Sentenza 
nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  238-bis  del
codice di procedura penale promosso  dal  Tribunale  di  Biella,  nel
procedimento penale a  carico  di  U.  C.  ed  altra,  con  ordinanza
iscritta al n. 212 del registro ordinanze  2006  e  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  28,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2006. 
    Udito nella Camera di consiglio del 19 novembre 2008  il  giudice
relatore Francesco Amirante. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di due imputati
accusati  di  illecita  detenzione  di  sostanza   stupefacente,   il
Tribunale di Biella ha sollevato, in riferimento all'art. 111, quarto
e  quinto  comma,  della  Costituzione,  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 238-bis  del  codice  di  procedura  penale,
nella parte in  cui  «consente  l'acquisizione  dibattimentale  delle
sentenze divenute irrevocabili ai fini della prova di fatto  in  esse
accertato e, quindi,  la  utilizzabilita'  di  tale  mezzo  di  prova
documentale oltre i casi e i limiti di efficacia probatoria  previsti
in via generale dal combinato disposto degli artt.  234  e  236»  del
medesimo codice. 
    Premette, in punto di fatto, il Tribunale che i due imputati sono
accusati di aver illecitamente detenuto cinquanta grammi di  sostanza
stupefacente del tipo eroina, ricevuta  da  un  terzo  che  aveva  in
precedenza  definito  la  propria  posizione  di  imputato  di  reato
collegato, con sentenza di condanna  emessa  col  rito  abbreviato  e
divenuta  irrevocabile  in  data  27  aprile  1992.  Nel  corso   del
dibattimento il P.M., dopo aver chiesto l'esame  della  persona  gia'
condannata, assunta con le modalita' di  cui  all'art.  197-bis  cod.
proc. pen., ha sollecitato anche  l'acquisizione  -  ai  sensi  della
disposizione censurata - della  sentenza  di  condanna  a  suo  tempo
pronunciata, con l'intento di utilizzarla in  chiave  probatoria  nel
processo. Cio' posto, il giudice a  quo  rileva  che,  nella  specie,
sussiste connessione tra il fatto  reato  a  suo  tempo  giudicato  e
quello oggi sottoposto al suo esame, poiche' la  terza  persona  gia'
condannata ha reso - con le garanzie di  cui  all'art.  197-bis  cod.
proc. pen. - dichiarazioni accusatorie contro  gli  attuali  imputati
che potrebbero essere confermate da  quanto  risulta  dalla  sentenza
irrevocabile che si dovrebbe acquisire. 
    2. - Compiuta questa premessa, il remittente pone  in  dubbio  la
legittimita' costituzionale del citato  art.  238-bis  sotto  diversi
profili. Da un lato, infatti, la disposizione impugnata, «consentendo
al giudice di acquisire elementi di  prova  formati  in  assenza  del
contraddittorio con  il  soggetto  contro  il  quale  possono  essere
utilizzati», sarebbe in contrasto l'art. 111, quarto comma, Cost., in
base al quale la formazione della  prova  nel  processo  penale  deve
avvenire nel contraddittorio delle parti. L'art. 238-bis  cod.  proc.
pen., d'altra parte, introdotto dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, di
conversione del  decreto-legge  8  giugno  1992,  n.  306  (Modifiche
urgenti al nuovo  codice  di  procedura  penale  e  provvedimenti  di
contrasto alla criminalita' mafiosa), risponde  all'intento  evidente
di attuare «una sorta di semplificazione probatoria»;  la  norma  non
distingue, percio', i diversi  elementi  probatori  utilizzati  nella
sentenza, con la  conseguenza  che  essa  e'  acquisibile  -  secondo
pacifica giurisprudenza -  «per  risultanze  processuali  diverse,  e
cioe' per le risultanze di fatto emergenti dalle motivazioni di dette
sentenze e non gia' dai loro dispositivi». D'altra parte, osserva  il
Tribunale di Biella, la natura di «prova documentale» della  sentenza
irrevocabile necessita di chiarimenti; come una parte della  dottrina
ha avvertito, infatti, a differenza di quanto disposto dall'art.  238
cod. proc. pen., l'art. 238-bis non prevede una prova documentale  in
senso stretto - la cui disciplina e' contenuta negli artt. 234 e  236
del codice - poiche' la sua forza probatoria e'  limitata  ai  «fatti
documentati»,  non  potendosi  invece  estendere  anche   ai   «fatti
documentali». Scopo della  norma  censurata  e',  quindi,  quello  di
«evitare che il diverso organo giudicante sia costretto a compiere un
nuovo accertamento sulla medesima ipotesi di  reato»,  pur  rimanendo
esclusa dal sistema l'esistenza di una pregiudiziale penale. Ma  cio'
dimostra  che  l'art.  238-bis  cod.  proc.  pen.,  come  piu'  volte
affermato in giurisprudenza, pone una chiara limitazione al principio
della formazione della prova nel dibattimento. 
    Al remittente, quindi, pare «insuperabile» il rilievo per cui  il
documento in questione,  cioe'  la  sentenza  irrevocabile,  «non  e'
stato, di regola, formato in contraddittorio con il soggetto nei  cui
confronti puo' essere utilizzato e che la sua acquisizione  prescinde
totalmente dall'accertamento delle condizioni che, giusta il disposto
del quinto comma dell'art. 111 Cost., consentono di  derogarvi».  Pur
essendo pacifico,  infatti,  che  la  sentenza  e'  un  documento  di
carattere affatto peculiare, il Tribunale rileva che su di una simile
fonte di prova e' per le parti impossibile confrontarsi, poiche' essa
non fornisce una rappresentazione del fatto documentato,  bensi'  una
valutazione dello stesso. E non e' neppure pensabile che  una  simile
lesione del principio del contraddittorio consacrato  nell'art.  111,
quarto comma,  Cost.,  possa  essere  sanata  per  il  fatto  che  la
disposizione censurata impone  il  criterio  di  valutazione  di  cui
all'art. 192, comma 3, del codice di rito.  Tale  criterio,  infatti,
esclude  soltanto  che  il  giudice  che  si  avvale  della  sentenza
irrevocabile sia vincolato  al  risultato  probatorio  raggiunto  nel
diverso processo, ma non puo' comunque evitare il pregiudizio che «si
e' ormai gia' in concreto verificato» per il semplice fatto che ci si
debba  confrontare  con  un  dato  probatorio  acquisito  e,  quindi,
rilevante per la decisione. 
    In conclusione, percio', il giudice remittente afferma  che,  pur
non potendosi sostenere che la riforma costituzionale  dell'art.  111
abbia recepito una  concezione  «massimalistica  e  totalizzante  del
principio del contraddittorio "genetico" della  prova»,  tuttavia  e'
lecito ritenere che l'unico limite a questo sia da identificare nella
previsione espressa del quinto comma del medesimo art. 111 Cost.; del
che si trae conferma dal fatto che il legislatore - dando attuazione,
con la legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice  penale  e  al
codice di procedura penale in materia  di  formazione  e  valutazione
della prova in  attuazione  della  legge  costituzionale  di  riforma
dell'articolo 111 della Costituzione), ai principi costituzionali del
giusto processo - ha provveduto  a  modificare  una  serie  di  norme
fondamentali del sistema processuale, quali gli artt. 238 e 500  cod.
proc.  pen.,  di  modo  che  appare  assai  difficile  dimostrare  la
ragionevolezza della norma censurata. 
    Il  Tribunale  di  Biella  osserva,  infine,  che  ogni   opzione
interpretativa  diversa  da  quella  di   ritenere   l'illegittimita'
costituzionale  sopravvenuta  dell'art.  238-bis  cod.   proc.   pen.
«assumerebbe     inevitabilmente     connotati      di      carattere
manipolativo-additivo in una materia riservata, appunto, alle  scelte
discrezionali del legislatore». 
                       Considerato in diritto 
    1. - Il Tribunale di  Biella,  in  composizione  monocratica,  ha
sollevato, in riferimento all'articolo 111, quarto  e  quinto  comma,
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'articolo 238-bis del codice di procedura penale. 
    Il remittente censura la suddetta disposizione «laddove  consente
l'acquisizione dibattimentale delle sentenze divenute irrevocabili ai
fini  della  prova  di   fatto   in   esse   accertato   e,   quindi,
l'utilizzabilita' di tale mezzo di prova documentale oltre i casi e i
limiti di efficacia probatoria previsti in via generale dal combinato
disposto degli artt. 234 e 236 cod. proc. pen.». 
    Secondo  il  remittente,  poiche'  dai  parametri  costituzionali
evocati si evince il  principio  generale  che  in  ciascun  processo
possono  essere  utilizzate   soltanto   le   prove   formatesi   nel
contraddittorio tra le parti in esso svoltosi,  mentre  le  eccezioni
sono tassativamente indicate nel quinto comma dell'art. 111 Cost., la
disposizione censurata, prevedendo un'ipotesi non compresa tra queste
ultime, viola i precetti suddetti. 
    Ne' vale obiettare - prosegue il  remittente -  che,  dovendo  la
sentenza acquisita essere valutata ai sensi dell'art. 192,  comma  3,
cod. proc.  pen.,  l'imputato  avrebbe  sempre  modo  di  contestarne
l'efficacia probatoria alla luce degli elementi di riscontro  che  il
giudice deve acquisire. Infatti, la valutazione della prova -  e,  in
particolare, della sentenza acquisita secondo  i  criteri  indicati -
«lungi dal prevenire un effetto pregiudizievole rilevante  sul  piano
probatorio  nel  processo   ad   quem   e   derivante   dall'avvenuta
acquisizione degli accertamenti fattuali oggetto di valutazione della
sentenza irrevocabile resa inter alios, si colloca processualmente (e
necessariamente)   dopo   che   tale   pregiudizio,   eziologicamente
ricollegabile  alla  violazione  del  fondamentale  principio   della
formazione della prova in  contraddittorio  delle  parti  (art.  111,
quarto comma, Cost.),  si  e'  ormai  gia'  in  concreto  verificato:
essendo, infatti, il giudice comunque obbligato a  confrontarsi  (sia
pure con i limiti valutativi indicati dall'art. 192,  comma  3,  cod.
proc. pen.) con un "dato probatorio" ritualmente acquisito e, quindi,
pienamente utilizzabile per la decisione». 
    La questione viene sollevata nel corso di un processo a carico di
due imputati - accusati  di  detenzione,  al  fine  di  cessione,  di
sostanze stupefacenti - nel quale il pubblico  ministero  ha  chiesto
l'acquisizione della  sentenza  irrevocabile  di  condanna  emessa  a
seguito  di  giudizio  abbreviato -  per  un  reato  collegato -  nei
confronti di un terzo, sentito nella qualita' di testimone  assistito
ai sensi dell'art. 197-bis cod. proc. pen. 
    2. - La questione non e' fondata. 
    Al fine dell'inquadramento storico-sistematico della disposizione
censurata e della individuazione  dei  termini  della  questione,  e'
opportuno  mettere  in  evidenza  lo  svolgimento  della   normativa,
costituzionale e ordinaria, e della giurisprudenza, costituzionale  e
comune,  in  tema  di  acquisizione  e  valutazione  della   sentenza
irrevocabile emessa in altro processo. 
    La disposizione in esame e' stata introdotta, nella  vigenza  del
testo originario dell'art. 111 Cost., con il decreto-legge  8  giugno
1992, n 306, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  7  agosto
1992,  n.  356 -  dopo  le  stragi  verificatesi  in  Sicilia -   per
contrastare piu'  efficacemente  la  criminalita'  organizzata,  come
risulta dallo stesso titolo del provvedimento («Modifiche urgenti  al
nuovo codice di procedura penale e provvedimenti  di  contrasto  alla
criminalita' mafiosa»). Tuttavia, la disposizione e'  applicabile  in
via generale, quale che ne  sia  l'oggetto,  e  l'acquisizione  della
sentenza irrevocabile  pronunciata  in  altro  processo  puo'  essere
chiesta non soltanto dal pubblico ministero, ma anche dall'imputato. 
    Poiche' il codice di procedura penale entrato in vigore nel  1989
e' ispirato, tra gli  altri,  anche  ai  principi  dell'autonomia  di
ciascun processo e della  formazione  della  prova  in  dibattimento,
insorse il dubbio che la disposizione dell'art.  238-bis  in  oggetto
non fosse in linea con il disegno originario del codice in materia di
prove e che, quindi, ne alterasse  il  quadro  sistematico,  rendendo
eccentriche disposizioni previgenti  attuative  del  principio  della
separazione  dei  processi.  Questa  Corte  fu,  quindi,  chiamata  a
risolvere la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,
comma 1, cod. proc. pen, sollevata  in  riferimento,  tra  gli  altri
parametri, anche all'art. 3 Cost., in quanto prevedeva l'indifferenza
del processo a carico  di  un  minorenne  rispetto  al  processo  nei
confronti di coimputati maggiorenni. 
    La Corte dichiaro'  la  manifesta  infondatezza  della  questione
rilevando, fra l'altro, «che [...] la  previsione  dell'art.  238-bis
cod. proc.  pen.,  in  vista  della  cui  applicazione  il  tribunale
rimettente  ha  sollevato  il  quesito  di  costituzionalita',  lungi
dall'assumere la portata  di  statuizione  idonea  a  risolvere  ogni
aspetto del thema devoluto alla cognizione del giudice ricevente,  si
limita a regolare il modo di valutazione della pronuncia irrevocabile
resa in separato giudizio, in una logica di economia  nella  raccolta
del materiale utile  alla  decisione  che  non  intacca  il  basilare
principio, gia' operante  nel  vigore  dell'art.  18  del  precedente
codice, per  cui  ogni  giudice  e'  tenuto  a  formarsi  il  proprio
convincimento  in  base  alle  prove  di  cui  dispone  e  che   sono
utilizzabili, senza che ad una di tali prove possa essere  attribuita
efficacia  cogente  e  risolutiva  dell'obbligo  di  apprezzamento  e
motivazione da parte del giudicante» (ordinanza n. 159 del 1996). 
    Si deve considerare che tale provvedimento fu emesso  nell'ambito
del previgente testo costituzionale, il quale non stabiliva  che  «il
processo penale e' regolato dal principio del  contraddittorio  nella
formazione  della  prova».  Tuttavia  esso,   per   alcuni   aspetti,
costituisce un precedente dal quale possono ricavarsi argomenti utili
ai fini della risoluzione della presente questione. 
    Intervenuta, nel 1999, la modifica dell'art. 111 Cost., la  legge
1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al  codice  penale  e  al  codice  di
procedura penale in materia di formazione e valutazione  della  prova
in attuazione della legge costituzionale di riforma dell'articolo 111
della Costituzione), ha provveduto a adeguare alcune disposizioni del
codice di procedura penale ai nuovi precetti costituzionali,  ma  non
ha inciso sull'art. 238-bis. 
    La mancanza di interventi legislativi sulla disposizione  ora  in
scrutinio, nel mutato  contesto  costituzionale,  non  e'  certamente
decisiva per negarne l'illegittimita', ma  non  puo'  non  indurre  a
valutarne i contenuti  alla  luce  dei  principi  costituzionali  ora
vigenti, al fine di accertare la possibilita', o  meno,  di  una  sua
interpretazione ad essi adeguata. 
    A tale scopo deve essere  considerata  anche  la  giurisprudenza,
formatasi  in  epoca   successiva   alla   modifica   costituzionale,
concernente i  limiti  dell'utilizzazione  ai  fini  probatori  della
sentenza irrevocabile emessa in altro procedimento. 
    3.  -  Occorre,  pero',  prima  osservare  che  non  puo'  essere
condiviso l'assunto del remittente secondo  il  quale  l'acquisizione
del  dato  probatorio -  nella  specie  della  sentenza  irrevocabile
pronunciata in un diverso giudizio -  e'  momento  autonomo  rispetto
all'utilizzazione che se ne fara' poi nel processo ricevente, sicche'
i limiti imposti a quest'ultima sono irrilevanti ai fini del giudizio
sulla legittimita' dell'acquisizione. 
    Acquisizione  del  dato   probatorio   e   sua   valutazione   ed
utilizzazione  sono  momenti  certamente  distinti,  ma   altrettanto
certamente  non  autonomi.  Numerose  disposizioni  del  codice,  nel
prevedere l'acquisizione di dati probatori esterni,  ne  indicano  le
condizioni e la finalita', in tal modo fissandone anche i  limiti  di
utilizzabilita'. Tra le altre, a  titolo  di  mero  esempio,  possono
essere indicate le disposizioni degli artt. 187 (sentenza n. 129  del
2008), 197-bis (ordinanza n. 265 del  2004  e  sentenza  n.  381  del
2006), 236 e 238, comma 4, del codice di procedura penale. 
    In tale ordine di idee questa Corte, con la citata  ordinanza  n.
159 del 1996, ha affermato che l'art. 238-bis «si limita  a  regolare
il modo di valutazione della pronuncia irrevocabile resa in  separato
giudizio». 
    La  giurisprudenza  di  legittimita'  successiva  alla   modifica
dell'art. 111 Cost., proprio alla stregua del  criterio  in  base  al
quale acquisizione e valutazione del dato probatorio sono distinte ma
correlate,  ha  emesso  pronunce   di   segno   diverso   a   seconda
dell'utilizzazione che la sentenza impugnata aveva  fatto  di  quella
resa in altro processo, divenuta irrevocabile ed acquisita  ai  sensi
dell'art. 238-bis. 
    In particolare, e'  stato  escluso  che  nel  processo  ricevente
possano  essere  considerati  provati  vicende  e  fatti  sulla  base
soltanto delle risultanze della decisione emessa in altro processo, o
che l'art. 238-bis possa consentire l'ingresso di elementi  probatori
la cui acquisizione non sarebbe consentita per altre vie. 
    In  positivo,  invece,  sono  stati  individuati  i   limiti   di
utilizzabilita' della sentenza acquisita e, quindi, la consistenza  e
la natura che  essa  puo'  assumere  quale  elemento  probatorio  nel
processo ricevente. Si e', infatti, affermato che l'art.  238-bis  in
esame, «col circoscrivere l'utilizzabilita'  dell'acquisizione  delle
sentenze  irrevocabili  ai  fini  della  prova  del  fatto  in   esse
accertato, limita all'avvenuto accertamento ed  ai  connessi  rilievi
critici l'impiego della sentenza, conferendo a tali passaggi qualita'
di elemento probatorio in quanto evento storico esterno di  rilevanza
indubbia» (Corte di cassazione, sez. VI, sentenza n. 1269 del  2004).
In tale contesto,  e'  stata  ritenuta  manifestamente  infondata  la
questione  di  legittimita'   dell'art.   238-bis,   prospettata   in
riferimento agli artt. 24 e  25  Cost.,  in  quanto  la  disposizione
censurata  era  suscettibile  di  interpretazione  costituzionalmente
adeguata. In quella circostanza e' stato evidenziato che la  sentenza
acquisita era stata valutata non in quanto contenente un accertamento
ormai indiscutibile destinato a fare stato  nel  processo  ricevente,
bensi'   come   documento   dal   quale    risultavano    il    fatto
dell'accertamento e le considerazioni che ad esso avevano condotto  e
che il tutto  era  stato  oggetto  di  contraddittorio  insieme  agli
elementi di riscontro ritenuti utili, e  che,  quindi,  il  principio
costituzionale secondo cui la prova si forma nel contraddittorio  non
era stato violato. 
    4. - Si puo' percio' desumere che la portata  del  principio  del
contraddittorio  nella  formazione  della  prova  va  individuata  in
considerazione della specificita' dei  singoli  mezzi  di  prova.  La
sentenza irrevocabile non puo' essere  considerata  un  documento  in
senso proprio, poiche' si caratterizza per il fatto di  contenere  un
insieme di valutazioni di un materiale  probatorio  acquisito  in  un
diverso giudizio; tuttavia, neppure puo' essere equiparata alla prova
orale. Ne consegue che, in  relazione  alla  specifica  natura  della
sentenza irrevocabile, il principio del contraddittorio trova il  suo
naturale momento di esplicazione  non  nell'atto  dell'acquisizione -
nel quale, del resto, non sarebbe ipotizzabile alcun contraddittorio,
se non in ordine all'an dell'acquisizione - ma in  quello  successivo
della valutazione e utilizzazione.  Una  volta  che  la  sentenza  e'
acquisita, le parti rimangono libere di indirizzare la critica che si
andra' a svolgere, in contraddittorio, in funzione  delle  rispettive
esigenze. Nel corso  del  dibattito,  ai  fini  della  valutazione  e
utilizzazione in questione, non si potra' non tenere conto  del  tipo
di procedimento (ordinario, abbreviato, con accettazione della  pena)
in cui la sentenza acquisita e' stata pronunciata  e,  quindi,  anche
del contraddittorio in esso svoltosi. 
    D'altra parte, la scelta del legislatore di consentire al giudice
di apprezzare liberamente l'apporto probatorio scaturente dagli esiti
di  altro  processo  conclusosi  con  sentenza  irrevocabile   e   di
permettere correlativamente alle parti di utilizzare,  come  elementi
di prova, i risultati che da quella sentenza sono emersi - tutto cio'
nel quadro delle prospettive eventualmente contrapposte, da misurare,
come si e'  detto,  nel  contraddittorio  dibattimentale -  si  salda
logicamente alla scomparsa,  nel  nuovo  sistema  processuale,  della
pregiudiziale penale: la quale, al contrario, proiettava  in  termini
di vincolativita' il giudicato esterno nel  processo  "pregiudicato".
Il  tutto  sottolineando,  per  altro  verso,  come  la  liberta'  di
valutazione del giudice  che  acquisisce  la  sentenza  irrevocabile,
unita alla necessita' di riscontri che ne  confermino  il  contenuto,
rappresentino garanzia sufficiente  del  rispetto  delle  prerogative
dell'imputato, alla  cui  salvaguardia  il  parametro  costituzionale
invocato e' stato posto. 
    In conclusione, alla luce del principio piu' volte  affermato  da
questa Corte - secondo il quale  l'illegittimita'  costituzionale  di
una  disposizione   non   consegue   alla   possibilita'   di   darne
un'interpretazione  contrastante  con  precetti  della  Costituzione,
quanto all'impossibilita' di adottarne una ad essi conforme  (v.  per
tutte, sentenze n. 147 e n. 148 del 2008  e  n.  379  e  n.  403  del
2007) - la presente questione deve essere dichiarata non fondata.