ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  188,  secondo
 comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 3 febbraio
 1997 dal pretore di Modena, iscritta al n. 302 del registro ordinanze
 1997  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24,
 prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 14 gennaio 1998 il giudice
 relatore Carlo Mezzanotte.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Il pretore di Modena, quale giudice  dell'esecuzione,  solleva
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  188,  secondo
 comma, del codice penale, nella parte in cui, disponendo che  non  si
 trasmette  agli eredi del condannato l'obbligazione al rimborso delle
 spese di mantenimento di quest'ultimo  negli  istituti  penitenziari,
 omette di prevedere l'intrasmissibilita' agli eredi dell'obbligazione
 al  rimborso  delle spese del processo penale, in ritenuta violazione
 degli artt. 3, primo comma, 27, primo comma e 31, primo comma,  della
 Costituzione;
   Quanto  alla  rilevanza  della questione, il pretore osserva che il
 ricorrente nel giudizio a quo e' padre ed erede di una persona che ha
 subito piu' condanne comportanti il pagamento delle spese processuali
 e che e' deceduta senza adempiere a tali obbligazioni e senza che sia
 stato possibile riscuotere coattivamente il credito dell'erario.
   Quanto alla  non  manifesta  infondatezza,  il  giudice  remittente
 individua  un  primo  profilo  di  illegittimita' costituzionale, per
 violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto la  disposizione
 impugnata  discriminerebbe  la  posizione  degli  eredi  di chi abbia
 riportato condanne penali a pene non detentive, o  a  pena  detentiva
 sostituita  con pena pecuniaria o con altra sanzione sostitutiva, o a
 pena detentiva per altre ragioni  non  eseguita,  rispetto  a  quella
 degli  eredi  di  coloro  che,  condannati  a pena detentiva, abbiano
 scontato la pena prima  del  decesso:  soloquesti  ultimi  potrebbero
 essere  esonerati  dall'obbligo  del  pagamento delle spese derivanti
 dalla  condanna,  mentre  i  primi   riceverebbero   un   trattamento
 deteriore,   non   essendo  loro  concesso  di  ottenere  nemmeno  la
 remissione  del  debito  qualora  versino  in  disagiate   condizioni
 economiche. Poiche', infatti, la legge (art. 56 della legge 26 luglio
 1975,  n.  354,  "Ordinamento penitenziario") accomuna, ai fini della
 remissione del debito, le spese processuali e quelle di  mantenimento
 in  carcere,  l'art.  188,  secondo  comma,  cod. pen., escludendo la
 trasmissibilita'  agli  eredi  del  debito  per  le  sole  spese   di
 mantenimento   in   carcere,   introdurrebbe  per  detti  debiti  una
 disciplina particolare, discriminando irragionevolmente gli eredi dei
 debitori delle spese processuali.
   In sostanza, secondo  il  giudice  a  quo  all'uniforme  disciplina
 dell'obbligo  di  rimborso  delle  spese  processuali  e di quelle di
 mantenimento in  carcere,  entrambe  remittibili  nei  confronti  del
 condannato  in  vita, dovrebbe corrispondere una regolazione uniforme
 dell'obbligo anche per  l'eventualita'  del  decesso  del  condannato
 prima dell'estinzione delle due obbligazioni.
   Sotto  un  diverso  profilo,  il  pretore  rileva  che  il  diverso
 trattamento sarebbe lesivo anche dell'art.  27,  primo  comma,  della
 Costituzione,   laddove  afferma  essere  la  responsabilita'  penale
 personale; da tale principio discenderebbe la  natura  personalissima
 non  solo  della  sanzione  penale,  ma anche della condanna penale e
 delle sue  dirette  conseguenze,  tra  le  quali  dovrebbe  rientrare
 l'obbligo di rimborsare le spese del processo.
   Il   giudice   remittente  ravvisa  infine  un  ultimo  profilo  di
 illegittimita' costituzionale nella violazione  dell'art.  31,  primo
 comma,  della  Costituzione,  in considerazione del fatto che gravati
 delle spese di processi che in nulla li riguardano sarebbero, per  lo
 piu',  familiari  del  condannato  deceduto,  nella  loro qualita' di
 eredi;  si  ridurrebbero  cosi'  le  risorse  economiche  del  nucleo
 familiare per ragioni alle quali esso e' del tutto estraneo.
   2.  -  E'  intervenuto  nel  presente  giudizio  il  Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso   dell'Avvocatura
 generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
   La  disparita'  di trattamento denunciata dal giudice remittente si
 fonderebbe, ad avviso dell'Avvocatura, su una comparazione di termini
 eterogenei:  l'accostamento  tra  spese  del  processo  e  spese   di
 mantenimento  in  carcere operato dall'art. 56 della legge n. 354 del
 1975, ai fini  della  remissione  del  debito,  non  significherebbe,
 infatti,  che  ci  si  trovi di fronte a obblighi di natura omogenea;
 anzi, il legislatore avrebbe differenziato il regime delle  spese  di
 mantenimento  in  carcere  nella  consapevolezza  dell'incidenza, nel
 caso, delle finalita' rieducative connesse all'esecuzione della pena.
 L'art.  56  introdurrebbe,  invece,  un  meccanismo  di   remissione,
 operante  ex  post  e  in  relazione  al  caso  concreto, che avrebbe
 finalita' premiale e di  risarcimento  del  condannato  in  disagiate
 condizioni   economiche.      Si   tratterebbe,   quindi,  di  scelte
 discrezionali del legislatore, giustificate dalle  diverse  finalita'
 dell'attivita'  che  lo  Stato esplica relativamente all'accertamento
 della verita' processuale e all'esecuzione della pena irrogata.
   L'Avvocatura, infine, ritiene infondata la questione in riferimento
 agli altri parametri, rilevando, quanto alla  prospettata  violazione
 dell'art.  27  della  Costituzione,  che  l'obbligo di rimborso delle
 spese processuali costituirebbe non  gia'  esercizio  della  potesta'
 punitiva,  ma  effetto  risarcitorio civile del reato, e, quanto alla
 ipotizzata violazione dell'art. 31 della Costituzione, che la censura
 si baserebbe  su  considerazioni  di  mero  fatto,  sulle  quali  non
 potrebbe fondarsi il sindacato di costituzionalita'.
                        Considerato in diritto
   1. - Questa Corte e' chiamata a decidere se contrasti con gli artt.
 3,   primo   comma,  27,  primo  comma,  e  31,  primo  comma,  della
 Costituzione, l'art. 188, secondo comma,  del  codice  penale,  nella
 parte  in  cui,  disponendo  che  non  si  trasmette  agli  eredi del
 condannato l'obbligo di rimborsare all'erario le  spese  per  il  suo
 mantenimento  negli  stabilimenti di pena, omette di prevedere la non
 trasmissibilita' agli eredi dell'obbligo di rimborsare le  spese  del
 processo penale.
   2. - La questione e' fondata in riferimento agli artt. 3 e 27 della
 Costituzione.
   Prima  della legge sull'ordinamento penitenziario (n. 354 del 1975)
 vi erano  ben  pochi  dubbi  circa  la  natura  dell'obbligazione  di
 rimborso   delle   spese   del   processo   penale:  si  trattava  di
 un'obbligazione civile verso lo Stato posta a carico dell'autore  del
 reato   con  la  sentenza  definitiva  di  condanna.  Era  del  tutto
 conseguente alla configurazione giuridica impressale dal  legislatore
 non  solo  che  dell'adempimento  di  tale obbligazione il condannato
 rispondesse con tutti i suoi  beni,  presenti  e  futuri,  secondo  i
 principi  civilistici  della responsabilita' patrimoniale, ma che, in
 caso di morte del debitore, chiamati a rispondere fossero gli  eredi.
 In   verita',   una   qualche   peculiarita',  rispetto  alle  comuni
 obbligazioni civili, era presente fin dalle origini,  poiche'  l'art.
 273  della  tariffa  penale  approvata  con regio decreto 23 dicembre
 1865, n. 2701, tuttora vigente, prevede l'annullamento degli articoli
 di credito iscritti nel registro del campione penale, oltre  che  nel
 caso  in  cui  sia  decorsa  la  prescrizione,  in  quello  in cui il
 condannato sia deceduto in stato di insolvibilita'. Al  di  fuori  di
 queste  ipotesi,  l'obbligazione  si trasmette agli eredi, secondo le
 disposizioni   del   codice   civile,   sicche'    la    tradizionale
 qualificazione  del  debito  per  spese processuali come obbligazione
 civile era da considerare appropriata e, al  di  la'  della  puntuale
 deroga, coerente con i tratti fondamentali della disciplina positiva.
   3.  -  I  presupposti  giuridici di tale configurazione, alla quale
 anche la giurisprudenza  costituzionale  aveva  in  passato  acceduto
 (sentenze  nn. 30/1964 e 167/1963), sono pero' venuti meno con l'art.
 56 della legge sull'ordinamento penitenziario, a mente del  quale  il
 debito  per le spese di procedimento e di mantenimento e' rimesso nei
 confronti  dei  condannati  e  degli  internati  che  si  trovino  in
 disagiate condizioni economiche ed abbiano tenuto regolare condotta.
   La  considerazione  dell'istituto  della remissione e, soprattutto,
 dei suoi presupposti oggettivi e soggettivi induce a ritenere che  lo
 stesso  debito  di  rimborso  delle  spese  processuali  abbia mutato
 natura: non piu' obbligazione civile retta dai comuni principi  della
 responsabilita'  patrimoniale,  ma sanzione economica accessoria alla
 pena,  in  qualche  modo  partecipe  del  regime  giuridico  e  delle
 finalita'  di  questa.  Il  solo  fatto che dal pagamento delle spese
 processuali  il  condannato  che  versi   in   disagiate   condizioni
 economiche  sia  esentato  se  abbia  osservato una condotta regolare
 denota il penetrare nel rapporto obbligatorio tra condannato debitore
 ed erario creditore di una funzione  estranea  alla  generalita'  dei
 rapporti  di  diritto civile; dimostra il sopravanzare di un fine che
 trascende la sfera degli interessi patrimoniali  delle  parti  ed  il
 prevalere  della  rieducazione  e  del  reinserimento  del condannato
 sull'adempimento dell'obbligo economico.  Il  rapporto  obbligatorio,
 insomma,    viene   investito   dalla   disciplina   dell'ordinamento
 penitenziario in entrambi i lati: nel  lato  passivo  la  figura  del
 debitore  cede  di  fronte  a quella del condannato e nel lato attivo
 l'erario lascia il campo alla giustizia.
   Non a caso, ai fini  della  rimettibilita',  il  debito  per  spese
 processuali viene assoggettato alla medesima disciplina di quello per
 le spese di mantenimento in carcere, la cui natura personalissima era
 gia'  riconosciuta  proprio  dall'articolo  188,  secondo  comma, del
 codice penale, nonostante la collocazione di quest'ultimo debito  tra
 le  obbligazioni  civili  conseguenti  al  reato:  collocazione che a
 seguito  della  entrata  in  vigore  dell'art.  56   dell'ordinamento
 penitenziario  ha  perduto  la  sua, peraltro assai tenue, attitudine
 qualificatoria.
   In verita', la giurisprudenza di questa Corte aveva gia'  colto  il
 mutamento  imposto  dal citato art. 56. Nella sentenza n. 342/1991 e'
 stata,  infatti,  ritenuta   irragionevolmente   discriminatoria   la
 preclusione  della  remissione  delle  spese  del processo penale nei
 confronti di quei condannati i quali, non avendo sofferto (in ragione
 della non rilevante gravita' del reato da loro commesso, della minore
 loro pericolosita' sociale o per qualsiasi altra causa) alcun periodo
 di carcerazione, apparivano semmai  maggiormente  meritevoli  di  una
 agevolazione   economica   che,   seppure   nella   limitata  portata
 dell'istituto,  favorisse  il   loro   reinserimento   sociale.   Pur
 pronunciando  in  quella  occasione  sul  parametro  del solo art. 3,
 questa Corte non aveva mancato di evidenziare le nuove  potenzialita'
 dell'istituto  della  remissione, ispirato da un lato a una finalita'
 premiale per la regolare condotta tenuta dal  condannato,  indice  di
 ravvedimento  e  di avvenuto recupero; e, dall'altro, a una finalita'
 di  agevolazione  del  reinserimento  sociale,  realizzata   con   la
 rimozione  delle  ulteriori  difficolta'  di  ordine economico in cui
 altrimenti verrebbe a trovarsi il condannato  in  ragione  delle  sue
 gia'  disagiate condizioni; ed aveva con cio' stesso, nella sostanza,
 riconosciuto che il tema dell'adempimento dell'obbligo  di  pagamento
 delle spese del processo, dal terreno squisitamente civilistico della
 responsabilita'   patrimoniale,   dove   era  stato  tradizionalmente
 collocato, si era spostato, per scelta  del  legislatore,  in  quello
 della pena e delle finalita' alle quali essa deve tendere.
   4.  -  Tutto cio', va precisato, non era costituzionalmente dovuto.
 Nessuna norma della Costituzione impone, infatti, che lo Stato  esiga
 dal  condannato il rimborso delle spese del processo penale e nessuna
 postula che tali spese gravino sulla collettivita'. Come gia'  questa
 Corte  ha  piu'  volte  riconosciuto  (da  ultimo  nella  sentenza n.
 45/1997), quella delle spese processuali e' materia  nella  quale  il
 legislatore,  salvo  il  limite della ragionevolezza, e' dotato della
 piu' ampia discrezionalita'.
   Ma una  volta  che  la  scelta  legislativa  sia  stata  quella  di
 introdurre  l'istituto della remissione del debito e una volta che in
 questo si sia dato rilievo all'esistenza di  indici  di  ravvedimento
 del  condannato e all'esigenza di agevolame il reinserimento sociale,
 non puo' non risentirne l'intera configurazione dell'obbligazione  di
 rimborso  delle  spese  processuali. La pretesa che tale obbligazione
 mantenga intatta la sua  originaria  natura  e  che  essa  non  venga
 attratta  nell'orbita  dell'art. 27 della Costituzione contraddice al
 canone di ragionevolezza delle  classificazioni  legislative.  Si  e'
 infatti  in presenza di una obbligazione che non puo' non partecipare
 del carattere della personalita' che e' proprio  di  tutte  le  pene,
 nessuna  delle  quali  e' trasmissibile agli eredi poiche' questi non
 sono autori del reato, ne' hanno dato in alcun modo causa al processo
 penale.
   Deve pertanto essere dichiarata la  illegittimita'  costituzionale,
 per  contrasto  con  gli  artt.  3 e 27 della Costituzione, dell'art.
 188, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui  omette  di
 prevedere   la   non  trasmissibilita'  agli  eredi  dell'obbligo  di
 rimborsare le spese del processo penale.
   Resta assorbito ogni altro profilo.
   5. - In applicazione dell'art. 27 della legge  11  marzo  1953,  n.
 87,  deve  essere  conseguenzialmente  dichiarata  la  illegittimita'
 costituzionale parziale dell'art. 273 del r.d. 23 dicembre  1865,  n.
 2701  (che ha natura di decreto legislativo, come risulta anche dalla
 espressa qualificazione contenuta nell'art. 1 della legge  29  giugno
 1882, n. 835, di riforma delle tariffe giudiziarie), secondo il quale
 l'iscrizione  degli  articoli  di  credito  nel registro del campione
 penale e'  annullato  se  il  condannato  e'  deceduto  in  stato  di
 insolvibilita',   da   accertarsi   con  dichiarazione  della  giunta
 municipale.   Tale   disposizione,   consentendo   la    trasmissione
 dell'obbligazione  per  spese  processuali  agli eredi del condannato
 solvibile, contrasta, al pari del richiamato art.  188 cod. pen., con
 il canone di ragionevolezza delle classificazioni legislative (art. 3
 della Costituzione) e con il principio, risultante dall'art. 27 della
 Costituzione,  secondo  il  quale  anche   le   sanzioni   economiche
 accessorie alla pena hanno carattere personale.