IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta  a  ruolo
 il  9  marzo 1996 e segnata al n. r.g. 094/1996, discussa all'udienza
 del 22 gennaio 1997 promossa da Istituto nazionale  della  previdenza
 sociale   -   I.N.P.S.,   in   persona  del  presidente  pro-tempore,
 rappresentato e difeso, per procura generale alle  liti,  dall'avv.to
 Ginanneschi, viale Belfiore 28, Firenze, ed elettivamente domiciliato
 in  Firenze,  via  Vecchietti  13,  appellante,  contro  Barsi Marta,
 rappresentata e difesa, per procura a margine del  ricorso  di  primo
 grado,  dall'avv.    Gabriella  Del Rosso, via G. Monaco 25, Firenze,
 presso il cui studio elegge domicilio, appellata, avente ad  oggetto:
 pensione  di  reversibilita'  -  calcolo - sul 60% della pensione del
 dante causa integrata al trattamento minimo - art. 1 comma 183  legge
 23  dicembre  1996  n  662 (Misure di razionalizzazione della finanza
 pubblica) - estinzione d'ufficio dei giudizi pendenti - questione non
 manifestamente infondata di legittimita' costituzionale.
   Conclusioni per l'appellante: in riforma  dell'impugnata  sentenza,
 dichiarare  l'inammissibilita'  della  domanda  ai  sensi dell'art. 6
 decreto-legge n. 166/1991.
    Conclusioni per l'appellata: affinche' il tribunale, ritenute  non
 manifestamente  infondate  le  eccezioni di incostituzionalita' sopra
 formulate, sospenda il presente giudizio e rimetta la questione  alla
 Corte  costituzionale.  All'esito di tale giudizio respinga l'appello
 dell'INPS, con condanna  alle  spese  da  distrarsi  a  favore  della
 procuratrice antistataria, ovvero decida secondo giustizia.
    Nel  presente  giudizio in grado d'appello, proposto dall'I.N.P.S.
 avverso una pensionata di  reversibilita'  -  cui  il  pretore  aveva
 riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilita' calcolata sul
 60% della pensione di cui era titolare il dante causa, comprensiva di
 integrazione al trattamento minimo, giusta sent. Corte costituzionale
 29/31    dicembre    1993   n.   495   -   l'I.N.P.S.   ha   eccepito
 l'inammissibilita' dell'azione per decadenza ex art. 6 d.-l. 29 marzo
 1991, n. 103, convertito, con modificazioni in legge 1  giugno  1991,
 n. 166 (Disposizioni urgenti in materia previdenziale).
   L'appellata  ha chiesto che il tribunale ritenga non manifestamente
 infondata le seguenti eccezioni di incostituzionalita' del d.-l.   29
 marzo  1996  n.  166,  e  delle disposizioni successive contenenti la
 stessa norma di legge:
     1) art. 1, comma 3 (estinzione dei giudizi,  compensazione  delle
 spese,  inefficacia sentenze non passate in giudicato) per violazione
 degli artt. 24 e 113 Cost.;
     2) art. 1, comma 1 (pagamento degli arretrati in titoli di  Stato
 in sei annualita') per violazione dell'art. 3, comma primo, Cost.;
     3) art. 1, comma 2 (abolizione di rivalutazione e interessi sulle
 somme  arretrate  maturate  fino al 31 dicembre 1995, riduzione degli
 interessi rispetto al tasso legale per  il  periodo  successivo)  per
 violazione  degli  artt.  3 e 38 Cost. anche in relazione all'art. 97
 Cost.
   Il tribunale di Firenze osserva:
   La Corte costituzionale  risulta  gia'  investita  delle  questioni
 proposte  relative alla stessa norma, contenuta in precedente decreto
 non convertito, ad opera della Corte Suprema (ordinanza n. 382 del  2
 maggio  1996),  ad  eccezione  della  norma di cui all'art 1 comma 3,
 sotto il profilo che si va ad illustrare.
   Si deve preliminarmente delibare la rilevanza della questione.
   Con sentenza n. 143 del 25 gennaio 1996 il pretore  di  Firenze  ha
 condannato  l'INPS a corrispondere alla odierna appellata la pensione
 di reversibilita' in misura pari al  60%  della  pensione  del  dante
 causa  integrata  al  minimo  al  momento del decesso, anziche' nella
 misura del 60% dell'importo della pensione a calcolo puro, cosi' come
 liquidata  dall'INPS, facendo applicazione della sentenza della Corte
 cost. n. 495/1993.
   L'I.N.P.S.  ha  proposto  appello  eccependo  per  la  prima  volta
 l'estinzione   del   diritto  per  intervenuta  decadenza  decennale,
 dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei ai sensi degli artt.  47
 decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n. 639/1970 e 6 legge n.
 166/1991.
   Tale eccezione non e' preclusa in questo grado di appello, ex  art.
 437  c.p.c, perche' trattasi non di eccezione in senso proprio, ma di
 questione  attinente  alla  esistenza  del   diritto   previdenziale,
 sottratto  alla  disponibilita' delle parti, che deve essere rilevata
 dai giudice in ogni stato e grado del giudizio (art. 2969 cod. civ.).
 Ne' l'ente  previdenziale  ha  la  possibilita'  di  rinunciare  alla
 decadenza  o di impedirne l'efficacia riconoscendo il diritto ad essa
 soggetto (Cass. 27 marzo 1996 n. 2743).
   Per il riconoscimento del diritto azionato e'  percio'  preliminare
 l'accertamento se si sia verificata oppure no la decadenza denunciata
 dall'I.N.P.S.;  accertamento  impedito  dall'estinzione d'ufficio del
 procedimento.
   Questo  tribunale   di   Firenze   deve   percio'   riproporre   le
 argomentazioni  della  propria  precedente  ordinanza 22 maggio 1996,
 riferite pero' ed altresi' all'art. 1 comma  183  legge  23  dicembre
 1996 n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), che
 riproduce la stessa norma gia' denunciata.
   Circa  la  non manifesta infondatezza di tale eccezione, si osserva
 che la norma che impone  la  estinzione  d'ufficio,  che  non  sembra
 tollerare  distinzioni  a  seconda che l'ente previdenziale convenuto
 riconosca o contesti il  diritto,  produce  un  effetto  ancora  piu'
 radicale di quelli rilevati dalla suprema Corte.
   Nella  ordinanza  citata,  i  dubbi  di legittimita' costituzionale
 sull'art.  1  comma  3  decreto-legge  n.   166   sembrano   limitati
 all'effetto   del  venire  meno  della  condanna  alla  rivalutazione
 monetaria e interessi legali, nonche' ad un altro  effetto,  peraltro
 testualmente   previsto,   quello  della  compensazione  delle  spese
 processuali.
   Ma, come la presente vicenda  processuale  evidenzia,  l'estinzione
 comporta  altresi'  e prima ancora l'impossibilita' per il pensionato
 di far valere il proprio buon diritto, sancito dalle  sentenze  Corte
 Cost.  29/31  dicembre 1993 n. 495 e Corte cost. 8/10 giugno 1994, n.
 240, e contestato in giudizio dall'I.N.P.S. Ne' l'art.  1  comma  183
 legge  23  dicembre  1996  n.  662,  che  si limita a disciplinare il
 pagamento delle  somme,  maturate  fino  al  31  dicembre  1995,  sui
 trattamenti    pensionistici    ergati   dagli   enti   previdenziali
 interessati, in conseguenza  delle  citate  sentenze,  legittima  una
 interpretazione  abrogativa  di  altre  disposizioni di legge, si' da
 imporre agli enti stessi di procedere comunque al pagamento anche ove
 questi ritengano che  il  pensionato  non  vi  abbia  diritto  o  per
 mancanza  di  requisiti  soggettivi o perche' il diritto stesso si e'
 estinto, ad. es., come  nel  caso  presente,  per  asserita  avvenuta
 decadenza;  contestazioni  del diritto che il giudice non puo' quindi
 delibare e che rimangono  senza  possibilita'  di  difesa  in  questo
 giudizio.
   Ne'  si dica che l'interessato puo' in futuro, una volta che si sia
 reso conto che non e' stato incluso negli  elenchi  riepilogativi  di
 cui  all'art.  1  comma  1  degli  aventi diritto ai titoli di Stato,
 promuovere, nonostante l'estinzione di ufficio, nuova  azione  contro
 l'I.N.P.S.  per l'attuazione del proprio diritto, perche' la garanzia
 di cui all'art. 24  secondo  comma  Costituzione  attiene  a  ciascun
 procedimento,  ed  a ciascun stato e grado di esso, e quindi anche in
 quello in corso, e non al quadro complessivo e  finale  del  sistema.
 Pur  ponendosi l'intervento legislativo denunciato tra gli interventi
 c.d satisfattivi, obbliga il  pensionato  (art.  38  Cost.),  il  cui
 diritto  sia  gia' stato contestato dall'ente previdenziale nel corso
 del processo da  estinguere  di  ufficio  (senza  la  salvezza  delle
 sentenze  di  merito  emesse, di cui all'art.  310 c.p.c.), a onerose
 reiterazioni processuali,  con  il  rischio  di  incorrere  in  nuove
 preclusioni e decadenze, che non patiscono eventi interruttivi (anche
 per  la  deroga  operata  dall'art.  1  comma  183  al  principio  di
 conservazione delle sentenze  di  merito  enunciato  dall'art.    310
 c.p.c.),  sia  anche  per eventuale jus superveniens, il che e' stato
 ritenuto non conforme al valore costituzionale del diritto di  agire,
 in  fattispecie  relativa a semplice cittadino (Corte cost.  sent. 10
 aprile 1987, n. 123).
   La Corte costituzionale ha scrutinato in  tre  altre  occasioni  la
 legittimita' costituzionale di norme analoghe, pervenendo a risultati
 differenziati.
   Con  sent.  10  dicembre  1981  n.  185  la Corte cost. ha ritenuto
 infondata la questione di legittimita' costituzionale  dell'art  6  -
 primo  e  secondo comma, legge 20 marzo 1980 n. 75, che ha attribuito
 alla giurisdizione esclusiva dei TAR la cognizione delle controversie
 in materia di indennita' di buonuscita relative  al  personale  dello
 Stato  e  del  parastato,  e  che  ha  previsto  la  dichiarazione di
 estinzione dei  giudizi  in  corso  con  compensazione  delle  spese,
 nonche'  la  caducazione dei provvedimenti giudiziali non definitivi.
 Tale disposizione si inseriva nell'ambito di un contenzioso  promosso
 per  ottenere  l'inclusione  -  nel  calcolo della buonuscita - della
 tredicesima mensilita'. Rispetto a questo  contenzioso  la  legge  n.
 75/1980  si poneva come jus superveniens anche dal punto di vista del
 riconoscimento del  diritto  e  demandava  all'accertamento  in  sede
 amministrativa (da effettuarsi a istanza dell'interessato cessato dal
 servizio dal 1 giugno 1969 al 31 marzo 1979 o dei suoi superstiti) la
 riliquidazione della buonuscita.
   Piu'  recentemente  con  sentenza  31 marzo 1995 n. 103 la Corte ha
 ritenuto infondata l'eccezione relativa alla estinzione per legge  di
 contenzioso  giudiziale disposta dall'art. 4 legge 29 gennaio 1994 n.
 87. Oggetto della legge n. 87  era  la  inclusione  della  indennita'
 integrativa  speciale  nell'indennita'  di  buonuscita dei dipendenti
 statali e parastatali. La legge interveniva dopo che  piu'  volte  la
 Corte    cost.    nel    dichiarare   infondate   le   eccezioni   di
 incostituzionalita' sotto  vari  profili  sollevate  dai  giudici  di
 merito,  aveva  tuttavia  rivolto  espliciti  moniti  al  legislatore
 perche' provvedesse a introdurre nella normativa dei  correttivi  che
 tenessero  conto  della  necessita'  di  adeguare  il  calcolo  della
 buonuscita ai parametri adottati nell'ambito del lavoro  privato  per
 il  calcolo delle competenze di fine rapporto (da ultimo sent. n. 243
 del 19 maggio 1993).
   Con la citata sentenza n. 103/1995 la Corte ha enunciato i principi
 che   consentono   di   individuare  i  limiti  di  costituzionalita'
 dell'intervento del legislatore nel processo quando di  questo  venga
 definito l'esito attraverso una norma che ne imponga l'estinzione: va
 valutato   il  rapporto  tra  siffatto  intervento  ed  il  grado  di
 realizzazione che alla pretesa azionata sia stato  accordato  per  la
 via  legislativa.  Allorche' la legge sopravvenuta abbia soddisfatto,
 anche se non integralmente, le ragioni fatte valere nei  giudizi  dei
 quali    imponeva    l'estinzione,    va   esclusa   l'illegittimita'
 costituzionale di tale  ultima  previsione,  proprio  perche'  questa
 sarebbe  coerente  con  il  riconoscimento  ex lege del diritto fatto
 valere giudizialmente. Ed invero per escludersi  la  menomazione  del
 diritto  di  azione  e'  necessario  e sufficiente che l'ambito delle
 situazioni giuridiche di cui sono titolari  gli  interessati  risulti
 comunque   arricchito   a  seguito  della  normativa  che  da'  luogo
 all'estinzione del giudizio (...).
   Diversamente dalle due menzionate fattispecie, la norma di  cui  si
 discute,  inserita  prima  nei  vari  decreti-legge menzionati ed ora
 nell'art.  1  comma  183  legge  n.  662/1996,  non  attribuisce   ai
 ricorrenti nessun nuovo diritto, perche' questo deriva dalla norma di
 legge    ordinaria    risultante   dagli   interventi   della   Corte
 costituzionale (rispettivamente sen. 240/1994 e 495/1993).
   La presente fattispecie  sembra  percio'  piu'  affine  alla  terza
 occasione,   in   cui   la   Corte  ha  censurato  di  illegittimita'
 costituzionale la norma di legge che imponeva l'estinzione  d'ufficio
 dei processi in corso (sent. n. 123 del 10 aprile 1987).
    Oggetto  del giudizio era l'art. 10 - primo comma - legge 6 agosto
 1984 n. 425  (disposizioni  relative  al  trattamento  economico  dei
 magistrati)  che,  come  nel caso in esame, imponeva l'estinzione dei
 giudizi in corso con compensazione delle spese e l'inefficacia  delle
 sentenze  non passate in giudicato. Rileva la Corte: "innanzitutto va
 confutata la tesi dell'Avvocatura dello Stato che  ritiene  la  norma
 impugnata analoga a quella di cui all'art. 6, secondo comma, legge 20
 marzo  1980 n. 75 passata indenne dalla verifica di costituzionalita'
 di questa Corte con la sent. n. 185 del 1981.
   La  legge  n.  75  del  1980,  introducendo  un  jus   superveniens
 favorevole   alle  richieste  di  riliquidazione  dell'indennita'  di
 buonuscita determinava la cessazione della materia del contendere. Su
 questa  ratio  satisfattiva  -  prosegue  la  Corte  -   si   fondava
 l'estinzione  dei  giudizi pendenti e l'inefficacia dei provvedimenti
 giudiziali non ancora passati in giudicato, senza che  ne  risultasse
 la  menomazione  del diritto di azione e di difesa degli interessati.
 Il contesto della disposizione processuale ora  in  esame  e'  invece
 tutt'affatto  diverso.  Lo  jus superveniens si oppone alle richieste
 degli  attori  e  alla  interpretazione  giurisprudenziale  ad   essi
 favorevole, stabilendo, con palese lesione del diritto di azione e di
 difesa,  l'estinzione  dei  processi  in  corso".  In  particolare  -
 conclude la Corte cost. - "Il giudice, per Costituzione soggetto alla
 legge, per cio' stesso, ma  solo  in  questo  senso,  in  auctoritate
 legislatoris,   e'   tenuto   a  interpretare  lo  jus  superveniens,
 applicandolo al caso singolo  sottoposto  alla  sua  cognizione,  per
 decidere  il merito.  Il legislatore, - invece - con l'impugnato art.
 10 - primo comma - legge n. 425/1984 preclude al giudice la decisione
 di merito  imponendogli  di  dichiarare  d'ufficio  l'estinzione  dei
 giudizi  pedenti,  in qualsiasi stato e grado si trovino alla data di
 entrata  in  vigore della norma sopravvenuta. Con cio' il legislatore
 ordinario viola il valore costituzionale del  diritto  di  agire,  in
 quanto  implicante il diritto del cittadino ad ottenere una decisione
 di merito senza onerose reiterazioni".
   Come si e'  cercato  di  dimostrare,  la  fattispecie  oggetto  del
 presente  giudizio,  e cioe' di una legge che disciplina le modalita'
 satisfattive, graduate nel  tempo,  di  un  diritto  gia'  introdotto
 nell'ordinamento   dalle   pronuncie   della   Corte   costituzionale
 menzionate nello stesso provvedimento legislativo, appare  analoga  a
 quella  oggetto  della  terza  pronuncia  della  Corte menzionata (la
 123/1987) piuttosto che alle prime due.
   L'estinzione sancita dalla norma che si sottopone allo scrutinio di
 costituzionalita'  della  Corte  comporta  l'impossibilita'  per   il
 pensionato  di  far  valere  il  proprio  buon diritto, sancito dalle
 sentenze Corte cost. 29/31 dicembre 1993 n. 495 e  Corte  cost.  8/10
 giugno 1994, n. 240, e contestato in giudizio dall'I.N.P.S.