IL PRETORE
    Alla  pubblica  udienza  del  22  gennaio  1994  ha  pronunziato e
 pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente ordinanza nei
 confronti di Mega Vincenzo, nato in Leverano il 18 dicembre 1957, ivi
 residente in via Giordano, 61, imputato della contravvenzione  p.e.p.
 dell'art.  718  del  c.p.  per avere, quale gestore del circolo "club
 Juventus", tenuto un giuoco d'azzardo, consentendo all'interno  dello
 stesso  circolo,  di  svolgere  il  giuoco  della  "stoppa".  Acc. in
 Leverano il 3 dicembre 1991.
                               F A T T O
    Con decreto in data 9 novembre 1993, il  sost.  procuratore  della
 Repubblica  presso  la  pretura  circondariale  di Lecce disponeva il
 rinvio a giudizio, dinanzi a questa sezione distaccata di pretura, di
 Mega Vincenzo  da  Leverano  per  rispondere  del  reato  di  cui  in
 epigrafe.
    Al  dibattimento  del  22  gennaio  1994  veniva  escusso il teste
 verbalizzante,  appuntato  dei  carabinieri  di  Leverano,  il  quale
 confermava  i  fatti  e,  richiesto  sulle caratteristiche del giuoco
 praticato nel "club Juventus", nel mese di dicembre 1991,  dichiarava
 di  non  essere  in  grado  di  stabilire  le  modalita'  del  giuoco
 ("stoppa") e, quindi, neppure se somigliasse al "poker" e, tantomeno,
 sulla base dell'art. 721 cod. pen., se avesse gli elementi essenziali
 del giuoco d'azzardo e cioe' il ricorrere del fine di lucro,  con  la
 vincita o la perdita interamente o quasi aleatoria; comunque, non era
 incluso nella tabella dei giuochi proibiti ex art. 110 legge p.s.
    Ritirandosi  in camera di consiglio, questo pretore, con ordinanza
 il cui dispositivo veniva letto  in  udienza,  sollevava  di  ufficio
 questione di costituzionalita' dell'art. 721 del c.p., nella parte in
 cui  prescrive  che  gli  elementi essenziali del giuoco d'azzardo e,
 particolarmente,  il  fine  di  lucro  e  la  vincita  o  la  perdita
 interamente  o  quasi interamente aleatoria debbano essere valutati e
 determinati dal  giudice  penale  competente  e  non  preventivamente
 stabiliti  dal  legislatore  o  da  autorita'  da  lui  delegata  con
 inserimento, nella tabella di cui  all'art.  110  testo  unico  della
 legge  di  P.S., di tutti i giuochi che sono da ritenersi di azzardo,
 con criteri di politica penale stabiliti  dallo  stesso  legislatore,
 limitandosi  il giudice penale ad accertare la commissione del fatto-
 reato per la violazione dell'art. 110 suddetto, con riferimento  agli
 artt.  101 secondo comma, 3, 24 e 25 secondo comma della Costituzione
 italiana.   Sollevava,   altresi',   di   ufficio,    questione    di
 costituzionalita'  degli  artt. 718 e segg. c.p. con riferimento agli
 artt. 3 e 24, della Costituzione  italiana  per  quanto  concerne  la
 deroga  delle  norme  penali anzidette, con possibilita' di istituire
 casino', e autorizzare giuochi varii, come quello del lotto, le varie
 lotterie ecc., ove si  pratica  anche  il  giuoco  d'azzardo,  per  i
 seguenti motivi in:
                             D I R I T T O
    Per  quanto  concerne la prima questione, il giudicante, oltre che
 tener  presente  quanto  disposto  dall'art.  721,  relativamente  ai
 "requisiti  essenziali  del  giuoco  d'azzardo",  ritiene  necessario
 evidenziare che la Corte di Cassazione, proprio  con  riferimento  al
 giuoco  della  "stoppa"  per  cui  e'  procedimento,  -  anche se con
 sentenza non molto recente - ebbe a statuire che: "detto  giuoco  che
 non  e'  incluso  nell'elenco  dei  giuochi  di  azzardo  e di quelli
 proibiti prescritti dall'art. 110 t.u. leggi di p.s. -  valutato  nel
 suo   complesso,   nell'economia  cioe'  totale  del  giuoco,  e  non
 limitatamente alla prima fase di esso nella quale potrebbe  ritenersi
 prevalente l'alea in quanto il punteggio viene determinato dalla pura
 e semplice distribuzione delle tre carte di volta in volta ricevute -
 non  e'  giuoco  di  azzardo  perche'  all'esito di esso partecipa in
 maniera predominante e determinante l'abilita' del  giocatore"  (sez.
 IV,  7  marzo  1970,  n.  580, Rosati, in cass. pen. mass. amm. 1971,
 1034).
    Molto piu' recentemente, la stessa Corte di cassazione, a  sezioni
 unite penali, ha stabilito che "il giuoco delle tre carte e gli altri
 giuochi similari (tre tavolette, tre piastrelle e tre campanelli) non
 costituiscono giuochi d'azzardo, ma di abilita', in quanto la vincita
 e  la  perdita  non  sono determinati dal caso ma dalla capacita' dei
 giocatori". Conseguentemente ha annullato, senza rinvio e su difforme
 conclusione del Procuratore generale, la sentenza 28 maggio 1990, con
 la quale il pretore di Roma applicava, su richiesta delle  parti,  la
 pena  di  un mese e dieci giorni di arresto e L. 400.000 di ammenda a
 Gloria Adriano, imputato del reato di cui all'art. 718 cod. pen., per
 aver,  in  Roma,  il  14  dicembre  1889, tenuto in luogo pubblico il
 giuoco d'azzardo  denominato  delle  "tre  carte",  con  la  seguente
 motivazione  che,  per  compiutezza d'indagine, si ritiene necessario
 riportare integralmente: "omissis .. questa Corte, riunita a  sezione
 unite,  e'  chiamata a risolvere un duplice problema: 1) se il giuoco
 delle tre carte debba ricomprendersi  tra  quelli  d'azzardo;  2)  se
 nell'esercizio  di  tale giuoco sia da ravvisarsi, invece, il delitto
 di truffa. In ordine alla prima questione, va premesso che la nozione
 del giuoco d'azzardo  e'  data  dall'art.  721  del  c.p.,  il  quale
 stabilisce  che sono tali quelli in cui ricorre il fine di lucro e la
 vincita o la perdita e' interamente o  quasi  interamente  aleatoria.
 Per  aversi  giuoco d'azzardo e' quindi necessario il concorso di due
 requisiti, l'uno di carattere oggettivo  e  cioe'  l'intera  o  quasi
 intera aleatorieta' della vincita o della perdita, inerenti al giuoco
 stesso,  l'altro  di  carattere  soggettivo  e cioe' il fine di lucro
 delle persone partecipanti ed  interessate.  Pertanto,  in  relazione
 all'elemento  oggettivo  -  che  e' quello che qui interessa - per la
 sussistenza del giuoco d'azzardo  non  e'  necessaria  l'aleatorieta'
 assoluta  ma e' sufficiente che la vincita o la perdita dipenda quasi
 interamente dalla sorte. Per  lungo  tempo  le  sezioni  semplici  di
 questa  Corte  hanno  uniformemente  ritenuto che il giuoco delle tre
 carte (come quelli similari delle tre tavolette, delle tre piastrelle
 e dei tre campanelli) fosse da inquadrarsi tra i  giuochi  d'azzardo.
 In  tali  decisioni  e'  stato,  in  sostanza,  posto  in rilievo che
 l'abilita' di  chi  partecipa  al  giuoco  riveste  un  ruolo  minimo
 rispetto  alla  fortuna, soprattutto per la destrezza di chi tiene il
 giuoco, il quale, mediante l'abile manipolazione delle  carte,  rende
 quasi  del  tutto  aleatoria  la  vincita  del partecipante al giuoco
 medesimo (vedansi, tra le altre, Cass.  12  maggio  1958,  Palmisano,
 Foro  it.  rep.  1958,  voce  Giuoco proibito, n. 4; 26 gennaio 1961,
 Ciccarelli, id., Rep. 1961, voce cit., nn. 3, 17; 20  febbraio  1973,
 Podda,  id., rep. 1973, voce cit., n. 5; 6 dicembre 1976, Doria, id.,
 rep. 1977, voce cit., n. 3; 27  febbraio  1980,  Laurino,  id.,  rep.
 1981,  voce  cit., n. 1; 21 marzo 1984, Capello, id., rep. 1985, voce
 cit., n. 4; 16 gennaio 1985, Torre, id., rep. 1986, voce cit., n. 27;
 18 febbraio 1985, Melillo, ibid.,  n.  23;  5  marzo  1985,  (Gloria,
 ibid.,  n.  28;  3  aprile 1985, Arena, ibid., n. 21; 22 aprile 1985,
 Pellegrino, ibid., n. 26; 18 novembre 1985, Torte, ibid., n.  24;  19
 novembre  1985,  Cavaliere,  ibid., n. 22; 20 novembre 1985, Ruffino,
 id., rep. 1987, voce cit., n. l6; 13 ottobre 1986,  Aloi,  ibid.,  n.
 17).  A  tale  orientamento  si  e'  recentemente contrapposto quello
 secondo il quale il  giuoco  in  questione  non  e'  da  considerarsi
 d'azzardo, essendo la vincita o la perdita determinata non dall'alea,
 ma,  da  un  lato,  dall'abilita' e dalla destrezza del conduttore e,
 dall'altro, dallo  spirito  di  osservazione  e  dalla  prontezza  di
 riflessi  del giocatore (vedansi Cass. 12 novembre 1985, Civita, id.,
 rep. 1987, voce cit., n. 18; 18 giugno 1985, Li Calzi, id., 1986, II,
 274; 13 novembre 1985, Melillo, id., rep. 1986, voce  cit.,  n.  29).
 Dell'esame  della  questione  furono  gia'  investite  queste sezioni
 unite,  le  quali,  pero',  essendo   sopravvenuta   l'amnistia,   si
 limitarono, con la sentenza n. 3 del 23 maggio 1987, a pronunciare la
 relativa  declaratoria osservando che non era applicabile l'art. 152,
 cpv., c.p.p. del 1930, in quanto  la  proposta  questione  comportava
 l'approfondimento  non  soltanto  dei punti delle decisioni di questa
 Corte  che  di  recente,  escludendo  che  il  giuoco  possa   essere
 considerato  d'azzardo,  hanno  modificato  la giurisprudenza di gran
 lunga prevalente, ma anche delle manifestazioni del comportamento  di
 colui  che  tiene  il  giuoco.  Cio'  premesso, queste sezioni unite,
 valutate le opposte argomentazioni, ritengono di condividere, con  le
 opportune precisazioni l'orientamento piu' recente. E' nozione comune
 che  alcuni giuochi possono senz'altro definirsi di azzardo oppure di
 abilita'. Trattasi di quei giuochi nei quali, ai fini del  risultato,
 e'  assolutamente preponderante il caso fortuito ed insignificante la
 perizia  del  giocatore  (es.  lotteria)  oppure   e'   assolutamente
 preponderante  l'abilita'  del giocatore ed insignificante la fortuna
 (es. scacchi). In altri giuochi, invece, l'esito e' dovuto  tanto  al
 fortuito  quanto  all'abilita' dei giocatore. Per stabilire allora se
 la vincita o la perdita siano affidate quasi interamente alla  sorte,
 devesi  in  tali  casi  valutare  il  reciproco  rapporto  dei  detti
 elementi. Al riguardo puo' affermarsi che se la perizia del giocatore
 concorre con l'alea in misura uguale o quasi uguale,  il  giuoco  non
 puo' considerarsi di azzardo; il giuoco deve invece considerarsi tale
 tutte  le  volte  in cui l'abilita' dei partecipanti al giuoco ha una
 importanza minima. Orbene, la sola  considerazione  che,  secondo  la
 giurisprudenza  prevalente,  il  giuoco  e' fortemente caratterizzato
 dall'abilita' del tenitore (la quale, pertanto, riveste un  ruolo  di
 notevole  importanza)  gia'  scredita  la  tesi  sostenuta.  Perche',
 infatti, un giuoco possa  considerarsi  d'azzardo  la  vincita  o  la
 perdita  deve essere aleatoria o quasi aleatoria per tutti coloro che
 vi partecipano (conduttore  compreso)  e  non  solo  per  alcuni  dei
 giocatori;  pertanto,  per  tutti  e  non solo per alcuni il concorso
 dell'abilita' deve essere minimo. Quanto sopra consente di anticipare
 che il giuoco delle tre carte (e quelli analoghi di cui si  e'  detto
 in  precedenza)  non  rientra  nella categoria dei giuochi d'azzardo;
 esso e' soprattutto un giuoco di abilita' e l'incidenza  della  sorte
 riveste  un  ruolo  di  minino  rilievo. Ed invero, posto che il caso
 fortuito da cui dipende  il  vincere  o  il  perdere  costituisce  il
 requisito  oggettivo del giuoco d'azzardo, l'aleatorieta' dei giuochi
 vietati dall'art. 718 c.p. deve essere valutata oggettivamente  sulla
 base  della  natura e delle regole del giuoco e non gia' in relazione
 alla perizia e all'esperienza delle persone che  vi  partecipano.  E'
 noto  che, da un lato, il conduttore esegue, con abilita' e destrezza
 che sfiorano la vera e propria prestidigitazione, una serie  continua
 e   rapida   di   spostamenti  ed  inversioni  delle  carte,  mentre,
 dall'altro, il giocatore segue con estrema  attenzione  il  movimento
 delle  carte  al  fine  di  individuare  quella vincente; in sostanza
 quest'ultimo, nel momento in cui punta, non si affida alla sorte,  ma
 ritiene  di  essere  riuscito  a  seguire i vari movimenti effettuati
 dall'avversario. La vincita o la perdita  non  dipendono  quindi  ne'
 esclusivamente ne' prevalentemente dal fortuito, ma sono direttamente
 ed  essenzialmente  collegate alle capacita' prestidigitatorie di chi
 esegue il giuoco, frutto di abilita' e destrezza, ed allo spirito  di
 osservazione  e alla prontezza percettiva di chi effettua la puntata.
 Trattasi, in sostanza, di uno  scontro  tra  opposte  attivita',  nel
 quale,  cioe',  risulta  vincitore  non  il piu' fortunato ma il piu'
 abile, anche se la vittoria non e' esente da un ristretto margine  di
 fortuito.  Va,  poi,  osservato  che, nei casi in cui la vincita o la
 perdita   dipende   esclusivamente  o  prevalentemente  dall'abilita'
 individuale, il giuoco non diviene d'azzardo soltanto perche' ad esso
 partecipi una persona inesperta e costretta percio' ad  affidarsi  al
 caso  oppure una persona dotata di eccezionale perizia. Come sopra si
 e'  detto,  l'elemento   del   fortuito   deve   essere   considerato
 obiettivamente; esso va, pertanto, desunto dalle regole che governano
 il  giuoco  e  non dal concreto grado di abilita' dei giocatori. Deve
 quindi sul punto concludersi che il  giuoco  delle  tre  carte  (come
 quelli  similari  delle tre tavolette, delle tre piastrelle e dei tre
 campanelli) non costituisce giuoco d'azzardo. Per quanto attiene alla
 seconda questione, questa Corte ha gia' avuto occasione di  affermare
 che  il  giuoco  delle tre carte e quelli similari non realizzano, di
 per se', il reato di truffa (cass. 23 settembre 1985,  Galante,  id.,
 1986,  Il, 273) e che tale figura criminosa puo' ricorrere qualora il
 tenitore del giuoco  ponga  in  essere  un  attivita'  ulteriore,  di
 carattere  fraudolento,  nel  qual  caso  un  siffatto  comportamento
 integra il delitto di cui all'art. 640 c.p. (cass. 27 febbraio  1985,
 Vecchiola,  id.,  rep.  1986,  voce  cit.,  n.  31; 12 novembre 1985,
 Civita,  cit.).  Non  ritengono  queste  sezioni  unite  di   doversi
 discostare  dalla  soluzione  che  al  problema hanno dato le sezioni
 semplici. Ed invero, l'esercizio del giuoco nei sensi sopra precisati
 non  raggiunge  le  connotazioni  del  comportamento  fraudolento.  A
 diversa    conclusione    deve,   invece,   pervenirsi   allorquando,
 all'abilita' e alla destrezza di chi esegue il  giuoco,  si  aggiunga
 una  fraudolenta  attivita'  del  medesimo. Come nel caso in cui egli
 faccia vincere il giocatore una prima volta per indurlo a raddoppiare
 la posta ed ingannarlo nei  successivi  turni  di  giuoco  oppure  si
 avvalgano  di  "compari"  che, distraendo il giocatore, consentono al
 tenitore di spostare all'ultimo momento le carte  o  che,  fingendosi
 accaniti   giocatori,   puntano  con  alterne  vicende,  in  modo  da
 ingenerare nello spettatore la convinzione di trovarsi di  fronte  ad
 un  giuoco  al  quale si puo' facilmente vincere. In questi casi e in
 tutti gli altri in cui vengono posti in essere  trucchi  ed  artifici
 per  volgere  a  proprio  profitto  l'esito  del  giuoco,  le manovre
 ingannevoli si aggiungono al normale esercizio  del  giuoco  e  danno
 luogo ad una attivita' criminosa che realizza gli estremi del delitto
 previsto  e  punito  dall'art.  640  c.p..  Pertanto,  poiche'  dalla
 contestazione di accusa non risulta che,  nella  specie  siano  stati
 posti  in essere atti truffaldini, la sentenza impugnata va annullata
 senza rinvio. Va precisato, infine, che  l'esercizio  del  giuoco  in
 questione  configura  l'ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 723
 c.p., qualora il giuoco stesso sia  stato  incluso  dalla  competente
 autorita' di polizia tra i giuochi non d'azzardo vietati (sentenza 18
 giugno 1991).
    Pur  al  cospetto  di tale autorevole orientamento giurisdizionale
 proveniente da una recente  sentenza  della  Corte  di  cassazione  a
 sezioni unite penali, il giudicante non puo' sottrarsi al suo compito
 istituzionale   di  cui  all'art.  101  della  Costituzione,  nonche'
 all'art. l della legge costituzionale,  9  febbraio  1948,  n.  1  ed
 all'art.  23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, essendo, a suo parere,
 doveroso (anche se, in un certo senso, piu' "oneroso"),  "qualora  il
 giudizio non possa esser definito indipendentemente dalla risoluzione
 di  una  questione  di legittimita' costituzionale" (come nel caso di
 specie, per quanto si dira' appresso) e non ritenga che la  questione
 sia  manifestamente  infondata,  sollevarla  di  ufficio,  ex art. 23
 primo, secondo e terzo comma della gia' citata legge n. 87 del 1953.
    Orbene,   gia'   i   notevoli   e   forse   esasperati   contrasti
 giurisprudenziali,  sia  pure,  relativamente  ad alcuni giuochi piu'
 frequenti e, quindi, piu' conosciuti - sino al  punto  da  dover  far
 intervenire  le sezioni unite, penali con la sentenza gia' riportata,
 - induce il giudicante ad una necessaria riflessione, che, pero', non
 e' determinata soltanto da detti  contrasti,  rinvenibili  anche  per
 altre  situazioni,  normalmente,  di maggior importanza e di notevole
 spessore in ogni senso.
    Cio' che, invece, lo lascia davvero perplesso, proprio sulla  base
 delle  affermazioni  contenute  nelle motivazioni sopra riportate, e'
 che, a prescindere dal condividere o meno le varie conclusioni cui la
 giurisprudenza e'  pervenuta  in  relazione  ad  alcuni  giuochi,  si
 pronuncia una sentenza o di condanna o di assoluzione per il reato di
 giuoco  d'azzardo sulla base di una presumibile conoscenza del giuoco
 da parte del giudice, al quale l'art. 721 del cod.  pen.  devolve  il
 compito  di accertare gli "elementi essenziali del giuoco d'azzardo",
 gia' indicati.
    Naturalmente, per alcuni del notevole numero dei giuochi  eseguiti
 con  le  carte, e' sufficiente il "notorio" per addentrarsi nella pur
 sempre delicata e difficoltosa indagine in ordine  sia  "al  fine  di
 lucro"  e  sia  alla  "vincita  o  alla  perdita  interamente o quasi
 interamente aleatoria". Per altri di detti giuochi sopperisce, in  un
 certo  modo,  l'indicazione  nella  tabella  da  esporre nei pubblici
 locali ex artt. 110 t.u.p.s.  e  195  del  regolamento  dello  stesso
 testo;  anche  se, secondo quanto affermato dalla Corte di cassazione
 (Sez. 111, del 10 novembre 1985,  n.  10832)  -  che  si  ritiene  di
 condividere  perche'  aderente  alla  lettera  ed  alla  ratio legis:
 "l'art. 721 cod. pen. deferisce  al  giudice  la  qualificazione  del
 giuoco  d'azzardo  nei  suoi  elementi  essenziali  - gia' piu' volte
 indicati - a nulla rilevando che il giuoco  non  sia  inserito  negli
 elenchi  formati  dall'autorita'  ai sensi dell'art. 10 del t.u.p.s.,
 concernenti la tabella da esporre nei locali pubblici,  in  cui  sono
 indicati  i  giuochi  d'azzardo  e  quelli che l'autorita' ritenga da
 vietare. Solo per questi ultimi, per quelli  cioe'  non  d'azzardo  e
 proibiti  dell'autorita', puniti ai sensi dell'art. 732 del cod. pen.
 la determinazione della autorita' e' vincolante per il giudice".
    Rimane, conseguentemente, una notevole quantita' di  giuochi,  che
 anche  se  frequenti,  non  sono  conosciuti  e,  quindi,  comportano
 un'indagine caso per caso devoluta al giudice per stabilire, non solo
 il tipo di giuoco, ma anche se trattasi o meno  di  giuoco  d'azzardo
 con le caratteristiche delineate dall'art. 721 del c.p.
    Per  detti  ultimi  giuochi, sembra evidente l'assoluta necessita'
 che il giudice conosca. le precise  modalita'  di  svolgimento  degli
 stessi  ed,  all'uopo, si e' del parere che non rilevi se egli ne sia
 edotto o meno a livello personale (tra l'altro, presumendosi che,  se
 il  giuoco  da  esaminare  risultasse d'azzardo, potrebbe trovarsi in
 profonda  imbarazzo  nel  descriverlo  se   vi   avesse   addirittura
 partecipato;  e  non  soltanto  se  vi  avesse assistito, integrando,
 magari, con eventuali pubblicazioni specifiche, tale sua conoscenza.
    Ritiene il giudicante, invece, che in questi ultimi casi,  l'unica
 corretta  soluzione  ai  fini  probatori  non potrebbe che essere una
 perizia tecnica - o chiarimenti di un esperto in materia - al fine di
 una precisa e puntuale descrizione del giuoco per porre il giudice in
 condizioni  di valutare adeguata mente e pronunciarsi sulla esistenza
 dei presupposti essenziali di cui si e' fatto molte volte cenno,  con
 riferimento all'art. 721 del c.p.
    Orbene,  anche  per  il  caso  in esame, il giudicante, (specie in
 considerazione del precedente  specifico  esaminato  dalla  Corte  di
 cassazione  con la gia' richiamata sentenza del 7 marzo n. 580, nella
 cui motivazione, pero', non emerge in che modo,  in  quell'occasione,
 erano  state  accertate  le  modalita'  del giuoco della "stoppa" per
 giungere ad un risultato negativo  sulle  caratteristiche  di  giuoco
 d'azzardo  ha  avuto,  ad  onor  del vero, notevoli perplessita', ma,
 anche,  altrettanto  difficolta'  per  il  mezzo  istruttorio   sopra
 indicato,  in  quanto,  non  essendo  lui  assolutamente  esperto  in
 materia, non  riusci',  nonostante  numerosi  tentativi  a  rinvenire
 periti  o esperti per illustrare adeguatamente le caratteristiche del
 giuoco in esame:  ne'  sembro'  serio  ricorrere  ad  un  esperimento
 giudiziale  in  udienza ex artt. 218 e 219 del c.p.p.; anche perche',
 stante la mancata conoscenza del giuoco da parte di esso  giudicante,
 dei  difensori  e del p.m. d'udienza, a ben poco sarebbe servito tale
 espediente, per evidenti ragioni.
    Ecco perche'  il  medesimo  giudicante  ritiene  che  l'esasperato
 contrasto  giurisprudenziale in tema (come puo' chiaramente desumersi
 dalle decisioni della Corte di legittimita',  non  a  caso  riportata
 integralmente,  per  consentire  all'interprete  di rendersi conto di
 quanto - forse piu' teoricamente che  concretamente  -  gli  elementi
 essenziali  di  cui  all'art. 721 del c.p. siano stati riconosciuti o
 disconosciuti; in  particolare,  vedansi  le  differenti  conclusioni
 sulle  caratteristiche  della  aleatorieta'  del  giuoco  delle  "tre
 carte"),  abbia  le  sue  radici  nella  scelta  del  legislatore  di
 devolvere  al giudice (senza, peraltro, la possibilita' di un ausilio
 di esperti, per quanto si e' detto, in ordine alla conoscenza di  una
 buona parte di giuochi a carte, non molto noti o, comunque, tali, per
 la  loro  complessita', da sfuggire al notorio, la qualificazione del
 giuoco  d'azzardo  nei  suoi  elementi   essenziali,   con   formule,
 oggettivamente, troppo ampie.
    Mentre, a parere di questo pretore, leggendo con attenzione quanto
 stabilito  dall'art.  721  c.p.  -  piu'  volte richiamato - e tenuto
 adeguatamente conto dei mutati costumi dell'odierna societa' e  delle
 sue  evoluzioni  (o  involuzioni  anche  in  questo  settore  (e cio'
 difficilmente puo' disconoscersi, per quanto  concerne  il  "fine  di
 lucro"  e  la  "vincita  o la perdita interamente o quasi interamente
 aleatoria", onde evitare anche vero e proprio spreco di giurisdizione
 (per un reato il cui bene giuridico e', senza dubbio, da tutelare, ma
 che non assurge certamente alla collocazione nell'ambito di  delitti,
 sicuramente  molto  piu'  aggressivi  dell'incolumita'  fisica  e del
 patrimonio  -  specie  nella  nostra  epoca)  lo  stesso  legislatore
 dovrebbe  essere  tenuto  a  stabilire,  con criteri di insindacabile
 politica penale e con una piu'  agevole  attivita'  nella  sua  sede,
 quali   giuochi   a   carte   o  similari  debbano,  in  quest'epoca,
 considerarsi d'azzardo, inserendoli, con adeguate  descrizioni  nelle
 tabelle  di  cui  agli  artt. 110 del t.u.p.s. e 195 del regolamento;
 vincolando, con tale indicazione, il giudice (cosi' come avviene  per
 i  giuochi  non  d'azzardo, ma proibiti dall'autorita': ved. sent. 10
 novembre  1985  gia'  richiamato,  limitandolo  all'accertamento   in
 concreto  del  reato  ed  all'applicazione  della pena per violazione
 dell'art. 110 t.u.p.s.
    Cio', a parere del giudicante, non esprime  soltanto  un  sommesso
 suggerimento  -  peraltro  non molto ortodosso in questa sede - ma lo
 induce a ritenere  che  sic  stantibus  rebus  la  persistenza  della
 disciplina  vigente  in  tema  possa  determinare  conseguenzialmente
 questione di legittimita' costituzionale non manifestamente infondata
 dell'art. 721 cod. pen. per violazione degli artt. 101 secondo  comma
 (soggezione  del  giudice  soltanto  alla  legge),  3  (disparita' di
 trattamento pur al cospetto di analoghe situazioni), 24  (pregiudizio
 della  tutela dei propri diritti e del diritto di difesa), 25 secondo
 comma (principio di tassativita') della Costituzione italiana,  sulla
 base di quanto sopra evidenziato.
    Anche  se  non connessa - ma non priva di collegamenti - appare al
 giudicante l'altra questione di legittimita' costituzionale che  puo'
 desumersi  dall'esame  del  dispositivo di questa ordinanza, letto in
 udienza.
    All'uopo,  occorre  rammentare  quanto  deciso  da  questa   Corte
 costituzionale  che,  giri  con  sentenza  del 4 maggio 1972, n. 122,
 dichiaro' infondata la questione  di  costituzionalita'  degli  artt.
 718,  primo  comma  e  720 primo comma del cod. pen., che incriminano
 l'esercizio dei giuochi d'azzardo e  la  partecipazione  ai  medesimi
 sebbene tali attivita' siano consentite in alcune localita' italiane,
 in  riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,  affermando, nella
 motivazione della sentenza, che "nel rapporto tra  norme  generali  e
 norme  derogatorie,  questioni  di  legittimita'  costituzionale  per
 violazione del principio di eguaglianza, sotto l'uno o l'altro  degli
 aspetti  cui  fanno  riferimento il primo e secondo comma dell'art. 3
 della Costituzione, possono eventualmente sorgere soltanto in  ordine
 a queste ultime, e non alle prime, che dettano la disciplina comune a
 tutti i cittadini".
    Con  successiva  ordinanza  del  19  giugno 1973, n. 90, la stessa
 Corte, decidendo sull'ordinanza proposta dal pretore di Sanpierdarena
 il  20  giugno  1972,  dichiarava:  "E'  inammissibile,  perche'  non
 rilevante rispetto alla definizione di un processo penale a carico di
 persone  imputate dei reati previsti dagli artt. 718 e 720 cod. pen.,
 la questione di costituzionalita' del  r.d.l.  22  dicembre  1927  n.
 2448,  convertito  in  legge  27 dicembre 1928 n. 3125, del r.d.l. 2
 marzo 1933 n. 201, convertito in legge 8 marzo 1933  n.  505,  e  del
 r.d.l. 16 luglio 1936 n. 1404, convertito in legge 14 gennaio 1937 n.
 62,  che  consentono  l'organizzazione  e la partecipazione al giuoco
 d'azzardo nelle case  da  giuoco  di  Sanremo,  Campione  d'Italia  e
 Venezia,  in  riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 76 della
 Costituzione;   e   manifestamente   infondata   la   questione    di
 costituzionalita'  degli  artt.  718 e 720 cod. pen., che incriminano
 l'esercizio dei giuochi d'azzardo e la  partecipazione  ai  medesimi,
 sebbene  tali attivita' siano consentite in alcune localita' italiane
 (gia' dichiarata infondata con  la  sentenza  n.  80  del  1972),  in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione".
    Ancor  dopo,  con  sentenza  del 23 maggio 1985 n. 152, il giudice
 delle leggi dichiarava: "inammissibili, per  difetto  di  motivazione
 sulla   rilevanza,   le   questioni  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 1, primo comma, r.d.l. 22 dicembre 1927 n. 2448 e relativa
 legge di conversione 27 dicembre 1928 n. 3125,  nella  parte  in  cui
 concede al Ministro dell'interno la facolta' di autorizzare il comune
 di Sanremo, in deroga alle leggi vigenti, ad adottare tutte le misure
 necessarie per sanare il proprio bilancio e provvedere all'esecuzione
 di  opere  pubbliche  indilazionabili,  mediante l'istituzione di una
 casa da giuoco, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, secondo
 comma, 70 e 76 della Costituzione, e in fondata - per l'esistenza  di
 numerose  ragioni  giustificatrici  la  deroga all'applicazione delle
 disposizioni  penali  sul  giuoco  d'azzardo  (quali  l'esigenza   di
 disincentivare  il  flusso di cittadini italiani verso case da giuoco
 aperte in Stati confinanti, nonche'  di  sovvenire  alle  finanze  di
 comuni  particolarmente  qualificati  dal  punto di vista turistico e
 caratterizzati da situazioni di dissesto finanziario) - la  questione
 di  legittimita'  costituzionale delle legge 3 novembre 1954 n. 1042,
 29 novembre 1955 n. 1179, 18 febbraio 1963 n. 67, 6 dicembre 1971  n.
 1065  e  26  novembre  1981  n. 690, nella parte in cui consentono la
 gestione in forma organizzata del giuoco d'azzardo nel casino' di St.
 Vincent, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
    Nella motivazione di quest'ultima sentenza, leggesi, tra  l'altro:
 "omissis  ..  in realta' non mancano per ciascuna deroga disposta dal
 legislatore ragioni giustificative della sottrazione  di  ipotesi  di
 specie alla disciplina delle ipotesi di genere: accanto a quella piu'
 generale  di  disincentivazionedell'afflusso  di cittadini italiani a
 case da giuoco aperte in Stati confinanti nelle  zone  prossime  alla
 frontiera,  si pone quella piu' particolare di sovvenire alle finanze
 di  comuni  o  regioni  ritenute  dal   legislatore   particolarmente
 qualificate  dal  punto  di  vista  turistico  e  dalla situazione di
 dissesto finanziario. La circostanza che altri comuni  o  regioni  si
 trovino  o  potrebbero  trovarsi  in condizioni analoghe a quelle dei
 comuni o della regione a  statuto  speciale  finora  considerati  dal
 legislatore  non  concreta  di  per  se'  sola  e hic et nunc lesione
 dell'art. 3 della Costituzione. E cio' tanto  piu'  in  quanto  dalla
 lamentata   circostanza   (cioe'   dalla   censurata   omissione  del
 legislatore) non possono trarsi conseguenze di automatica estensione.
    Orbene, il giudicante non puo' che prendere atto di  quanto  fatto
 rilevare dal giudice delle leggi, permettendosi soltanto di segnalare
 allo  stesso  la  necessita'  di  valutare  una  piu'  moderna ottica
 legislativa tendente a riconsiderare la giustificazione  delle  varie
 lotterie,  casino'  o  case  da  giuoco autorizzate - sia pure per le
 esigenze indicate dalla stessa Corte nella sentenza n. 152 del 1985 -
 e, di converso, le ben note gravissime  conseguenze  derivanti  dagli
 stessi,  nelle cui sedi si svolgono buona parte dei giuochi d'azzardo
 e proibiti previsti dalla tabella ex art. 110 legge di p.s. ("cammino
 di ferro", "roulette", "slot-machine", ecc.), non  venendo  meno,  in
 tali  casi,  le  ragioni  che  la  medesima  Corte, nella sentenza n.
 12/1970, ebbe a evidenziare in relazione agli apparecchi  o  congegni
 da  giuoco, e, cioe', la necessita' di scoraggiare i cittadini ed, in
 particolare, i giovani  a  dar  vita  a  situazioni  o  comportamenti
 (perdita di tempo e di denaro, dedizione all'ozio, vita in comune con
 persone  disponibili  anche  per  attivita'  moralmente e socialmente
 riprovevoli, ecc.), non del tutto compatibili con il  rispetto  della
 stessa dignita' umana.
    E  se e' vero, come ha detto la Corte costituzionale, che la norma
 generale in sede penale, estesa a  tutti  i  cittadini,  puo'  essere
 derogata   dal   legislatore,  anche  implicitamente,  a  parere  del
 giudicante, tutta la normativa relativa alle istituzioni di  casino',
 case  da giuoco, lotterie e simili, in considerazione di quanto sopra
 si e' evidenziato,  merita  una  rivisitazione,  laddove,  (anche  in
 coerenza  con  le  motivazioni  espresse  per  l'altra  questione  di
 costituzionalita', sollevata con questa  stessa  ordinanza)  finisca,
 sostanzialmente   col  tradursi  in  un'evidente  diseguaglianza  dei
 cittadini davanti alla legge in sede penale,  con  palese  violazione
 degli  artt.  3  e  24  della Costituzione italiana, oltreche' in una
 "irragionevolezza" contrastante con il  buon  senso  e  la  coscienza
 comune.
    In  definitiva,  dovrebbe  evitarsi  una  notevole  disparita'  di
 trattamento tra coloro i quali gestiscono le suddette case da giuoco,
 nonche'  lotterie  o  scommesse  autorizzate  -  anche  in   numerose
 trasmissioni  televisive  pubbliche e private, con attivita' identica
 ai giuochi d'azzardo e, comunque proibiti, tutti esenti da pena,  nei
 confronti  di  cittadini  i  quali,  invece, pur esplicando la stessa
 attivita', sono sottoposti a sanzioni penali  di  notevole  spessore.
 Nonostante   le.   mutate  caratteristiche  e  i  differenti  costumi
 dell'attuale societa' (purtroppo  eccessivamente  consumista),  anche
 nell'ambito  dei giuochi, che, ormai, pur se d'azzardo o proibiti, si
 svolgono normalmente in case private o in circoli  dopolavoristici  e
 pseudoculturali (realta' sociale, non facilmente condivisibile, ma di
 cui, sia pure a malincuore, occorre prendere atto, specie allorquando
 trattasi di sanzioni penali).
    Pertanto,   il   giudicante   solleva   di  ufficio,  perche'  non
 manifestamente infondata, la  questione  di  costituzionalita'  degli
 artt.  718  e  segg.  correlati  a  tutta  la  normativa che consente
 l'istituzione di casino' ecc. autorizzati, per violazione degli artt.
 3 e 24 della Costituzione italiana  per  quanto  concerne  la  deroga
 delle  norme penali anzidette, con possibilita' di istituire casino',
 e autorizzare giuochi varii come quello  del  lotto,  varie  lotterie
 ecc., ove si pratica anche il giuoco d'azzardo.
    La rilevanza delle questioni sollevate. a parere del giudicante e'
 in re ipsa, in quanto, l'eventuale accoglimento delle stesse da parte
 dell'on.  Corte,  comporterebbe effetti incidenti sulla sussistenza o
 meno del reato contestato all'imputato.