Ricorso della regione Lombardia, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore, on. Roberto Formigoni, autorizzato con delibera di giunta regionale n. 40338 del 18 dicembre 1998, rappresentato e difeso, come da mandato a margine del presente atto, dal prof. avv. Beniamino Caravita di Torito e presso il suo studio elettivamente domiciliato in Roma, via di Porta Pinciana, 6; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale di alcuni articoli della legge 30 novembre 1998, n. 419, recante "Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e per l'adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502", pubblicata in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 286 del 7 dicembre 1998. F a t t o Con la legge 30 novembre 1998, n. 419 e' stato affidato al Governo il compito di emanare uno o piu' decreti legislativi contenenti disposizioni correttive e modificative del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni. L'art. 1 della legge n. 419/1998 stabilisce che l'esercizio dei poteri delegati dovra' essere ispirato ai principi e criteri direttivi indicati dall'art. 2. L'art. 3, ai commi 1 e 2, apporta direttamente specifiche modifiche, rispettivamente, agli artt. 3, comma 6, e 6, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992. Al Governo e', inoltre, affidato, all'art. 4, l'incarico di emanare un decreto legislativo recante "testo unico delle leggi e degli atti aventi forza di legge concernenti l'organizzazione ed il lunzionamento del Servizio sanitario nazionale", nel quale le disposizioni emanate con i decreti delegati di cui all'art. 1 dovranno essere coordinate con quelle vigenti nella stessa materia e, in particolare, con quelle dettate dalla legge n. 833/1978 e dal d.lgs. n. 502/1992. Gli artt. 5 e 6 delegano, rispettivamente, il Governo ad emanare uno o piu' decreti legislativi di riordino della medicina penitenziaria e uno o piu' decreti legislativi volti a ridefinire i rapporti tra Servizio sanitario nazionale ed universita', indicando per ciascuna di tali materie i principi e i criteri direttivi cui dovranno attenersi i decreti delegati. Dall'esame delle disposizioni della legge n. 419/1998 si evince chiaramente come l'intento del legislatore statale sia stato quello di pervenire, attraverso la successiva emanazione dei decreti delegati, ad un profondo riordino delle competenze nella materia della sanita'. Non si fatica, tuttavia, a leggere in cio' un'ispirazione verso una tendenziale compressione delle competenze regionali in materia. E cio' nonostante il recente intervento di conferimento di funzioni e compiti alle regioni attuato con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 che, al titolo IV, ha provveduto a ridefinire la distribuzione delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia sanitaria. La legge n. 419/1998, inoltre, si aggiunge, contraddicendoli, ai precedenti e recenti interventi legislativi in materia sanitaria, rendendo ancor piu' palese l'atteggiamento incoerente assunto sin ora dal legislatore statale nella disciplina del sistema sanitario. Il legislatore statale, infatti, in un lasso di tempo estremamente breve, ha emanato successivi e contrastanti provvedimenti tesi a disciplinare il sistema sanitario nazionale, passando dalla valorizzazione del ruolo dei comuni (legge n. 833/1978), alla regionalizzazione attuata con d.lgs. n. 502/1992, fino alla centralizzazione palesata dal testo in esame. Il risultato, oltre ad un'inevitabile sovrapposizione di norme, e' quello di un significativo arretramento delle competenze regionali in materia. La legge n. 419/1998, inoltre, nell'attribuire al Governo il compito di ridisciplinare numerosi aspetti dell'organizzazione sanitaria regionale, rischia di porre nel nulla la disciplina concreta di tale organizzazione posta in essere dal legislatore regionale in attuazione di quanto previsto dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502. Solo di recente, infatti, con la l.r. n. 31/1997, recante "Norme per il riordino del servizio sanitario regionale e sua integrazione con l'attivita' dei servizi sociali", pubblicata nel bollettino ufficiale della regione n. 28 dell'11 luglio 1997, la regione Lombardia ha portato a compimento, a seguito di un iter legislativo lungo e travagliato il processo legislativo di riorganizzazione del servizio sanitario regionale. A tale riorganizzazione e' seguita la difficoltosa fase dell'attivazione delle Aziende sanitarie regionali, delle Aziende ospedaliere, della nomina dei relativi organi, dell'accreditamento delle strutture sanitarie pubbliche e private. A distanza, dunque, di un lasso di tempo brevissimo dalla riorganizzazione effettiva del sistema sanitario regionale, la legge n. 419/1998, nel dettare nuove regole in materia di organizzazione sanitaria, rischia di porre nel nulla il lungo e delicato lavoro posto in essere dalla regione Lombardia in attuazione delle direttive fissate dal legislatore statale nel d.lgs. n. 502/1992. Ne' tale legge sembra tener conto della situazione di difficolta' nella quale pone le regioni: manca, infatti, nel testo della legge una norma di salvaguardia che preveda un congruo termine per l'adeguamento delle legislazioni regionali ai nuovi principi da essa fissati. La legge n. 419/1998 appare, dunque, per molteplici aspetti lesiva dell'autonomia costituzionalmente attribuita alle regioni e, pertanto, risulta illegittima per i seguenti motivi; D i r i t t o 1. - Violazione dell'art. 76 Cost. da parte degli artt. 1 e 2. L'art. 1, comma 1, attribuisce al Governo l'incarico di emanare uno o piu' decreti legislativi contenenti disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. n. 502/1992 "sulla base dei principi e dei criteri direttivi previsti dall'art. 2". Se si tiene a mente l'insegnamento tradizionale secondo cui la delega legislativa non puo' riguardare generiche materie o generici settori, bensi' deve fare riferimento ad oggetti definiti e precisi, leggendo le disposizioni contenute nell'art. 2 si evince chiaramente come la maggioranza di esse, anziche' dettare principi e criteri direttivi, talvolta individuino, talaltra precisino l'oggetto della delega. In sostanza, la legge n. 419/1998 definisce come "oggetto" della delega una genericissima "modifica" ed "integrazione" del d.lgs. n. 502/1992, per poi prevedere e qualificare come criteri e principi di tale oggetto le singole previsioni delle lettere da a) a qq) dell'art. 2; ma queste, a ben vedere, non fanno che esplicare l'oggetto della delega preannunciato dall'art. 1, e solo raramente individuano criteri e principi. Ne' i pochi criteri e principi indicati in alcune delle lettere dell'art. 2, comma 1, possono ritenersi estensibili alle altre lettere dello stesso comma, essendo stati dettati in relazione allo specifico settore disciplinato dalla singola lettera. Esempi piu' eclatanti della confusione cui e' incorso il legislatore delegante sono costituiti dal disposto delle lettere c), i), m), n), r), s) u), z), aa), bb), dd), ff), gg), ii), pp), qq) dell'art. 2, comma 1. Cosa altro e' se non "oggetto" della delega il "regolare la collaborazione tra i soggetti pubblici interessati" (lett. c); ovvero "attribuire... i compiti e le funzioni tecnico scientifici e di coordinamento tecnico all'Istituto superiore di sanita', all'agenzia per i servizi sanitari regionali e all'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro" (lett. i)? E si potrebbe continuare: il "ridefinire il ruolo del Piano sanitario nazionale" (lett. aa) e' solo un possibile oggetto della delega al quale mancano principi e criteri direttivi. Che, nella maggior parte dei casi, le lettere del comma 1 dell'art. 2, contengano "oggetti", senza "principi e criteri" e' infine dimostrato da quei rari casi in cui l'individuazione dell'oggetto e' accompagnata da qualche indicazione o direttiva d'intervento. Cosi', ad esempio, nel punto cc), si attribuisce la delega al riordino delle forme integrative di assistenza sanitaria "precisando che esse si riferiscono a prestazioni aggiuntive, eccedenti i livelli uniformi ed essenziali di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale, con questi comunque integrate, ammettendo altresi la facolta' per le regioni le province autonome e gli enti locali e per i loro consorzi di partecipare alla gestione delle stesse forme integrative di assistenza". Le norme indicate si pongono, pertanto, in chiaro contrasto con quanto previsto dall'art. 76 della Costituzione, richiedendo tale disposizione tra i requisiti della legge di delega "la determinazione dei principi e dei criteri direttivi". A tal proposito, questa ecc.ma Corte ha piu' volte affermato che la legge di delega deve contenere, oltre ai limiti di durata e alla definizione dell'oggetto, anche l'indicazione dei principi e criteri direttivi e che "all'uopo il precetto costituzionale e' da ritenersi soddisfatto allorche' sono date al legislatore delegato delle direttive vincolanti, ragionevolmente limitatrici della sua discrezionalita' e delle indicazioni che riguardino il contenuto della disciplina delegata, mentre allo stesso legislatore delegato e' demandata la realizzazione, secondo modalita' tecniche prestabilite, delle esigenze, delle finalita' e degli interessi considerati dal legislatore delegante" (sent. n. 158/1985). E' pur vero che, in alcuni casi, codesta ecc.ma Corte ha riconosciuto che "la limitatezza delle finalita' da raggiungere giustifica adeguatamente la mancata indicazione di principi e criteri specifici" (sent. n. 299/1993). Non sembra, tuttavia, che tale situazione ricorra nel caso di specie, e cio' in quanto se dalla lettura dell'art. 1, comma 1, l'oggetto della delega sembra essere circoscritto alla modifica e alla integrazione di alcune disposizioni del d.lgs. n. 502/1992, esso, in realta', si snoda nelle numerosissime norme contenute nelle lettere del comma 1, dell'art. 2, che, a loro volta, intervengono su quasi tutti i settori gia' disciplinati dal d.lgs. n. 502/1992. L'oggetto della delega contenuta nella legge n. 419/1998, dunque, non e' affatto limitato, bensi' e' molto ampio: la mancata indicazione dei principi non puo', pertanto, ritenersi giustificata neppure alla luce di quanto statuito dalla giurisprudenza costituzionale. Ne' si puo' ritenere che nel caso di specie la determinazione dei principi e dei criteri direttivi sia avvenuta per relationem con riferimento al d.lgs. n. 502/1992. Questa ecc.ma Corte ha, infatti, affermato che "la determinazione dei principi e dei criteri direttivi di cui all'art. 76 Cost. ben puo' avvenire per relationem, con riferimento ad altri atti normativi, purche' sufficientemente specifici" (sent. n. 157/1985). Nel testo degli artt. 1 e 2 non e', invece, rinvenibile alcuna norma che disponga il rinvio ai principi desumibili dal d.lgs. n. 502/1992. Sebbene, infatti, alcune delle lettere contenute nel comma 2 dell'art. 1, contengono disposizioni di completamento della disciplina introdotta dal d.lgs. n. 502/1992, e, come tali, potrebbero ritenersi ispirate ai principi desumibili da tale decreto legislativo, la maggioranza di esse detta disposizioni di modifica spesso contrastanti con tali principi. Negli artt. 1 e 2, e', dunque, ravvisabile una sostanziale carenza o, quantomeno, insufficienza dei principi e criteri direttivi richiesti dall'art. 76 Cost., quali requisiti necessari della legge di delega. Incongrua, incoerente e in contrasto con l'art. 76 Cost. e' poi la struttura di tutte le disposizioni di delega. La formula secondo cui oggetto della delega sono "disposizioni modificative e integrative del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502" e' contraddetta dal lunghissimo elenco dell'art. 2. Sembra quasi che non si sia voluto definire la delega come delega alla riorganizzazione del sistema sanitario e si sia invece voluto simulare il reale intento del legislatore sotto la formula anodina e riduttiva dell'art. 1, comma 1. In realta' delegare il Governo ad emanare "disposizioni integrative e modificative" di un altro atto dovrebbe sottintendere la volonta' di muoversi all'interno della logica e dei principi di quell'atto. Cio', d'altra parte, sembrerebbe confermato dal comma 2 dell'art. 1, secondo cui "L'esercizio della delega di cui al comma 1 deve avvenire nel rispetto delle competenze trasferite alle regioni con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59". Tutto cio' e' invece contraddetto, come si vedra' anche in dettaglio piu' avanti, dai singoli punti dell'art. 2, che si pongono talvolta in netta contraddizione con le scelte del d.lgs. n. 502/1992, confermate, peraltro, dal d.lgs. n. 112/1998. 2. - Violazione dell'art. 117 Cost. in relazione al titolo V del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, e alla giurisprudenza costituzionale in materia da parte dell'art. 1, commi 2 e 3. Il comma 2 dell'art. 1, nello stabilire che l'esercizio della delega deve avvenire nel rispetto dei conferimenti effettuati a favore delle regioni ad opera del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, sembra dimostrare di voler tener conto della distribuzione delle competenze tra Stato e regioni effettuata di recente dal d.lgs. n. 112/1998; tuttavia al comma 2, nell'individuare la procedura di adozione dei decreti delegati, stabilisce che sugli schemi dei decreti delegati il Governo acquisisce il parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d.lgs. n. 281/1997. La circostanza che venga richiesto il parere della Conferenza unificata, piuttosto che quello della Conferenza Stato-regioni, sminuisce chiaramente il ruolo di partecipazione delle regioni alla riorganizzazione del sistema sanitario. E cio', in particolare, alla luce di quanto stabilito dall'art. 117 della Costituzione, in base al quale la materia dell'assistenza sanitaria e ospedaliera rientra nella competenza delle regioni. Gli enti regionali costituiscono, secondo quanto stabilito dall'art. 117, primo comma, della Costituzione, gli interlocutori privilegiati dello Stato in materia di assistenza sanitaria. Un eventuale coinvolgimento degli enti locali ha, quindi, un senso solo in quanto disposto dalle regioni, quali enti titolari di competenza legislativa propria in materia di assistenza sanitaria, e da esse organizzato. La questione della spettanza della competenza ad esprimere parere nel caso di specie va, dunque, risolta alla luce di quanto previsto dall'art. 117. A cio' si aggiunga che il d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, nel disciplinare le funzioni della Conferenza Stato-regioni, all'art. 2, comma 3, stabilisce espressamente che la Conferenza Stato-regioni e' obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegno di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle regioni. Nella sentenza n. 408/1998, la Corte cosi' commenta tale disposizione "L'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 stabilisce che essa (la Conferenza Stato-regioni) e' obbligatoriamente sentita in ''ordine agli schemi di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle regioni'', generalizzando la partecipazione consultiva obbligatoria sull'attivita' e sull'iniziativa normativa del Governo nelle materie regionali". Quanto alle competenze della Conferenza unificata l'art. 9, comma 2 del d.lgs. n. 281/1997 stabilisce che essa "e' comunque competente in tutti i casi in cui regioni, comuni e comunita' montane ovvero la Conferenza Stato-regioni e la Conferenza Stato-citta' debbano esprimersi sul medesimo oggetto". L'art. 2, inoltre, alla lett. a) nello specificare le competenze della Conferenza unificata, stabilisce che essa esprime parere sul disegno di legge finanziaria e sui disegni di legge collegati; sul disegno di programmazione economica e finanziaria; sugli schemi di decreto legislativo adottati in base all'art. 1 della legge n. 59/1997. Anche alla luce di quanto stabilito dall'art. 2 del d.lgs. n. 281/1997, dunque, la competenza della Conferenza unificata ad esprimere parere in ordine agli schemi di decreto legislativo contemplati dall'art. 1 della legge n. 419/1998 deve ritenersi esclusa. Ne', d'altra parte, e' possibile ritenere una competenza della Conferenza unificata in materia sulla base di quanto previsto dalla prima parte del comma 2 dell'art. 9, del d.lgs. n. 281/1997, dove si stabilisce che la Conferenza unificata e' competente quando la Conferenza Stato-regioni e la Conferenza Stato-citta' "debbano esprimersi sul medesimo oggetto". Dalla lettura del comma 5 dell'art. 9, che disciplina le funzioni della Conferenza Stato-citta' non e' possibile desumere competenze della stessa in materia di assistenza sanitaria: tale norma, infatti, riconduce le competenze della Conferenza Stato-citta' essenzialmente alla sfera degli interessi che fanno capo alle autonomie locali. D'altra parte, se e' vero che questa ecc.ma Corte. nel pronunciarsi in ordine alla questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla regione Puglia in ordine alla unificazione della Conferenza Stato-regioni con la Conferenza Stato-citta', attuata con il d.lgs. n. 281/1997, ha riconosciuto che la previsione della Conferenza unificata costituisce "una scelta discrezionale del legislatore non in contrasto con la Costituzione", e' anche vero che questa ecc.ma Corte ha ritenuto la legittimita' costituzionale della Conferenza unificata "quale strumento di raccordo fra Governo e autonomie, allorche' siano in discussione argomenti di intresse comune vuoi delle regioni vuoi degli enti locali" (sent. n. 408/1998). E la materia dell'assistenza sanitaria, in quanto rientrante nella competenza delle regioni, non sembra possa ritenersi, se non in maniera molto limitata, e comunque generica di interesse comune delle regioni e degli enti locali. A cio' si aggiunga che, con la stessa sentenza, questa ecc.ma Corte, nel respingere la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 281/1997 (relativa alla derogabilita' dell'intesa con la Conferenza Stato-regioni per motivi di urgenza) ha specificato che "nei casi, invece, in cui il parere della conferenza o l'intesa con la medesima si configuri in concreto, come espressione di un vincolo costituzionale discendente dalla particolarita' dell'oggetto, o di obblighi comunque non derogabili dal legislatore ordinario, non potrebbe lasciarsi alla determinazione del Governo, nemmeno in nome di ragioni di urgenza, la scelta fra la sottoposizione dell'atto alla conferenza in via preventiva, ai fini del parere o dell'intesa, e sottoposizione ad essa, in via successiva dell'atto adottato senza previo parere o previa intesa". La statuizione della Corte, sebbene intervenuta in ordine ad una fattispecie diversa da quella in questione - derogabilita' del parere/intesa con la Conferenza Stato-regioni per motivi di urgenza - puo' tuttavia ritenersi ad essa applicabile. Nel caso di specie, infatti, la "particolarita' dell'oggetto" - materia espressamente attribuita dall'art. 117 della Costituzione alla competenza delle regioni - impone, senza possibilita' di deroghe, che la Conferenza Stato-regioni, e solo essa, venga obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di decreto legislativo contemplati dall'art. 1 della legge n. 419/1998. 3. - Violazione degli artt. 117 e 118 Cost. da parte dell'art. 2, comma 1, lett. b). L'art. 1, al comma 2, lett. b) delega il Governo oltre che "a completare il processo di regionalizzazione" a "verificare e completare il processo di aziendalizzazione delle strutture del Servizio sanitario nazionale". Si e' gia' accennato al lavoro svolto dalla regione Lombardia in materia. Con la l.r. n. 31/1997, recante "Norme per il riordino del servizio sanitario regionale e sua integrazione con l'attivita' dei servizi sociali", pubblicata nel bollettino ufficiale della regione n. 28 dell'11 luglio 1997, la regione ha, solo di recente, dato attuazione alle direttive impartite dal d.lgs. n. 502/1992, provvedendo alla riorganizzazione del Servizio sanitario regionale. A seguito dell'avvenuta riorganizzazione la regione ha provveduto ad attivare le diverse strutture che compongono il Sistema sanitario regionale, provvedendo alla nomina dei relativi organi. La previsione ridonda in una illegittima violazione e compressione delle competenze regionali: e cio' non solo perche' un intervento del Governo che si sostanzi nella verifica del processo di aziendalizzazione, deve essere considerato del tutto superfluo ed ingerente sulla riorganizzazione ormai effettuata a livello regionale, quanto, soprattutto, perche' l'art. 1, comma 2, lett. b), non indica in alcun modo i criteri sulla base dei quali il Governo dovra' effettuare la verifica e il completamento del processo di aziendalizzazione. Si dimostra ancora una volta il modo elusivo dell'art. 76 Cost. con cui ha proceduto il legislatore delegato. L'art. 2, comma 1, lett. b), contiene poi una intima contraddizione logica; gli unici criteri con cui puo' essere "verificato" il processo di aziendalizzazione delle strutture del Servizio sanitario regionale sono solo quelli sulla base dei quali il processo di aziendalizzazione e' stato avviato e compiuto: vale a dire quelli dettati a livello generale dal d.lgs. n. 502/1992 e specificati dalle leggi regionali di attuazione e cio' in quanto il processo di aziendalizzazione e' stato attivato in attuazione di quanto indicato da tale decreto legislativo. Una volta emanate le leggi di attuazione del d.lgs. n. 502/1992, spetta, dunque, alle regioni, nell'esercizio della potesta' organizzativa in materia verificare se in concreto il processo di aziendalizzazione sia stato effettivamente portato a compimento secondo quanto disposto dal legislatore regionale. Il legislatore nazionale non potra' certo intervenire in corso d'opera, arrogandosi poteri di verifica e dettando criteri diversi da quelli gia' esistenti nel d.lgs. n. 502/1992. 4. - Violazione degli artt. 3, 117 e 118 Cost. da parte dell'art. 2, comma 1, lett. c). L'art. 2, comma 1, lett. c), secondo periodo, delega il Governo a "regolare e distribuire i compiti tra i soggetti pubblici interessati ed i soggetti privati, in particolare quelli del privato sociale non aventi scopo di lucro, al fine del raggiungimento degli obiettivi di salute determinati dalla programmazione sanitaria". Nella sua genericita' (tale da non permettere che la formulazione abbia valore di criterio o di principio), la disposizione in oggetto contiene un'indicazione estremamente grave. Essa, infatti, utilizza un criterio distributivo che, anziche' tener conto del tipo di attivita' svolta dal soggetto privato, si basa sulla natura giuridica del soggetto stesso. Tutta la disciplina piu' recente del Servizio sanitario, nazionale e regionale, parte dall'idea che ad esso possano partecipare, in posizione di parita', soggetti pubblici e privati; tutti possono contribuire agli obiettivi del Servizio sanitario nazionale e del Servizio sanitario regionale; tra di essi saranno possibili differenziazioni solo in ordine alle attivita' svolte e alle prestazioni erogate; non gia' genericamente sulla base della natura giuridica. E' la logica della concorrenza tra soggetti pubblici e soggetti privati nella costituzione del Servizio sanitario nazionale, che e' stata portata avanti da molte regioni e non solo dalla regione Lombardia, attraverso leggi recenti che hanno passato indenni il vaglio del controllo governativo. Ora la formulazione della lett. c) contiene il pericoloso germe - contraddittorio con il d.lgs. n. 502/1992, che si dice di voler solo integrare, - della differenziazione tra i soggetti in ragione della loro natura e non in ragione delle loro funzioni. La disposizione in oggetto risulta poi chiaramente lesiva dell'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza del criterio utilizzato, nonche' delle competenze costituzionalmente riconosciute alle regioni in materia di assistenza sanitaria dagli artt. 117 e 118 Cost. Appare del tutto irragionevole, infatti, privilegiare tra i soggetti privati quelli che non hanno scopo di lucro. A cio' si aggiunga che la disposizione impugnata non prevede, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost., alcun coinvolgimento delle regioni nell'attivita' di distribuzione dei compiti tra soggetti pubblici e privati. Inoltre, nell'operare una distribuzione irragionevole dei compiti tra soggetti erogatori, l'art. 2, comma 1, lett. c), appare idoneo ad ostacolare il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla programmazione sanitaria regionale. 5. - Violazione degli art. 117, 118 e dell'art. 97 Cost. da parte dell'art. 2, comma 1, punti l) e u); contraddittorieta'. L'art. 2, comma 1, lett. l), affida ai decreti delegati il compito di potenziare il ruolo dei comuni nei procedimenti di programmazione sanitaria regionale, anche con la creazione di un apposito organismo, e nei procedimenti di valutazione dei risultati delle A.S.L. e delle A.O., nonche' quello di prevedere la facolta' dei comuni di assicurare livelli di assistenza aggiuntiva rispetto a quelli garantiti dalla stessa programmazione. La lett. u) dello stesso articolo, impone al Governo di assicurare il coinvolgimento dei comuni nel procedimento di revoca e nel procedimento di valutazione dei direttori generali, con riguardo ai risultati conseguiti dalle A.S.L. e dalle A.O., rispetto agli obiettivi della programmazione sanitaria regionale e locale. E' evidente come dalle disposizioni indicate derivi una pesantissima ed illegittima ingerenza dei comuni all'interno di un settore di competenza regionale. Come gia' sottolineato sopra sub par. 2), ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, spetta alle regioni la competenza in materia di assistenza sanitaria. Quanto alla potesta' amministrativa nelle materie di cui all'art. 117 Cost., l'art. 118 stabilisce che "Spettano alla regione le funzioni amministrative nelle materie elencate nel precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, che possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle province, ai comuni e agli altri enti locali". L'art. 128 Cost. stabilisce che "Le province e i comuni sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati dalle leggi generali della Repubblica che ne determinano le funzioni". Con tali norme vengono individuati a livello costituzionale i criteri base cui fare riferimento al fine stabilire la distribuzione delle competenze fra lo Stato, le regioni e gli enti locali. Sul tema della distribuzione delle competenze si e' pronunciata di recente questa ecc.ma Corte, la quale chimata a decidere in ordine alla legittimita' costituzionale del conferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali effettuato dalla legge n. 59/1997, nello stabilire che il legislatore statale gode, nell'esercizio dei poteri attribuitigli dagli artt. 118 e 128 della Costituzione, di spazi di discrezionalita', ha sottolineato che "cio' che rileva dal punto di vista costituzionale e' che non siano violate le sfere di attribuzioni garantite alle regioni nonche', a livello di principio, a comuni e province, dalle norme costituzionali, e piu' in generale che la disciplina di riparto di competenze e dei rapporti tra Stato, regioni ed enti locali sia in armonia con le regole e i principi derivanti dalle stesse norme costituzionali". In particolare, questa ecc.ma Corte ha riconosciuto la legittimita' costituzionale della legge n. 59/1997 "nella parte in cui opera una netta distinzione fra le materie spettanti alle regioni ai sensi dell'art. 117 Cost., nel cui ambito e' fondamentalmente rimesso alle regioni stesse il compito di individuare le funzioni da decentrare e quelle che, invece, richiedono "l'unitario esercizio a livello regionale", e le altre materie, nelle quali il riparto di funzioni attraverso la delega alle regioni o l'attribuzione agli enti locali e' direttamente effettuato dai decreti delegati" (sent. n. 408/1998). La distribuzione di funzioni tra regioni ed enti locali deve dunque avvenire nel rispetto delle "attribuzioni garantite alle regioni, nonche', a livello di principio a comuni e province, dalle norme costituzionali". Cio' vuol dire che, in materia sanitaria, spetta essenzialmente alle regioni stabilire se ed in quali limiti coinvolgere i comuni in attivita' quali quella di programmazione, di verifica dell'attivita' svolta dalle strutture sanitarie e dagli organi ad esse preposti. Quanto alle funzioni amministrative relative alle materie di competenza regionale, l'attribuzione delle stesse agli enti locali da parte del legislatore statale si giustifica, come stabilisce l'art. 118, primo comma, Cost., solo rispetto "a quelle di interesse esclusivamente locale". A cio' si aggiunga che l'art. 114 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, nel conferire alle regioni, ad eccezione di quelle espressamente riservate allo Stato, tutte le funzioni e i compiti amministrativi in tema di salute umana e sanita' veterinaria, ha specificato che i suddetti conferimenti alle regioni si intendono effettuati come "trasferimenti". L'indiscriminato potenziamento del ruolo dei comuni, dunque, cosi' come prospettato dalle norme impugnate, rischia di interferire in modo del tutto illogico e irrazionale in un'attivita' che e' propria delle regioni. Basti pensare agli effetti che e' suscettibile di produrre la previsione del potenziamento del ruolo dei comuni nei procedimenti di revoca dei direttori generali: il rapporto di fiducia instaurato dalle regioni con la nomina direttori generali, e confermato anche dalla legge in oggetto (punto u), subirebbe una frattura irrimediabile. In tal modo, inoltre, si corre il rischio di permettere azioni di veto da parte dei comuni con la relativa e consequenziale impossibilita' per i direttori generali di intraprendere vere azioni di riorganizzazione e razionalizzazione delle aziende. Tale previsione risulta, pertanto, idonea a ledere il principio di buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall'art. 97 Cost. L'intervento comunale nella valutazione e nella revoca dei direttori generali, inoltre, falsa gravemente la collocazione di questi ultimi ed impedisce alla regione una seria programmazione sanitaria. Fortemente lesiva dell'autonomia organizzativa regionale appare, inoltre, la previsione, da parte della lett. l), della costituzione di un apposito organismo a livello regionale che favorisca il potenziamento del ruolo dei comuni. Posto questo obiettivo, e ammesso che esso sia da ritenersi costituzionalmente legittimo, spettera' alla regione, nell'esercizio della propria autonomia organizzativa, e non certo al legislatore statale individuare concretamente i moduli organizzativi (non diversamente si atteggia il d.lgs. n. 112/1998, che attribuisce alle regioni la scelta circa le modalita' di coinvolgimento degli enti locali nella definizione delle funzioni da trasferire o delegare dalle regioni agli enti locali stessi). Nelle materie di competenza regionale, il legislatore nazionale potra' porre obiettivi ed indicare criteri nel rapporto tra regioni ed enti locali; ma, anche perche' gli enti locali sono garantiti attraverso un possibile potere sostitutivo statale sull'inadempimento regionale, non puo' arrogarsi (ne' delegare al Governo) la previsione delle concrete modalita' operative. Le disposizioni impugnate, inoltre, nel potenziare il ruolo dei comuni, risultano viziate da contraddittorieta' in rapporto alla previsione dell'art. 2 comma 1, lett. b) che, a sua volta, delega il Governo a "completare il processo di regionalizzazione". 6. - Violazione degli artt. 117 e 118 Cost. in relazione all'art. 115 del d.lgs. 31 marzo 1998 da parte dell'art. 2, comma 1, lett. aa). L'art. 2, comma 1, lett. aa), conferisce al Governo l'incarico di ridefinire il ruolo del piano sanitario nazionale individuandone quali obiettivi la salute, i livelli uniformi ed essenziali di assistenza e le prestazioni efficaci ed appropriate da garantire a tutti i cittadini a carico del Fondo sanitario nazionale. Al Governo viene, inoltre, affidato il compito di demandare ad appositi organismi scientifici del S.S.N. l'individuazione dei criteri di valutazione qualitativa e quantitativa delle prestazioni sanitarie. E' completamente assente nella disposizione in oggetto la considerazione del ruolo che le regioni dovrebbero essere chiamate a svolgere nell'iter di formazione e nella approvazione finale del Piano sanitario nazionale. Se e' vero, infatti, anche in relazione a quanto ribadito dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, che l'adozione del Piano sanitario nazionale rientra tra le competenze riservate allo Stato, cio' non vuol dire che le regioni debbano considerarsi estromesse dall'iter di formazione e dall'approvazione finale dello stesso. La partecipazione delle regioni era gia' ampiamente garantita dalla legge n. 833/1978, che, all'art. 3 stabiliva che "lo Stato, nell'ambito della programmazione economica nazionale, determina, con il concorso delle regioni gli obiettivi della programmazione sanitaria nazionale". Successivamente il d.lgs. n. 502/1992, all'art. 1, ha stabilito che il Piano sanitario nazionale viene adottato d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Di recente il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, ha confermato l'orientamento precedente, avendo previsto, all'art. 115, che il Piano venga adottato d'intesa con la Conferenza unificata. D'altra parte la stessa legge n. 419/1998, all'art. 1, comma 2, richiama il d.lgs. n. 112/1998, stabilendo che "l'esercizio della delega di cui al comma 1 deve avvenire nel rispetto delle competenze trasferite col d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112". La disposizione impugnata, non prevedendo espressamente alcuna forma di coinvolgimento delle regioni, appare, quindi, idonea a produrre una lesione delle competenze ad esse riconosciute in materia non solo dalla Costituzione (artt. 117 e 118), ma anche dal legislatore ordinario (art. 115 del d.lgs. n. 112/1998). 7. - Violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione da parte dell'art. 2, comma 1, lett. bb). L'art. 2, comma 1, lett. bb), delega il Governo a dettare disposizioni in ordine all'attivazione dei distretti. In particolare, al Governo viene attribuito il compito di individuare tempi e modalita' per l'attivazione dei distretti, per l'attribuzione agli stessi delle risorse, per l'integrazione nell'organizzazione distrettuale dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta. Il testo della disposizione e' in palese, eclatante contrasto con il principio di autonomia regionale, in quanto e' alle Regioni che spetta stabilire i tempi e le modalita' di attivazione dei distretti. Il legislatore statale potra' prevedere strutture di base diverse; potra' sbizzarrirsi a cambiare ad esse nome o altro; ma non puo' certo sostituirsi alla regione nel dettare "tempi e modalita'" per l'attuazione dei distretti ovvero nel disciplinare l'attribuzione ad essi di risorse. La previsione contestata annulla totalmente l'autonomia organizzativa ed amministrativa della regione, dando adito ad uno schiacciamento delle competenze regionali in materia in violazione dell'art. 117 e dell'art. 118 Cost. Si aggiunga che la regione Lombardia, in attuazione del d.lgs. n. 502/1992, ha provveduto non solo a disciplinare, con la l.r. n. 31/1997, l'organizzazione delle Aziende sanitarie e l'articolazione delle stesse in distretti, presidi, dipartimenti, servizi, unita' operative ed uffici, ma anche ad attivare le strutture organizzative in essa contemplate. Codesta ecc.ma Corte ha certo piu' volte ribadito il principio in base al quale le disposizioni dirette a porre principi concernenti l'organizzazione delle unita' sanitarie locali vanno considerate come norme fondamentali di riforma economico sociale (sent. n. 274 e n. 107/1988). Ma, nell'ambito di questo orientamento, ha precisato che neppure una riforma economico-sociale puo' integralmente estromettere le regioni dalle materie di loro competenza (sent. n. 219/1984) e che le eventuali disposizioni di dettaglio che accompagnino le predette norme fondamentali sono tali da vincolare l'esercizio delle competenze regionali soltanto ove siano legate con i principi della riforma da un rapporto di coessenzialita' e di necessaria integrazione (sent. n. 99/1987). Nella sentenza n. 355/1993, inoltre, questa ecc.ma Corte, chiamata a decidere la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 (Organizzazione delle Unita' sanitarie locali) del d.lgs. n. 502/1992, sollevata da una regione sul presupposto che tale disposizione fosse da ritenersi lesiva della potesta' organizzativa regionale, in quanto contenente norme di estremo dettaglio, ha individuato diverse categorie di norme di dettaglio, distinguendo "quelle organicamente legate ai principi affermati al fine di definirne piu' precisamente il contenuto" e quelle che "stabiliscono requisiti minimi, rispondenti ad un interesse nazionale, che le regioni debbono rispettare" da quelle che "sono poste dal legislatore statale al fine di soddisfare l'esigenza di una piu' sollecita operativita' delle norme organizzative". E, nell'affermare la legittimita' costituzionale di tutti e tre gruppi di norme, con riferimento al terzo gruppo, ha stabilito che "Tali norme, a causa della ratio che le ispira, hanno un carattere dispositivo verso le regioni, nel senso che queste ultime nell'esercizio delle loro competenze possono derogare ad esse, fermo restando il vincolo della congruita' delle disposizioni regionali rispetto al principio sotteso alle disposizioni di dettaglio adottate in via dispositiva dallo Stato". Con riferimento al caso di specie, va escluso che le norme che verranno emanate in attuazione della delega di cui all'art. 2, comma 1, lett. bb) possano rientrare in alcuna delle categorie individuate nella sentenza n. 355/1993. Se, infatti, e' piu' che evidente l'impossibilita' di far rientrare tali norme nei primi due gruppi individuati da tale sentenza, appare molto improbabile che esse possano ritenersi ricomprese nel terzo gruppo. Tali norme, infatti, piu' che "sollecitare l'operativita' delle norme organizzative", appaiono finalizzate a sostituire le norme organizzative gia' dettate dalla regione. A cio' si aggiunga che, con una recente sentenza, la Corte ha ribadito il principio in base al quale "la potesta' di emanare norme per l'organizzazione, la gestione e il funzionamento delle U.S.L. e dei loro servizi, come anche il generale potere di vigilanza sulle stesse strutture, rientrano nella materia dell'"assistenza sanitaria e ospedaliera" di competenza regionale ex art. 117 Cost.". E ha precisato che "La struttura organizzativa, intesa come articolazione degli uffici e dei compiti delle citate unita' sanitarie, deve, pertanto ritenersi ricompresa tra quelle competenze che fanno capo alla regione (sent. n. 174/1991), come anche il generale potere di vigilanza sulle stesse strutture" (sent. n. 156/1996). Allo stato attuale, dunque, l'attribuzione al Governo di una incondizionata potesta' legislativa in tema di distretti risultera', non solo lesiva della potesta' organizzativa regionale, ma anche ingiustificata e, comunque, tardiva, avendo la regione gia' provveduto all'attivazione dei distretti. 8. - Violazione degli artt. 97, 117 e 118 della Costituzione da parte dell' art. 2, comma 1, lett. hh). L'art. 2, comma 1, lett. hh) incarica il Governo di definire, ai fini dell'accreditamento delle strutture sanitarie pubbliche e private, standard minimi di strutture, attrezzature e personale che assicurino tutti i servizi necessari derivanti dalle funzioni richieste dall'accreditamento. Con d.P.R. 14 gennaio 1997, recante "Approvazione dell'atto di indirzzzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attivita' sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private", in attuazione dell'art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 502/1992, il Governo ha gia' provveduto in tal senso. Il dato paradossale della vicenda dell'accreditamento e' che il meccanismo era gia' stato sottoposto al controllo della Corte, che lo aveva mandato esente da vizi nella sent. n. 416/1995; solo dopo la sentenza, si era provveduto ad emanare l'atto di indirizzo; e, ora, si vuole modificare nuovo tutto| Con quale razionalita' si agisce non e' dato sapere| In attuazione dell'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, nonche' del d.P.R. 14 gennaio 1997, la regione Lombardia, ancorche' avesse impugnato il d.P.R. citato con la l.r. n. 31/1997, ha provveduto a disciplinare, all'art. 12, le modalita' dell'accreditamento, prevedendo tra i requisiti necessari affinche' una struttura pubblica o privata possa essere accreditata, il possesso dei requisiti strutturali tecnologici e organizzativi minimi previsti dal d.P.R. 14 gennaio 1997. La disposizione impugnata, in tal modo, viene a sovrapporsi ingiustificatamente non solo alla disciplina posta dal d.P.R. 14 gennaio 1997, che aveva gia' provveduto a definire i requisiti minimi per l'autorizzazione all'esercizio delle attivita' sanitarie, ma anche alla disciplina gia' dettata dalla regione Lombardia in materia di accreditamento. La norma in oggetto genera, dunque, due ordini di problemi: da un lato, appesantisce ulteriormente la normativa statale, scontrandosi con il principio di semplificazione normativa, e conseguentemente con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, fissato dall'art. 97 Cost., non essendo necessaria la nuova definizione di tali standard minimi; dall'altro, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost., viene a ledere l'autonomia regionale in materia e, in particolare, pone nel nulla quanto dalle regioni gia' disposto in forza delle disposizioni precedenti in ordine alla riorganizzazione del settore sanitario. Ne' si dica che la formula della lettera hh) non e' lesiva, giacche' non dice se i criteri fissati dal d.P.R 14 gennaio 1997 verranno o meno mutati. Il punto, pero', e' che non vi e' nessuna clausola di salvaguardia di quell'atto di indirizzo ne' della legislazione regionale emanata in attuazione di esso. 9. - Violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione da parte dell'art. 2, comma 1, lett. ii). L'art. 2, comma 1, lett. ii), delega il Governo a precisare i criteri distintivi e gli elementi caratterizzanti delle A.S.L. e delle A.O., con riferimento, in particolare, alle caratteristiche organizzative minime delle stesse e al carattere nazionale o interregionale delle aziende ospedaliere. Anche in questo caso siamo di fronte ad una incongrua, contraddittoria, incostituzionale sovrapposizione di normative nazionali. Le caratteristiche delle A.S.L. erano gia' chiaramente definite nel d.lgs. n. 502/1992. La regione Lombardia, in attuazione di quanto stabilito dal d.lgs. n. 502/1992, ha individuato i requisiti caratterizzanti delle Aziende sanitarie locali e delle Aziende ospedaliere, provvedendo ad attivare le relative strutture. Un intervento allo stato attuale del Governo, che provveda a ridefinire le caratteristiche delle strutture sanitarie operanti all'interno del sistema sanitario regionale, appare del tutto superfluo nonche' ingerente rispetto alla potesta' normativa e organizzativa riconosciuta alla regione in materia dagli artt. 117 e 118 della Costituzione e piu' volte ribadita dalla giurisprudenza di questa ecc.ma Corte (cfr. sopra sub par. 7). Anche in questo caso, la volonta' prevaricatrice e non collaborativa della legislazione statale e' confermata dalla mancanza di una qualsiasi norma di salvaguardia che preveda un congruo termine per l'adeguamento delle legislazioni regionali ai nuovi principi fissati dalla legislazione statale. 10. - Violazione degli artt. 3, 117 e 118, della Costituzione, da parte dell'art. 2, comma 1, lett. ll). L'art. 2, comma 1, lett. ll), delega al Governo il compito di definire il sistema di remunerazione dei soggetti erogatori di prestazioni sanitarie, tenendo in considerazione, per quanto attiene alle strutture private, la specificita' di quelle non aventi fini di lucro. Tale disposizione, nel prevedere che la definizione del sistema di remunerazione deve avvenire "tenendo in considerazione, per quanto attiene alle strutture private, la specificita' di quelle non aventi fini di lucro", si pone aperta contraddizione con il principio fissato dall'art. 3 Cost. La previsione di un trattamento di "riguardo" per le strutture non aventi fini di lucro rispetto alle altre strutture private, infatti, non appare in alcun modo giustificata. Se, infatti, vi deve essere una differenziazione tra i soggetti erogatori privati, anche ai fini della loro remunerazione, essa dovrebbe basarsi, piu' che sulla natura giuridica del soggetto, su criteri sostanziali quali la qualita', la complessita', l'ampiezza delle prestazioni erogate. La disposizione dell'art. 2, comma 1, lett. ll), inoltre, non prevedendo alcuna forma di coinvolgimento delle regioni, e' idonea a produrre la lesione della potesta' organizzativa in materia sanitaria ad esse riconosciuta dagli artt. 117 e 118 Cost.: una volta riconosciuta e, se riconosciuta, l'utilita' ai fini della loro remunerazione, di una distinzione tra i soggetti erogatori privati, spetta alle regioni individuare le modalita' concrete di tale differenziazione. Valgono, dunque, anche per la disposizione in oggetto, le censure gia' mosse, sub par. 4, all'art. 2, comma 1, lett. c): ancora una volta la legge n. 419/1998, senza tener conto delle competenze regionali in materia, utilizza un criterio, in questo caso destinato a costituire da parametro ai fini dell'individuazione del sistema di remunerazione dei soggetti erogatori, che, anziche' tener conto delle funzioni svolte dal soggetto privato, si basa sulla natura giuridica del soggetto stesso. 11. - Violazione degli artt. 97, 117 e 118 della Costituzione, da parte dell'art. 2, comma 1, lett. mm). L'art. 2, comma 1, lett. mm), nella prima parte, impone al Governo di "prevedere, insieme al pagamento a tariffa delle prestazioni, livelli di spesa e modalita' di contrattazione per piani di attivita' che definiscano volumi e tipogie delle prestazioni, nell'ambito dei livelli di spesa definiti in rapporto alla spesa capitaria e tenendo conto delle caratteristiche di complessita' delle prestazioni erogate in ambito territoriale". Il principio fissato dalla disposizione in esame appare chiaramente contrario all'aziendalizzazione delle strutture sanitarie. L'art. 2, comma 1, lett. mm), prospetta chiaramente il ritorno ad una forma di pagamento sui fattori produttivi e non in relazione ai servizi/prestazioni erogate. Un intervento del Governo che si sostanzi nella definizione di un nuovo metodo di remunerazione dei soggetti erogatori appare del tutto superfluo nonche' ingerente rispetto all'attuazione regionale di quanto disposto dal d.lgs. n. 502/1992. Il d.lgs. n. 502/1992, cosi' come modificato dal d.lgs. n. 517/1993, infatti, ha individuato dettagliatamente, all'art. 4, commi 7, 7-bis, e 7-ter, il sistema di remunerazione dei soggetti erogatori di prestazioni sanitarie. Successivamente, con la l.r. n. 31/1997, la regione Lombardia ha recepito, all'art. 12, il sistema di remunerazione fissato dall'art. 4 del d.lgs. n. 502/1992. Sul sistema configurato dal d.lgs. n. 502/1992 si e' anche pronunciata questa ecc.ma Corte, definendolo "ragionevole". Nella sent. n. 416/1998, infatti, si legge "Le modalita' di finanziamento dei soggetti erogatori risultano dal combinato disposto dei commi 7, 7-bis e 7-ter dell'art. 4, del d.lgs. n. 502/1992, i quali prevedono per l'anno 1995 che le prestazioni sia di degenza che ambulatoriali da rendere a fronte del finanziamento regionale di quota del fondo sanitario, "devono formare oggetto di apposito piano annuale preventivo che, tenuto conto della tariffazione, ne stabilisca quantita' presunte e tipologia in relazione alla necessita' che piu' convenientemente possono essere soddisfatte in sede pubblica". Tale metodo trova completamento in un meccanismo di verifica a consuntivo e valutazione degli scostamenti tale da influire sulla misura dei finanziamenti nell'anno successivo, in una previsione di un triennio 1996-98 transitorio, al termine del quale dovra' essere esclusivo il sistema di remunerazione a prestazione degli erogatori pubblici e privati. In tale maniera si rende graduale il passaggio verso un nuovo sistema attuandosi una ragionevolezza della previsione secondo i principi affermati nella sentenza n. 355/1993". Con la sent. n. 355/1993, infatti, questa ecc.ma Corte aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992, nella parte in cui, nello stabilire l'esonero immediato e totale dello Stato da interventi finanziari volti a far fronte ai disavanzi di gestione delle U.S.L. e delle A.O., non prevedeva un'adeguata disciplina diretta a rendere graduale il passaggio e la messa a regime del sistema di finanziamento previsto dal d.lgs. n. 502/1992. Allo stato attuale, dunque, l'effetto della disposizione impugnata della legge n. 419/1998, che affida al Governo l'incarico di definire un nuovo metodo di remunerazione, sarebbe quello di porre nel nulla le basi gia' poste per l'attuazione del sistema di remunerazione a prestazione, grazie anche alla previsione di una disciplina transitoria che permettesse un "passaggio graduale" al nuovo sistema. La disposizione impugnata si pone, dunque, in piena contraddizione sia con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall'art. 97 Cost., sia con la potesta' organizzativa riconosciuta in materia alle regioni dagli artt. 117 e 118 Cost. 12. - Violazione dell'art. 117 e dell'art. 119 Cost., anche in relazione alla giurisprudenza costituzionale in materia, da parte dell'art. 2, comma 1, lett. oo). L'art. 2 comma 1, lett. oo), attribuisce al Governo il compito di prevedere le modalita' e le garanzie con le quali il Ministro della sanita' sostiene i programmi operativi, da adottarsi da parte delle regioni, e "applica le adeguate penalizzazioni, secondo meccanismi automatici di riduzione e di dilazione dei flussi finanziari in caso di inerzia o ritardo delle regioni nell'adozione o nell'attuazione di tali programmi, sentito il parere dell'agenzia". Tale disposizione appare lesiva dell'autonomia costituzionalmente riconosciuta alle regioni, sia con riferimento al ridisegnato ruolo dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali, sia nella parte in cui innesca un meccanismo punitivo di tipo finanziario nei confronti delle regioni. Quanto al primo motivo, va sottolineato che l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, secondo quanto stabilito dall'art. 5 del d.lgs. 30 giugno 1993, n. 266, con il quale essa e' stata istituita, e' nata come struttura di supporto delle attivita' regionali in materia sanitaria. Tale natura dell'Agenzia e' stata ribadita anche dal d.m. 22 febbraio 1994, n. 233, con il quale, in attuazione di quanto stabilito dall'art. 5 del d.lgs. n. 266/1993, ne sono stati meglio specificati compiti e attribuzioni, e dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 115, recante "Completamento del riordino dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali, a norma degli artt. 1 e 3, comma 1, lett. c), della legge n. 59/1997". In piena contraddizione con lo scopo per cui e' stata istituita, essa ora viene chiamata dalla norma impugnata ad esprimere parere in ordine all'adozione da parte del Ministro della sanita' delle misure punitive previste per l'ipotesi di inerzia delle regioni. La stessa legge n. 419/1998 attribuisce all'Agenzia ruoli del tutto inconciliabili: da un lato, infatti, ai sensi della lett. nn) dell'art. 1, comma 1, essa dovrebbe svolgere compiti di supporto tecnico nella redazione dei programmi operativi; dall'altro, la lett. oo), la chiama ad esprimere parere al Ministro della sanita' in ordine all'inerzia o al ritardo delle regioni nell'adozione degli stessi. Dunque, pur continuando a fornire supporto all'attivita' delle regioni, essa viene contemporaneamente deputata a svolgere funzioni di controllo delle attivita' regionali, essendo chiamata a valutare, ai fini dell'applicazione di misure punitive nei confronti delle regioni, quella stessa attivita' cui fornisce supporto. A tal proposito questa ecc.ma Corte, chiamata a pronunciarsi in ordine alla legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1 del d.lgs. n. 266/1993, ha escluso che le attribuzioni riconosciute da tale norma all'Agenzia per i servizi sanitari regionali siano tali da configurare forme di controllo lesive dell'autonomia regionale e cio' in quanto esse "anche quando presentano un contenuto di valutazione dell'attivita' regionale, non comportano - a differenza di quanto accade nell'attivita' di controllo in senso tecnico - un riesame di tali attivita' in vista dell'adozione di specifiche misure destinate ad incidere (anche con effetti paralizzanti) nella sfera del soggetto controllato, quanto a raccogliere elementi informativi e di comparazione in grado di orientare lo Stato (e, in particolare, il Ministero della sanita') ai fini della determinazione delle scelte di politica sanitaria nazionale funzionali al miglioramento della qualita' dell'assistenza" (sent. n. 128/1994). Nel caso di specie, invece, la valutazione dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali ha tutte le caratteristiche di un controllo in senso tecnico, in quanto evidentemente finalizzato all'adozione da parte del Ministro della sanita' di specifiche misure - la riduzione/dilazione dei flussi finanziari - destinate ad incidere nella sfera del soggetto controllato. D'altra parte, la stessa previsione della possibilita' da parte del Ministro della sanita' di ridurre o dilazionare i flussi finanziari destinati alle regioni per l'ipotesi in cui esse non adottino o ritardino nell'adottare i programmi operativi di cui alla lett. nn), risulta indubbiamente idonea a ledere, nel totale libero arbitrio del Ministro della sanita', l'autonomia finanziaria regionale, senza peraltro, porre in essere un meccanismo efficiente. A tal proposito questa ecc.ma Corte ha piu' volte affermato che l'autonomia finanziaria garantita alle regioni dall'art. 119 Cost., risulta violata quando il legislatore statale, intervenendo nel corso dell'esercizio finanziario di un certo anno, procede alla riduzione di somme gia' trasferite alle regioni e da queste legittimamente impegnate o spese mediante decisioni adottate nello stesso esercizio finanziario. Questa ecc.ma Corte ha, inoltre, precisato che una riduzione di risorse disposta nel modo indicato non puo' non determinare uno squilibrio nella sfera dell'autonomia finanziaria costituzionalmente assicurata alle regioni e quindi nei confronti di una corretta attivita' di bilancio, dovuto alla possibile interferenza di quegli interventi sui programmi di spesa gia' adottati o in corso di svolgimento (cfr. sentenze n. 98, 116 e 283 del 1991, e sent. n. 356/1992). 13. - Violazione degli artt. 3, 41, 117 e 118 Cost. da parte dell' art. 3, comma 2. Il comma 2 dell'art. 3 aggiunge al primo periodo dell'art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992 la seguente disposizione: "Le universita' concordano con regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito dei protocolli d'intesa di cui al presente comma, ogni eventuale utilizzazione di strutture assistenziali private, purche' accreditate e qualora non siano disponibili strutture nell'azienda di riferimento e, in via subordinata, in altre strutture pubbliche". A tal proposito va ricordato che il primo periodo dell'art. 6 del d.lgs. n. 502/1992 attribuisce alle regioni il potere di stipulare, nell'ambito della programmazione regionale, specifici protocolli d'intesa con le universita' allo scopo di regolamentare l'apporto alle attivita' assistenziali del servizio sanitario delle facolta' di medicina. La disposizione impugnata e' suscettibile di produrre una duplice violazione dei principi costituzionali. Essa, infatti, da un lato, nel rendere possibile l'utilizzazione, da parte delle universita', delle strutture private solo "qualora non siano disponibili strutture nell'azienda di riferimento e, in via subordinata, in altre strutture pubbliche", pone in essere una palese violazione del combinato disposto degli art. 3 e 41 della Costituzione; dall'altro, nello stabilire le modalita' di utilizzazione delle strutture private da parte delle universita' senza prevedere alcuna forma di coinvolgimento delle regioni, si pone in aperta contraddizione con quanto stabilito dagli artt. 117 e 118 Cost., in ordine alle competenze legislative e amministrative regionali in materia sanitaria. A seguito di tale disposizione ai soggetti erogatori privati rimane un ruolo meramente residuale: anche in questo caso, infatti, la scelta operata dal legislatore in ordine alla struttura da utilizzare non appare dettata da un criterio di ragionevolezza (cfr. Corte cost. n. 89/1996). La preferenza dell'una piuttosto che dell'altra struttura avrebbe dovuto fondarsi, piu' che sulla natura giuridica del soggetto, su criteri sostanziali, quali la natura dell'attivita' svolta e l'idoneita' del soggetto al raggiungimento deli obiettivi fissati dalla programmazione sanitaria regionale. Quanto alla totale estromissione delle regioni, va sottolineato, in primo luogo, che lo stesso d.lgs. n. 502/1992, nello stabilire, nel primo periodo dell'art. 6, che le regioni stipulano i protocolli d'intesa con le universita' "nell'ambito della programmazione regionale", si dimostra rispettoso delle competenze regionali in materia e, in secondo luogo, che la regione Lombardia, con la l.r. n. 31/1997, ha dettato norme di attuazione dell'art. 6 d.lgs. n. 502/1992, non operando alcuna discriminazione tra le strutture pubbliche e quelle private. L'art. 5 della l.r. n. 31/1997, infatti, stabilisce che la regione e le universita' stipulano appositi protocolli finalizzati a: a) definire i criteri di stipula delle convenzioni attuative con le aziende sanitarie e gli altri soggetti accreditati; b) regolamentare l'apporto delle facolta' di medicina e chirurgia alle attivita' assistenziali, presso i soggetti pubblici e privati accreditati nel pieno rispetto dei principi sanciti nella Carta dei diritti dei cittadini, approvata con D.P.C.M. 19 maggio 1995. L'art. 3, comma 2, in tal modo, si sovrappone ingiustificatamente alla disciplina posta dalla l.r. n. 31/1997, in attuazione del d.lgs. n. 502/1992. 14. - Violazione dell'art. 117 Cost. in relazione al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, e alla giurisprudenza costituzionale in materia da parte dell'art. 6. L'art. 6, nel delegare il Governo ad emanare uno o piu' decreti legislativi volti a ridefinire i rapporti tra Servizio sanitario nazionale e universita', al comma 2, rinvia all'art. 1, commi 3 e 4, per la disciplina della delega. Anche alla delega in oggetto, quindi, viene estesa la procedura indicata al comma 3 dell'art. 1, in base al quale sugli schemi di decreto legislativo il Governo acquisisce il parere della Conferenza unificata. Valgono, dunque, anche per l'art. 6 le censure di illegittimita' mosse sub. par. 1) all'art. 1 della legge impugnata, dovendosi ritenere competente, anche nel caso di specie, la Conferenza Stato-regioni anziche' la Conferenza unificata. Conclusivamente, non puo' non essere ribadito come sia inaccettabile per le regioni una procedura legislativa statale che, a distanza di pochi anni, ribalta complessivamente le scelte gia' effettuate; ovvero come sia egualmente inaccettabile che atti di indirizzo recentissimi vengano poi travolti da altre previsioni. Come si e' gia' notato, vi sono molti sintomi del fatto che si sia di fronte ad un tentativo di ricentralizzazione della materia: non solo in questo senso spinge la assoluta genericita' di molte previsioni della delega e il ribaltamento di molte scelte operate dal d.lgs. n. 502/1992; ma ne costituiscono spia la mancanza di qualsiasi atteggiamento collaborativo con le regioni: non solo si cerca un incongruo potenziamento dei comuni, non solo i pareri sui decreti saranno resi in sede di Conferenza unificata, ma soprattutto la legislazione regionale, legittimamente approvata in attuazione del d.lgs. n. 502/1992 e delle sue modifiche, non viene in nulla salvaguardata, costringendosi ancora una volta le regioni ad una continua rincorsa di modificati orientamenti statali. La sanita' e' di competenza regionale ed e' materia delicata che coinvolge un fondamentale interesse dei cittadini, l'attivita' lavorativa di un gran numero di persone, apparati pubblici e privati di rilevanti dimensioni. Non e' solo il rispetto del principio di leale collaborazione che impone allo Stato di non procedere in modo contraddittorio e altalenante agli interventi sul settore sanitario; ma e' l'esigenza del rispetto di quei fondamentali interessi dei cittadini, dei lavoratori, delle complesse strutture sanitarie che vuole che lo Stato operi in maniera meno parossistica e rapsodica su di un settore cosi' delicato.