Ricorso della regione Lombardia, in persona  del  presidente  della
 giunta  regionale pro-tempore, on. Roberto Formigoni, autorizzato con
 delibera  di  giunta  regionale  n.  40338  del  18  dicembre   1998,
 rappresentato  e difeso, come da mandato a margine del presente atto,
 dal prof.  avv. Beniamino Caravita di Torito e presso il  suo  studio
 elettivamente domiciliato in Roma, via di Porta Pinciana, 6;
   Contro  il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la
 dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  di  alcuni  articoli
 della  legge 30 novembre 1998, n. 419, recante "Delega al Governo per
 la  razionalizzazione  del  Servizio  sanitario   nazionale   e   per
 l'adozione   di  un  testo  unico  in  materia  di  organizzazione  e
 funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al  decreto
 legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502",  pubblicata  in  Gazzetta
 Ufficiale, serie generale, n. 286 del 7 dicembre 1998.
                               F a t t o
 Con la legge 30 novembre 1998, n. 419 e' stato affidato al Governo il
 compito  di  emanare  uno  o  piu'  decreti  legislativi   contenenti
 disposizioni  correttive  e modificative del d.lgs. 30 dicembre 1992,
 n. 502 e successive modificazioni.  L'art. 1 della legge n.  419/1998
 stabilisce che l'esercizio dei poteri delegati dovra' essere ispirato
 ai  principi  e criteri direttivi indicati dall'art. 2.  L'art. 3, ai
 commi   1   e   2,   apporta   direttamente   specifiche   modifiche,
 rispettivamente, agli artt. 3, comma 6, e 6, comma 1, del d.lgs.   n.
 502/1992.    Al Governo e', inoltre, affidato, all'art. 4, l'incarico
 di emanare un decreto legislativo recante "testo unico delle leggi  e
 degli  atti  aventi forza di legge concernenti l'organizzazione ed il
 lunzionamento  del  Servizio  sanitario  nazionale",  nel  quale   le
 disposizioni  emanate  con  i  decreti  delegati  di  cui  all'art. 1
 dovranno essere coordinate con quelle vigenti nella stessa materia e,
 in particolare, con quelle dettate dalla  legge  n.  833/1978  e  dal
 d.lgs.    n. 502/1992.  Gli artt. 5 e 6 delegano, rispettivamente, il
 Governo ad emanare uno o piu' decreti legislativi di  riordino  della
 medicina  penitenziaria  e  uno  o  piu'  decreti legislativi volti a
 ridefinire  i  rapporti   tra   Servizio   sanitario   nazionale   ed
 universita',  indicando  per  ciascuna di tali materie i principi e i
 criteri  direttivi  cui  dovranno  attenersi  i   decreti   delegati.
 Dall'esame  delle  disposizioni  della  legge  n.  419/1998 si evince
 chiaramente come l'intento del legislatore statale sia  stato  quello
 di   pervenire,  attraverso  la  successiva  emanazione  dei  decreti
 delegati, ad un profondo  riordino  delle  competenze  nella  materia
 della   sanita'.    Non  si  fatica,  tuttavia,  a  leggere  in  cio'
 un'ispirazione verso una tendenziale  compressione  delle  competenze
 regionali  in  materia.  E  cio'  nonostante il recente intervento di
 conferimento di funzioni e compiti alle regioni attuato con il d.lgs.
 31 marzo 1998, n. 112 che, al titolo IV, ha provveduto  a  ridefinire
 la  distribuzione  delle  competenze  tra  lo  Stato  e le regioni in
 materia sanitaria.   La legge  n.  419/1998,  inoltre,  si  aggiunge,
 contraddicendoli,  ai  precedenti e recenti interventi legislativi in
 materia  sanitaria,  rendendo  ancor  piu'   palese   l'atteggiamento
 incoerente  assunto  sin ora dal legislatore statale nella disciplina
 del sistema sanitario.  Il legislatore statale, infatti, in un  lasso
 di  tempo  estremamente  breve,  ha emanato successivi e contrastanti
 provvedimenti tesi a disciplinare  il  sistema  sanitario  nazionale,
 passando   dalla  valorizzazione  del  ruolo  dei  comuni  (legge  n.
 833/1978), alla regionalizzazione attuata  con  d.lgs.  n.  502/1992,
 fino   alla  centralizzazione  palesata  dal  testo  in  esame.    Il
 risultato, oltre  ad  un'inevitabile  sovrapposizione  di  norme,  e'
 quello di un significativo arretramento delle competenze regionali in
 materia.
  La legge n. 419/1998, inoltre, nell'attribuire al Governo il compito
 di  ridisciplinare  numerosi  aspetti  dell'organizzazione  sanitaria
 regionale, rischia di porre nel nulla la disciplina concreta di  tale
 organizzazione   posta   in   essere  dal  legislatore  regionale  in
 attuazione di quanto previsto dal d.lgs. 30 dicembre  1992,  n.  502.
 Solo  di recente, infatti, con la l.r. n. 31/1997, recante "Norme per
 il riordino del servizio sanitario regionale e sua  integrazione  con
 l'attivita' dei servizi sociali", pubblicata nel bollettino ufficiale
 della  regione  n.  28  dell'11  luglio 1997, la regione Lombardia ha
 portato a compimento, a  seguito  di  un  iter  legislativo  lungo  e
 travagliato  il processo legislativo di riorganizzazione del servizio
 sanitario  regionale.    A  tale  riorganizzazione  e'   seguita   la
 difficoltosa    fase   dell'attivazione   delle   Aziende   sanitarie
 regionali, delle  Aziende  ospedaliere,  della  nomina  dei  relativi
 organi,  dell'accreditamento  delle  strutture  sanitarie pubbliche e
 private.  A distanza, dunque, di un lasso di tempo  brevissimo  dalla
 riorganizzazione  effettiva del sistema sanitario regionale, la legge
 n. 419/1998, nel dettare nuove regole in  materia  di  organizzazione
 sanitaria,  rischia  di  porre  nel  nulla il lungo e delicato lavoro
 posto in essere dalla regione Lombardia in attuazione delle direttive
 fissate dal legislatore statale nel d.lgs. n.  502/1992.    Ne'  tale
 legge  sembra tener conto della situazione di difficolta' nella quale
 pone le regioni: manca, infatti, nel testo della legge una  norma  di
 salvaguardia  che  preveda un congruo termine per l'adeguamento delle
 legislazioni regionali ai nuovi principi da essa fissati.
  La legge n. 419/1998 appare, dunque, per molteplici  aspetti  lesiva
 dell'autonomia   costituzionalmente   attribuita   alle   regioni  e,
 pertanto, risulta illegittima per i seguenti motivi;
                             D i r i t t o
 1. - Violazione dell'art. 76   Cost. da parte  degli  artt.  1  e  2.
 L'art. 1, comma 1, attribuisce al Governo l'incarico di emanare uno o
 piu'   decreti  legislativi  contenenti  disposizioni  correttive  ed
 integrative del d.lgs. n. 502/1992 "sulla base  dei  principi  e  dei
 criteri  direttivi  previsti  dall'art.  2".    Se  si  tiene a mente
 l'insegnamento tradizionale secondo cui  la  delega  legislativa  non
 puo'  riguardare  generiche  materie  o generici settori, bensi' deve
 fare  riferimento  ad  oggetti  definiti  e  precisi,   leggendo   le
 disposizioni  contenute  nell'art.  2  si  evince chiaramente come la
 maggioranza di esse, anziche' dettare principi e  criteri  direttivi,
 talvolta  individuino, talaltra precisino l'oggetto della delega.  In
 sostanza, la legge n. 419/1998 definisce come "oggetto" della  delega
 una  genericissima  "modifica"  ed  "integrazione"  del  d.lgs.    n.
 502/1992, per poi prevedere e qualificare come criteri e principi  di
 tale  oggetto  le  singole  previsioni  delle  lettere  da  a)  a qq)
 dell'art.   2; ma queste, a  ben  vedere,  non  fanno  che  esplicare
 l'oggetto  della  delega  preannunciato dall'art. 1, e solo raramente
 individuano criteri e principi.   Ne'  i  pochi  criteri  e  principi
 indicati  in  alcune  delle  lettere  dell'art.  2,  comma 1, possono
 ritenersi estensibili alle altre lettere dello stesso comma,  essendo
 stati  dettati in relazione allo specifico settore disciplinato dalla
 singola lettera.   Esempi piu'  eclatanti  della  confusione  cui  e'
 incorso  il  legislatore delegante sono costituiti dal disposto delle
 lettere c), i), m), n), r), s) u), z), aa), bb), dd), ff), gg),  ii),
 pp), qq) dell'art.  2, comma 1.  Cosa altro e' se non "oggetto" della
 delega  il  "regolare  la  collaborazione  tra  i  soggetti  pubblici
 interessati" (lett.  c);  ovvero  "attribuire...    i  compiti  e  le
 funzioni  tecnico scientifici e di coordinamento tecnico all'Istituto
 superiore di sanita', all'agenzia per i servizi sanitari regionali  e
 all'Istituto  superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro"
 (lett. i)?  E si potrebbe continuare: il  "ridefinire  il  ruolo  del
 Piano  sanitario  nazionale"  (lett. aa) e' solo un possibile oggetto
 della delega al quale mancano principi e  criteri  direttivi.    Che,
 nella  maggior  parte  dei casi, le lettere del comma 1 dell'art.  2,
 contengano "oggetti", senza "principi e criteri" e' infine dimostrato
 da  quei  rari  casi  in   cui   l'individuazione   dell'oggetto   e'
 accompagnata da qualche indicazione o direttiva d'intervento.  Cosi',
 ad esempio, nel punto cc), si attribuisce la delega al riordino delle
 forme  integrative  di  assistenza  sanitaria "precisando che esse si
 riferiscono a prestazioni aggiuntive, eccedenti i livelli uniformi ed
 essenziali di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale,  con
 questi  comunque  integrate,  ammettendo  altresi  la facolta' per le
 regioni le province autonome e gli enti locali e per i loro  consorzi
 di  partecipare  alla  gestione  delle  stesse  forme  integrative di
 assistenza".   Le norme indicate  si  pongono,  pertanto,  in  chiaro
 contrasto  con  quanto  previsto  dall'art.  76  della  Costituzione,
 richiedendo tale disposizione tra i requisiti della legge  di  delega
 "la  determinazione  dei  principi  e dei criteri direttivi".   A tal
 proposito, questa ecc.ma Corte ha piu' volte affermato che  la  legge
 di   delega  deve  contenere,  oltre  ai  limiti  di  durata  e  alla
 definizione dell'oggetto, anche l'indicazione dei principi e  criteri
 direttivi  e che "all'uopo il precetto costituzionale e' da ritenersi
 soddisfatto  allorche'  sono  date  al  legislatore  delegato   delle
 direttive   vincolanti,   ragionevolmente   limitatrici   della   sua
 discrezionalita' e delle  indicazioni  che  riguardino  il  contenuto
 della disciplina delegata, mentre allo stesso legislatore delegato e'
 demandata la realizzazione,  secondo modalita' tecniche prestabilite,
 delle  esigenze,  delle  finalita'  e degli interessi considerati dal
 legislatore delegante" (sent.  n. 158/1985).   E' pur  vero  che,  in
 alcuni casi, codesta ecc.ma Corte ha riconosciuto che "la limitatezza
 delle  finalita'  da  raggiungere giustifica adeguatamente la mancata
 indicazione di principi e criteri specifici" (sent.  n.    299/1993).
 Non sembra, tuttavia, che tale situazione ricorra nel caso di specie,
 e  cio'  in  quanto  se dalla lettura dell'art. 1, comma 1, l'oggetto
 della  delega  sembra  essere  circoscritto  alla  modifica  e   alla
 integrazione  di alcune disposizioni del d.lgs. n. 502/1992, esso, in
 realta', si snoda nelle numerosissime norme contenute  nelle  lettere
 del  comma  1,  dell'art. 2, che, a loro volta, intervengono su quasi
 tutti i settori gia' disciplinati dal d.lgs. n. 502/1992.   L'oggetto
 della  delega  contenuta  nella  legge  n.  419/1998,  dunque, non e'
 affatto limitato, bensi' e' molto ampio: la mancata  indicazione  dei
 principi non puo', pertanto, ritenersi giustificata neppure alla luce
 di  quanto statuito dalla giurisprudenza costituzionale.  Ne' si puo'
 ritenere che nel caso di specie la determinazione dei principi e  dei
 criteri  direttivi  sia  avvenuta  per  relationem con riferimento al
 d.lgs. n. 502/1992.  Questa ecc.ma Corte ha, infatti,  affermato  che
 "la  determinazione  dei  principi  e  dei  criteri  direttivi di cui
 all'art. 76 Cost. ben puo' avvenire per relationem,  con  riferimento
 ad  altri  atti normativi, purche' sufficientemente specifici" (sent.
 n. 157/1985).    Nel  testo  degli  artt.  1  e  2  non  e',  invece,
 rinvenibile   alcuna   norma  che  disponga  il  rinvio  ai  principi
 desumibili dal d.lgs. n.  502/1992.  Sebbene, infatti,  alcune  delle
 lettere  contenute  nel comma 2 dell'art.  1, contengono disposizioni
 di completamento della disciplina introdotta
  dal d.lgs. n. 502/1992, e, come tali, potrebbero ritenersi  ispirate
 ai principi desumibili da tale decreto legislativo, la maggioranza di
 esse  detta  disposizioni  di  modifica  spesso contrastanti con tali
 principi.  Negli artt. 1 e 2, e', dunque, ravvisabile una sostanziale
 carenza o, quantomeno, insufficienza dei principi e criteri direttivi
 richiesti dall'art. 76 Cost., quali requisiti necessari  della  legge
 di  delega.  Incongrua, incoerente e in contrasto con l'art. 76 Cost.
 e' poi la struttura di tutte le disposizioni di delega.   La  formula
 secondo  cui  oggetto  della delega sono "disposizioni modificative e
 integrative del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502" e' contraddetta  dal
 lunghissimo  elenco  dell'art. 2.  Sembra quasi che non si sia voluto
 definire  la  delega  come  delega  alla riorganizzazione del sistema
 sanitario e si sia  invece  voluto  simulare  il  reale  intento  del
 legislatore  sotto  la formula anodina e riduttiva dell'art. 1, comma
 1.    In  realta'  delegare  il  Governo  ad  emanare   "disposizioni
 integrative  e  modificative" di un altro atto dovrebbe sottintendere
 la volonta' di muoversi all'interno della logica e  dei  principi  di
 quell'atto.   Cio', d'altra parte, sembrerebbe confermato dal comma 2
 dell'art.  1, secondo cui "L'esercizio della delega di cui al comma 1
 deve avvenire nel rispetto delle competenze trasferite  alle  regioni
 con  il d.lgs.  31 marzo 1998, n. 112, in attuazione del capo I della
 legge 15 marzo 1997, n. 59".
 Tutto cio' e' invece contraddetto, come si vedra' anche in  dettaglio
 piu'  avanti,  dai singoli punti dell'art. 2, che si pongono talvolta
 in netta  contraddizione  con  le  scelte  del  d.lgs.  n.  502/1992,
 confermate,  peraltro,  dal  d.lgs.    n. 112/1998.   2. - Violazione
 dell'art. 117 Cost. in relazione al titolo  V  del  d.lgs.  31  marzo
 1998, n. 112, al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, e alla giurisprudenza
 costituzionale  in  materia  da parte dell'art.   1, commi 2 e 3.  Il
 comma 2 dell'art. 1, nello stabilire  che  l'esercizio  della  delega
 deve avvenire nel rispetto dei conferimenti effettuati a favore delle
 regioni  ad opera del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, sembra dimostrare
 di voler tener conto della distribuzione delle competenze tra Stato e
 regioni effettuata di recente dal d.lgs.  n.  112/1998;  tuttavia  al
 comma  2,  nell'individuare  la  procedura  di  adozione  dei decreti
 delegati, stabilisce che sugli schemi dei decreti delegati il Governo
 acquisisce il parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del
 d.lgs. n. 281/1997.   La circostanza che venga  richiesto  il  parere
 della  Conferenza  unificata,  piuttosto  che quello della Conferenza
 Stato-regioni, sminuisce chiaramente il ruolo di partecipazione delle
 regioni alla riorganizzazione del sistema  sanitario.    E  cio',  in
 particolare,  alla  luce  di  quanto  stabilito dall'art.   117 della
 Costituzione, in base al quale la materia dell'assistenza sanitaria e
 ospedaliera  rientra  nella  competenza  delle  regioni.    Gli  enti
 regionali  costituiscono,  secondo  quanto stabilito dall'art.   117,
 primo comma, della Costituzione, gli interlocutori privilegiati dello
 Stato  in  materia   di   assistenza   sanitaria.      Un   eventuale
 coinvolgimento  degli enti locali ha, quindi, un senso solo in quanto
 disposto dalle regioni, quali enti titolari di competenza legislativa
 propria in materia di assistenza sanitaria, e  da  esse  organizzato.
 La questione della spettanza della competenza ad esprimere parere nel
 caso  di  specie  va,  dunque,  risolta  alla luce di quanto previsto
 dall'art. 117.  A cio' si aggiunga che il d.lgs. 28 agosto  1997,  n.
 281,  nel  disciplinare  le  funzioni della Conferenza Stato-regioni,
 all'art. 2, comma  3,  stabilisce  espressamente  che  la  Conferenza
 Stato-regioni  e'  obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di
 disegno di legge e  di  decreto  legislativo  o  di  regolamento  del
 Governo nelle materie di competenza delle regioni.  Nella sentenza n.
 408/1998,  la Corte cosi' commenta tale disposizione "L'art. 2, comma
 3,  del  d.lgs.  n.  281   stabilisce   che   essa   (la   Conferenza
 Stato-regioni)  e'  obbligatoriamente sentita in ''ordine agli schemi
 di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo  nelle
 materie    di   competenza   delle   regioni'',   generalizzando   la
 partecipazione    consultiva    obbligatoria     sull'attivita'     e
 sull'iniziativa  normativa  del  Governo  nelle  materie  regionali".
 Quanto  alle  competenze della Conferenza unificata l'art. 9, comma 2
 del d.lgs. n. 281/1997 stabilisce che essa "e' comunque competente in
 tutti i casi in cui regioni, comuni e  comunita'  montane  ovvero  la
 Conferenza   Stato-regioni   e  la  Conferenza  Stato-citta'  debbano
 esprimersi sul medesimo oggetto".  L'art. 2, inoltre, alla  lett.  a)
 nello   specificare   le   competenze   della  Conferenza  unificata,
 stabilisce che essa esprime parere sul disegno di legge finanziaria e
 sui  disegni  di  legge  collegati;  sul  disegno  di  programmazione
 economica e finanziaria; sugli schemi di decreto legislativo adottati
 in base all'art. 1 della legge n. 59/1997.  Anche alla luce di quanto
 stabilito  dall'art.  2 del d.lgs. n. 281/1997, dunque, la competenza
 della Conferenza unificata ad esprimere parere in ordine agli  schemi
 di  decreto  legislativo  contemplati  dall'art.   1 della legge   n.
 419/1998 deve ritenersi esclusa.   Ne', d'altra parte,  e'  possibile
 ritenere  una  competenza della Conferenza unificata in materia sulla
 base di quanto previsto dalla prima parte del comma  2  dell'art.  9,
 del  d.lgs.  n.  281/1997,  dove  si  stabilisce  che  la  Conferenza
 unificata e' competente  quando  la  Conferenza  Stato-regioni  e  la
 Conferenza  Stato-citta'  "debbano  esprimersi sul medesimo oggetto".
 Dalla lettura del comma 5 dell'art. 9,  che  disciplina  le  funzioni
 della  Conferenza  Stato-citta'  non e' possibile desumere competenze
 della stessa in materia di assistenza sanitaria: tale norma, infatti,
 riconduce le competenze della Conferenza Stato-citta'  essenzialmente
 alla  sfera  degli  interessi  che  fanno capo alle autonomie locali.
 D'altra parte, se e' vero che questa ecc.ma Corte.  nel  pronunciarsi
 in  ordine  alla  questione  di legittimita' costituzionale sollevata
 dalla regione Puglia in ordine  alla  unificazione  della  Conferenza
 Stato-regioni  con  la Conferenza Stato-citta', attuata con il d.lgs.
 n. 281/1997, ha  riconosciuto  che  la  previsione  della  Conferenza
 unificata  costituisce  "una scelta discrezionale del legislatore non
 in contrasto con la Costituzione", e' anche vero  che  questa  ecc.ma
 Corte  ha  ritenuto  la  legittimita' costituzionale della Conferenza
 unificata "quale strumento  di  raccordo  fra  Governo  e  autonomie,
 allorche'  siano  in  discussione  argomenti  di intresse comune vuoi
 delle regioni vuoi degli enti locali" (sent.  n.  408/1998).    E  la
 materia   dell'assistenza   sanitaria,  in  quanto  rientrante  nella
 competenza delle regioni, non  sembra  possa  ritenersi,  se  non  in
 maniera molto limitata, e comunque generica di interesse comune delle
 regioni  e  degli enti locali.  A cio' si aggiunga che, con la stessa
 sentenza,  questa  ecc.ma  Corte,  nel  respingere  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.    3,  comma 4, del d.lgs. n.
 281/1997 (relativa alla derogabilita' dell'intesa con  la  Conferenza
 Stato-regioni  per  motivi  di urgenza) ha specificato che "nei casi,
 invece, in cui il parere della conferenza o l'intesa con la  medesima
 si   configuri   in   concreto,   come   espressione  di  un  vincolo
 costituzionale discendente dalla particolarita'  dell'oggetto,  o  di
 obblighi  comunque  non  derogabili  dal  legislatore  ordinario, non
 potrebbe lasciarsi alla determinazione del Governo, nemmeno  in  nome
 di ragioni di urgenza, la scelta fra la sottoposizione dell'atto alla
 conferenza  in  via  preventiva,  ai fini del parere o dell'intesa, e
 sottoposizione ad essa, in via successiva  dell'atto  adottato  senza
 previo  parere o previa intesa".  La statuizione della Corte, sebbene
 intervenuta in  ordine  ad  una  fattispecie  diversa  da  quella  in
 questione   -  derogabilita'  del  parere/intesa  con  la  Conferenza
 Stato-regioni per motivi di urgenza - puo' tuttavia ritenersi ad essa
 applicabile.    Nel  caso  di  specie,  infatti,  la  "particolarita'
 dell'oggetto" - materia espressamente attribuita dall'art. 117  della
 Costituzione   alla   competenza   delle   regioni  -  impone,  senza
 possibilita' di deroghe, che  la  Conferenza  Stato-regioni,  e  solo
 essa,  venga  obbligatoriamente  sentita  in  ordine  agli  schemi di
 decreto legislativo contemplati dall'art. 1 della legge n.  419/1998.
 3.  -  Violazione  degli artt. 117 e 118 Cost. da parte dell'art.  2,
 comma 1, lett. b).  L'art. 1, al comma 2, lett. b) delega il  Governo
 oltre   che   "a  completare  il  processo  di  regionalizzazione"  a
 "verificare e  completare  il  processo  di  aziendalizzazione  delle
 strutture del Servizio sanitario nazionale".  Si e' gia' accennato al
 lavoro  svolto  dalla  regione Lombardia in materia.   Con la l.r. n.
 31/1997, recante  "Norme  per  il  riordino  del  servizio  sanitario
 regionale  e  sua  integrazione con l'attivita' dei servizi sociali",
 pubblicata nel bollettino  ufficiale  della  regione  n.  28  dell'11
 luglio  1997,  la  regione  ha, solo di recente, dato attuazione alle
 direttive  impartite  dal  d.lgs.  n.  502/1992,   provvedendo   alla
 riorganizzazione   del  Servizio  sanitario  regionale.    A  seguito
 dell'avvenuta riorganizzazione la regione ha provveduto  ad  attivare
 le  diverse  strutture che compongono il Sistema sanitario regionale,
 provvedendo alla nomina dei relativi organi.   La previsione  ridonda
 in   una  illegittima  violazione  e  compressione  delle  competenze
 regionali: e cio' non solo perche' un intervento del Governo  che  si
 sostanzi  nella  verifica  del  processo  di  aziendalizzazione, deve
 essere  considerato  del   tutto   superfluo   ed   ingerente   sulla
 riorganizzazione   ormai  effettuata  a  livello  regionale,  quanto,
 soprattutto, perche' l'art. 1, comma 2, lett. b), non indica in alcun
 modo i criteri sulla base dei quali il Governo dovra'  effettuare  la
 verifica  e  il  completamento del processo di aziendalizzazione.  Si
 dimostra ancora una volta il modo elusivo dell'art. 76 Cost.  con cui
 ha proceduto il legislatore delegato.  L'art. 2, comma 1,  lett.  b),
 contiene  poi una intima contraddizione logica; gli unici criteri con
 cui puo' essere "verificato" il processo di  aziendalizzazione  delle
 strutture  del  Servizio  sanitario  regionale sono solo quelli sulla
 base dei quali il processo di aziendalizzazione e'  stato  avviato  e
 compiuto: vale a dire quelli dettati a livello generale dal d.lgs. n.
 502/1992  e specificati dalle leggi regionali di attuazione e cio' in
 quanto  il  processo  di  aziendalizzazione  e'  stato  attivato   in
 attuazione di quanto indicato da tale decreto legislativo.  Una volta
 emanate  le  leggi  di  attuazione  del  d.lgs.  n. 502/1992, spetta,
 dunque, alle regioni, nell'esercizio della potesta' organizzativa  in
 materia  verificare  se  in concreto il processo di aziendalizzazione
 sia stato effettivamente portato a compimento secondo quanto disposto
 dal legislatore regionale.  Il legislatore nazionale non potra' certo
 intervenire in  corso  d'opera,  arrogandosi  poteri  di  verifica  e
 dettando  criteri  diversi  da  quelli  gia'  esistenti nel d.lgs. n.
 502/1992.  4. - Violazione degli artt. 3, 117 e 118  Cost.  da  parte
 dell'art.    2,  comma  1,  lett.  c).   L'art. 2, comma 1, lett. c),
 secondo periodo, delega  il  Governo  a  "regolare  e  distribuire  i
 compiti tra i soggetti pubblici interessati ed i soggetti privati, in
 particolare  quelli del privato sociale non aventi scopo di lucro, al
 fine del raggiungimento degli obiettivi di salute  determinati  dalla
 programmazione  sanitaria".    Nella  sua  genericita'  (tale  da non
 permettere  che  la  formulazione  abbia  valore  di  criterio  o  di
 principio),  la  disposizione  in  oggetto  contiene   un'indicazione
 estremamente grave.  Essa, infatti, utilizza un criterio distributivo
 che,  anziche'  tener conto del tipo di attivita' svolta dal soggetto
 privato, si basa sulla natura giuridica del soggetto stesso.    Tutta
 la  disciplina  piu'  recente  del  Servizio  sanitario,  nazionale e
 regionale, parte  dall'idea  che  ad  esso  possano  partecipare,  in
 posizione  di  parita',  soggetti  pubblici  e privati; tutti possono
 contribuire agli obiettivi del Servizio  sanitario  nazionale  e  del
 Servizio   sanitario   regionale;   tra  di  essi  saranno  possibili
 differenziazioni  solo  in  ordine  alle  attivita'  svolte  e   alle
 prestazioni  erogate;  non gia' genericamente sulla base della natura
 giuridica.  E' la logica della concorrenza tra  soggetti  pubblici  e
 soggetti privati nella costituzione del Servizio sanitario nazionale,
 che e' stata portata avanti da molte regioni e non solo dalla regione
 Lombardia,  attraverso  leggi  recenti  che  hanno passato indenni il
 vaglio del controllo governativo.  Ora la formulazione della lett. c)
 contiene il pericoloso germe  -  contraddittorio  con  il  d.lgs.  n.
 502/1992,   che   si   dice   di   voler   solo  integrare,  -  della
 differenziazione tra i soggetti in ragione della loro natura e non in
 ragione delle loro funzioni.  La disposizione in oggetto risulta  poi
 chiaramente  lesiva  dell'art.    3  Cost.,  sotto  il  profilo della
 irragionevolezza del criterio utilizzato,  nonche'  delle  competenze
 costituzionalmente riconosciute alle regioni in materia di assistenza
 sanitaria dagli artt. 117 e 118 Cost. Appare del tutto irragionevole,
 infatti,  privilegiare  tra  i  soggetti privati quelli che non hanno
 scopo di lucro.  A cio' si aggiunga che la disposizione impugnata non
 prevede,  in  violazione  degli  artt.  117  e   118   Cost.,   alcun
 coinvolgimento  delle  regioni  nell'attivita'  di  distribuzione dei
 compiti tra soggetti pubblici e privati.   Inoltre, nell'operare  una
 distribuzione  irragionevole  dei  compiti  tra  soggetti  erogatori,
 l'art.  2,  comma  1,  lett.  c),  appare  idoneo  ad  ostacolare  il
 raggiungimento degli obiettivi fissati dalla programmazione sanitaria
 regionale.   5. - Violazione degli art. 117, 118 e dell'art. 97 Cost.
 da parte dell'art. 2, comma 1, punti  l)  e  u);  contraddittorieta'.
 L'art. 2, comma 1, lett. l), affida ai decreti delegati il compito di
 potenziare  il  ruolo  dei  comuni nei procedimenti di programmazione
 sanitaria regionale, anche con la creazione di un apposito organismo,
 e nei procedimenti di valutazione dei risultati delle A.S.L. e  delle
 A.O.,   nonche'  quello  di  prevedere  la  facolta'  dei  comuni  di
 assicurare  livelli  di  assistenza  aggiuntiva  rispetto  a   quelli
 garantiti  dalla  stessa  programmazione.    La lett. u) dello stesso
 articolo, impone al  Governo  di  assicurare  il  coinvolgimento  dei
 comuni  nel  procedimento di revoca e nel procedimento di valutazione
 dei direttori generali, con riguardo ai  risultati  conseguiti  dalle
 A.S.L.  e  dalle  A.O.,  rispetto agli obiettivi della programmazione
 sanitaria regionale e locale.   E' evidente come  dalle  disposizioni
 indicate  derivi una pesantissima ed illegittima ingerenza dei comuni
 all'interno di  un  settore  di  competenza  regionale.    Come  gia'
 sottolineato  sopra  sub  par.  2),  ai  sensi  dell'art.  117  della
 Costituzione,  spetta  alle  regioni  la  competenza  in  materia  di
 assistenza  sanitaria.    Quanto  alla  potesta' amministrativa nelle
 materie di cui  all'art.    117  Cost.,  l'art.  118  stabilisce  che
 "Spettano  alla  regione  le  funzioni  amministrative  nelle materie
 elencate   nel   precedente   articolo,  salvo  quelle  di  interesse
 esclusivamente locale, che  possono  essere  attribuite  dalle  leggi
 della  Repubblica alle province, ai comuni e agli altri enti locali".
 L'art. 128 Cost. stabilisce che "Le province e  i  comuni  sono  enti
 autonomi  nell'ambito dei principi fissati dalle leggi generali della
 Repubblica che ne determinano le funzioni".  Con tali  norme  vengono
 individuati   a  livello  costituzionale  i  criteri  base  cui  fare
 riferimento al fine stabilire la distribuzione delle  competenze  fra
 lo Stato, le regioni e gli enti locali.  Sul tema della distribuzione
 delle competenze si e' pronunciata di recente questa ecc.ma Corte, la
 quale  chimata  a decidere in ordine alla legittimita' costituzionale
 del  conferimento  di  funzioni  alle  regioni  e  agli  enti  locali
 effettuato dalla legge n. 59/1997, nello stabilire che il legislatore
 statale gode, nell'esercizio dei poteri attribuitigli dagli artt. 118
 e   128   della   Costituzione,  di  spazi  di  discrezionalita',  ha
 sottolineato che "cio' che rileva dal punto di  vista  costituzionale
 e'  che  non  siano  violate  le sfere di attribuzioni garantite alle
 regioni nonche', a livello di principio, a comuni e  province,  dalle
 norme costituzionali, e piu' in generale che la disciplina di riparto
 di competenze e dei rapporti tra Stato, regioni ed enti locali sia in
 armonia  con  le  regole  e  i  principi derivanti dalle stesse norme
 costituzionali".  In particolare, questa ecc.ma Corte ha riconosciuto
 la legittimita' costituzionale della legge n. 59/1997 "nella parte in
 cui opera una netta distinzione fra le materie spettanti alle regioni
 ai sensi dell'art. 117 Cost.,  nel  cui  ambito  e'  fondamentalmente
 rimesso  alle regioni stesse il compito di individuare le funzioni da
 decentrare e quelle che, invece, richiedono "l'unitario  esercizio  a
 livello  regionale",  e  le  altre materie, nelle quali il riparto di
 funzioni attraverso la delega alle regioni o l'attribuzione agli enti
 locali e' direttamente effettuato dai  decreti  delegati"  (sent.  n.
 408/1998).    La distribuzione di funzioni tra regioni ed enti locali
 deve dunque avvenire nel rispetto delle "attribuzioni garantite  alle
 regioni,  nonche',  a livello di principio a comuni e province, dalle
 norme costituzionali".   Cio' vuol dire che,  in  materia  sanitaria,
 spetta  essenzialmente  alle  regioni stabilire se ed in quali limiti
 coinvolgere i comuni in attivita' quali quella di programmazione,  di
 verifica  dell'attivita'  svolta  dalle  strutture  sanitarie e dagli
 organi ad esse preposti.
 Quanto  alle  funzioni  amministrative  relative  alle   materie   di
 competenza regionale, l'attribuzione delle stesse agli enti locali da
 parte  del  legislatore statale si giustifica, come stabilisce l'art.
 118, primo  comma,  Cost.,  solo  rispetto  "a  quelle  di  interesse
 esclusivamente locale".  A cio' si aggiunga che l'art. 114 del d.lgs.
 31  marzo  1998, n.  112, nel conferire alle regioni, ad eccezione di
 quelle espressamente riservate allo Stato,  tutte  le  funzioni  e  i
 compiti amministrativi in tema di salute umana e sanita' veterinaria,
 ha  specificato che i suddetti conferimenti alle regioni si intendono
 effettuati come "trasferimenti". L'indiscriminato  potenziamento  del
 ruolo   dei  comuni,  dunque,  cosi'  come  prospettato  dalle  norme
 impugnate, rischia di  interferire  in  modo  del  tutto  illogico  e
 irrazionale  in  un'attivita'  che  e' propria delle regioni.   Basti
 pensare agli effetti che e' suscettibile di  produrre  la  previsione
 del potenziamento del ruolo dei comuni nei procedimenti di revoca dei
 direttori  generali:  il rapporto di fiducia instaurato dalle regioni
 con  la  nomina direttori generali, e confermato anche dalla legge in
 oggetto (punto u), subirebbe una  frattura  irrimediabile.    In  tal
 modo,  inoltre,  si  corre il rischio di permettere azioni di veto da
 parte dei comuni con la relativa e consequenziale impossibilita'  per
 i direttori generali di intraprendere vere azioni di riorganizzazione
 e   razionalizzazione   delle  aziende.    Tale  previsione  risulta,
 pertanto, idonea a  ledere  il  principio  di  buon  andamento  della
 pubblica amministrazione sancito dall'art.  97 Cost.
  L'intervento comunale nella valutazione e nella revoca dei direttori
 generali,  inoltre, falsa gravemente la collocazione di questi ultimi
 ed  impedisce  alla  regione  una  seria  programmazione   sanitaria.
 Fortemente  lesiva  dell'autonomia  organizzativa  regionale  appare,
 inoltre, la previsione, da parte della lett. l),  della  costituzione
 di  un  apposito  organismo  a  livello  regionale  che  favorisca il
 potenziamento del ruolo  dei  comuni.    Posto  questo  obiettivo,  e
 ammesso  che  esso  sia  da  ritenersi  costituzionalmente legittimo,
 spettera'  alla  regione,  nell'esercizio  della  propria   autonomia
 organizzativa,   e  non  certo  al  legislatore  statale  individuare
 concretamente i moduli organizzativi (non diversamente si atteggia il
 d.lgs. n.  112/1998, che attribuisce alle regioni la scelta circa  le
 modalita' di coinvolgimento degli enti locali nella definizione delle
 funzioni  da  trasferire  o  delegare  dalle regioni agli enti locali
 stessi).   Nelle materie  di  competenza  regionale,  il  legislatore
 nazionale potra' porre obiettivi ed indicare criteri nel rapporto tra
 regioni  ed  enti  locali;  ma,  anche  perche'  gli enti locali sono
 garantiti  attraverso  un  possibile   potere   sostitutivo   statale
 sull'inadempimento  regionale,  non  puo'  arrogarsi (ne' delegare al
 Governo) la  previsione  delle  concrete  modalita'  operative.    Le
 disposizioni  impugnate, inoltre, nel potenziare il ruolo dei comuni,
 risultano viziate da contraddittorieta' in rapporto  alla  previsione
 dell'art.  2  comma 1, lett. b) che, a sua volta, delega il Governo a
 "completare il processo di regionalizzazione".  6. - Violazione degli
 artt. 117 e 118 Cost. in relazione all'art.  115 del d.lgs. 31  marzo
 1998  da  parte dell'art. 2, comma 1, lett.  aa).  L'art. 2, comma 1,
 lett. aa), conferisce al Governo l'incarico di  ridefinire  il  ruolo
 del  piano  sanitario  nazionale  individuandone  quali  obiettivi la
 salute,  i  livelli  uniformi  ed  essenziali  di  assistenza  e   le
 prestazioni  efficaci ed appropriate da garantire a tutti i cittadini
 a carico del Fondo sanitario nazionale.  Al Governo  viene,  inoltre,
 affidato  il  compito  di demandare ad appositi organismi scientifici
 del S.S.N. l'individuazione dei criteri di valutazione qualitativa  e
 quantitativa  delle  prestazioni sanitarie.  E' completamente assente
 nella disposizione in oggetto la  considerazione  del  ruolo  che  le
 regioni dovrebbero essere chiamate a svolgere nell'iter di formazione
 e  nella  approvazione  finale  del Piano sanitario nazionale.  Se e'
 vero, infatti, anche in relazione a quanto ribadito dal  d.lgs.    31
 marzo  1998,  n.  112,  che  l'adozione del Piano sanitario nazionale
 rientra tra le competenze riservate allo Stato, cio'  non  vuol  dire
 che   le   regioni   debbano  considerarsi  estromesse  dall'iter  di
 formazione   e   dall'approvazione   finale   dello   stesso.      La
 partecipazione  delle  regioni  era  gia'  ampiamente garantita dalla
 legge  n.  833/1978,  che,  all'art.  3  stabiliva  che  "lo   Stato,
 nell'ambito  della programmazione economica nazionale, determina, con
 il  concorso  delle  regioni  gli  obiettivi   della   programmazione
 sanitaria   nazionale".    Successivamente  il  d.lgs.  n.  502/1992,
 all'art. 1, ha stabilito  che  il  Piano  sanitario  nazionale  viene
 adottato  d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
 Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e  Bolzano.    Di
 recente il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, ha confermato l'orientamento
 precedente,  avendo  previsto,  all'art.  115,  che  il  Piano  venga
 adottato d'intesa con la Conferenza  unificata.    D'altra  parte  la
 stessa  legge n. 419/1998, all'art. 1, comma 2, richiama il d.lgs. n.
 112/1998, stabilendo che "l'esercizio della delega di cui al comma  1
 deve  avvenire nel rispetto delle competenze trasferite col d.lgs. 31
 marzo 1998, n. 112".    La  disposizione  impugnata,  non  prevedendo
 espressamente  alcuna  forma di coinvolgimento delle regioni, appare,
 quindi, idonea a  produrre  una  lesione  delle  competenze  ad  esse
 riconosciute  in  materia  non  solo  dalla Costituzione (artt. 117 e
 118), ma anche dal legislatore ordinario  (art.  115  del  d.lgs.  n.
 112/1998).     7.  -  Violazione  degli  articoli  117  e  118  della
 Costituzione da parte dell'art. 2, comma 1, lett.  bb).    L'art.  2,
 comma  1,  lett.  bb),  delega  il  Governo a dettare disposizioni in
 ordine all'attivazione dei distretti.   In  particolare,  al  Governo
 viene  attribuito  il  compito  di  individuare tempi e modalita' per
 l'attivazione dei distretti, per  l'attribuzione  agli  stessi  delle
 risorse,  per  l'integrazione  nell'organizzazione  distrettuale  dei
 medici di medicina generale e dei pediatri  di  libera  scelta.    Il
 testo  della  disposizione  e'  in palese, eclatante contrasto con il
 principio di autonomia regionale,  in  quanto  e'  alle  Regioni  che
 spetta stabilire i tempi e le modalita' di attivazione dei distretti.
 Il  legislatore  statale  potra' prevedere strutture di base diverse;
 potra' sbizzarrirsi a cambiare ad esse nome  o  altro;  ma  non  puo'
 certo  sostituirsi  alla  regione nel dettare "tempi e modalita'" per
 l'attuazione dei distretti ovvero nel disciplinare l'attribuzione  ad
 essi   di   risorse.  La  previsione  contestata  annulla  totalmente
 l'autonomia organizzativa  ed  amministrativa  della  regione,  dando
 adito  ad uno schiacciamento delle competenze regionali in materia in
 violazione dell'art. 117 e dell'art. 118 Cost.   Si aggiunga  che  la
 regione  Lombardia,  in  attuazione  del  d.lgs.    n.  502/1992,  ha
 provveduto non  solo  a  disciplinare,  con  la  l.r.  n.    31/1997,
 l'organizzazione  delle  Aziende  sanitarie  e  l'articolazione delle
 stesse in distretti, presidi, dipartimenti, servizi, unita' operative
 ed uffici, ma anche ad attivare le strutture  organizzative  in  essa
 contemplate.    Codesta  ecc.ma Corte ha certo piu' volte ribadito il
 principio in base al quale le disposizioni dirette a  porre  principi
 concernenti  l'organizzazione  delle  unita'  sanitarie  locali vanno
 considerate come norme  fondamentali  di  riforma  economico  sociale
 (sent.   n.   274   e  n.  107/1988).    Ma,  nell'ambito  di  questo
 orientamento, ha precisato che neppure una riforma  economico-sociale
 puo'  integralmente  estromettere  le  regioni  dalle materie di loro
 competenza (sent. n. 219/1984) e che  le  eventuali  disposizioni  di
 dettaglio  che  accompagnino le predette norme fondamentali sono tali
 da vincolare l'esercizio  delle  competenze  regionali  soltanto  ove
 siano  legate  con  i  principi  della  riforma  da  un  rapporto  di
 coessenzialita' e di necessaria integrazione  (sent.    n.  99/1987).
 Nella  sentenza n. 355/1993, inoltre, questa ecc.ma Corte, chiamata a
 decidere la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.    3
 (Organizzazione   delle   Unita'  sanitarie  locali)  del  d.lgs.  n.
 502/1992,   sollevata   da  una  regione  sul  presupposto  che  tale
 disposizione fosse da ritenersi lesiva della  potesta'  organizzativa
 regionale,  in  quanto  contenente  norme  di  estremo  dettaglio, ha
 individuato diverse categorie di  norme  di  dettaglio,  distinguendo
 "quelle  organicamente  legate  ai  principi  affermati  al  fine  di
 definirne piu' precisamente il contenuto" e quelle che  "stabiliscono
 requisiti  minimi,  rispondenti  ad  un  interesse  nazionale, che le
 regioni debbono rispettare" da quelle che "sono poste dal legislatore
 statale al fine  di  soddisfare  l'esigenza  di  una  piu'  sollecita
 operativita'  delle  norme  organizzative".    E,  nell'affermare  la
 legittimita' costituzionale di tutti  e  tre  gruppi  di  norme,  con
 riferimento  al  terzo  gruppo, ha stabilito che "Tali norme, a causa
 della ratio che le ispira, hanno un carattere  dispositivo  verso  le
 regioni,  nel  senso  che  queste  ultime  nell'esercizio  delle loro
 competenze possono derogare ad esse, fermo restando il vincolo  della
 congruita' delle disposizioni regionali rispetto al principio sotteso
 alle  disposizioni  di  dettaglio  adottate  in via dispositiva dallo
 Stato".  Con riferimento al caso di specie, va escluso che  le  norme
 che  verranno  emanate  in attuazione della delega di cui all'art. 2,
 comma 1, lett.  bb)  possano  rientrare  in  alcuna  delle  categorie
 individuate  nella  sentenza  n. 355/1993.   Se, infatti, e' piu' che
 evidente l'impossibilita' di far rientrare tali norme nei  primi  due
 gruppi  individuati  da  tale  sentenza, appare molto improbabile che
 esse possano ritenersi  ricomprese  nel  terzo  gruppo.  Tali  norme,
 infatti,   piu'   che   "sollecitare   l'operativita'   delle   norme
 organizzative",  appaiono   finalizzate   a   sostituire   le   norme
 organizzative  gia'  dettate dalla regione.   A cio' si aggiunga che,
 con una recente sentenza, la Corte ha ribadito il principio  in  base
 al  quale  "la  potesta'  di  emanare  norme per l'organizzazione, la
 gestione e il funzionamento delle U.S.L. e  dei  loro  servizi,  come
 anche  il  generale  potere  di  vigilanza  sulle  stesse  strutture,
 rientrano nella materia dell'"assistenza sanitaria e ospedaliera"  di
 competenza  regionale  ex    art.  117 Cost.". E ha precisato che "La
 struttura organizzativa, intesa come articolazione degli uffici e dei
 compiti delle  citate  unita'  sanitarie,  deve,  pertanto  ritenersi
 ricompresa  tra  quelle competenze che fanno capo alla regione (sent.
 n. 174/1991), come anche il generale potere di vigilanza sulle stesse
 strutture" (sent.    n.  156/1996).    Allo  stato  attuale,  dunque,
 l'attribuzione  al Governo di una incondizionata potesta' legislativa
 in tema di distretti  risultera',  non  solo  lesiva  della  potesta'
 organizzativa   regionale,   ma  anche  ingiustificata  e,  comunque,
 tardiva,  avendo  la  regione  gia'  provveduto  all'attivazione  dei
 distretti.    8.  -  Violazione  degli  artt.  97,  117  e  118 della
 Costituzione da parte dell' art. 2, comma 1, lett. hh).    L'art.  2,
 comma  1,  lett.  hh)  incarica  il  Governo  di  definire,  ai  fini
 dell'accreditamento delle strutture sanitarie  pubbliche  e  private,
 standard minimi di strutture, attrezzature e personale che assicurino
 tutti   i   servizi  necessari  derivanti  dalle  funzioni  richieste
 dall'accreditamento.     Con  d.P.R.   14   gennaio   1997,   recante
 "Approvazione  dell'atto  di indirzzzo e coordinamento alle regioni e
 alle province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  in  materia  di
 requisiti   strutturali,  tecnologici  ed  organizzativi  minimi  per
 l'esercizio  delle  attivita'  sanitarie  da  parte  delle  strutture
 pubbliche e private", in attuazione dell'art.  8, comma 4, del d.lgs.
 n.  502/1992,  il  Governo  ha gia' provveduto in tal senso.  Il dato
 paradossale della vicenda dell'accreditamento e'  che  il  meccanismo
 era  gia'  stato  sottoposto  al  controllo della Corte, che lo aveva
 mandato esente  da  vizi  nella  sent.  n.  416/1995;  solo  dopo  la
 sentenza,  si  era provveduto ad emanare l'atto di indirizzo; e, ora,
 si vuole modificare nuovo tutto| Con quale razionalita' si agisce non
 e' dato sapere| In attuazione dell'art. 8  del  d.lgs.  n.  502/1992,
 nonche'  del d.P.R.  14 gennaio 1997, la regione Lombardia, ancorche'
 avesse impugnato  il  d.P.R.  citato  con  la  l.r.  n.  31/1997,  ha
 provveduto    a    disciplinare,    all'art.    12,    le   modalita'
 dell'accreditamento, prevedendo tra i requisiti  necessari  affinche'
 una  struttura  pubblica  o  privata  possa  essere  accreditata,  il
 possesso dei requisiti strutturali tecnologici e organizzativi minimi
 previsti dal d.P.R. 14 gennaio 1997.  La disposizione  impugnata,  in
 tal  modo,  viene  a  sovrapporsi  ingiustificatamente  non solo alla
 disciplina  posta  dal  d.P.R.  14  gennaio  1997,  che  aveva   gia'
 provveduto   a  definire  i  requisiti  minimi  per  l'autorizzazione
 all'esercizio delle attivita' sanitarie,  ma  anche  alla  disciplina
 gia'  dettata  dalla  regione Lombardia in materia di accreditamento.
 La norma in oggetto genera, dunque, due ordini  di  problemi:  da  un
 lato,  appesantisce  ulteriormente la normativa statale, scontrandosi
 con il principio di semplificazione normativa, e conseguentemente con
 il  principio  di  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione,
 fissato   dall'art.   97  Cost.,  non  essendo  necessaria  la  nuova
 definizione di tali standard minimi; dall'altro, in violazione  degli
 artt.  117  e  118  Cost.,  viene  a  ledere l'autonomia regionale in
 materia e, in particolare, pone nel nulla quanto dalle  regioni  gia'
 disposto  in  forza  delle  disposizioni  precedenti  in  ordine alla
 riorganizzazione del settore sanitario.  Ne' si dica che  la  formula
 della  lettera  hh)  non  e'  lesiva,  giacche' non dice se i criteri
 fissati dal d.P.R 14 gennaio 1997 verranno o meno mutati.  Il  punto,
 pero',  e'  che  non  vi  e'  nessuna  clausola  di  salvaguardia  di
 quell'atto di indirizzo ne' della legislazione regionale  emanata  in
 attuazione  di  esso.    9.  - Violazione degli artt. 117 e 118 della
 Costituzione da parte dell'art. 2, comma 1, lett.  ii).    L'art.  2,
 comma  1,  lett.  ii),  delega  il  Governo  a  precisare  i  criteri
 distintivi e gli elementi caratterizzanti delle A.S.L. e delle  A.O.,
 con  riferimento,  in particolare, alle caratteristiche organizzative
 minime delle stesse e al carattere nazionale o  interregionale  delle
 aziende  ospedaliere.    Anche  in questo caso siamo di fronte ad una
 incongrua,  contraddittoria,  incostituzionale   sovrapposizione   di
 normative  nazionali.  Le  caratteristiche  delle  A.S.L.  erano gia'
 chiaramente definite nel d.lgs. n. 502/1992.   La regione  Lombardia,
 in  attuazione  di  quanto  stabilito  dal  d.lgs.    n. 502/1992, ha
 individuato  i  requisiti  caratterizzanti  delle  Aziende  sanitarie
 locali  e  delle  Aziende  ospedaliere,  provvedendo  ad  attivare le
 relative  strutture.  Un intervento allo stato attuale  del  Governo,
 che   provveda   a  ridefinire  le  caratteristiche  delle  strutture
 sanitarie  operanti  all'interno  del  sistema  sanitario  regionale,
 appare  del  tutto superfluo nonche' ingerente rispetto alla potesta'
 normativa e organizzativa riconosciuta alla regione in materia  dagli
 artt.  117  e  118  della  Costituzione  e  piu' volte ribadita dalla
 giurisprudenza di questa ecc.ma Corte (cfr. sopra sub par. 7).  Anche
 in questo caso, la volonta' prevaricatrice e non collaborativa  della
 legislazione  statale  e'  confermata dalla mancanza di una qualsiasi
 norma  di  salvaguardia  che   preveda   un   congruo   termine   per
 l'adeguamento  delle legislazioni regionali ai nuovi principi fissati
 dalla legislazione statale.  10. - Violazione degli artt.  3,  117  e
 118,  della  Costituzione,  da parte dell'art. 2, comma 1, lett. ll).
 L'art. 2, comma 1,  lett.  ll),  delega  al  Governo  il  compito  di
 definire  il  sistema  di  remunerazione  dei  soggetti  erogatori di
 prestazioni sanitarie, tenendo in considerazione, per quanto  attiene
 alle  strutture private, la specificita' di quelle non aventi fini di
 lucro.   Tale disposizione, nel  prevedere  che  la  definizione  del
 sistema  di  remunerazione  deve avvenire "tenendo in considerazione,
 per quanto attiene alle strutture private, la specificita' di  quelle
 non  aventi  fini  di  lucro", si pone   aperta contraddizione con il
 principio fissato dall'art. 3 Cost.  La previsione di un  trattamento
 di "riguardo" per le strutture non aventi fini di lucro rispetto alle
 altre   strutture   private,   infatti,  non  appare  in  alcun  modo
 giustificata.  Se, infatti, vi deve essere una differenziazione tra i
 soggetti erogatori privati, anche ai fini della  loro  remunerazione,
 essa  dovrebbe basarsi, piu' che sulla natura giuridica del soggetto,
 su criteri sostanziali quali la qualita', la complessita', l'ampiezza
 delle prestazioni erogate.   La disposizione dell'art.  2,  comma  1,
 lett.  ll),  inoltre,  non  prevedendo alcuna forma di coinvolgimento
 delle regioni,  e'  idonea  a  produrre  la  lesione  della  potesta'
 organizzativa  in  materia sanitaria ad esse riconosciuta dagli artt.
 117  e  118  Cost.:  una  volta  riconosciuta  e,  se   riconosciuta,
 l'utilita' ai fini della loro remunerazione, di una distinzione tra i
 soggetti  erogatori  privati,  spetta  alle  regioni  individuare  le
 modalita' concrete di tale differenziazione.  Valgono, dunque,  anche
 per  la  disposizione  in oggetto, le censure gia' mosse, sub par. 4,
 all'art. 2, comma 1, lett. c): ancora una volta la legge n. 419/1998,
 senza tener conto delle competenze regionali in materia, utilizza  un
 criterio,  in questo caso destinato a costituire da parametro ai fini
 dell'individuazione  del  sistema  di  remunerazione   dei   soggetti
 erogatori,  che,  anziche'  tener  conto  delle  funzioni  svolte dal
 soggetto privato, si basa sulla natura giuridica del soggetto stesso.
 11. - Violazione degli artt. 97, 117 e  118  della  Costituzione,  da
 parte dell'art. 2, comma 1, lett. mm).  L'art. 2, comma 1, lett. mm),
 nella  prima  parte,  impone  al  Governo  di  "prevedere, insieme al
 pagamento a tariffa delle prestazioni, livelli di spesa  e  modalita'
 di  contrattazione  per  piani  di attivita' che definiscano volumi e
 tipogie delle prestazioni, nell'ambito dei livelli di spesa  definiti
 in   rapporto   alla   spesa   capitaria   e   tenendo   conto  delle
 caratteristiche di complessita' delle prestazioni erogate  in  ambito
 territoriale".    Il  principio  fissato  dalla disposizione in esame
 appare chiaramente contrario  all'aziendalizzazione  delle  strutture
 sanitarie.    L'art.  2, comma 1, lett. mm), prospetta chiaramente il
 ritorno ad una forma di pagamento sui fattori  produttivi  e  non  in
 relazione  ai servizi/prestazioni erogate.  Un intervento del Governo
 che si sostanzi nella definizione di un nuovo metodo di remunerazione
 dei soggetti erogatori appare del tutto superfluo  nonche'  ingerente
 rispetto  all'attuazione  regionale  di quanto disposto dal d.lgs. n.
 502/1992.  Il d.lgs. n. 502/1992, cosi' come modificato dal d.lgs. n.
 517/1993, infatti, ha individuato dettagliatamente, all'art. 4, commi
 7, 7-bis, e 7-ter, il sistema di remunerazione dei soggetti erogatori
 di  prestazioni sanitarie.   Successivamente, con la l.r. n. 31/1997,
 la  regione  Lombardia  ha  recepito,  all'art.  12,  il  sistema  di
 remunerazione  fissato  dall'art.    4  del d.lgs. n. 502/1992.   Sul
 sistema configurato dal d.lgs. n. 502/1992 si  e'  anche  pronunciata
 questa  ecc.ma  Corte,  definendolo  "ragionevole".    Nella sent. n.
 416/1998, infatti,  si  legge  "Le  modalita'  di  finanziamento  dei
 soggetti  erogatori  risultano  dal  combinato  disposto dei commi 7,
 7-bis e 7-ter dell'art. 4, del d.lgs. n. 502/1992, i quali  prevedono
 per  l'anno  1995 che le prestazioni sia di degenza che ambulatoriali
 da rendere a fronte del finanziamento regionale di  quota  del  fondo
 sanitario,   "devono   formare  oggetto  di  apposito  piano  annuale
 preventivo  che,  tenuto  conto  della  tariffazione,  ne  stabilisca
 quantita'  presunte e tipologia in relazione alla necessita' che piu'
 convenientemente possono essere soddisfatte in sede  pubblica".  Tale
 metodo  trova completamento in un meccanismo di verifica a consuntivo
 e valutazione degli scostamenti tale da  influire  sulla  misura  dei
 finanziamenti  nell'anno successivo, in una previsione di un triennio
 1996-98 transitorio, al termine del quale dovra' essere esclusivo  il
 sistema  di  remunerazione  a  prestazione degli erogatori pubblici e
 privati. In tale maniera si rende  graduale  il  passaggio  verso  un
 nuovo  sistema attuandosi una ragionevolezza della previsione secondo
 i principi affermati nella sentenza n. 355/1993".   Con la  sent.  n.
 355/1993,    infatti,    questa   ecc.ma   Corte   aveva   dichiarato
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 1, del d.lgs.  n.
 502/1992, nella parte in cui, nello stabilire l'esonero  immediato  e
 totale  dello  Stato  da  interventi finanziari volti a far fronte ai
 disavanzi di gestione  delle  U.S.L.  e  delle  A.O.,  non  prevedeva
 un'adeguata  disciplina  diretta a rendere graduale il passaggio e la
 messa a regime del sistema di finanziamento previsto dal d.lgs.    n.
 502/1992.    Allo stato attuale, dunque, l'effetto della disposizione
 impugnata della legge n. 419/1998, che affida al  Governo  l'incarico
 di definire un nuovo metodo di remunerazione, sarebbe quello di porre
 nel  nulla  le  basi  gia'  poste  per  l'attuazione  del  sistema di
 remunerazione a prestazione, grazie  anche  alla  previsione  di  una
 disciplina  transitoria  che  permettesse  un "passaggio graduale" al
 nuovo sistema.  La disposizione impugnata si pone, dunque,  in  piena
 contraddizione sia con il principio del buon andamento della pubblica
 amministrazione  sancito  dall'art.  97  Cost.,  sia  con la potesta'
 organizzativa riconosciuta in materia alle regioni dagli artt. 117  e
 118  Cost.    12.  -  Violazione dell'art. 117 e dell'art. 119 Cost.,
 anche in relazione alla giurisprudenza costituzionale in materia,  da
 parte  dell'art. 2, comma 1, lett. oo).  L'art. 2 comma 1, lett. oo),
 attribuisce al Governo il compito di  prevedere  le  modalita'  e  le
 garanzie  con le quali il Ministro della sanita' sostiene i programmi
 operativi, da  adottarsi  da  parte  delle  regioni,  e  "applica  le
 adeguate penalizzazioni, secondo meccanismi automatici di riduzione e
 di dilazione dei flussi finanziari in caso di inerzia o ritardo delle
 regioni nell'adozione o nell'attuazione di tali programmi, sentito il
 parere dell'agenzia".  Tale disposizione appare lesiva dell'autonomia
 costituzionalmente  riconosciuta alle regioni, sia con riferimento al
 ridisegnato ruolo dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali,  sia
 nella parte in cui innesca un meccanismo punitivo di tipo finanziario
 nei confronti delle regioni.  Quanto al primo motivo, va sottolineato
 che  l'Agenzia  per  i  servizi  sanitari  regionali,  secondo quanto
 stabilito  dall'art.  5  del  d.lgs.   30 giugno 1993, n. 266, con il
 quale essa e' stata istituita, e' nata  come  struttura  di  supporto
 delle   attivita'  regionali  in  materia  sanitaria.    Tale  natura
 dell'Agenzia e' stata ribadita anche dal d.m. 22  febbraio  1994,  n.
 233, con il quale, in attuazione di quanto stabilito dall'art.  5 del
 d.lgs.  n.  266/1993,  ne  sono  stati  meglio  specificati compiti e
 attribuzioni,  e  dal  d.lgs.  31  marzo  1998,   n.   115,   recante
 "Completamento  del  riordino  dell'Agenzia  per  i  servizi sanitari
 regionali, a norma degli artt. 1 e 3, comma 1, lett. c), della  legge
 n.  59/1997".   In piena contraddizione con lo scopo per cui e' stata
 istituita, essa ora viene chiamata dalla norma impugnata ad esprimere
 parere in ordine all'adozione da parte  del  Ministro  della  sanita'
 delle  misure  punitive  previste  per    l'ipotesi  di inerzia delle
 regioni.  La stessa legge n. 419/1998 attribuisce  all'Agenzia  ruoli
 del  tutto  inconciliabili: da un lato, infatti, ai sensi della lett.
 nn) dell'art.  1, comma 1, essa dovrebbe svolgere compiti di supporto
 tecnico nella redazione dei programmi operativi; dall'altro, la lett.
 oo), la chiama ad esprimere  parere  al  Ministro  della  sanita'  in
 ordine  all'inerzia  o  al  ritardo delle regioni nell'adozione degli
 stessi.   Dunque, pur continuando a  fornire  supporto  all'attivita'
 delle  regioni,  essa  viene  contemporaneamente  deputata a svolgere
 funzioni di controllo delle attivita' regionali, essendo  chiamata  a
 valutare,  ai fini dell'applicazione di misure punitive nei confronti
 delle regioni, quella stessa attivita' cui fornisce supporto.  A  tal
 proposito questa ecc.ma Corte, chiamata a pronunciarsi in ordine alla
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,  comma  1  del  d.lgs. n.
 266/1993, ha escluso che le attribuzioni riconosciute da  tale  norma
 all'Agenzia   per   i   servizi  sanitari  regionali  siano  tali  da
 configurare forme di controllo lesive dell'autonomia regionale e cio'
 in quanto esse "anche quando presentano un contenuto  di  valutazione
 dell'attivita'  regionale,  non  comportano  - a differenza di quanto
 accade nell'attivita' di controllo in senso tecnico - un  riesame  di
 tali  attivita' in vista dell'adozione di specifiche misure destinate
 ad incidere (anche con effetti paralizzanti) nella sfera del soggetto
 controllato,  quanto  a  raccogliere  elementi   informativi   e   di
 comparazione  in  grado  di orientare lo Stato (e, in particolare, il
 Ministero della sanita') ai fini della determinazione delle scelte di
 politica  sanitaria  nazionale  funzionali  al  miglioramento   della
 qualita'  dell'assistenza"  (sent. n. 128/1994).  Nel caso di specie,
 invece, la valutazione dell'Agenzia per i servizi sanitari  regionali
 ha  tutte  le  caratteristiche  di  un controllo in senso tecnico, in
 quanto evidentemente finalizzato all'adozione da parte  del  Ministro
 della  sanita'  di  specifiche  misure  -  la riduzione/dilazione dei
 flussi finanziari - destinate ad incidere nella  sfera  del  soggetto
 controllato.   D'altra parte, la stessa previsione della possibilita'
 da parte del Ministro della sanita' di ridurre o dilazionare i flussi
 finanziari destinati alle regioni  per  l'ipotesi  in  cui  esse  non
 adottino  o ritardino nell'adottare i programmi operativi di cui alla
 lett. nn), risulta indubbiamente idonea a ledere, nel  totale  libero
 arbitrio   del   Ministro   della  sanita',  l'autonomia  finanziaria
 regionale, senza peraltro, porre in essere un meccanismo  efficiente.
 A  tal  proposito  questa  ecc.ma  Corte  ha piu' volte affermato che
 l'autonomia finanziaria garantita alle regioni dall'art.  119  Cost.,
 risulta violata quando il legislatore statale, intervenendo nel corso
 dell'esercizio  finanziario  di un certo anno, procede alla riduzione
 di somme gia' trasferite alle  regioni  e  da  queste  legittimamente
 impegnate  o spese mediante decisioni adottate nello stesso esercizio
 finanziario.   Questa ecc.ma Corte ha,  inoltre,  precisato  che  una
 riduzione  di  risorse  disposta  nel  modo  indicato  non  puo'  non
 determinare uno squilibrio  nella  sfera  dell'autonomia  finanziaria
 costituzionalmente  assicurata alle regioni e quindi nei confronti di
 una  corretta  attivita'   di   bilancio,   dovuto   alla   possibile
 interferenza  di  quegli  interventi  sui  programmi  di  spesa  gia'
 adottati o in corso di svolgimento (cfr.  sentenze n. 98, 116  e  283
 del 1991, e sent.  n. 356/1992).  13. - Violazione degli artt. 3, 41,
 117 e 118 Cost. da parte dell' art. 3, comma 2.  Il comma 2 dell'art.
 3  aggiunge  al  primo  periodo  dell'art.  6, comma 1, del d.lgs. n.
 502/1992 la seguente disposizione:  "Le  universita'  concordano  con
 regioni  e  le  province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito
 dei protocolli d'intesa di cui  al  presente  comma,  ogni  eventuale
 utilizzazione di strutture assistenziali private, purche' accreditate
 e qualora non siano disponibili strutture nell'azienda di riferimento
 e, in via subordinata, in altre strutture pubbliche".
  A  tal  proposito  va ricordato che il primo periodo dell'art. 6 del
 d.lgs. n.  502/1992 attribuisce alle regioni il potere di  stipulare,
 nell'ambito  della  programmazione  regionale,  specifici  protocolli
 d'intesa con le universita' allo  scopo  di  regolamentare  l'apporto
 alle attivita' assistenziali del servizio sanitario delle facolta' di
 medicina.   La disposizione impugnata e' suscettibile di produrre una
 duplice violazione dei principi costituzionali.  Essa, infatti, da un
 lato,  nel  rendere  possibile  l'utilizzazione,   da   parte   delle
 universita',   delle   strutture  private  solo  "qualora  non  siano
 disponibili  strutture  nell'azienda  di  riferimento   e,   in   via
 subordinata, in altre strutture pubbliche", pone in essere una palese
 violazione   del   combinato   disposto  degli  art.  3  e  41  della
 Costituzione;   dall'altro,   nello   stabilire   le   modalita'   di
 utilizzazione  delle  strutture  private  da  parte delle universita'
 senza prevedere alcuna forma di coinvolgimento delle regioni, si pone
 in aperta contraddizione con quanto stabilito dagli artt. 117  e  118
 Cost.,   in  ordine  alle  competenze  legislative  e  amministrative
 regionali in materia sanitaria.  A seguito di  tale  disposizione  ai
 soggetti erogatori privati rimane un ruolo meramente residuale: anche
 in  questo caso, infatti, la scelta operata dal legislatore in ordine
 alla struttura da utilizzare non appare dettata  da  un  criterio  di
 ragionevolezza  (cfr.  Corte  cost.    n.  89/1996).    La preferenza
 dell'una piuttosto che dell'altra struttura avrebbe dovuto  fondarsi,
 piu' che sulla natura giuridica del soggetto, su criteri sostanziali,
 quali  la  natura dell'attivita' svolta e l'idoneita' del soggetto al
 raggiungimento deli obiettivi fissati dalla programmazione  sanitaria
 regionale.    Quanto  alla  totale  estromissione  delle  regioni, va
 sottolineato, in primo luogo, che lo stesso d.lgs. n. 502/1992, nello
 stabilire, nel primo periodo dell'art. 6, che le regioni stipulano  i
 protocolli   d'intesa   con   le   universita'   "nell'ambito   della
 programmazione regionale", si dimostra  rispettoso  delle  competenze
 regionali  in  materia e, in secondo luogo, che la regione Lombardia,
 con la l.r. n. 31/1997, ha dettato norme di  attuazione  dell'art.  6
 d.lgs.  n.  502/1992,  non  operando  alcuna  discriminazione  tra le
 strutture pubbliche e  quelle  private.    L'art.  5  della  l.r.  n.
 31/1997,   infatti,  stabilisce  che  la  regione  e  le  universita'
 stipulano appositi protocolli finalizzati a: a) definire i criteri di
 stipula delle convenzioni attuative con le aziende  sanitarie  e  gli
 altri soggetti accreditati; b) regolamentare l'apporto delle facolta'
 di  medicina  e  chirurgia  alle  attivita'  assistenziali,  presso i
 soggetti pubblici  e  privati  accreditati  nel  pieno  rispetto  dei
 principi sanciti nella Carta dei diritti dei cittadini, approvata con
 D.P.C.M.  19  maggio  1995.    L'art.  3,  comma  2,  in tal modo, si
 sovrappone ingiustificatamente alla disciplina posta  dalla  l.r.  n.
 31/1997,  in  attuazione  del d.lgs.   n. 502/1992.  14. - Violazione
 dell'art. 117 Cost. in relazione al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281,  e
 alla  giurisprudenza  costituzionale in materia da parte dell'art. 6.
 L'art. 6, nel delegare il Governo  ad  emanare  uno  o  piu'  decreti
 legislativi  volti  a  ridefinire  i  rapporti tra Servizio sanitario
 nazionale e universita', al comma 2, rinvia all'art. 1, commi 3 e  4,
 per  la  disciplina  della  delega.    Anche  alla delega in oggetto,
 quindi, viene estesa la procedura indicata al comma 3 dell'art. 1, in
 base  al  quale  sugli  schemi  di  decreto  legislativo  il  Governo
 acquisisce  il  parere  della Conferenza unificata.  Valgono, dunque,
 anche per l'art. 6 le censure di illegittimita' mosse  sub.  par.  1)
 all'art.  1  della  legge  impugnata,  dovendosi ritenere competente,
 anche nel caso di specie, la  Conferenza  Stato-regioni  anziche'  la
 Conferenza  unificata.  Conclusivamente, non puo' non essere ribadito
 come sia inaccettabile  per  le  regioni  una  procedura  legislativa
 statale  che,  a  distanza di pochi anni, ribalta complessivamente le
 scelte gia' effettuate; ovvero come sia egualmente inaccettabile  che
 atti   di  indirizzo  recentissimi  vengano  poi  travolti  da  altre
 previsioni.  Come si e' gia' notato, vi sono molti sintomi del  fatto
 che  si  sia  di  fronte  ad un tentativo di ricentralizzazione della
 materia:  non solo in questo senso spinge la assoluta genericita'  di
 molte  previsioni  della  delega  e  il  ribaltamento di molte scelte
 operate dal d.lgs. n. 502/1992; ma ne costituiscono spia la  mancanza
 di  qualsiasi atteggiamento collaborativo con le regioni: non solo si
 cerca un incongruo potenziamento dei comuni, non solo  i  pareri  sui
 decreti  saranno resi in sede di Conferenza unificata, ma soprattutto
 la legislazione regionale, legittimamente approvata in attuazione del
 d.lgs. n.  502/1992  e  delle  sue  modifiche,  non  viene  in  nulla
 salvaguardata,  costringendosi  ancora  una  volta  le regioni ad una
 continua rincorsa di modificati orientamenti statali.  La sanita'  e'
 di  competenza  regionale  ed  e'  materia  delicata che coinvolge un
 fondamentale interesse dei cittadini, l'attivita'  lavorativa  di  un
 gran  numero  di  persone,  apparati  pubblici e privati di rilevanti
 dimensioni.    Non  e'  solo  il  rispetto  del  principio  di  leale
 collaborazione  che  impone  allo  Stato  di  non  procedere  in modo
 contraddittorio e altalenante agli interventi sul settore  sanitario;
 ma  e'  l'esigenza  del  rispetto  di quei fondamentali interessi dei
 cittadini, dei lavoratori, delle complesse  strutture  sanitarie  che
 vuole  che lo Stato operi in maniera meno parossistica e rapsodica su
 di un settore cosi' delicato.