Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 517 del  codice
di  procedura  penale,  promosso  dal  Tribunale  di   Pinerolo   nel
procedimento penale a carico di C. N. ed altra con ordinanza  del  18
settembre 2008, iscritta al n.  35  del  registro  ordinanze  2009  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7,  1ª  serie
speciale, dell'anno 2009. 
    Udito nella camera di consiglio del 7  ottobre  2009  il  giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Con ordinanza emessa  il  18  settembre  2008,  il  Tribunale  di
Pinerolo, in composizione monocratica, ha sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3 e 24, secondo comma, della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 517  del  codice  di  procedura
penale, «nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato  di
richiedere  al  giudice  del  dibattimento  il  giudizio   abbreviato
relativamente al processo concernente il reato concorrente contestato
in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto  che
gia' risultava dagli  atti  di  indagine  al  momento  dell'esercizio
dell'azione penale». 
    Il giudice a quo premette di essere investito  del  processo  nei
confronti di due persone imputate di un reato urbanistico, per  avere
realizzato  lavori  edili  senza  permesso  di  costruire   in   zona
sottoposta a vincolo paesistico. A seguito delle  dichiarazioni  rese
da un teste nel corso  dell'istruzione  dibattimentale,  il  pubblico
ministero aveva contestato in via suppletiva agli imputati, ai  sensi
dell'art. 517 cod. proc. pen., anche un reato paesaggistico connesso. 
    Concesso il  richiesto  termine  a  difesa,  alla  nuova  udienza
dibattimentale i difensori degli imputati avevano  prodotto  permesso
di costruire in sanatoria, chiedendo l'immediato proscioglimento  dei
loro assistiti, ai sensi dell'art. 129 cod.  proc.  pen.,  in  ordine
alla contravvenzione urbanistica; mentre gli  imputati  personalmente
avevano proposto istanza di definizione del procedimento relativo  al
reato  paesaggistico  mediante  giudizio   abbreviato,   condizionata
all'acquisizione di documenti contestualmente esibiti. 
    Disposta la separazione dei procedimenti, il giudice a quo  aveva
quindi pronunciato, con riguardo all'illecito  urbanistico,  sentenza
di non doversi procedere per essere il reato estinto per  intervenuta
sanatoria. 
    Cio' premesso, il rimettente osserva, in punto di rilevanza della
questione, che l'istanza di definizione con giudizio  abbreviato  del
processo relativo al reato paesaggistico, contestato in  dibattimento
-  costituente,  ormai,  l'unico  oggetto  del  giudizio  -  andrebbe
accolta,  se  non  vi  ostasse   la   preclusione   derivante   dalla
disposizione combinata  dell'art.  555,  comma  2,  cod.  proc.  pen.
(secondo cui, nei procedimenti a citazione diretta,  la  facolta'  di
chiedere il rito  alternativo  deve  essere  esercitata,  a  pena  di
decadenza, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento)  e
dell'art. 517 cod. proc. pen. (che  non  prevede  una  rimessione  in
termini per  poter  effettuare  la  richiesta,  nell'ipotesi  in  cui
intervenga in dibattimento la contestazione di un reato concorrente). 
    Nella specie, inoltre, i fatti su cui si fonda  la  contestazione
suppletiva risultavano completamente accertati sin dalla  fase  delle
indagini preliminari, giacche' il sovrintendente del Corpo  forestale
dello Stato, a seguito della  cui  deposizione  e'  stata  effettuata
detta contestazione, si e' limitato  a  riferire  degli  accertamenti
svolti nel corso delle indagini. 
    Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza della questione,  il
giudice a quo ricorda come la Corte costituzionale abbia inizialmente
affermato che l'impossibilita' di beneficiare dei  vantaggi  connessi
ai riti alternativi, nel caso di modifica dell'imputazione nel  corso
del dibattimento, rientra nelle «regole del gioco», note  alle  parti
processuali: sicche'  l'imputato,  il  quale  non  abbia  optato  nei
termini per detti riti, «non ha che da addebitare a se'  medesimo  le
conseguenze della propria scelta». 
    Successivamente,    tuttavia,    la    Corte    ha     dichiarato
costituzionalmente illegittimi, per contrasto con gli artt.  3  e  24
Cost., gli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., nella parte  in  cui  non
prevedono la facolta' dell'imputato  di  richiedere  al  giudice  del
dibattimento l'applicazione della pena a  norma  dell'art.  444  cod.
proc. pen., relativamente al fatto diverso  o  al  reato  concorrente
contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un
fatto  che  gia'  risultava  dagli  atti  di  indagine   al   momento
dell'esercizio dell'azione penale (sentenza n. 265 del 1994). In tale
ipotesi, non puo' parlarsi «di una libera assunzione del rischio  del
dibattimento  da  parte  dell'imputato»:  infatti,  «le   valutazioni
dell'imputato circa  la  convenienza  del  rito  speciale  vengono  a
dipendere anzitutto dalla concreta impostazione data al processo  dal
pubblico ministero», sicche', quando, «in presenza di  una  evenienza
patologica del procedimento, quale e'  quella  derivante  dall'errore
sulla individuazione del fatto e del  titolo  del  reato  in  cui  e'
incorso il pubblico ministero, l'imputazione subisce  una  variazione
sostanziale,  risulta  lesivo  del  diritto  di   difesa   precludere
all'imputato l'accesso ai riti speciali». 
    Un ulteriore, e piu' ampio, profilo di irragionevolezza - ricorda
ancora il rimettente - e' stato ravvisato dalla sentenza n.  530  del
1995, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dei  medesimi
artt. 516 e 517 cod. proc. pen., per violazione degli artt.  3  e  24
Cost., nella parte in cui non prevedono la facolta' dell'imputato  di
proporre domanda di oblazione in relazione  al  fatto  diverso  e  al
reato concorrente contestati in dibattimento. 
    Con riguardo, invece, al rito abbreviato - aggiunge il giudice  a
quo -  la  giurisprudenza  costituzionale  consta,  sinora,  solo  di
pronunce di inammissibilita': e cio' sebbene gia' nella  sentenza  n.
129 del 1993 la Corte avesse auspicato un intervento del legislatore,
al fine di correggere  una  disciplina  «evidentemente  ritenuta  non
conforme ai precetti costituzionali». 
    Nella perdurante assenza di tale intervento legislativo, e tenuto
conto  anche  delle  innovazioni  intervenute  medio  tempore   nella
disciplina del giudizio abbreviato, il  Tribunale  rimettente  reputa
che la questione debba essere nuovamente sollevata. 
    La preclusione alla  fruizione  dei  vantaggi  connessi  al  rito
abbreviato, nell'ipotesi in cui la contestazione dibattimentale di un
reato concorrente concerna un fatto che gia' risultava dagli atti  di
indagine, implicherebbe, anzitutto,  una  indebita  compressione  del
diritto di difesa (art. 24, secondo comma, Cost.).  All'imputato  non
potrebbe essere, difatti, addebitata  alcuna  colpevole  inerzia  ne'
potrebbero  essergli  addossate  le  conseguenze   negative   di   un
«prevedibile»  sviluppo  dibattimentale  il  cui  rischio  sia  stato
liberamente assunto. 
    La norma censurata si porrebbe altresi' in contrasto con l'art. 3
Cost., determinando una disparita' di trattamento tra imputati che si
trovino in situazioni eguali, a seconda  che  il  pubblico  ministero
valorizzi integralmente - come dovrebbe - i risultati delle  indagini
sin  dal  momento   dell'esercizio   dell'azione   penale,   con   la
contestazione  di  tutti  i  reati  ipotizzabili  (consentendo  cosi'
all'imputato  di  esercitare  la  facolta'   di   accesso   al   rito
abbreviato); ovvero contesti inizialmente solo alcuni di tali  reati,
per poi ampliare l'accusa in dibattimento. 
    L'art. 3 cost. sarebbe  leso  anche  per  un  ulteriore  profilo:
quello, cioe', dell'irragionevolezza di  una  disciplina  processuale
che,  nell'ipotesi  di  mutamento  dell'imputazione   ora   indicata,
consente all'imputato di recuperare i  vantaggi  connessi  ad  alcuni
riti speciali - il patteggiamento e  l'oblazione,  sulla  base  della
normativa risultante dalle citate sentenze «additive» n. 265 del 1994
e n. 530 del 1995 - impedendo viceversa l'accesso al rito abbreviato. 
    Ad avviso del rimettente, d'altronde, per rimuovere i  denunciati
profili  di  illegittimita'  costituzionale   basterebbe   dichiarare
l'incostituzionalita' dell'art. 517 cod. proc. pen. nei  termini  del
petitum, senza che  occorra  alcuna  ulteriore  previsione  intesa  a
comporre le interferenze tra giudizio abbreviato e  dibattimento.  Il
giudizio abbreviato  riguarderebbe,  difatti,  soltanto  il  processo
relativo al reato oggetto della nuova  contestazione,  con  possibile
separazione dei procedimenti, secondo quanto gia'  «suggerito»  nella
sentenza n. 265 del 1994  in  rapporto  al  patteggiamento:  il  che,
peraltro, nel caso di specie e' gia' accaduto,  essendosi  addivenuti
addirittura alla  definizione  del  procedimento  relativo  al  reato
urbanistico   originariamente   contestato.    La    soluzione    non
contrasterebbe, dunque, con il costante orientamento della  Corte  di
cassazione, secondo cui sarebbero inammissibili richieste di giudizio
abbreviato «parziali», effettuate,  cioe',  con  riguardo  ad  alcune
soltanto delle imputazioni cumulativamente  formulate  nei  confronti
dell'imputato: orientamento, questo, che, elaborato  con  riguardo  a
richieste di giudizio abbreviato «tempestive», ben potrebbe, peraltro
- secondo il Tribunale rimettente - essere  modificato  in  relazione
alla  diversa  ipotesi  in  esame,  stante  la   specificita'   della
situazione. 
    Il giudice a quo rimarca, infine, come l'ordinamento  processuale
abbia  gia'  conosciuto,  sia  pure  solo  a  livello  di  disciplina
transitoria, fattispecie nelle quali la  facolta'  di  richiedere  il
giudizio abbreviato puo' essere esercitata in corso di dibattimento e
davanti al giudice di questo (art. 223 del d.lgs. 19  febbraio  1998,
n. 51, recante «Norme in materia di istituzione del giudice unico  di
primo grado»; art. 4-ter del decreto-legge  7  aprile  2000,  n.  82,
recante  «Modificazioni  alla  disciplina  dei  termini  di  custodia
cautelare  nella  fase  del  giudizio  abbreviato»,  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge   5   giugno   2000,   n.   144).   Cio'
dimostrerebbe, da un lato, che la definizione del procedimento con il
rito  abbreviato  conserva,  anche  a  dibattimento   iniziato,   una
apprezzabile finalita' di economia processuale;  e,  dall'altro,  che
l'innesto  del  giudizio  speciale  in  quello  ordinario  non   crea
interferenze  che   non   possano   essere   risolte   per   via   di
interpretazione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  -  Il  Tribunale  di  Pinerolo  dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 517 del codice di procedura  penale,  «nella
parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato di  richiedere  al
giudice del dibattimento  il  giudizio  abbreviato  relativamente  al
processo concernente il reato concorrente contestato in dibattimento,
quando la nuova contestazione concerne un fatto  che  gia'  risultava
dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale». 
    Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe l'art.
24, secondo comma, della Costituzione, in quanto la preclusione  alla
fruizione dei vantaggi connessi al giudizio abbreviato,  nell'ipotesi
considerata,  implicherebbe  una  lesione  del  diritto   di   difesa
dell'imputato,  al  quale  non  potrebbe  essere  addebitata   alcuna
colpevole inerzia, ne' potrebbero  essere  addossate  le  conseguenze
negative di un prevedibile sviluppo dibattimentale il cui rischio sia
stato liberamente assunto. 
    Risulterebbe leso, altresi', l'art. 3  Cost.,  sotto  un  duplice
profilo. Da un lato, la disposizione  denunciata  determinerebbe  una
disparita' di  trattamento  tra  imputati  in  situazioni  eguali,  a
seconda che il pubblico  ministero  valorizzi  integralmente  -  come
dovrebbe - i risultati delle indagini sin dal momento  dell'esercizio
dell'azione  penale,  con  la  contestazione   di   tutti   i   reati
ipotizzabili  (consentendo  cosi'  all'imputato  di   esercitare   la
facolta'  di  accesso  al  rito  abbreviato);  ovvero   ne   contesti
inizialmente solo alcuni, per poi ampliare l'accusa in dibattimento. 
    Dall'altro lato, apparirebbe irragionevole che,  a  fronte  della
contestazione suppletiva ora indicata, l'imputato possa recuperare  i
vantaggi connessi ad alcuni  riti  speciali  -  il  patteggiamento  e
l'oblazione, sulla base della normativa risultante dalle sentenze  n.
265 del 1994 e n. 530 del 1995 della Corte costituzionale - e si veda
invece inibito l'accesso al rito abbreviato. 
    2. - In via  preliminare,  va  rilevato  che,  nel  sollevare  la
questione, il giudice a quo tiene conto del consolidato  orientamento
della giurisprudenza di legittimita',  in  forza  del  quale  non  e'
ammessa la richiesta di  giudizio  abbreviato  «parziale»  (riferita,
cioe',  ad  una  parte  soltanto  delle  imputazioni  cumulativamente
formulate contro la stessa persona): orientamento basato sul  rilievo
che, nel  caso  di  richiesta  parziale,  il  processo  non  verrebbe
definito  nella  sua  interezza,  onde  rimarrebbe  -   in   tesi   -
ingiustificato l'effetto premiale, voluto dal legislatore al fine  di
ridurre il ricorso alla fase dibattimentale, secondo quanto  previsto
dall'art. 438 cod. proc.  pen.,  per  ciascun  «processo»,  ancorche'
cumulativo, relativo al singolo imputato, e non per ciascun reato. 
    Il rimettente osserva, difatti, per un verso, come tale indirizzo
giurisprudenziale non abbia rilievo nel processo a quo, nel quale - a
seguito dell'avvenuta separazione dei processi  e  della  definizione
con  sentenza  di  non   doversi   procedere   di   quello   relativo
all'imputazione originaria - la regiudicanda si esaurisce  ormai  nel
solo  reato  concorrente  contestato  in  dibattimento.   Adombrando,
inoltre, una prospettiva ermeneutica non implausibile, il  giudice  a
quo rileva che, in ogni caso, l'orientamento in discorso,  «elaborato
con riguardo a richieste di giudizio  abbreviato  "tempestive"»,  ben
potrebbe non valere per la peculiare fattispecie  che  da'  adito  al
problema di costituzionalita'. Si tratta, invero  -  come  meglio  si
osservera' poco oltre -  di  ipotesi  nella  quale  la  contestazione
suppletiva assume connotati di «anomalia», essendo diretta, non  gia'
ad adeguare l'imputazione a nuove  risultanze  dibattimentali,  ma  a
rimediare ad un'incompletezza  gia'  apprezzabile  sulla  base  degli
stessi atti di indagine. In simile  frangente,  emerge,  in  effetti,
l'esigenza di  garantire  all'imputato  la  facolta'  di  accesso  al
giudizio abbreviato limitatamente al reato contestato in dibattimento
- reato che, a causa di  quella  incompletezza,  non  avrebbe  potuto
formare oggetto di una richiesta tempestiva del  rito  alternativo  -
senza che possa ipotizzarsi un recupero globale della facolta' stessa
(esteso, cioe', anche al reato originariamente  contestato,  rispetto
al quale l'imputato ha consapevolmente lasciato spirare il termine di
proposizione della richiesta). 
    Si deve dunque escludere che  ricorra,  nel  caso  in  esame,  il
motivo di inammissibilita' precedentemente rilevato da  questa  Corte
con riguardo ad analoga questione, legato  alla  circostanza  che  il
giudice a quo non avesse preso in  considerazione,  «anche  solo  per
contestarne, eventualmente, la riferibilita' all'ipotesi di  specie»,
l'orientamento della giurisprudenza di legittimita' dianzi  ricordato
(ordinanza n. 67 del 2008). 
    3. - Nel merito, la questione e' fondata. 
    3.1.  -  La  fattispecie   che   da'   origine   al   dubbio   di
costituzionalita' e' quella della cosiddetta contestazione suppletiva
«tardiva». 
    La disciplina delle nuove contestazioni  dibattimentali  -  tanto
del fatto diverso  (art.  516  cod.  proc.  pen.  ),  che  del  reato
concorrente o delle circostanze aggravanti (art. 517 cod. proc.  pen.
: non rileva, ai presenti fini, la contestazione del fatto nuovo,  di
cui all'art. 518, che presuppone  il  consenso  dell'imputato)  -  e'
coerente, in linea di principio, con l'impostazione  accusatoria  del
vigente codice di rito. In un sistema nel quale  la  prova  si  forma
ordinariamente in dibattimento, detta  disciplina  mira,  infatti,  a
conferire un  ragionevole  grado  di  flessibilita'  all'imputazione,
consentendone   l'adattamento   agli   sviluppi    e    agli    esiti
dell'istruzione dibattimentale, quando alcuni profili di  fatto,  pur
pertinenti o  strettamente  collegati  all'oggetto  dell'imputazione,
risultino nuovi o diversi rispetto a quelli emersi dagli  elementi  a
suo tempo acquisiti nelle indagini e valutati dal pubblico  ministero
per l'esercizio dell'azione penale. La formula dei citati artt. 516 e
517 - alla luce  della  quale  la  diversita'  del  fatto,  il  reato
concorrente e le circostanze aggravanti debbono emergere  «nel  corso
dell'istruzione   dibattimentale»   -   riflette    tale    finalita'
dell'istituto,   evocando,   primo    visu,    i    soli    mutamenti
dell'imputazione imposti dall'evoluzione istruttoria  e  consente  di
qualificarlo come speciale e derogatorio con riguardo alle  ordinarie
cadenze processuali relative all'esercizio dell'azione  penale  e  al
suo controllo giudiziale. 
    Malgrado tale dato letterale  e  tale  ratio,  la  giurisprudenza
predominante - con  l'avallo  delle  sezioni  unite  della  Corte  di
cassazione (sentenza 28 ottobre  1998-11  marzo  1999,  n.  4)  -  e'
dell'avviso che le nuove contestazioni previste dagli artt. 516 e 517
cod. proc. pen. possano  essere  basate  anche  sui  soli  atti  gia'
acquisiti  dal  pubblico   ministero   nel   corso   delle   indagini
preliminari. Tale soluzione ermeneutica  si  fonda  -  oltre  che  su
argomenti ritenuti desumibili  dalla  direttiva  n.  78  della  legge
delega per l'emanazione del nuovo codice di procedura  penale  (legge
16 febbraio 1987, n. 81) - precipuamente sul rilievo  che,  impedendo
la nuova contestazione dibattimentale  nell'ipotesi  considerata,  si
produrrebbero risultati incongrui. Da un lato, infatti, nel  caso  di
reato concorrente, il procedimento  dovrebbe  retrocedere  alla  fase
delle indagini preliminari, con conseguente  vulnus  ai  principi  di
immediatezza e concentrazione del dibattimento; dall'altro lato,  nel
caso   di   circostanza   aggravante,   la   mancata    contestazione
nell'imputazione originaria risulterebbe  irreparabile,  non  potendo
l'aggravante formare oggetto di  un  autonomo  giudizio  penale,  con
correlata contrazione dell'ambito di esercizio dell'azione penale, in
asserita frizione con l'art. 112 Cost. 
    Sennonche', in tale lettura estensiva,  anche  a  prescindere  da
ogni giudizio sugli argomenti che  la  sorreggono,  l'istituto  delle
nuove contestazioni viene a proporsi,  non  piu'  soltanto  come  uno
strumento - come detto, speciale e derogatorio - di risposta  ad  una
evenienza  pur   «fisiologica»   al   processo   accusatorio   (quale
l'emersione   di   nuovi   elementi   nel    corso    dell'istruzione
dibattimentale), ma anche come possibile correttivo rispetto  ad  una
evenienza «patologica»: potendo  essere  utilizzato  pure  per  porre
rimedio, tramite una rivisitazione  degli  elementi  acquisiti  nelle
indagini preliminari, ad eventuali incompletezze od  errori  commessi
dall'organo dell'accusa nella formulazione dell'imputazione. 
    Secondo la giurisprudenza di legittimita' che adotta  l'indirizzo
interpretativo in questione,  esso  non  comporterebbe  comunque  una
lesione del diritto di  difesa,  tenuto  conto,  da  un  lato,  della
generale facolta', accordata all'imputato dall'art.  519  cod.  proc.
pen., di chiedere un termine a  difesa  di  misura  non  inferiore  a
quello a  comparire  previsto  dall'art.  429  cod.  proc.  pen.,  e,
dall'altro, dell'ampliamento delle garanzie in tema di ammissione  di
nuove prove, operato da questa Corte con la sentenza n. 241 del 1992. 
    Diverse valutazioni si impongono, tuttavia, con riguardo al  tema
oggetto dell'odierno scrutinio: vale a dire alla  perdita,  da  parte
dell'imputato,  della  facolta'  di  accesso  ai  riti   alternativi,
conseguente al fatto che la nuova contestazione interviene quando  il
termine ultimo di proposizione della relativa  richiesta  (si  vedano
attualmente gli artt. 438, comma 2, 446, comma 1,  e  555,  comma  2,
cod. proc. pen.) risulta ormai decorso. 
    3.2. -  Come  ricorda  il  giudice  rimettente,  nei  primi  anni
successivi all'entrata in vigore del nuovo  codice  di  rito,  questa
Corte - avendo riguardo alle  nuove  contestazioni  «fisiologiche»  -
ritenne che la preclusione alla fruizione dei  vantaggi  connessi  al
giudizio abbreviato e all'applicazione della pena su  richiesta,  che
si determina nei confronti dell'imputato nelle ipotesi previste dagli
artt. 516 e 517 cod. proc. pen.,  non  fosse  censurabile  sul  piano
della legittimita' costituzionale (sentenze n. 129 del 1993,  n.  316
del 1992 e n. 593 del 1990; ordinanze n. 107 del 1993 e  n.  213  del
1992). 
    Si osservo',  infatti,  che  l'interesse  dell'imputato  ai  riti
alternativi trova tutela solo in  quanto  la  sua  condotta  consenta
l'effettiva adozione di una sequenza procedimentale che, evitando  il
dibattimento, permetta  di  raggiungere  l'obiettivo  di  una  rapida
definizione  del  processo.  La  modifica   dell'imputazione   o   la
contestazione  suppletiva,  d'altronde,  e'  una   eventualita'   non
infrequente, in un sistema processuale  imperniato  sulla  formazione
della prova in dibattimento, e non  imprevedibile,  anche  quando  si
tratti di contestazione suppletiva  di  reato  concorrente,  dato  lo
stretto rapporto che intercorre tra imputazione  originaria  e  reato
connesso, tanto piu' che, ai  fini  della  contestazione  suppletiva,
concorrente e' solo il reato connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1,
lettera b), del codice di procedura penale, vale a dire  in  concorso
formale o in continuazione con quello  oggetto  dell'imputazione.  Il
relativo «rischio» rientra, percio',  nel  «calcolo»  che  l'imputato
effettua  allorche'  si  determina  a  chiedere   o   meno   i   riti
semplificati: «onde egli non ha che da addebitare a se'  medesimo  le
conseguenze della propria scelta» (sentenza n. 129 del 1993). 
    3.3. - Con la successiva sentenza n. 265 del 1994,  questa  Corte
ha escluso, tuttavia, che le  considerazioni  ora  ricordate  possano
valere  anche   nell'ipotesi   della   contestazione   dibattimentale
«tardiva». 
    Le valutazioni dell'imputato in ordine alla convenienza dei  riti
alternativi al dibattimento - si e' rilevato -  vengono,  infatti,  a
dipendere «anzitutto dalla concreta impostazione data al processo dal
pubblico  ministero»:  sicche',  quando,  in  conseguenza   «di   una
evenienza patologica del  procedimento,  quale  e'  quella  derivante
dall'errore sulla individuazione del fatto e del titolo del reato  in
cui e' incorso il pubblico  ministero»,  l'imputazione  subisce  «una
variazione  sostanziale»,  risulta  «lesivo  del  diritto  di  difesa
precludere all'imputato l'accesso ai riti speciali». In tale ipotesi,
la libera scelta dell'imputato verso il rito alternativo - scelta che
rappresenta una delle modalita' di espressione del diritto di  difesa
(ex plurimis, sentenze n. 219 e n. 148 del 2004) - risulta «sviata da
aspetti di «anomalia» caratterizzanti  la  condotta  processuale  del
pubblico ministero», collegati  all'erroneita'  dell'imputazione  (il
fatto e' diverso)  o  alla  sua  incompletezza  (manca  l'imputazione
relativa a un reato connesso), riscontrabili gia'  sulla  base  degli
elementi acquisiti dall'organo dell'accusa nel corso delle indagini. 
    La preclusione dei riti alternativi nella situazione  considerata
e' stata ritenuta contrastante anche con  l'art.  3  Cost.,  «venendo
l'imputato irragionevolmente discriminato, ai  fini  dell'accesso  ai
procedimenti  speciali,  in  dipendenza  della  maggiore   o   minore
esattezza  o  completezza  della  discrezionale   valutazione   delle
risultanze delle indagini preliminari operata dal pubblico  ministero
nell'esercitare l'azione penale alla chiusura delle indagini stesse». 
    Con riguardo  all'applicazione  della  pena  su  richiesta  delle
parti, tali considerazioni hanno quindi determinato la  dichiarazione
di illegittimita' costituzionale degli artt. 516  e  517  cod.  proc.
pen. , nella parte in cui non prevedono la facolta' dell'imputato  di
richiedere  al   giudice   del   dibattimento   detta   applicazione,
relativamente al fatto diverso o al reato concorrente  contestato  in
dibattimento, quando la nuova contestazione  concerne  un  fatto  che
gia' risultava dagli  atti  di  indagine  al  momento  dell'esercizio
dell'azione penale. 
    3.4. -  Diverso  esito  ha  avuto  lo  scrutinio,  operato  dalla
medesima   sentenza,   dell'omologa   questione    di    legittimita'
costituzionale relativa al giudizio  abbreviato:  essendosi  ritenuto
che, rispetto a  tale  rito,  la  scelta  tra  le  varie  alternative
ipotizzabili per porre rimedio al vulnus costituzionale -  egualmente
ravvisabile - restasse affidata in via esclusiva al legislatore,  con
conseguente declaratoria di inammissibilita' della questione stessa. 
    La  Corte  ha  osservato,  in  specie,  che,  a  differenza   del
«patteggiamento» - il quale si traduce in un semplice  accordo  sulla
pena, con  effetti  di  immediata  definizione  del  processo,  donde
l'assenza  di  ostacoli  ad  una  sua  collocazione   in   corso   di
dibattimento - il rito abbreviato «si realizza attraverso una vera  e
propria ''procedura'', inconciliabile con quella dibattimentale».  In
quest'ottica, l'adozione di un meccanismo di trasformazione del  rito
non poteva dunque «ritenersi scelta costituzionalmente obbligata». Al
di la', infatti, dell'«opinabilita' di tale soluzione da un punto  di
vista  tecnico-sistematico»,  essa  si  sarebbe  posta  «in   termini
alternativi rispetto ad altre  possibili  opzioni,  rientranti  nella
discrezionalita' legislativa»: quali,  ad  esempio,  l'applicabilita'
della riduzione della pena di un terzo da parte del giudice all'esito
del dibattimento, ovvero la preclusione, nei casi considerati,  della
nuova contestazione,  con  conseguente  trasmissione  degli  atti  al
pubblico ministero relativamente ad essa. 
    La decisione si e' posta, sul punto, in linea di continuita'  con
la  precedente  sentenza  n.  129  del  1993,  che  aveva  dichiarato
parimenti   inammissibile,   per    assenza    di    una    soluzione
costituzionalmente obbligata (oltre che  per  il  carattere  ancipite
della formulazione del quesito), una questione  di  costituzionalita'
finalizzata a restituire  all'imputato  la  facolta'  di  accesso  al
giudizio abbreviato in una diversa ipotesi di  perdita  «incolpevole»
della  stessa  (quella,  cioe',  in  cui   la   relativa   richiesta,
ritualmente proposta dall'imputato, fosse stata rigettata dal giudice
per le indagini preliminari con decisione ritenuta ingiustificata dal
giudice dibattimentale). In tale occasione - come  rimarca  l'odierno
rimettente - la Corte aveva specificamente invitato il legislatore  a
realizzare «un appropriato congegno normativo che compon[esse]»,  per
fattispecie quali quella considerata, «le interferenze  tra  giudizio
abbreviato e giudizio dibattimentale»; «sempreche'»,  peraltro  -  si
era precisato - «la disciplina del  giudizio  abbreviato  non  [fosse
stata] modificata secondo le indicazioni della  sentenza  n.  92  del
1992»: ossia tramite l'introduzione di un meccanismo di  integrazione
probatoria, inteso  ad  evitare  che  l'accesso  al  rito  abbreviato
venisse a dipendere - in rapporto  all'originario  presupposto  della
definibilita' del processo allo stato degli atti - dalla  completezza
o meno delle indagini preliminari condotte dal pubblico ministero. 
    3.5. - Le considerazioni  poste  a  base  delle  declaratorie  di
inammissibilita' di cui alle citate sentenze n. 265 del 1994 e n. 129
del 2003 - le quali avevano come termine di riferimento  l'originaria
disciplina del giudizio abbreviato - vanno, peraltro, necessariamente
riviste  alla  luce   delle   rilevanti   modifiche   successivamente
introdotte dalla legge  16  dicembre  1999,  n.  479.  Tale  novella,
infatti, da un lato ha svincolato il rito alternativo dai presupposti
della definibilita' del processo allo stato degli atti e del consenso
del pubblico ministero; dall'altro, ha introdotto quel meccanismo  di
integrazione probatoria la cui mancanza aveva  indotto  questa  Corte
(sentenza n. 129 del 1993) a ritenere  necessario  -  allo  scopo  di
restituire all'imputato la facolta' di accesso al rito  semplificato,
nel caso di  perdita  «incolpevole»  della  stessa  -  un  intervento
legislativo volto a comporre le interferenze tra giudizio  abbreviato
e giudizio dibattimentale. 
    A  fronte  dell'attuale  assetto   dell'istituto,   il   giudizio
abbreviato non puo' piu'  considerarsi  incompatibile  con  l'innesto
nella fase del dibattimento. 
    In questo senso  la  Corte  si  e',  del  resto,  gia'  espressa,
allorche' ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 438,
comma 6, 458, comma 2, e 464, comma 1, secondo  periodo,  cod.  proc.
pen., nella parte in cui non prevedono che, in caso di rigetto  della
richiesta di giudizio  abbreviato  subordinata  ad  una  integrazione
probatoria, l'imputato  possa  rinnovare  la  richiesta  prima  della
dichiarazione di apertura  del  dibattimento  di  primo  grado  e  il
giudice di quest'ultimo - ove ritenga  ingiustificato  il  rigetto  -
possa disporre il giudizio abbreviato (sentenza  n.  169  del  2003).
Nell'occasione, si e' infatti  rilevato  come,  a  fronte  del  nuovo
assetto conseguente alla citata legge n. 479 del 1999, una  soluzione
che  ricalchi  pedissequamente  quella  gia'  adottata,  nel   vigore
dell'originaria  disciplina,  dalla  sentenza   n.   23   del   1992,
risulterebbe  incongrua,  non   dovendo   l'eventuale   riesame   del
provvedimento  che  nega  l'accesso   al   rito   abbreviato   essere
necessariamente collocato in esito al dibattimento (in questo  senso,
anche la sentenza n. 54 del  2002).  Alla  luce  dell'odierno  quadro
normativo, «non vi e' d'altro canto alcun ostacolo a che [...] sia lo
stesso giudice del dibattimento  [...]  a  disporre  e  celebrare  il
giudizio abbreviato. Anzi, tale soluzione e' conforme alle  finalita'
di economia processuale che connotano il  giudizio  abbreviato  quale
rito alternativo al dibattimento». E, «del resto, l'ordinamento  gia'
prevede che sia lo stesso giudice del  dibattimento  a  celebrare  il
rito abbreviato nelle ipotesi di cui agli artt. 452, comma 2, e  555,
comma 2, cod. proc. pen. (giudizio direttissimo e citazione diretta a
giudizio)». 
    Tali rilievi risultano estensibili, mutatis mutandis, anche  alla
fattispecie che qui interessa. L'accesso al rito alternativo  per  il
reato oggetto  della  contestazione  suppletiva  «tardiva»,  difatti,
anche quando avvenga  in  corso  di  dibattimento,  risulta  comunque
idoneo a  produrre  un  effetto  di  economia  processuale,  giacche'
consente - quantomeno - al giudice del dibattimento di decidere sulla
nuova imputazione  allo  stato  degli  atti,  evitando  il  possibile
supplemento di istruzione previsto  dall'art.  519  cod.  proc.  pen.
(quale risultante a seguito della sentenza n. 241 del 1992 di  questa
Corte). 
    Pronunciando, inoltre,  proprio  sul  tema  oggetto  dell'odierno
scrutinio, la Corte ha avuto modo di affermare che anche la soluzione
della restituzione degli atti al pubblico ministero -  gia'  indicata
dalla sentenza n. 265  del  1994  quale  possibile  alternativa  alla
trasformazione del rito, per evitare la  perdita  della  facolta'  di
accesso al giudizio abbreviato in rapporto  al  reato  «tardivamente»
contestato - va ritenuta «eccentrica e incongrua rispetto all'attuale
sistema», improntato «all'opposto principio di  non  regressione  del
procedimento» (ordinanza n. 236 del 2005; in senso analogo, ordinanza
n. 486 del 2002). Con cio' sostanzialmente individuando, quale  unico
rimedio percorribile, quello della rimessione nei termini. 
    Si  deve  dunque  concludere  che   l'ostacolo,   precedentemente
ravvisato da  questa  Corte,  all'intervento  additivo  invocato  dal
rimettente e' venuto meno. Tale intervento si impone, oltre  che  per
rimuovere i profili di contrasto con gli artt. 3 e 24, secondo comma,
cost.  gia'  rilevati  dalla  sentenza  n.  265  del  1994  e  dianzi
ricordati, anche per eliminare la differenza di regime, in  punto  di
recupero della facolta' di accesso ai riti alternativi di  fronte  ad
una contestazione suppletiva «tardiva», a seconda che si  discuta  di
«patteggiamento»  o   di   giudizio   abbreviato:   differenza   che,
nell'attuale panorama normativo, si rivela essa  stessa  fonte  d'una
discrasia rilevante sul piano del rispetto dell'art. 3 cost. (e  cio'
anche  a  prescindere  dalla  disciplina  valevole  per  l'oblazione,
oggetto della sentenza n. 530 del 1995, in  rapporto  alla  quale  il
tema presenta aspetti peculiari). 
    4. - Va  dichiarata,  pertanto,  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 517 cod. proc. pen., nella parte  in  cui  non  prevede  la
facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del  dibattimento  il
giudizio abbreviato relativamente al  reato  concorrente  oggetto  di
contestazione dibattimentale, quando la nuova contestazione  concerne
un fatto che gia' risultava dagli atti  di  indagine  al  momento  di
esercizio dell'azione penale. 
    Come rilevato dalla sentenza  n.  265  del  1994,  i  profili  di
violazione degli artt. 3 e 24, secondo  comma,  Cost.,  riscontrabili
con  riferimento  all'ipotesi  di   contestazione   nel   corso   del
dibattimento di un reato concorrente, sussistono, allo  stesso  modo,
anche  in  rapporto  alla  parallela  ipotesi   in   cui   la   nuova
contestazione dibattimentale consista, ai sensi  dell'art.  516  cod.
proc. pen., nella modifica dell'imputazione originaria per diversita'
del fatto (negli  stessi  termini,  con  riguardo  alla  facolta'  di
proporre domanda di oblazione, la sentenza n. 530 del 1995). 
    Ai sensi dell'art. 27 della legge  11  marzo  1953,  n.  87,  va,
dunque, dichiarata l'illegittimita'  costituzionale  anche  dell'art.
516 cod. proc. pen., nella parte  in  cui  non  prevede  la  facolta'
dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento  il  giudizio
abbreviato relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento,
quando la nuova contestazione concerne un fatto  che  gia'  risultava
dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale.