Ordinanza 
 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto a seguito della deliberazione del Senato della  Repubblica  del
22 luglio 2009 (Doc. IV-ter, n. 11), relativa alla  insindacabilita',
ai  sensi  dell'art.  68,  primo  comma,  della  Costituzione,  delle
opinioni espresse dal senatore Francesco Storace  nei  confronti  del
dott.  Henry  John  Woodcock,  promosso  dal   Giudice   dell'udienza
preliminare  del  Tribunale  di  Roma  con  ricorso   depositato   in
cancelleria il 24 novembre 2009 ed iscritto al  n.  12  del  registro
conflitti tra poteri dello Stato 2009, fase di ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 2010  il  Giudice
relatore Paolo Maddalena. 
    Ritenuto che, con ricorso depositato  il  24  novembre  2009,  il
Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di  Roma  ha  proposto
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato  nei  confronti  del
Senato della Repubblica per sentir dichiarare, da questa  Corte,  che
non spetta al Senato medesimo affermare che i fatti  per  cui  e'  in
corso procedimento penale  dinanzi  ad  esso  G.U.P.,  a  carico  del
senatore   Francesco   Storace,    concernono    opinioni    espresse
nell'esercizio delle sue  funzioni,  ai  sensi  dell'art.  68,  primo
comma, della Costituzione; e, conseguentemente, per vedere  annullata
la relativa deliberazione adottata nella seduta del  22  luglio  2009
(Doc. IV-ter, n. 11); 
        che il ricorrente espone che il procedimento penale ha  avuto
origine dalla querela sporta  dal  magistrato  Henry  John  Woodcock,
sostituto  procuratore  della  Repubblica  presso  il  Tribunale   di
Potenza, per il reato di diffamazione a mezzo stampa, in  riferimento
ad una intervista rilasciata da Francesco Storace, senatore all'epoca
dei fatti, e pubblicata sul quotidiano «La  Repubblica»  in  data  19
giugno 2006, dal titolo «Gossip e vendetta contro di noi»; 
        che tale intervista - si soggiunge nel ricorso - «si inseriva
nel contesto del grande clamore suscitato  dalla  divulgazione  delle
risultanze  di  una   indagine   penale»,   condotta   dall'anzidetto
magistrato, «che aveva coinvolto Vittorio Emanuele di  Savoia  e  che
aveva poi determinato la trasmissione degli atti alla Procura di Roma
per competenza in relazione alle indagini che interessavano  a  vario
titolo alcuni esponenti del partito di Alleanza Nazionale»; 
        che l'imputazione nei confronti dell'allora senatore  Storace
era, dunque, del delitto di diffamazione aggravata  commessa  con  il
mezzo della  stampa  per  aver  offeso,  con  attribuzione  di  fatti
determinati, la reputazione dell'anzidetto magistrato,  «mettendo  in
dubbio [...]  la  correttezza,  l'imparzialita'  e  la  serenita'  di
giudizio del medesimo»; 
        che il giudice confliggente evidenzia, ancora, che, a seguito
di eccezione avanzata dalla difesa  dell'imputato  ex  art.  3  della
legge  20  giugno  2003,  n.  140  (Disposizioni   per   l'attuazione
dell'articolo 68 della Costituzione nonche' in  materia  di  processi
penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), non  ravvisando
l'esistenza di un nesso funzionale tra le  dichiarazioni  oggetto  di
imputazione e l'esercizio del mandato parlamentare,  trasmetteva  gli
atti del procedimento penale, previa  sospensione  dello  stesso,  al
Senato della Repubblica; 
        che, nella seduta del 22 luglio 2009, l'Assemblea del Senato,
approvando la proposta della Giunta delle elezioni e delle  immunita'
parlamentari, deliberava l'insindacabilita', ai sensi  dell'art.  68,
primo comma, Cost., delle dichiarazioni rese  da  Francesco  Storace,
senatore all'epoca dei fatti, nel corso della anzidetta intervista; 
        che il ricorrente pone in rilievo che la  Giunta,  nella  sua
relazione, auspica un mutamento della  giurisprudenza  costituzionale
in materia di insindacabilita' parlamentare, tale da  valorizzare  il
c.d. «contesto politico-parlamentare» in  cui  il  fatto  oggetto  di
incriminazione si colloca e, nella  specie,  la  circostanza  che  la
«inchiesta cosiddetta gossip investi' pesantemente l'intero  panorama
politico  italiano»;  di  qui,  secondo  la   medesima   Giunta,   la
sussistenza del nesso funzionale tra le  dichiarazioni  extra  moenia
rese dal senatore Storace «sul fatto politico del giorno»  e  la  sua
funzione di parlamentare; 
        che, ad avviso del ricorrente, non risulterebbe, invece, «che
alcun dibattito in sede parlamentare si sia svolto in relazione  alla
indagine in questione e ne' che siano state discusse mozioni o  altre
iniziative parlamentari sempre con riferimento a tale  vicenda»,  non
essendo   sufficiente   «il   clamore   suscitato   dalla   inchiesta
giudiziaria» a far assimilare le opinioni espresse da un parlamentare
sul  c.d.  «fatto  politico  del  giorno»  alle   opinioni   espresse
«nell'esercizio delle sue funzioni istituzionali»; 
        che,  pertanto,  il  Giudice  dell'udienza  preliminare   del
Tribunale di Roma sostiene  che  «le  opinioni  espresse  dall'allora
senatore Storace attengano unicamente alla sua veste di uomo politico
e  non  anche  all'esercizio  delle   sue   funzioni   di   senatore,
inquadrandosi  perfettamente  nella  linea  di  difesa  del   partito
politico di appartenenza, che si assume nello specifico ingiustamente
aggredito  da  una  inchiesta  giudiziaria  asseritamente  mossa   da
finalita' ed  obiettivi  politici,  ma  senza  che  rispetto  a  tali
opinioni esista la benche' minima correlazione con l'esercizio  delle
funzioni parlamentari»; 
        che, dunque, in assenza di atti tipici  del  parlamentare  su
cui poter fondare, nella specie, l'esistenza di un  collegamento  tra
le  dichiarazioni  extra  moenia  e  la  funzione  parlamentare,   il
ricorrente  denuncia  «la  menomazione   della   propria   sfera   di
attribuzione,   costituzionalmente    garantita,    in    conseguenza
dell'adozione, da parte del Senato della indicata deliberazione». 
    Considerato che,  in  questa  fase  del  giudizio,  la  Corte  e'
chiamata, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge  11
marzo 1953, n. 87, a deliberare, senza contraddittorio, se il ricorso
sia ammissibile in quanto vi sia la «materia di un conflitto  la  cui
risoluzione spetti alla sua competenza»,  sussistendone  i  requisiti
soggettivo ed oggettivo  e  restando  impregiudicata  ogni  ulteriore
questione, anche in punto di ammissibilita'; 
        che,  sotto  il  profilo   del   requisito   soggettivo,   va
riconosciuta la legittimazione del Giudice  dell'udienza  preliminare
del Tribunale  di  Roma  a  sollevare  conflitto,  in  quanto  organo
giurisdizionale,  in  posizione  di  indipendenza  costituzionalmente
garantita, competente a dichiarare definitivamente  la  volonta'  del
potere cui appartiene nell'esercizio delle funzioni attribuitegli; 
        che, parimenti, deve essere  riconosciuta  la  legittimazione
del Senato della Repubblica ad essere parte del  presente  conflitto,
quale organo competente a dichiarare in modo  definitivo  la  propria
volonta' in ordine  all'applicabilita'  dell'art.  68,  primo  comma,
della Costituzione; 
        che, per quanto attiene  al  profilo  oggettivo,  il  giudice
ricorrente lamenta la lesione della propria  sfera  di  attribuzione,
costituzionalmente garantita, in conseguenza di un esercizio ritenuto
illegittimo, per inesistenza dei  relativi  presupposti,  del  potere
spettante al Senato della Repubblica di dichiarare l'insindacabilita'
delle opinioni espresse dai membri di quel  ramo  del  Parlamento  ai
sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione; 
        che, dunque,  esiste  la  materia  di  un  conflitto  la  cui
risoluzione spetta alla competenza di questa Corte.