,  che  cosi'  dispone  «198.  Nelle
controversie pendenti in ogni stato e grado, in caso di  deposito  ai
sensi  del  comma  197,  secondo  periodo,  ["197.  Le   controversie
definibili  non  sono  sospese,  salvo  che  il  contribuente  faccia
apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere  della
definizione agevolata. In tal caso il processo e' sospeso fino al  10
ottobre 2023 ed entro la stessa data il contribuente  ha  l'onere  di
depositare, presso l'organo giurisdizionale innanzi al quale pende la
controversia, copia della domanda di  definizione  e  del  versamento
degli importi dovuti o della prima rata."] il processo e'  dichiarato
estinto con decreto del presidente della sezione o con  ordinanza  in
Camera di consiglio se e' stata fissata la data della  decisione.  Le
spese  del  processo  restano  a  carico  della  parte  che   le   ha
anticipate.»: 
          a) per la parte  in  cui  prevede  che  nelle  controversie
pendenti in ogni stato e grado, in caso  di  deposito  ai  sensi  del
comma 197, secondo periodo, il processo  e'  dichiarato  estinto  con
decreto del presidente della sezione o con  ordinanza  in  Camera  di
consiglio se e' stata fissata la data  della  decisione,  per  palese
contrasto con gli articoli 3, 10, 11, 23, 24, 53, 81, 97, comma  1  e
111  della  Costituzione,  113   del   Trattato   sul   funzionamento
dell'Unione europea, 6 e 13 della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo (CEDU); 
          b) per la parte in cui  prevede  che  la  dichiarazione  di
estinzione opera immediatamente, prima ed  in  pendenza  del  termine
fissato  all'amministrazione  impositrice  per  decidere  in   ordine
all'eventuale diniego alla  domanda  di  definizione  agevolata,  per
contrasto con gli articoli 3, 23, 24, 53, 97, comma  1  e  111  della
Costituzione, 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea,
6, 13 e 17 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). 
        B) dell'art. 1, commi 200 (in vigore dal 31 marzo 2023) e 201
(in vigore dal 1° gennaio 2023) della legge 29 dicembre 2022, n. 197,
recante «Bilancio di previsione dello Stato  per  l'anno  finanziario
2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025», i quali cosi'
dispongono: «200. L'eventuale  diniego  della  definizione  agevolata
deve essere notificato entro il 30 settembre 2024  con  le  modalita'
previste per la notificazione degli atti processuali. Il  diniego  e'
impugnabile entro sessanta giorni dalla  notificazione  del  medesimo
dinanzi  all'organo  giurisdizionale  presso  il   quale   pende   la
controversia. Nel caso in cui la definizione  della  controversia  e'
richiesta  in  pendenza  del  termine  per  impugnare,  la  pronuncia
giurisdizionale puo' essere impugnata dal contribuente unitamente  al
diniego della definizione entro sessanta  giorni  dalla  notifica  di
quest'ultimo ovvero dalla controparte nel  medesimo  termine.»;  201.
Per i processi dichiarati estinti ai sensi del comma 198, l'eventuale
diniego  della  definizione   e'   impugnabile   dinanzi   all'organo
giurisdizionale che ha  dichiarato  l'estinzione.  Il  diniego  della
definizione e' motivo di revocazione del provvedimento di  estinzione
pronunciato ai sensi del  comma  198  e  la  revocazione  e'  chiesta
congiuntamente all'impugnazione del diniego. Il termine per impugnare
il diniego della definizione e per  chiedere  la  revocazione  e'  di
sessanta giorni dalla notificazione  di  cui  al  comma  200.»),  per
contrasto con gli articoli 3, 23, 24, 53, 97, comma  1  e  111  della
Costituzione, 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti  dell'uomo
(CEDU). 
2. Rilevanza delle questioni nel giudizio a quo. 
    2.1. Il necessario «nesso di pregiudizialita' fra la  risoluzione
della questione di legittimita' costituzionale  e  la  decisione  del
caso concreto» (Corte  cost.,  sentenza  n.  77/1983)  o  la  pretesa
dedotta nel processo principale (Corte cost., sentenza  n.  420/1991)
implica, in primo luogo, come nella specie, che il giudizio non possa
essere definito indipendentemente  dalla  soluzione  delle  questioni
prospettate   sussistendo,   pertanto,    attinenza    piena    delle
disposizioni-norme che questo Giudice e' chiamato ad applicare con la
regiudicanda all'esame del Collegio;  difatti,  a)  da  un  lato,  la
rilevanza inerisce direttamente  il  giudizio  a  quo  (Corte  cost.,
sentenza n. 343/1993) e, dunque, questioni aventi  ad  oggetto  norme
«applicabili dal rimettente» (in proposito, la Corte  costituzionale,
nella  sentenza  n.  10/1979  ha  significativamente  affermato   che
«rilevanza della questione e applicabilita' della legge nel  giudizio
di merito costituiscono termini  inscindibili») -  e  b)  dall'altro,
un'eventuale sentenza  di  accoglimento  o  di  rigetto  spiegherebbe
un'influenza decisiva sul processo principale (Corte cost.,  sentenze
n. 92/2013 e n.  111/1977),  provocando  un  cambiamento  del  quadro
normativo assunto  dal  giudice  a  quo  (Corte  cost.,  sentenza  n.
390/1996). 
    2.2. Nel presente giudizio la rilevanza dalla questione sub A) e'
data dalla circostanza che dopo il deposito nello  stesso,  da  parte
del contribuente appellato, della istanza di adesione al procedimento
di definizione agevolata,  questo  Giudice  e'  stato  investito  del
compito di disporre l'estinzione del  processo,  come  normativamente
previsto, salvo poi dover prendere atto che detta estinzione  avrebbe
definitivamente compromesso,  ad  avviso  del  Collegio,  a)  sia  il
principio costituzionale generale della tutela dei crediti erariali e
delle pubbliche finanze (arg. ex articoli  53,  81  e  97,  comma  1,
Cost.), b) sia di quello, piu' prettamente processuale,  di  garanzia
del giusto processo (art. 111  Cost.),  c)  sia,  infine,  quello  di
uguaglianza (art. 3 Cost.), posto che verrebbero ad equipararsi,  nel
sistema ideato dall'art. 1, commi  186  e  seguenti  della  legge  n.
197/2022, le situazioni di chi ha assolto  interamente  all'onere  di
versamento, rispetto a chi ha  optato  per  il  versamento  immediato
della sola prima rata. 
    2.3. Nel presente giudizio poi la rilevanza della  questione  sub
B) e' data dal fatto che ove questo Collegio d'appello si trovasse  a
dichiarare l'estinzione del  presente  processo  l'eventuale  diniego
della  definizione   da   parte   dell'Amministrazione   finanziaria,
successivamente   alla   dichiarazione   di    estinzione,    sarebbe
direttamente impugnabile  dinanzi  a  questo  organo  giurisdizionale
d'appello che ha dichiarato l'estinzione. Inoltre, il  diniego  della
definizione  sarebbe  motivo  di  revocazione  del  provvedimento  di
estinzione pronunciato ai sensi del comma 198. 
3.    Impossibilita'    di     percorrere     una     interpretazione
costituzionalmente orientata della norma. 
    Stante quanto sopra rappresentato non esiste alcuna  possibilita'
di giungere ad una interpretazione costituzionalmente orientata della
norma, posto che la stessa pone una causa di estinzione del  processo
nuova e legata ad un fatto posto  nella  esclusiva  volonta'  di  una
delle parti processuali, segnatamente il contribuente, rispetto  alla
cui  manifestazione  il  Giudice  non  ha  alcuna   possibilita'   di
interpretazione, stante il carattere autoapplicativo della stessa. 
    In altri termini a fronte della dichiarazione del contribuente di
avvalersi della definizione agevolata ed anche a fronte del pagamento
di una sola rata, il  Giudice  deve  estinguere  il  giudizio,  senza
possibilita' di attivare un processo decisionale diverso,  basato  su
una interpretazione diversa della disposizione. 
    Questa adita Corte nella sentenza n. 192 del 26 ottobre 2023,  ha
in questo senso ricordato  come  «...  l'onere  interpretativo  viene
meno,  lasciando  il  passo   all'incidente   di   costituzionalita',
allorche' il giudice  rimettente  abbia  consapevolmente  escluso  la
possibilita' dell'interpretazione adeguatrice in ragione  del  tenore
letterale  della  disposizione  censurata  (tra  tante,  da   ultimo,
sentenze n. 104 e n. 25 del 2023, n. 193 e n. 96 del 2022)». 
4.  Fondamento  della  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma 198, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, recante
«Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2023  e
bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025». 
    4.1. L'art. 1, commi 186 e seguenti della legge 29 dicembre 2022,
n. 197, hanno stabilito che: 
        «186.   Le   controversie   attribuite   alla   giurisdizione
tributaria in cui e' parte l'Agenzia delle entrate  ovvero  l'Agenzia
delle dogane e dei monopoli, pendenti  in  ogni  stato  e  grado  del
giudizio, compreso quello innanzi alla Corte di cassazione,  anche  a
seguito di rinvio, alla data di  entrata  in  vigore  della  presente
legge, possono  essere  definite,  a  domanda  del  soggetto  che  ha
proposto l'atto introduttivo del giudizio o di chi vi e' subentrato o
ne ha la legittimazione, con il  pagamento  di  un  importo  pari  al
valore della controversia. Il valore della controversia e'  stabilito
ai sensi del comma 2 dell'art. 12 del decreto legislativo 31 dicembre
1992, n. 546. 
        187. In caso di ricorso pendente iscritto nel primo grado, la
controversia puo' essere definita con il pagamento del 90  per  cento
del valore della controversia. 
        188. In deroga a quanto previsto dal comma 186,  in  caso  di
soccombenza della competente  Agenzia  fiscale  nell'ultima  o  unica
pronuncia giurisdizionale  non  cautelare  depositata  alla  data  di
entrata in vigore  della  presente  legge,  le  controversie  possono
essere definite con il pagamento: 
          a) del 40 per cento del valore della controversia  in  caso
di soccombenza nella pronuncia di primo grado; 
          b) del 15 per cento del valore della controversia  in  caso
di soccombenza nella pronuncia di secondo grado. 
        189. In caso di accoglimento parziale del ricorso o  comunque
di soccombenza ripartita tra il contribuente e la competente  Agenzia
fiscale, l'importo del tributo  al  netto  degli  interessi  e  delle
eventuali sanzioni e' dovuto per intero relativamente alla  parte  di
atto confermata dalla pronuncia giurisdizionale e in misura  ridotta,
secondo le disposizioni di cui al comma 188, per  la  parte  di  atto
annullata. 
        190. Le controversie tributarie pendenti innanzi  alla  Corte
di cassazione, per le quali la  competente  Agenzia  fiscale  risulti
soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio,  possono  essere
definite con il pagamento di un importo  pari  al  5  per  cento  del
valore della controversia. 
        191. Le controversie relative  esclusivamente  alle  sanzioni
non collegate al tributo possono essere definite con il pagamento del
15 per cento del valore della controversia  in  caso  di  soccombenza
della  competente  Agenzia  fiscale  nell'ultima  o  unica  pronuncia
giurisdizionale  non  cautelare,  sul  merito  o  sull'ammissibilita'
dell'atto introduttivo del giudizio, depositata alla data di  entrata
in vigore della presente legge, e con il pagamento del 40  per  cento
negli altri casi. In caso  di  controversia  relativa  esclusivamente
alle sanzioni  collegate  ai  tributi  cui  si  riferiscono,  per  la
definizione non  e'  dovuto  alcun  importo  relativo  alle  sanzioni
qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche  con
modalita' diverse dalla presente definizione agevolata.». 
    I  commi  194  e  195  della  disposizione   prevedono   poi   la
possibilita' di rateizzare gli  importi  cosi'  determinati.  In  tal
senso viene previsto come: 
        «194.  La  definizione  agevolata  si   perfeziona   con   la
presentazione della domanda di cui al comma 195 e  con  il  pagamento
degli importi dovuti ai sensi dei commi da 186  a  191  entro  il  30
settembre  2023;  nel  caso  in  cui  gli  importi  dovuti   superino
l'ammontare di mille  euro  e'  ammesso  il  pagamento  rateale,  con
applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni  dell'art.  8
del decreto legislativo 19 giugno 1997, n.  218,  in  un  massimo  di
venti rate  di  pari  importo,  di  cui  le  prime  tre  da  versare,
rispettivamente, entro il 30 settembre 2023, il 31 ottobre 2023 e  il
20 dicembre 2023 e le successive entro il 31  marzo,  30  giugno,  30
settembre e 20 dicembre di ciascun anno. A scelta  del  contribuente,
le rate di cui al primo periodo successive  alle  prime  tre  possono
essere versate in un massimo di  cinquantuno  rate  mensili  di  pari
importo, con scadenza all'ultimo giorno lavorativo di ciascun mese, a
decorrere dal mese di gennaio 2024, fatta eccezione per  il  mese  di
dicembre di ciascun anno, per il quale il termine di versamento resta
fissato al giorno 20 del mese. Sulle rate successive alla prima  sono
dovuti gli interessi legali calcolati dalla data del versamento della
prima rata. E' esclusa la compensazione  prevista  dall'art.  17  del
decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.  Nel  caso  di  versamento
rateale, la definizione agevolata si perfeziona con la  presentazione
della domanda di cui al comma 195 e con il  pagamento  degli  importi
dovuti con il versamento della prima rata entro il  termine  previsto
del 30 settembre 2023. Qualora non ci siano importi  da  versare,  la
definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda. 
        195. Entro il 30 settembre  2023  per  ciascuna  controversia
autonoma e' presentata una distinta domanda di definizione  agevolata
esente dall'imposta di bollo ed effettuato  un  distinto  versamento.
Per controversia autonoma si intende quella relativa a  ciascun  atto
impugnato.». 
    4.2.  Dato  questo  impianto  normativo,   si   ricava   che   il
contribuente puo' fare una apposita richiesta al giudice, dichiarando
di volersi avvalere della definizione agevolata ed  in  tal  caso  il
processo e' sospeso fino al 10 ottobre 2023, data entro la  quale  il
contribuente   ha   l'onere   di    depositare,    presso    l'organo
giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia,  copia  della
domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o  della
prima rata (comma 197). 
    La  norma,  quindi,  equipara,  ai  fini  della  sospensione  del
processo prima e della sua estinzione poi, il caso  del  contribuente
che ha provveduto all'integrale versamento  degli  importi  dovuti  a
quello di chi ha provveduto al  versamento  della  sola  prima  rata,
stabilendo che il giudice innanzi al quale pende  il  processo  debba
unicamente  accertarsi  dell'avvenuto  deposito  della   domanda   di
definizione e della esistenza della ricevuta di pagamento. 
    In questo senso il penultimo capoverso del comma 194 ha stabilito
che nel caso di  versamento  rateale,  la  definizione  agevolata  si
perfeziona con la presentazione della domanda di cui al comma  195  e
con il pagamento degli importi dovuti con il versamento  della  prima
rata entro il termine previsto del 30 settembre 2023. 
5. Profili di contrasto con gli  articoli  3,  53,  81  e  111  della
Costituzione. 
    La disposizione di cui all'art. 1, comma 198, della legge n.  197
del 2022 appare cosi' confliggente con quella stabilita al primo cpv.
del medesimo comma, posto che il perfezionamento del giudizio (recte,
l'estinzione del giudizio) e' figura giuridica unisussistente che non
puo'  essere  irragionevolmente  diversificato  a   seconda   se   il
contribuente abbia o meno optato per un sistema rateale, a pena della
lesione del principio di uguaglianza  (art.  3  Cost),  venendosi  ad
equiparare due  situazioni  sostanzialmente  disomogenee  (chi  abbia
corrisposto «gli importi dovuti» - e dunque per intero - e chi  abbia
corrisposto solo «la prima rata»), anche in relazione al principio di
diversa capacita'  contributiva  (art.  53  Cost.)  e  di  equilibrio
tendenziale   del   bilancio   dello   Stato   e   delle    pubbliche
amministrazioni (art. 81 Cost.), per i riflessi,  con  riferimento  a
tale ultimo parametro, sulle previsioni annuali di  competenza  delle
entrate erariali che verrebbero certamente  decurtate  senza  che  il
legislatore abbia provveduto alla previsione di un apposito fondo  di
bilancio utile a compensare, appunto, le minori entrate derivante  da
una disposizione nella sostanza qualificabile come «onerosa», poiche'
comunque foriera di minori entrate, quanto  meno  in  relazione  alle
previsioni di bilancio di competenza. 
    Tale equiparazione indifferenziata, ai fini della estinzione  del
processo, tra chi ha immediatamente  assolto  per  intero  ai  propri
obblighi pecuniari nascenti dalla adesione alla definizione agevolata
nei confronti dell'erario e chi ha invece  optato  per  il  pagamento
rateale di cui al  comma  194  della  disposizione,  appare,  dunque,
all'evidenza, immediatamente: 
        a) lesiva del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.); 
        b) del principio di  ragionevolezza  custodito  dal  medesimo
art. 3 Cost. i) sia per  l'indebita  evidenziata  equi  parazione  ma
anche ii) per lo svilimento della ratio della norma che e' quella  di
favorire al massimo le ipotesi in cui il contribuente intenda aderire
alla definizione agevolata, con scopi di deflazione del contenzioso e
di  riduzione  del  numero  dei  procedimenti  tributari  innanzi  le
competenti corti di ogni ordine e grado; 
        c) per la lesione del principio della capacita'  contributiva
(art. 53), in  quanto  due  diversi  contribuenti  concorrerebbero  a
parita'  di  capacita'  contributiva  in  misura  diversa   derivante
dall'atteggiamento in concreto del  contribuente  di  adesione  piena
alla pretesa fiscale o di corresponsione soltanto di una prima rata; 
        d) a quello di diritto ad uno  svolgimento  del  processo  in
condizioni di parita' (art. 111, secondo comma,  Cost.).  Infatti,  a
tale ultimo riguardo, in ambedue i casi  e  prima  di  una  decisione
dell'Amministrazione sulla ammissibilita' e fondatezza della  domanda
di definizione agevolata, il giudice deve prima sospendere  (fino  al
10 ottobre 2023) e poi  estinguere  il  processo,  equiparando  cosi'
(anche in questo caso irragionevolmente, donde la  lesione  congiunta
dell'art. 111 e 3  Cost.)  le  situazioni  di  chi  ha  integralmente
assolto ai propri doveri e chi lo ha fatto solo in parte. 
    5.2. ulteriori profili di contrasto con gli articoli 3, 24, commi
1 e 2 e 111 Cost. 
    La norma denunciata stabilisce poi che il processo e'  dichiarato
estinto con decreto del presidente della sezione o con  ordinanza  in
Camera di consiglio se e' stata fissata la data della decisione. 
    5.2.1. In tal senso la disposizione deroga a quanto stabilito  in
via  generale  nel  processo  tributario  dall'art.  46  del  decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, secondo il quale il giudizio si
estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione delle pendenze
tributarie previsti dalla legge e in ogni altro  caso  di  cessazione
della materia del contendere, la quale e' dichiarata con decreto  del
presidente o con  sentenza  della  commissione  ed  il  provvedimento
presidenziale e' reclamabile a norma dell'art. 28. 
    Anche  tale  deroga  alla  regola  generale  processuale   appare
irrazionale e priva di giustificazione costituzionale, finendo  cosi'
per determinare una sostanziale irretrattabilita'  del  provvedimento
di estinzione se dichiarato con ordinanza collegiale. 
    Mentre infatti la eventuale dichiarazione di estinzione resa  con
sentenza soggiace al principio del doppio grado di giudizio (anche se
tale principio non puo' dirsi costituzionalizzato) e del ricorso  per
cassazione  per  motivi  di  legittimita'  (art.   50   del   decreto
legislativo n. 546/1992), sicche' la parte che intenda  opporsi  alla
statuizione di estinzione vanta  i  rimedi  disciplinanti  i  gravami
stabiliti nel decreto legislativo n. 546/1992 e nel  codice  di  rito
civile, non altrettanto vale per i casi in cui  la  dichiarazione  di
estinzione sia stata delibata con ordinanza in Camera  di  consiglio,
avverso la quale non si applica la previsione del  suddetto  art.  50
del decreto legislativo n. 546/1992. 
    In concreto e' l'Amministrazione finanziaria che  puo'  avere  un
interesse, all'esito della mancata ammissione del  contribuente  alla
definizione agevolata, ad esempio in ragione del mancato assolvimento
degli obblighi di pagamenti rateali, ad opporsi alla  statuizione  di
estinzione e, nel caso  in  cui  questa  sia  stata  pronunciata  con
ordinanza  collegiale,  si  troverebbe  priva  di  rimedio.  Il   che
sostanzia una violazione dei  principi  costituzionali  di  cui  agli
articoli 3 (per irragionevolezza), 24, commi 1 e 2 e 111  Cost.  (per
vulnerazione del  diritto  di  difesa  e  del  principio  del  giusto
processo). 
    5.2.2. Inoltre, mentre ove la dichiarazione di estinzione venisse
disposta con decreto presidenziale alla parte opponente rimarrebbe il
rimedio del reclamo al collegio, previsto in via  generale  dall'art.
46, comma 2, ult. cpv. del decreto  legislativo  n.  546/1992  ed  in
riferimento  alla   previsione   del   precedente   art.   28   della
disposizione,  altrettanto  non  potrebbe  verificarsi  nel  caso  di
dichiarazione di estinzione disposta con ordinanza collegiali sicche'
il   provvedimento   meno   garantito   sotto    il    profilo    del
contraddittorio - cioe' il decreto presidenziale - risulterebbe  piu'
«garantista»  quanto  al  diritto  al  giusto   processo,   rimanendo
reclamabile (e quindi riformabile) innanzi  al  collegio  chiamato  a
provvedere  a  termini  dell'art.  28  del  decreto  legislativo   n.
546/1992. 
    5.3. Ulteriori profili di contrasto con gli articoli 3,  23,  24,
53 ed 81 Cost. e con gli  articoli  6,  13  e  17  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali.  Sennonche'  il  comma  200  dell'art.  1  (su  cui  v.
successivo punto 5) della medesima legge n. 197/2022  stabilisce  che
«L'eventuale  diniego  della  definizione   agevolata   deve   essere
notificato entro il 30 settembre 2024 con le modalita'  previste  per
la notificazione degli atti processuali. Il  diniego  e'  impugnabile
entro  sessanta  giorni  dalla  notificazione  del  medesimo  dinanzi
all'organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia. Nel
caso in  cui  la  definizione  della  controversia  e'  richiesta  in
pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale puo'
essere  impugnata  dal  contribuente  unitamente  al  diniego   della
definizione entro sessanta  giorni  dalla  notifica  di  quest'ultimo
ovvero dalla controparte nel medesimo termine.». 
    5.3.1. Orbene a differenza  che  in  precedenti  casi  di  scelte
legislative in materia di definizione agevolata delle liti tributarie
pendenti in cui  il  processo  innanzi  la  giurisdizione  tributaria
rimaneva sospeso (cfr. commi 5 e 6 del decreto-legge 23 ottobre 2018,
n. 119), la norma denunciata prevede ex abrupto e  sulla  base  della
sola presentazione dell'istanza e  del  pagamento  anche  della  sola
prima rata,  l'estinzione  del  giudizio,  senza,  quindi  attendere,
l'esercizio del potere  amministrativo  di  diniego  dell'istanza  di
definizione che lo stesso  legislatore  differisce  al  30  settembre
2024. 
    Sicche' per un verso l'Amministrazione finanziaria ha uno spatium
deliberandi in ordine all'accettazione  dell'istanza  di  definizione
agevolata spostato al 30 settembre 2024, ma, anche nel  caso  in  cui
sia parte resistente in un giudizio di primo grado oppure  sia  stata
vittoriosa in primo grado, essa non puo' opporsi  all'estinzione  del
giudizio, salvi gli effetti - invero non disciplinati espressamente -
di  una  eventuale  riformulazione  dell'atto  tributario,  ma   solo
all'esito della definitivita'  del  provvedimento  di  diniego  della
definizione agevolata. 
    Sotto questo profilo l'art. 1, comma 198, della legge 29 dicembre
2022, n. 197, si pone in contrasto, per la  ragioni  dette,  con  gli
articoli 3, 23, 24, 53 ed 81 Cost. 
    5.3.2. Quanto all'evidente vulnerazione dell'art. 23  Cost.  deve
rilevarsi  che  la  noma  costituzionale  per   la   quale   «Nessuna
prestazione personale o patrimoniale puo' essere imposta  se  non  in
base   alla   legge»,   esigerebbe   una   stabilitas    dell'assetto
Fisco-contribuente che, indefinitiva, costituisce uno dei  fondamenti
del patto sociale. 
    Orbene, dismettere attraverso  continue  e  reiterate  misure  di
condono fiscale, qual e' nella sostanza quella  all'esame,  e  al  di
fuori di situazioni  del  tutto  eccezionali,  significa,  indebolire
irragionevolmente la forza del sistema tributario nel  suo  complesso
che viene ad essere derogato (per effetto della  norma  di  legge  in
questione) sulla base di una mera dichiarazione  di  avvalersi  della
misura citata per di piu' limitata al versamento di una prima rata. 
    5.3.3. Quanto all'art.  81  Cost.,  ne  appare  evidente  la  sua
compromissione ad opera della disposizione oggetto di esame (art.  1,
comma 198, legge n. 197/2022) nella misura in cui l'appostamento  nel
bilancio  statale  di  somme  in  entrata,  diviene  evanescente   ed
aleatorio, rimanendo subordinato,  anche  per  la  parte  relativa  a
crediti discendenti da titoli giudiziali (tali le sentenze  di  primo
grado del giudice tributario di rigetto dei ricorsi dei  contribuenti
avverso atti impositivi tributari), ad una  complicata  procedura  di
raggiungimento della definitivita' di un provvedimento amministrativo
inerente l'istanza  di  definizione  agevolata;  donde,  una  duplice
violazione dell'art. 81 Cost. con riferimento: 
        A) all'art. 81, terzo comma, Cost., per gli evidenti riflessi
di copertura della legge  da  qualificare  «onerosa»  per  le  minori
entrate  che  da  essa  deriveranno  in  mancanza  di  un  fondo   di
compensazione di minori entrate derivanti  dall'agevolazione  fiscale
(pur a fronte, nelle intenzioni  del  legislatore,  di  un  possibile
incremento delle entrate  sul  versante  della  cassa,  nel  caso  di
adesione diffusa all'agevolazione, ma sempre con un significato delta
rispetto  alle  previsioni  di  entrata  di  competenza,  stante   la
sostanziale rinuncia, sia pure in quota parte, alla pretesa fiscale); 
        B) all'art. 81, primo comma, Cost. (principio dell'equilibrio
del bilancio), tenuto conto degli esiti della norma agevolativa sulle
previsioni di competenza di entrata di inizio anno, aventi  possibili
ricadute in termini di peggioramento del saldo netto  da  finanziare,
che, com'e'  noto,  costituisce  un  fondamentale  saldo  di  finanza
pubblica. 
    5.3.4. Vi e' poi l'estinzione dei processi tributari sulla scorta
della sola dichiarazione di adesione e di pagamento della prima rata,
senza che vi sia stata una valutazione della fondatezza della istanza
da parte dell'Amministrazione, determina una ulteriore situazione  di
incertezza  anche  quanto  alla  formulazione  delle  previsioni  del
bilancio di previsione dell'Amministrazione pubblica creditrice. 
    5.3.5. Inoltre tale  aggravio  del  procedimento  giurisdizionale
tributario  (contrario  all'art.  111  Cost.),   pare   al   Collegio
confliggere con il  principio  del  divieto  dell'abuso  di  diritto,
canonizzato  nell'art.  17   della   Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  per
il  quale  nessuna  disposizione  della   Convenzione   puo'   essere
interpretata nel senso di comportare il  diritto  di  uno  Stato,  un
gruppo o un individuo ad esercitare un'attivita' o compiere  un  atto
che miri alla distruzione dei diritti o delle  liberta'  riconosciuti
nella presente Convenzione o di imporre a  tali  diritti  e  liberta'
limitazioni piu' ampie di quelle previste dalla  stessa  Convenzione.
Se infatti il diritto ad un ricorso  effettivo  di  cui  all'art.  13
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali  va  esteso  e  riconosciuto  anche  alle
amministrazioni pubbliche impositrici, e'  chiaro  che  stabilire  un
siffatto  aggravio  giurisdizionale,  esclusivamente   a   carico   e
svantaggio della parte pubblica rappresenta un abuso del diritto. 
    5.4. profili di contrasto con gli articoli 3,  24,  53,  81,  97,
comma 1, 111. 
    Emerge  cosi'  un  ulteriore  profilo   di   contrarieta'   delle
disposizioni in questione al principio generale di tutela dei crediti
erariali e delle pubbliche finanze (arg. ex articoli  53,  81  e  97,
comma 1, Cost.) posto che la norma produce effetti diretti  anche  su
quei giudizi,  in  specie  in  grado  di  appello,  nei  quali  parte
ricorrente o appellante sia costituita dall'agente della  riscossione
o dall'Amministrazione finanziaria o dall'ente pubblico che vanta  il
credito  tributario,  il  quale,  quindi,  vanta  un  interesse  alla
sollecita definizione della controversia  stessa  al  fine  di  poter
definire il credito tributario contestato; in questo caso la semplice
e  sola  dichiarazione  di  adesione  alla   definizione   agevolata,
proveniente da parte resistente od appellata, viene a determinare una
ricaduta negativa sulla parte formalmente ricorrente  od  appellante,
con la conseguenza di compromettere pesantemente il diritto di difesa
delle amministrazioni impositrici (violando l'art. 24 Cost.) e quello
alla parita' delle parti nel processo (violando l'art. 111 Cost.). 
    5.4.1. A rafforzare il convincimento di questo Collegio in ordine
alla contrarieta' della disposizione denunciata agli articoli 3,  24,
97 e 111 Cost., sta la  circostanza  che  nei  giudizi  in  grado  di
appello l'estinzione  comporta  le  conseguenze  processuali  di  cui
all'art. 338 codice di procedura civile per  il  quale  «L'estinzione
del procedimento di appello o di revocazione nei  casi  previsti  nei
numeri 4 e 5 dell'art.  395  fa  passare  in  giudicato  la  sentenza
impugnata, salvo che  ne  siano  stati  modificati  gli  effetti  con
provvedimenti pronunciati nel procedimento estinto.». Tale  norma  e'
applicabile anche al giudizio tributario (art. 1,  comma  2,  decreto
legislativo n. 546/1992), non essendo espressamente esclusa  in  seno
alla Sezione V, Capo II  del  decreto  legislativo  n.  546/1992  che
disciplina i casi di «Sospensione,  interruzione  ed  estinzione  del
processo». 
    La conseguenza e' che nei procedimenti in  fase  di  appello  nei
quali il gravame sia stato proposto dall'Amministrazione  finanziaria
l'estinzione  dovrebbe  comportare  immediatamente  il  passaggio  in
giudicato della sentenza di primo  grado,  sfavorevole  alle  ragioni
dell'erario: il che  rappresenta  una  violazione  del  principio  di
parita' delle parti nel processo  (art.  111  Cost.),  di  quello  di
uguaglianza (art. 3 Cost.), del giusto processo (art. 111 Cost.), del
principio di  imparzialita'  e  buon  andamento  dell'amministrazione
pubblica  (art.  97,  secondo  comma,  Cost.),   del   principio   di
ragionevolezza (art. 3 Cost.), posto che tali  conseguenze  deleterie
per le ragioni dell'erario dipendono solo  da  una  dichiarazione  di
adesione, senza  il  pagamento  degli  importi  dovuti  e  prima  che
l'Amministrazione  impositrice  abbia   esaurito   il   termine   per
pronunciarsi in ordine all'accoglibilita' dell'istanza di definizione
agevolata. 
    5.4.2. Tali considerazioni non possono ritenersi  superate  dalla
circostanza - ricordata dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.
29/2018 e nella successiva  ordinanza  n.  32/2019  -  per  le  quali
«l'introduzione della definizione agevolata consegue  "alla  rilevata
necessita', per esigenze  di  finanza  pubblica  e  per  un  corretto
rapporto tra fisco e contribuente,  "di  ottimizzare  l'attivita'  di
riscossione adottando disposizioni per la soppressione di Equitalia e
per adeguare l'organizzazione dell'Agenzia  delle  entrate  anche  al
fine  di  garantire  l'effettivita'  del  gettito  delle  entrate   e
l'incremento del livello  di  adempimento  spontaneo  degli  obblighi
tributari e per i fini di cui all'art. 4, paragrafo 3,  del  Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), e all'art. 81, comma 1,
della Costituzione"», posto  che,  nella  fattispecie,  A)  la  norma
incide sfavorevolmente sui  principi  costituzionali  in  materia  di
giusto processo, di equa durata dello stesso, di parita' delle  parti
processuali, nonche' sull'istituto processuale della sospensione,  B)
ma soprattutto  per  le  erratiche  conseguenze  che  discendono  dal
continuo ricorso a soluzioni del  tutto  contingenti  quali  sono  le
misure di condono tributario che hanno, a ben  vedere,  l'effetto  di
consolidare uno «scorretto» (non un «corretto») rapporto tra fisco  e
contribuente, a tutto svantaggio del cittadino che adempiente. 
    5.5. profili di contrasto con gli articoli 10,  11,  80,  81,  97
Cost. e con l'art. K3 del Trattato sull'Unione europea 
    Un  profilo  ulteriore  inerente  la  denunciata  violazione  del
principio di parita' delle parti  nel  processo  tributario,  e'  poi
rappresentato dalla possibile lesione, che ne discende  direttamente,
degli interessi finanziari europea, nei limiti in cui le disposizioni
speciali interne, compromettendo la tutela  processuale  dei  crediti
erariali  attraverso  disposizioni   impeditive   della   stessa   e,
segnatamente,  stabilendo  ipotesi   di   estinzione   del   processo
tributario ed all'esito della sola volonta' discrezionale manifestata
dal debitore, finiscono con il  compromettere  i  suddetti  interessi
finanziari. 
    La tutela degli interessi  finanziari  dell'Unione  riguarda  non
solo la gestione degli stanziamenti di  bilancio,  ma  si  estende  a
qualsiasi misura che incida o che minacci di  incidere  negativamente
sul suo patrimonio e su quello degli Stati membri,  nella  misura  in
cui e' di interesse per le politiche dell'Unione. 
    La convenzione elaborata in base all'articolo  K.3  del  Trattato
sull'Unione europea, relativa alla tutela degli interessi  finanziari
delle Comunita' europee del 26 luglio 1995 e  i  relativi  protocolli
del 27 settembre 1996, del 29 novembre 1996 e  del  19  giugno  1997,
stabiliscono norme  minime  riguardo  alla  definizione  di  illeciti
penali e di sanzioni nell'ambito della frode che lede  gli  interessi
finanziari dell'Unione. 
    Date tali premesse - contenute nella direttiva (UE) 2017/1371 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa  alla
lotta contro la frode che lede gli interessi  finanziari  dell'Unione
mediante il diritto penale - e' evidente che una compromissione delle
ragioni di tutela  dei  erediti  erariali  approntata  attraverso  la
introduzione  di  una  ingiustificata  lesione   della   parita'   di
trattamento delle parti  processuali,  determina  una  lesione  degli
interessi finanziari dell'Unione  e  delle  Comunita'  europee  nella
misura in cui l'Italia ne fa parte  (articoli  10,  11  ed  80  della
Costituzione), riconoscendo limitazioni  alla  propria  sovranita'  e
concorrendo alle relative spese (art. 81, commi 1 e 6,  ed  art.  97,
comma 1 Costituzione). 
    5.6. profili di contrasto con l'art. 113 e seguenti del  Trattato
sull'Unione europea 
    Un altro profilo di illegittimita' delle denunciate disposizioni,
sempre  discendente  dalla   introduzione   di   una   ingiustificata
disparita' di trattamento processuale  tra  le  ragioni  del  credito
erariale  e  quelle  del  contribuente,  risiede   nella   violazione
dell'art. 113 e seguenti del Trattato, laddove il processo tributario
verta  su  questioni  inerenti  imposte  armonizzate  (IVA  o   cifra
d'affari, in primis), con  conseguente  ricaduta  sugli  obblighi  di
armonizzazione discendenti dalle suddette disposizioni di Trattato. 
    Poiche' infatti le  imposte  armonizzate  vantano  una  copertura
sovranazionale  -  incidendo  indirettamente  sul   principio   della
concorrenza - ogni compromissione  delle  ragioni  erariali  ad  esse
connesse in sede processuale, mediante la adozione di norme nazionali
deteriori  e  che  costituiscano  impedimenti  alla  loro   effettiva
applicazione ed esazione da parte degli  Stati  nazionali,  determina
una possibile compromissione del principio di tutela degli  interessi
finanziari della  Comunita',  confliggendo  con  interessi  superiori
dell'Unione. 
6.  Fondamento  della  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1, commi 200 e 201 della legge 29 dicembre  2022,  n.  197,
recante «Bilancio di previsione dello Stato  per  l'anno  finanziario
2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025». 
    I commi 200 e 201 della legge n. 197/2022 stabiliscono che: 
        «200. L'eventuale diniego della  definizione  agevolata  deve
essere notificato  entro  il  30  settembre  2024  con  le  modalita'
previste per la notificazione degli atti processuali. Il  diniego  e'
impugnabile entro sessanta giorni dalla  notificazione  del  medesimo
dinanzi  all'organo  giurisdizionale  presso  il   quale   pende   la
controversia. Nel caso in cui la definizione  della  controversia  e'
richiesta  in  pendenza  del  termine  per  impugnare,  la  pronuncia
giurisdizionale puo' essere impugnata dal contribuente unitamente  al
diniego della definizione entro sessanta  giorni  dalla  notifica  di
quest'ultimo ovvero dalla controparte nel medesimo termine. 
        201. Per i processi dichiarati estinti  ai  sensi  del  comma
198, l'eventuale diniego della  definizione  e'  impugnabile  dinanzi
all'organo giurisdizionale che ha dichiarato l'estinzione. Il diniego
della definizione e'  motivo  di  revocazione  del  provvedimento  di
estinzione pronunciato ai sensi del comma 198  e  la  revocazione  e'
chiesta congiuntamente all'impugnazione del diniego. Il  termine  per
impugnare il diniego della definizione e per chiedere la  revocazione
e' di sessanta giorni dalla notificazione di cui al comma 200.». 
    6.1. Profili di contrasto con l'art. 24 Cost. 
    Sotto  un  primo  profilo  le   disposizioni,   prevedendo   come
l'impugnazione  dell'eventuale  diniego  di   definizione   agevolata
avvenga dinanzi all'organo giurisdizionale presso il quale  pende  la
controversia e, quindi, anche eventualmente  innanzi  il  giudice  di
secondo grado o quello di legittimita', realizza una compressione del
diritto di difesa delle parti (art. 24  Cost.),  nei  limiti  in  cui
assegna ad un giudice, eventualmente anche in unica e  sola  istanza,
la valutazione sulla legittimita' del diniego. In questo senso seppur
la Corte costituzionale non abbia inteso riconoscere  un  diritto  al
doppio grado di giudizio (per tutte Corte  costituzionale,  ordinanza
n. 190/2013), e' pur vero che la garanzia costituita dalla  revisione
di una decisione giurisdizionale di merito in materia tributaria vada
individuata perlomeno nel principio di affidamento di cui all'art. 10
della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante «Disposizioni in  materia
di statuto dei diritti del contribuente», la quale contiene  principi
generali dell'ordinamento tributario che possono  essere  derogati  o
modificati solo espressamente e mai da leggi speciali. 
    Ne' puo' disconoscersi la natura afflittiva degli atti impositivi
e tributari e, quindi, latamente anche del provvedimento  di  diniego
alla definizione agevolata, il che rafforzerebbe la prospettazione di
un vero e proprio diritto ad  una  revisione  della  prima  decisione
giurisdizionale anche nel processo tributario, analogamente a  quanto
accade con riferimento alle misure afflittive  penali,  in  cui  tale
diritto  trova  fondamento   nell'art.   14,   par.   5   del   Patto
internazionale   sui   diritti   civili    e    politici,    trattato
internazionale, adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni  Unite
con  Risoluzione  2200A  (XXI)  del   16   dicembre   1966,   entrato
internazionalmente in vigore il 23 marzo 1976, ratificato dall'Italia
con legge n. 881 del 25 ottobre 1977, vigente per il nostro Paese dal
15 dicembre 1978 ed anche nell'art. 2 del Protocollo n. 7 della CEDU. 
    6.2. Profili di contrasto con gli articoli 3, 23, 24,  53,  97  e
111 Cost. e con gli articoli 6, 13 e 17 della CEDU 
    Un secondo profilo di incostituzionalita',  riguardante  il  solo
comma 201,  attiene  alla  introduzione  di  un  motivo  speciale  di
«revocazione», afferente alla decisione di  estinzione  del  processo
resa ai sensi del comma 198 (del quale, parimenti, questo Collegio ha
ragione di dubitare). 
    In particolare, v'e' che tradizionalmente la  revocazione  e'  un
mezzo di impugnazione con cui si  contesta  la  sentenza  formata  su
presupposti errati. Si tratta di  un  rimedio  a  critica  vincolata,
proponibile solo per i motivi da 1 a 6 elencati  al  l'art.  395  del
codice di procedura civile Quando e' fondata  sui  motivi  di  cui  a
numeri 1), 2), 3)  e  6)  (relativi  a  fatti  o  situazioni  il  cui
verificarsi o la cui scoperta puo' compiersi in un qualunque  momento
successivo all'emanazione della sentenza), la revocazione  assume  la
natura di mezzo di impugnazione straordinario; e', invece,  mezzo  di
impugnazione ordinario quando e' fondata sui motivi di cui ai  numeri
4) e  5)  (che  indicano  vizi  conoscibili  sulla  base  della  sola
sentenza). 
    Nel processo tributario la suddetta disposizione  del  codice  di
rito civile e' espressamente richiamata dal  l'art.  64  del  decreto
legislativo n. 546/1992, secondo  cui  «Le  sentenze  pronunciate  in
grado d'appello o in unico grado dalle corti di giustizia  tributaria
di primo e secondo grado possono essere impugnate ai sensi  dell'art.
395 del codice di procedura civile.». 
    Nessuna delle disposizioni del surrichiamato decreto  legislativo
n. 546/1992 prevedono che il rimedio sia  esperibile  altro  che  nei
confronti delle sentenze, mentre  il  comma  201  fa  riferimento  ai
provvedimenti di estinzione  pronunciati  ai  sensi  del  comma  198,
quindi al decreto del presidente della sezione  ed  all'ordinanza  in
Camera di consiglio se e' stata fissata la data della decisione. 
    Sul  punto  ritiene  il  Collegio  che  in  questo  modo  si  sia
realizzata una violazione non solo del principio del giusto  processo
(art.  111),  ma  anche  delle  disposizioni   dell'art.   13   della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali in ordine al diritto ad un ricorso effettivo  -
il quale  vale  anche  per  l'Amministrazione  impositrice -  nonche'
dell'art. 17  della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  che  canonizza  il
divieto dell'abuso di diritto. 
    Infatti,  la   norma   denunciata,   estendendo   un   meccanismo
impugnatorio tipico e  tassativo  relativo  alle  sentenze,  anche  a
provvedimenti  giurisdizionali  di  rango  «inferiore»,   cioe'   non
assistiti dalle garanzie e dai crismi procedurali della sentenza, per
un    verso    determina    uno    squilibrio     della     posizione
dell'Amministrazione finanziaria rispetto a quella del  contribuente,
violando gli  art.  3  e  24  Cost. -  posto  che  solo  quest'ultimo
impugnera' il diniego e solo egli potra' accedere  al  rimedio  della
revocazione in relazione all'atto definitivo che nega la  definizione
agevolata, aggravando in tal  modo  il  procedimento  impositivo  (in
lesione dell'art. 97 Cost.), come nel caso in cui vi  sia  stata  una
prima decisione giurisdizionale sfavorevole  al  contribuente  ed  un
espresso diniego di definizione agevolata. Anche in questo caso  tale
aggravio del procedimento tributario (contrario agli articoli 53 e 97
Cost.) e di quello giurisdizionale connesso (contrario  all'art.  111
Cost.), paiono al Collegio confliggere con il principio  del  divieto
dell'abuso di diritto, canonizzato  nell'art.  17  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali per il quale nessuna disposizione della Convenzione puo'
essere interpretata nel senso di comportare il diritto di uno  Stato,
un gruppo o un individuo di esercitare  un'attivita'  o  compiere  un
atto  che  miri  alla  distruzione  dei  diritti  o  delle   liberta'
riconosciuti nella presente Convenzione o di imporre a tali diritti e
liberta' limitazioni piu'  ampie  di  quelle  previste  dalla  stessa
Convenzione. 
    Se infatti il diritto ad un ricorso effettivo di cui all'art.  13
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali  va  esteso  e  riconosciuto  anche  alle
amministrazioni pubbliche impositrici, e' chiaro che stabilire  degli
aggravi procedimentali, tanto amministrativi, quanto giurisdizionali,
esclusivamente a carico e svantaggio di queste rappresenta  un  abuso
del diritto. 
7. Per quanto esposto sopra, nell'impossibilita'  di  percorrere  una
diversa    interpretazione    delle    norme    citate    in    senso
costituzionalmente orientato, ai sensi dell'art. 23, comma  3,  della
legge n. 87/1953, si ritiene  di  sollevare  d'ufficio  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    a) dell'art. 1, comma 198 della legge 29 dicembre 2022,  n.  197,
recante «Bilancio di previsione dello Stato  per  l'anno  finanziario
2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025»: 
        per la parte in cui prevede che nelle  controversie  pendenti
in ogni stato e grado, in caso di deposito ai sensi  del  comma  197,
secondo periodo, il processo e' dichiarato estinto  con  decreto  del
presidente della sezione o con ordinanza in Camera di consiglio se e'
stata fissata la data della decisione, per palese contrasto  con  gli
articoli 3, 10, 11,  23,  24,  53,  81,  97,  comma  1  e  111  della
Costituzione, 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea,
6, 13 e 17 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). 
        per  la  parte  in  cui  prevede  che  la  dichiarazione   di
estinzione opera immediatamente, prima ed  in  pendenza  del  termine
fissato  all'amministrazione  impositrice  per  decidere  in   ordine
all'eventuale diniego alla  domanda  di  definizione  agevolata,  per
contrasto con gli articoli 3, 23, 24, 53, 97, comma  1  e  111  della
Costituzione, 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea,
6, 13 e 17 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). 
    b) dell'art. 1, commi 200 e 201 della legge 29 dicembre 2022,  n.
197,  recante  «Bilancio  di  previsione  dello  Stato   per   l'anno
finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il  triennio  2023-2025»,
per contrasto con gli articoli 3, 23, 24, 53, 97, comma 1 e 111 della
Costituzione, 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti  dell'uomo
(CEDU).