IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 5701/96 RG,
 proposto  dalla  sig.  Anna  Capriglione,  rappresentata   e   difesa
 dall'avv.    Giuseppe  Di  Casola  e domiciliata per legge in Napoli,
 presso la Segreteria di questo Tribunale amministrativo regionale;
   Contro il Ministero della pubblica istruzione, in persona del  sig.
 Ministro  pro-tempore  ed  il Provveditorato agli studi di Napoli, in
 persona del sig. Provveditore  pro-tempore,  rappresentati  e  difesi
 dall'Avvocatura  distrettuale  dello Stato di Napoli, domiciliataria,
 per l'annullamento previa sospensione,  del  decreto  n.  57  del  12
 gennaio  1996,  con  cui  il  Provveditore  agli  studi  di Napoli ha
 disposto il  collocamento  a  riposo  della  prof.  Capriglione,  con
 decorrenza dal 1 settembre 1996, per raggiunti limiti d'eta';
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto   l'atto   di   costituzione   nel  presente  giudizio  delle
 Amministrazioni   statali   intimate,   per   mezzo   dell'Avvocatura
 distrettuale dello Stato di Napoli;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Relatore  all'udienza  camerale  del 7 novembre 1996 il Consigliere
 dott. Silvestro Maria Russo e uditi altresi';
   Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   1. - La prof. Anna Capriglione, nata a Torre Annunziata il 12 marzo
 1929,  e'  preside di ruolo della scuola media statale "Mons. Michele
 Sasso" di Torre del Greco.
   Con istanza del 1 settembre 1993, la prof.  Capriglione  chiese  di
 essere  trattenuta in servizio, fino e non oltre il compimento del 70
 anno d'eta', a' sensi dell'art. 15 della legge  30  luglio  1973,  n.
 477.  Tale  domanda  fu  poi  reiterata  il  16  dicembre  1995,  con
 contestuale rinuncia al riscatto degli  anni  del  corso  di  laurea.
 Tuttavia,  con  il decreto n. 57 del 12 gennaio 1996, il Provveditore
 agli studi di Napoli ne ha disposto il  collocamento  a  riposo,  con
 decorrenza dal 1 settembre 1996, per raggiunti limiti d'eta';
   2.  -  Avverso  tale  statuizione,  la  prof.  Capriglione si grava
 innanzi a questo giudice con il ricorso in epigrafe, notificato il  6
 luglio 1996 e depositato il successivo giorno 18.
   La  ricorernte,  nel  convenire in giudizio il Ministero della p.i.
 ed il Provveditorato agli studi di Napoli, deduce in punto di diritto
 l'unico, articolato motivo della violazione della legge n. 477/1973 e
 dell'eccesso di potere per presupposto erroneo. Afferma, infatti,  la
 ricorrente che, fermo restando il principio del collocamento a riposo
 per  vecchiaia del personale docente e direttivo della scuola statale
 al compimento del 65 anno d'eta', l'art. 15 della legge n.  477/1973,
 del cui beneficio del trattenimento in servizio ella intende  fruire,
 non e' incompatibile, ne' risulta abrogato dall'art. 16 del d.lgs. 30
 dicembre  1992  n. 503. Pertanto, ad avviso della ricorrente, ella ha
 titolo per godere, laddove ve ne siano i  presupposti  stabiliti  dal
 medesimo  art.  15,  dei  relativi  benefici,  erronea  appalesandosi
 l'asserzione della P.A. datrice di  lavoro  in  ordine  alla  proroga
 biennale  ex art. 16 del d.lgs. n. 503/1992, quale fattispecie che ha
 esaurito la possibilita' di ottenere l'altra proroga fino al 70  anno
 d'eta'.
   Resistono   nel   presente   giudizio  le  Amministrazioni  statali
 convenute, le quali, con memoria conclusionale del 6  novembre  1996,
 eccepiscono in buona sostanza l'alternativita' e la non cumulabilita'
 dei  benefici  de  quibus,  anche  in  relazione  a numerose pronunce
 cautelari emanate in termini dal Consiglio di Stato.
   3. - Con  ordinanza  collegiale  istruttoria  n.  645/1996  del  26
 settembre  1996,  la  Sezione,  sospendendo  nelle  more  il  decreto
 impugnato  e  fissando  all'udienza  camerale  del  7  novembre  1996
 l'ulteriore   trattazione   della   causa,   ha  ordinato  incombenti
 istruttori al convenuto Provveditorato agli studi di Napoli.
   All'udienza camerale del 7 novembre 1996, la  Sezione  ha  ritenuto
 fondato  ad  un  primo  esame  il  ricorso  in epigrafe e ha reputato
 sussistente il danno grave ed irreparabile ex  art.  21,  u.c.  della
 legge 6 dicembre 1971, n. 1089, ha accolto temporaneamente la domanda
 di  sospensione  dell'efficacia  del decreto impugnato. La Sezione ha
 contemporaneamente  rinviato  l'ulteriore  e  definitiva  trattazione
 della  domanda  cautelare in argomento alla prima Camera di consiglio
 utile dopo la restituzione degli atti del presente giudizio da  parte
 della Corte costituzionale, a seguito della decisione sulla questione
 di  legittimita' costituzionale che la Sezione ha deciso di sollevare
 con la presente, separata  ordinanza,  deliberata  in  pari  data  (7
 novembre1996).
                             D i r i t t o
   1.  -  Come  gia'  accennato  in epigrafe e piu' diffusamente nelle
 premesse in fatto, la prof. Anna Capriglione, nata a Torre Annunziata
 il 12 marzo 1929, e' preside di  ruolo  della  Scuola  media  statale
 "Mons. Michele Sasso" di Torre del Greco.
   La  questione  controversa  concerne l'impugnazione, da parte della
 stessa prof. Capriglione, del decreto n. 57 del 12 gennaio 1996,  con
 cui   il  Provveditore  agli  studi  di  Napoli  ne  ha  disposto  il
 collocamento a riposo, con  decorrenza  dal  1  settembre  1996,  per
 raggiunti  limiti  d'eta'.  Giova premettere che la ricorrente era in
 servizio  di  ruolo  alla  data  del  1  ottobre  1974  ed  e'  stata
 destinataria  del beneficio del trattenimento in servizio oltre il 65
 anno d'eta' a' sensi dell'art.  16 del d.lgs. 30  dicembre  1992,  n.
 503.
    Il   provvedimento  impugnato  e'  motivato  essenzialmente  sulla
 circostanza che la ricorrente non avrebbe titolo pure per fruire  del
 beneficio  ex  art.  15, secondo comma della legge 30 luglio 1973, n.
 477. In virtu' di tale norma, al  personale  direttivo,  ispettivo  e
 docente della scuola statale in servizio al 1 ottobre 1974, che debba
 essere  collocato  a  riposo  per  raggiunti limiti di eta' e che non
 abbia raggiunto il numero di anni di servizio  attualmente  richiesto
 per  il  massimo  della  pensione  (il cui computo deve ricomprendere
 tutti i servizi riscattati, computati e ricongiunti con provvedimento
 espresso, a norma dell'art. 10, comma 6 del d.-l. 6 novembre 1989, n.
 357, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 1989,  n.
 417  e non rinunciati dall'interessato), e' data facolta' di rimanere
 in servizio su richiesta fino al raggiungimento di  detto  limite  e,
 comunque,  non  oltre il 70 anno d'eta'. E' avviso della P.A. datrice
 di lavoro che il beneficio de quo, pur non essendo stato  superato  o
 abrogato dall'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992 (e, a quanto consta ictu
 oculi,  neppure dall'art.  509, comma 5 del t.u. scol., approvato con
 d.lgs.  16  aprile  1994,  n.   297),   sarebbe   incompatibile   con
 quest'ultimo, giusta quanto a suo tempo affermato dal Ministero della
 pubblica  istruzione con propria circolare n. 47 del 23 febbraio 1993
 ("... I riferiti benefici si pongono peraltro in alternativa  e  sono
 richiedibili  soltanto nell'anno scolastico di compimento del 65 anno
 di eta'...").
   2. -  Cio'  posto,  la  Sezione,  piu'  volte  negli  ultimi  tempi
 investita  in  via cautelare di questioni identiche o sostanzialmente
 simili a  quella  prospettata  con  il  ricorso  in  epigrafe,  s'era
 orientata in senso favorevole alla tesi attorea, non ravvisando ex se
 alcun  dato  testuale  d'incompatibilita'  tra  le regole ex art. 15,
 secondo comma della legge n. 477/1973  (norma,  peraltro,  di  natura
 transitoria  ed  evidentemente  ad  esaurimento, per il naturale turn
 over dei dipendenti scolastici statali) e l'art.  16  del  d.lgs.  n.
 503/1992,  soprattutto  dopo  l'emanazione dell'art. 509, comma 5 del
 t.u. scol.
   2.1  -  Invero,  la  Sezione  ha  ritenuto  di  giungere   a   tale
 conclusione,  prendendo  le  mosse  dall'articolo unico della legge 7
 giugno 1951, n. 500, recante le norme sul collocamento a  riposo  del
 personale direttivo e docente degli istituti secondari e d'istruzione
 artistica  d'ogni  ordine  e  grado, in virtu' del quale i presidi, i
 direttori e gli insegnanti degli istituti d'istruzione secondaria  ed
 artistica  sono collocati a riposo al termine dell'anno scolastico in
 cui essi  compiono  il  70  anno  d'eta',  qualunque  fosse  la  loro
 anzianita'  di servizio. Tale norma, che abrogo' a suo tempo tutte le
 disposizioni  previgenti  in  soggetta  materia,  recava  un   regime
 particolare  a favore di questa categoria di insegnanti statali ed in
 deroga a quanto stabilito dall'art. 11, primo comma  della  legge  15
 febbraio  1958,  n.  46 per tutti gli impiegati civili di ruolo delle
 Amministrazioni dello Stato, anche con ordinamento autonomo,  il  cui
 collocamento  a riposo avveniva (e tuttora avviene) al compimento del
 65 anno d'eta'.
   Quest'ultima norma concerneva pure  gli  insegnanti  elementari,  i
 quali,  in un primo tempo, furono assoggettati al regime ex art. 134,
 primo comma del r.d. 5  febbraio  1928,  n.  577  (t.u.  sc.  elem.),
 cessavano  dal servizio al compimento del 45 anno di servizio e/o del
 65 anno d'eta'.
   La differenza di regime tra le due categorie di docenti ben  poteva
 ammettersi  nel precedente ordinamento, a causa del differente titolo
 d'accesso al concorso  -  tale  per  cui  gli  insegnanti  elementari
 godevano  di  un  titolo  di studio perfettamente abilitante ed erano
 reclutabili anche prima del compimento del 18 anno d'eta' -,  nonche'
 della  necessita' dell'abilitazione (fosse essa congiunta al concorso
 a cattedra, a' sensi dell'art. 5 del r.d. 31 dicembre 1923, n.  2909,
 oppure  no,  a'  sensi della legge 15 dicembre 1955, n. 1440) e della
 diversa cadenza dei concorsi ordinari  per  i  docenti  della  scuola
 superiore.  Inoltre, a differenza del titolo abilitante per i docenti
 elementari,   il   reclutamento   dei   docenti   superiori    doveva
 necessariamente  esser  preceduto,  oltreche'  dal  conseguimento del
 prescritto  titolo  di  studio  accademico,  anche   dalla   predetta
 abilitazione.  Si  tratta di vicende che, in varia guisa, implicavano
 un  tempo  maggiore  per  l'accesso  all'impiego  di  detti  docenti,
 indipendentemente   dalle   regole,   invero  comuni  per  tutti  gli
 insegnanti statali (cfr. l'art. 1 della legge 13 marzo 1958, n. 165),
 per il riconoscimento del servizio non di ruolo.
   L'emanazione dell'art. 15 della  legge  n.  477/1973  implico'  due
 sostanziali  novita'.  Infatti,  oltre  all'unificazione  sostanziale
 delle regole del rapporto d'impiego per tutte le categorie di docenti
 statali, si provvide (primo comma)  a  fissare,  a  decorrere  dal  1
 ottobre  1974, un unico limite d'eta' per il collocamento a riposo di
 tutto il  personale  ispettivo,  direttivo,  docente  e  non  docente
 statale,  il quale appunto si verifica al 1 settembre successivo alla
 data di compimento del 65 anno d'eta'. L'art. 15, comma  2  reco'  il
 beneficio  per  cui  e'  causa  ed  il  cui contenuto e' stato dianzi
 accennato. Il successivo comma 3  stabili'  invece  l'estensione  del
 beneficio  stesso  anche  per il conseguimento dell'anzianita' minima
 per la quiescenza, a favore del  personale  che,  in  servizio  al  1
 ottobre  1974, al compimento del 65 anno di eta' non avesse raggiunto
 il numero di anni richiesto per ottenere il minimo della pensione.
   2.2.  -  Con  sentenza  n.  207  del  9  luglio  1986,   la   Corte
 costituzionale  espunse  dall'art.  15,  terzo  comma  della legge n.
 477/1973 ogni riferimento in ordine alla delimitazione del  beneficio
 cola'  recato  fino  al  conseguimento  dell'anzianita' minima per la
 quiescenza.
   Con la successiva sentenza n. 444 del 12 ottobre 1990, la Corte  ha
 ancora  dichiarato  il  citato  art.  15,  comma 3 costituzionalmente
 illegittimo, nella  parte  in  cui  delimitava  il  trattenimento  in
 servizio  fino  al  70  anno  d'eta',  ai fini del raggiungimento del
 minimo  della pensione, solo al personale in servizio alla data cola'
 indicata.  Quindi, per effetto della sentenza n. 444/1990  -  il  cui
 principio,  com'e'  noto, e' stato esteso a tutto il personale civile
 dello Stato dalla successiva sentenza n. 282 del 18 giugno 1991 -, il
 beneficio in parola puo' spettare a tutti  coloro  che,  pur  non  in
 servizio   al  1  ottobre  1974,  alla  data  prevista  per  il  loro
 collocamento a riposo non raggiungano il minimo di pensione e fino al
 70 anno d'eta'.
   2.3. - L'art. 16 d.lgs. n. 503/1992 dispone che e' in facolta'  dei
 dipendenti  civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di
 permanere in servizio, con decorrenza dalla data d'entrata in  vigore
 della  legge  23  ottobre  1992, n. 421, per un periodo massimo di un
 biennio oltre i limiti di eta' per il collocamento a riposo per  essi
 previsti.
   Ora,   l'art.   16   del   d.lgs.   n.  503/1992  pone  una  regola
 d'incentivazione  al  trattenimento  in   servizio   dei   dipendenti
 pubblici,  costruita a guisa di diritto potestativo a loro favore dei
 beneficiari e, percio', ad effetto conformativo di scelte diverse  da
 parte  del  datore  di  lavoro. Se la struttura di detto beneficio e'
 costruita in termini di facolta', ossia di scelta libera nei  fini  e
 non  collegata se non a meri oneri (p.es., di procedimentalizzazione,
 o di rispetto d'un termine all'uopo  stabilito  dalla  legge,  quale,
 p.es.,  l'art.  10,  comma  7  del  d.-l.  n. 357/1989), essa implica
 obblighi specifici in capo al datore di lavoro - e, se questi e'  una
 P.A.,  una  deroga  a  scelte  organizzatorie di diversa natura -, in
 virtu'  della  specifica  ratio  della  norma  in  argomento,   cioe'
 dell'idoneita'  del  beneficio a realizzare la funzione di (parziale)
 innalzamento dell'eta'  contributiva  e  di  ampliamento  della  base
 previdenziale imponibile.
   Non  sfugge  al  Collegio  che  l'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992, a
 cagione della sua ampia formulazione, si risolve, in ultima  analisi,
 nella  reductio  ad  unum  di situazioni complesse e variegate, quali
 appunto sono le discipline del  lavoro  subordinato  alle  dipendenze
 dell'Amministrazione  scolastica statale, ove s'intrecciano norme che
 nascono in tempi diversi e, soprattutto, che scaturiscono da  ragioni
 non  sempre  coerenti  e  compatibili. Occorre, pero', che l'art.  16
 venga coordinato in modo armonico  con  le  altre  norme  vigenti  di
 settore,  in  modo da consentire a ciascun soggetto l'esercizio delle
 proprie facolta', in coerenza con la predetta ratio. E cio'  consente
 di  leggere  il ripetuto art. 16, appunto per superare i timori delle
 Amministrazioni resistenti, in modo da escludere che esso, per il sol
 fatto che venga costruito come diritto potestativo,  sia  ininfluente
 sull'alleggerimento  della finanza pubblica previdenziale, o, peggio,
 si  ponga  in  evidente  contrasto  con  i  principi  della   scienza
 dell'organizzazione    amministrativa    (perche'    impedirebbe   il
 fisiologico ricambio del personale).   Sembra, infatti,  al  Collegio
 che  tali  timori, che poi fondano l'asserzione dell'incompatibilita'
 del beneficio dell'art. 16 con quello dell'art.   15,  secondo  comma
 della  legge  n.  477/1973,  si  risolvano  in  una mera petizione di
 principio,  perche'   non   tengono   conto   sia   del   fatto   che
 nell'ordinamento  positivo, nessuno puo' essere legato ad un rapporto
 obbligatorio (specie se di lavoro subordinato) senza il suo  consenso
 e/o  all'infinito  ma  solo  nei  limiti dell'esigibilita', sia della
 circostanza  che  il  fisiologico ricambio della P.A. si realizza non
 cercando di collocare a riposo quanta piu' gente  sia  possibile,  ma
 mediante  formule  organizzative  diverse  e  piu' flessibili. E cio'
 appare vieppiu' significativo, se si tien conto che  l'esperienza  ed
 il   know-how   del   personale  piu'  anziano  sono  beni  scarsi  e
 difficilmente riproducibili, se non attraverso  una  dispendiosissima
 formazione  permanente  del  personale  piu' giovane, soprattutto nei
 casi, numericamente piu' frequenti negli ultimi anni,  di  assunzioni
 ope   legis,   o  effettuate  con  procedure  in  sanatoria  del  cd.
 "precariato".
   Gia' sulla scorta del solo dato testuale, il citato art. 16, avendo
 un effetto generalizzato nei riguardi di tutti i pubblici dipendenti,
 s'applica loro nel caso in  cui,  avendo  essi  raggiunto  il  limite
 d'eta'  per  ciascuno  di  loro  volta per volta fissato dalla legge,
 devono essere per tale motivo collocati a riposo, sia nel caso in cui
 il loro limite d'eta' sia fissato a 65 anni, sia in quello in cui per
 alcune categorie particolari di lavoratori il termine sia stabilito a
 70 anni, sia, infine in quello in cui, per determinati soggetti ed in
 relazione  a  situazioni  inerenti  il  computo  del   loro   periodo
 lavorativo  pensionabile,  il  limite  di 65 anni sia stato prorogato
 fino e comunque non oltre i 70 anni. Infatti, l'art. 3, comma 1 della
 legge n. 421/1992, nel fissare i principi  della  delega  in  materia
 previdenziale, ha stabilito la salvaguardia dei diritti acquisiti dei
 lavoratori   (ossia,   delle  posizioni  lavorative  di  categoria  e
 singolari, affinche' nessuno  possa  riceverne  nocumento,  perlomeno
 fino  all'entrata in vigore del nuovo sistema pensionistico), diritti
 tra i quali si  puo'  annoverare  la  facolta'  di  trattenimento  in
 servizio  per  ottenere,  o,  se  del  caso,  migliorare  la  propria
 posizione di quiescenza. E  tale  argomento  sembra  corroborato,  ad
 avviso  del Collegio, dalla circostanza che il medesimo art. 3, comma
 1 fonda la razionalita' della  nuova  normativa  pensionistica  sulla
 stabilizzazione   del   rapporto   tra  PIL  e  spesa  previdenziale,
 garantendo al contempo, in coerenza con l'art. 38 della  Costituzione
 e  con la pluralita' degli organismi assicurativi, l'omogeneizzazione
 dei trattamenti pensionistici obbligatori.   Tali finalita',  secondo
 le  intenzioni  della  delega,  che divengono cosi' i parametri della
 legittimita'  formale  delle  norme  delegate   e   di   legittimita'
 (giustizia) sostanziale delle interpretazioni al riguardo rese, vanno
 perseguite   attraverso   il   progressivo  innalzamento  dell'  eta'
 pensionabile, rispetto a quella attualmente vigente in base  a  norme
 generali o speciali.
   Cio' implica che, se il limite di partenza e' gia' di per se stesso
 piu'  alto  per  alcune  categorie  di  lavoratori  rispetto ad altre
 (p.es.,  i  magistrati  rispetto  ai  dipendenti  statali  e   questi
 rispetto,  p.es., ai metalmeccanici, ecc.), oppure il limite standard
 di categoria  (p.es.,  65  anni)  e'  solo  virtuale  -  perche'  per
 determinati lavoratori esiste la facolta' di superarlo in relazione a
 fattispecie  precise  e  per  il  raggiungimento  esclusivo  di scopi
 predeterminati dalla  stessa  norma  che  fissa  il  predetto  limite
 standard  -,  allora  il biennio stabilito dall'art. 16 del d.lgs. n.
 503/1992 trova il proprio dies a quo dal limite come gia' elevato per
 effetto di legittime previsioni normative.
   Appare   quindi  sostanzialmente  inutile  argomentare  che,  nella
 specie, entrambi i benefici ex art. 15, secondo comma della legge  n.
 1477/1973  e  dell'art.  16  del d.lgs. n. 503/1992 (innalzamento del
 limite  dell'eta'  massimo  e,  rispettivamente,  ulteriore  biennio)
 risponderebbero   alla   medesima   logica,   ossia  alla  necessita'
 dell'innalzamento dell'eta' pensionabile, perche', in realta', non ne
 esiste (ancora) un unico limite minimo e massimo valido per tutte  le
 categorie   di   lavoratori  e,  all'interno  di  queste,  a  ciascun
 lavoratore, in base  alla  propria  posizione  contributiva.  Spetta,
 invero,  al  legislatore,  negli  ovvi  limiti della ragionevolezza e
 dell'uguaglianza sostanziale dei soggetti  di  diritto,  valutare  di
 volta  in  volta  quale sia il limite piu' congruo, ai fini sia della
 pensione di vecchiaia, sia  di  quella  d'anzianita',  per  le  varie
 categorie.  Solo  il  beneficio  ex  art. 16 del d.lgs. n.   503/1992
 costituisce l'unica vera attuazione, generalizzata e indipendente  da
 ogni altra considerazione o finalita' - a differenza di quanto invece
 stabilito  sia  dall'art.  15  della legge n. 477/1973, sia dall'art.
 509, commi 1, 2 e 3 del t.u.scol. -, del principio di delega ex  art.
 3,  comma  1  della  legge  n.  421/1992,  inerente  all'innalzamento
 dell'eta' pensionabile dei lavoratori dipendenti pubblici.
   Ad avviso della Sezione, da tanto discendono:
     A) l'impossibilita' di delimitare,  nell'ambito  delle  categorie
 considerate  dal  ripetuto  art. 16, l'estensione del beneficio cola'
 indicato ad uno, piuttosto che ad  un  altro  lavoratore  subordinato
 pubblico,  dovendo  tale  regola  concernere  tanto  la categoria per
 intero, quanto il singolo appartenente in quanto tale, posto  che  la
 salvaguardia  dei  c.d.  "diritti acquisiti" ex art. 3, comma 1 della
 legge n. 421/1992 non attiene ad altro che alla  posizione  giuridica
 soggettiva pensionabile di costui;
     B) l'erroneita' dell'asserzione, per cui il beneficio ex art.  16
 sarebbe   alternativo   con  altre  e  diverse  norme  d'innalzamento
 dell'eta'  pensionabile,   perche'   tale   alternativita'   non   e'
 specificamente  contemplata  ne'  dal  testo della norma, ne' tampoco
 dalla sua funzione, ne' e' coerente  con  la  circostanza  che  altre
 norme   assoggettano   il   trattenimento   in   servizio  (si  badi:
 trattenimento, e non  gia'  innalzamento  dell'eta'  pensionabile)  a
 finalita' specifiche ed ineludibili;
     C) la giuridica inesistenza d'un principio certo che il limite di
 70  anni  d'eta'  sia  quello  invalicabile, non solo perche' vi sono
 cospicue  categorie  di  pubblici  dipendenti  che,   pur   essendone
 soggetti, non per cio' solo sono esclusi dal beneficio (lo si ritiene
 pacificamente  applicabile,  p.es.,  per  tutti i magistrati dei vari
 ordini giudiziari; per i professori universitari, una volta  decaduto
 e  non  reiterato  il  d.-l.  15  novembre  1993,  n.  460; ecc.), ma
 segnatamente perche' il predetto limite e',  in  certi  casi  (p.es.,
 quelli  del  personale  scolastico),  del tutto virtuale e non sempre
 raggiugibile, neppure in esito a concessioni poste dalla legge.
   2.4. - L'art. 509  del  t.u.  scol.  stabilisce  che  il  personale
 docente,  direttivo ed ispettivo della scuola statale, e' collocato a
 riposo, d'ufficio, dal 1 settembre successivo alla data di compimento
 del  65  anno  d'eta'  (allo  scopo  di  assicurare   la   necessaria
 continuita'  didattica, evitando l'avvicendamento degli insegnanti in
 corso di  anno  scolastico);  oppure,  a  domanda,  dal  1  settembre
 successivo   al   compimento   del  40  anno  di  servizio  utile  al
 pensionamento.
   Nondimeno,  al  predetto  personale  e'  attribuita la facolta', in
 aggiunta  a  quanto  gia'  recato  dallo  stesso  art.  509  per   il
 trattenimento  in servizio oltre il compimento del 65 anno d'eta', di
 permanere ancora in servizio per  un  periodo  massimo  d'un  biennio
 oltre  i  limiti  d'eta'  per  il  collocamento a riposo, con effetto
 dall'entrata in vigore della legge n. 421/1992. Ora, le  disposizioni
 agevolative  ex  art.  15  della legge n. 477/1973 e quelle di cui ai
 commi 2 e 3 dell'art. 509 del  d.lgs.  n.  297/1994  (che,  in  buona
 sostanza,  replicano  pedissequamente  l'art.  15  nella formulazione
 risultante   a   seguito   delle   sentenze    d'incostituzionalita')
 attribuiscono il beneficio del solo trattenimento in servizio per uno
 scopo  ben  preciso,  ossia  per  il  raggiungimento  del  massimo o,
 rispettivamente, del minimo dell'eta'  pensionabile,  non  conseguite
 dall'interessato  al  65 anno d'eta'. La norma contenuta nell'art. 16
 del d.lgs. n. 503/1992 e nel comma 5 dello stesso  art.  509  e'  una
 facolta' mera, che puo' essere esercitata, o no, ma che non e' di per
 se'   collegata   alla   quantita'   di   trattamento  di  quiescenza
 conseguibile, attraverso il biennio di permanenza,  dall'interessato.
 Che, poi, questo risultato venga nei fatti perseguito e, se del caso,
 materialmente  ottenuto  dall'interessato  merce'  l'esercizio  della
 predetta facolta', nulla toglie o aggiunge alla funzione dei ripetuti
 art. 509, comma 5 ed  art.  16  del  d.lgs.  n.  503/1992.  Anzi,  la
 concreta   realizzazione   dell'innalzamento  dell'eta'  pensionabile
 dell'interessato costituisce un bonum giuridicamente rilevante  e  di
 grande  utilita'  tanto per costui (che gode d'un maggior trattamento
 di quiescenza), quanto per l'Amministrazione datrice di  lavoro  (che
 fruisce  della  prestazione  lavorativa del proprio dipendente per un
 altro biennio), quanto, infine, per gli istituti di  previdenza  (che
 ottengono un altro biennio di contribuzione).
   La  Sezione  ha  gia' osservato che la radice profonda dell'art. 15
 deIla legge n. 477/1973 era l'art. unico della legge n. 500/1951, ma,
 al contempo, non puo' neppure sottacere che solo in parte l'art.  509
 del t.u. scol. ne sia il continuatore nel nuovo ordinamento.  Invero,
 la sopravvenienza dell'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992, ancor piu' dei
 citati pronunciamenti della Corte costituzionale, ne ha  cambiato  la
 natura  giuridica  e  la  funzione. In altre parole, l'art.  15 della
 legge n. 477/1973 aveva, in origine  -  e,  soprattutto,  in  difetto
 d'una norma intertemporale tra l'assetto normativo dei c.d.  "decreti
 delegati"  e la disciplina previgente fissata dalla legge n. 500/1951
 -, una funzione se non di raccordo tra il nuovo ed il vecchio  regime
 del  pensionamento  di tale personale, perlomeno di mantenimento d'un
 certo  apparato  di  benefici  a  favore  di  quest'ultimo.     Prima
 l'illegittimita' costituzionale parziale dell'art. 15 e poi l'entrata
 in  vigore della legge n. 421/1992 hanno cambiato, per forza di cose,
 la collocazione dell'art. 15 stesso nell'ordinamento, nel  senso  che
 ad   esso,  quale  norma  recante  un  beneficio  "condizionato"  (da
 presupposti e da finalita' specifiche) s'e' aggiunta  un'altra  norma
 di   beneficio  "incondizionato"  (perche'  libero  nei  fini  e  nei
 presupposti).
   Non a caso, l'art. 509 del d.lgs. n. 297/1994,  nel  coordinare  le
 due  norme,  non ha potuto che prender atto, pur nell'innegabile loro
 similitudine, della loro funzionale irriducibilita', tant'e'  che  la
 facolta'  per  l'esercizio  del  beneficio  ex  legge  n. 421/1992 e'
 attribuita "altresi'", ossia e' posta  dal  comma  5  in  aggiunta  a
 quelli  di  cui  ai  commi 2 e 3, i quali replicano essenzialmente le
 norme del ripetuto art. 15 della legge n. 477/1973,  come  modificato
 dalla  Corte  costituzionale. Insomma, l'art. 509, comma 5 del d.lgs.
 n.  297/1994 da' atto delle differenze esistenti tra i  due  benefici
 e,  per  l'effetto,  li  somma  a  vantaggio di tutto il personale in
 servizio alla data d'entrata  in  vigore  della  legge  n.  421/1992,
 indipendentemente  dalla  circostanza  che,  poi,  quest'ultimo possa
 godere, o no anche di quanto stabilito dai precedenti commi  2  e  3.
 Ne' varrebbe obiettare che il comma 5 concede il beneficio de quo per
 un  periodo  massimo  d'un  biennio  oltre  i  limiti  di eta' per il
 collocamento a riposo previsti; pero' tale indicazione va  coordinata
 non  solo  con  quanto previsto dal precedente comma 1, ma pure con i
 successivi commi 2 e 3, di talche'  il  limite  d'eta'  previsto  per
 detto  personale  e'  quello  cui  ciascun  dipendente legittimamente
 perviene per effetto dei predetti commi.
   Pertanto, il docente, che s'avvalse di uno dei benefici ex art.  15
 della legge n. 477/1973 o dei commi 2  e  3  del  ripetuto  art.  509
 potra',  se  vorra',  avvalersi  del  beneficio  di cui al comma 5 ed
 all'art.  16 del d.lgs. n. 503/1992 in  aggiunta  ai  precedenti.  Il
 dies a quo per il computo del biennio non sara' sic et simpliciter il
 65 anno d'eta' dell'interessato, bensi' il giorno in cui egli sarebbe
 dovuto   esser  collocato  a  riposo  per  effetto  dei  benefici  di
 trattenimento in servizio di cui ai commi 2 o  3  dello  stesso  art.
 509.
   3.  - Di tutti tali principi, che diversamente da quanto opinano le
 Amministrazioni resistenti denotano tutt'altro che una lettura errata
 o affrettata delle norme teste' cennate, la Sezione ha avuto modo  di
 fornie  idonea  contezza in svariate situazioni, analoghe a quella di
 cui al ricorso in epigrafe (cfr., per tutti,  TAR  Campania,  Napoli,
 II,  ordd.  n.  10/96; n. 368/1996). Tuttavia, il Consiglio di Stato,
 unico giudice d'appello per le decisioni di questo Tribunale, ha piu'
 volte riformato le  ordinanze  emanate  in  soggetta  materia,  senza
 alcuna  motivazione in diritto (cfr., per tutti, Cons. St., VI, ordd.
 n. 630/96 e  n.  958/96),  con  cio',  evidentemente  accogliendo  le
 argomentazioni  d'appello proposte dal Ministero convenuto, per mezzo
 dell'Avvocatura generale dello Stato.
   In particolare, la P.A. resistente afferma che:
     A) dal combinato disposto dell'art. 15 della legge  n.  477/1973,
 dell'art.  10  del  d.-l.  n. 357/1989 e dell'art. 509 del t.u. scol.
 s'evince come il 70 anno d'eta' costituisca, per il  personale  della
 scuola,  il  limite  oltre il quale non e' consentito in ogni caso di
 rimanere in  servizio,  a  prescindere  dal  raggiungimento,  o  meno
 dell'anzianita'  di  servizio  necessaria  minima  (Cons. St., VI, 21
 luglio 1990, n.  737);
     B) non puo' esser consentita  la  proroga  del  trattenimento  in
 servizio  sino  al  70 anno d'eta', qualora il richiedente abbia gia'
 raggiunto 40 anni di servizio utili a pensione, nel  senso  precisato
 dal ricordato art. 10 del d.-l. n. 357/1989;
     C)  non  e'  possibile  elevare  ulteriormente il predetto limite
 d'eta' dei 70 anni a' sensi dell'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992 - si'
 da consentire di restare in servizio sino  praticamente  al  72  anno
 d'eta'  -, in quanto, come chiarito nella citata circolare n.  47/93,
 per il collocamento a riposo rimane  fermo  il  limite  del  65  anno
 d'eta'  e  la  facolta'  ex  art.  16 "... puo' essere utilizzata dal
 personale entro il 31 marzo dell'anno scolastico di compimento del 65
 anno  di  eta',  quale che sia l'anzianita' di servizio raggiunta..."
 (la  Sezione  non  puo'  esimersi   dal   rilevare   fin   d'ora   la
 paradossalita'  di  siffatta  asserzione, che costituisce piu' avanti
 specifico  motivo  di   censura   di   legittimita'   costituzionale:
 all'interessato  sotto  il  65  anno  d'eta' e' consentito restare in
 servizio, anche se ha raggiunto o superato il 40  anno  di  servizio,
 mentre  al soggetto oltre il 65 anno tale facolta' e' denegata pur se
 il biennio ex art. 16  del  d.lgs.  n.  503/1992  possa  servirgli  a
 raggiungere il minimo di pensione);
     D) i limiti cui fa esplicito riferimento l'art. 16 del d.lgs.  n.
 503/1992,  rinviando  ai fini del computo del biennio alla disciplina
 prevista dai diversi regimi previdenziali, sono quelli riguardanti la
 data "ordinaria" di collocamento a riposo, data che per il  personale
 della  scuola e' stabilita, come gia' ricordato, al compimento del 65
 anno d'eta';
     E) il termine di decorrenza  di  tale  biennio  non  puo'  dunque
 essere  stabilito  dalla  data  di scadenza degli eventuali ulteriori
 benefici di  cui  l'interessato  abbia  gia'  finito,  in  quanto  il
 beneficio ex art. 16 del d.lgs. n. 503/1992 e' accordabile nella sola
 misura  in cui lo spostamento del limite di eta' pensionabile da esso
 recato non possa essere superato dall'applicazione di  altri  e  piu'
 favorevoli   regimi  normativi,  di  carattere  eccezionale,  atti  a
 spostare ancora piu' in avanti il limite anzidetto, anche al fine  di
 evitare i privilegi connessi a duplicazioni di benefici e per ragioni
 di contenimento della spesa pubblica.
   Tale  s'appalesa  in buona sostanza il disegno ricostruttivo che il
 giudice ministrativo d'appello effettua del sistema  della  procedura
 per  il  collocamento  a riposo del personale scolastico, onde, cosi'
 facendo, quest'ultimo  e'  di  fatto  impossibilitato  ad  esercitare
 l'opzione  ex art. 509, comma 5 del t.u. scol., a suo detrimento ed a
 irragionevole differenza di quanto succede  per  altre  categorie  di
 lavoratori  subordinati  pubblici,  cui,  pure,  coeteris  paribus fa
 riferimento l'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992.
   Ora, ad avviso del Collegio, e' ben vero, ovviamente, che  siffatta
 restrittiva  e  poco  garantistica ricostruzione ermeneutica non puo'
 costituire un precedente vincolante  nei  confronti  dei  giudici  di
 primo  grado, dato che, a norma dell'art. 101, comma 2 Cost., "...  i
 giudici sono soggetti soltanto alla legge..."; e, del resto,  l'unico
 vincolo interpretativo previsto nel nostro ordinamento processuale e'
 quello  imposto  dall'art.  384,  primo  comma,  c.p.c. al giudice di
 rinvio  che  "...  deve  uniformarsi..."  al  principio  di   diritto
 enunciato  dalla  Corte  di cassazione, allorche' accoglie il ricorso
 per violazione o falsa applicazione di norme  di  diritto.  Tuttavia,
 non  e'  men  vero  che  la costante interpretazione del Consiglio di
 Stato al riguardo ha condotto e continua a condurre  all'annullamento
 sistematico  di  tutte  le ordinanze cautelari di questa Sezione che,
 ancorche' emanate indubitabilmente in presenza  dei  presupposti  del
 fumus boni juris e del danno grave e irreparabile - richiesti, com'e'
 noto, dall'art.  21, u.c. della legge n. 1034/1971 -, contrastino con
 le  cennate  "condizioni"  restrittive  assunte dalle Amministrazioni
 resistenti e fatte proprie dallo stesso giudice  d'appello.  Siffatta
 interpretazione  viene  cosi'  ad  assumere  indubbiamente rilievo in
 relazione all'esigenza insopprimibile d'assicurare, sempre nei limiti
 della  liberta'  di  coscienza  del giudice, la certezza del diritto,
 segnatamente  di  fronte  ad  istituti  di  nuova  creazione  e   che
 abbisognano,  in  difetto  di  norme  intertemporali,  di un'accurata
 ricostruzione  teleologica,  quale  quella  dianzi  accennata   dalla
 Sezione.
   E,  invero,  una  tra  le  esigenze fondamentali d'ogni ordinamento
 giuridico e' la sua certezza, vale a dire la sicurezza  che  tutti  i
 soggetti  debbono  poter  avere,  in ordine al trattamento che a loro
 sara' riservato qualora divengano, in conseguenza del verificarsi  di
 determinati   fatti   giuridici  previsti  dalle  norme,  destinatari
 concreti  di  situazioni  giuridiche  soggettive  attive  o   passive
 astrattamente  contemplate  dalle stesse norme e, quindi, titolari di
 rapporti giuridici.  La certezza del diritto, o sicurezza  giuridica,
 costituisce  un  insopprimibile  corollario  dell'astrattezza e della
 generalita' della norma giuridica.    Non  sfugge  alla  Sezione  che
 l'incertezza  e'  spesso  causata dal sovrapporsi di norme primarie e
 secondarie) contraddittorie, dalla loro oscurita', dalla loro abnorme
 e disorganica proliferazione, che rende arduo il loro coordinamento e
 quindi meno evitabili le antinomie. Ma  la  causa  d'incertezza  piu'
 insidiosa   (e   purtroppo   ugualmente   frequente)  consiste  nelle
 interpretazioni  erronee   degli   organi   giurisdizionali   e,   in
 particolare,  in  quelle che, come nella specie, rappresentano schemi
 concettuali e orientamenti indimostrati e logicamente carenti, se non
 addirittura acriticamente adeguati ad asserzioni ex se  creatrici  di
 conflitti  sociali,  piuttosto che preordinate alla loro risoluzione.
 Si tratta, in altri termini, di interpretazioni che,  abbandonando  i
 criteri  essenziali  della voluntas legis, si pongono come deviazioni
 ingiustificate e  non  piu'  accettabili  dalla  coscienza  giuridica
 maturata  e acquisita dalla collettivita' in un dato momento storico,
 in base al principio della permanenza mera, non soggetta a condizione
 alcuna, del personale civile dello Stato e degli enti pubblici per un
 ulteriore biennio dallo  scadere  del  periodo  massimo  di  servizio
 fissato  per  ciascuno  dei soggetti interessati. Ed e' noto che tale
 coscienza consiste, in estrema sintesi, nel complesso dei precetti ai
 quali  devono  informarsi  il  legislatore  e  l'interprete   e   che
 conferiscono  l'impronta  ad un determinato ordinamento giuridico nel
 suo  continuo   divenire   e   progredire   plasmato   dall'indirizzo
 storico-politico   del   tempo.   E  un  contrasto  giurisprudenziale
 prolungato nel tempo si rivela quanto mai dannoso  in  relazione  sia
 all'azione   della   P.A.   a  tutela  dell'interesse  pubblico,  sia
 all'assetto delle posizioni di lavoro in contestazione di tutti e  di
 ciascun dipendente interessato dalle norme de quibus.
   4.   -  La  Sezione  prende  atto  della  costante  interpretazione
 contraria del proprio giudice di appello, il quale  assume  in  buona
 sostanza  come  "diritto  vivente"  del  quale deve fare applicazione
 nelle controversie instaurate.
   Tuttavia, la Sezione osserva che la questione di  costituzionalita'
 di  cui  trattasi  riveste necessariamente il prescritto carattere di
 rilevanza, al  fine  della  decisione  definitiva  sulla  domanda  di
 sospensione  del  decreto  impugnato  con  il  ricorso in esame. Come
 reiteratamente affermato dalla Corte  costituzionale,  infatti,  deve
 ritenersi   rilevante   e   quindi   ammissibile   la   questione  di
 costituzionalita'  d'una  norma  di  legge,  allorche'   il   giudice
 remittente,   pur  mostrando  di  non  condividere  l'interpretazione
 consolidatasi nella giurisprudenza, non ne pretende una revisione sul
 piano  ermeneutico  (in  effetti  non consentita: cfr.   le ordinanze
 della Corte nn. 410 e 44 del 1994), bensi', assumendo proprio  quella
 interpretazione  come  "diritto  vivente", ne chiede una verifica sul
 piano della costituzionalita' (cio' rientra de plano nel sindacato di
 legittimita' riservato alla Corte: cfr., da ultimo ed in terminis, C.
 cost., 23 maggio 1995,  n.  188,  punto  3.2  della  motivazione;  24
 febbraio  1995,  n.  58, punto 2 della motivazione; 6 aprile 1995, n.
 110, punto 2.1 della motivazione; 21 luglio 1995,  n.  345,  punto  2
 della   motivazione;   27   luglio   1989,  n.  456,  punto  2  della
 motivazione). Anzi, la stessa Corte ha  significativamente  precisato
 che  la questione di legittimita' costituzionale e' validamente posta
 anche quando il giudice a quo, affermando motivatamente  di  dubitare
 dell'orientamento  giurisprudenziale  prevalente o dominante, ritiene
 di dover applicare  la  disposizione  contestata  in  un  diverso  od
 opposto  significato  normativo,  sempreche' l'intepretazione offerta
 non risulti del  tutto  implausibile,  cioe'  palesemente  arbitraria
 (cfr.,  in  terminis,  C.  cost.,  n.  58/1995,  cit.,  punto 2 della
 motivazione, che richiama numerosi altri precedenti giurisprudenziali
 della Corte nello stesso senso).
   L'eventuale  adesione  acritica  di  questo  Collegio   alla   tesi
 interpretativa  propugnata  dal  Consiglio  di Stato, quale esclusivo
 giudice d'appello, avrebbe determinato tout court  il  rigetto  della
 domanda  di sospensione del provvedimento impugnato con il ricorso in
 epigrafe.
   Qualora, invece, l'art. 509, comma 5 del testo  unico  scol.  fosse
 dichiarato  incostituzionale dal giudice delle leggi - nella parte in
 cui non prevede espressamente la salvezza di tutti i diritti  quesiti
 del personale scolastico statale per effetto dell'art. 15 della legge
 477/1973, in coerenza al combinato disposto dell'art. 3, comma 1
  della legge 421/1992 e dell'art. 16 del decreto legislativo 503/1992
 -,  il  Collegio  potra'  pervenire all'accoglimento definitivo della
 predetta domanda cautelare,  proposta  dalla  prof.  Capriglione.  La
 risoluzione della questione di legittimita' in esame, quindi, si pone
 assolutamente ed incontrovertibilmente, a norma dell'art. 23, secondo
 comma   della   legge   11   marzo  1953,  n.  87,  quale  necessaria
 pregiudiziale per la definizione della lite  cautelare  portata  alla
 cognizione    del   Collegio.   Infatti,   soltanto   la   declatoria
 d'illegittimita' costituzionale parziale della disposizione di  legge
 denunziata  consentira' al Collegio di pronunziarsi definitivamente e
 positivamente  sulla  predetta  domanda  cautelare   (temporaneamente
 accolta,  come  s'e'  gia'  accennato,  sino  alla  prima  Camera  di
 consiglio utile dopo la restituzione degli atti del presente giudizio
 da parte della Corte costituzionale  a  seguito  della  decisione  in
 ordine alla sollevata questione di legittimita' costituzionale).
   E  il requisito della rilevanza permane anche nei casi, come quello
 in esame, in cui il  giudice  amministrativo  disponga  con  separata
 ordinanza, contemporaneamente all'ordinanza di rimessione alla Corte,
 la  sospensione  provvisoria e temporanea dei provvedimenti impugnati
 fino  alla  ripresa  del  giudizio  cautelare  dopo  l'incidente   di
 costituzionalita'.     La  predetta  pronunzia,  per  la  sua  natura
 meramente temporanea ed interinale, non determina  l'esaurimento  del
 potere  cautelare  del  giudice  a quo (cfr., ex multis, C. cost., 23
 luglio 1991, n. 367, punto 2 della motivazione; 12 ottobre  1990,  n.
 444,  punto  3  della  motivazione). D'altronde, la sussistenza della
 predetta rilevanza va valutata allo  stato  degli  atti,  al  momento
 dell'   emanazione  dell'ordinanza  di  remissione,  restando  quindi
 ininfluenti   le   eventuali   pronunzie   adottande    o    adottate
 successivamente  dal giudice d'appello (cfr., fra altre, C. cost., n.
 367/1991, cit., ibidem).
   Muovendo, quindi, dall'incontroversa constatazione  fattuale  della
 detta   costante   interpretazione,  resa  in  soggetta  materia  dal
 Consiglio di Stato  e  che  si  pone  in  evidente  contrasto  con  i
 richiamati  principi ordinamentali, la Sezione non puo' che trarne le
 logiche  ed  inevitabili  conclusioni  affermative  in  ordine   alla
 sussistenza  del primo requisito prescritto dalla legge (la rilevanza
 della  questione),  affinche'  il  giudice  a  quo  possa   sollevare
 questioni di legittimita' costituzionale.
   5.  -  Quanto  al  requisito della non manifesta infondatezza della
 questione medesima, l'interpretazione qui  criticata  dell'art.  509,
 comma  5  del  testo  unico  scol. implica un'aperta violazione degli
 artt. 3, 38, secondo comma e 97, terzo comma,  della  Costituzione  e
 dei  principi della delega contenuta nell'art. 3, comma 1 della legge
 421/1992,  nella  parte  in  cui  non  e'  consentito  al   personale
 scolastico  statale  di  fruire,  oltreche'  dei benefici ex art. 15,
 secondo comma della legge 477/1973, pure della facolta'  spettante  a
 tutti  gli  impiegati  civili  dello  Stato e degli enti pubblici non
 economici, ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo n. 503/1992.
   5.1. - Per cio' che attiene alla violazione dell'art. 3  Cost.,  e'
 noto  che  il  principio  cola' sotteso esprime un generale canone di
 coerenza e di  ragionevolezza  dell'ordinamento  positivo,  sotto  il
 duplice   profilo   formale   (in   ordine   alla  forza  formale  ed
 all'efficacia della norma)  e  materiale  (con  riguardo,  cioe',  al
 contenuto  della  norma, come scaturisce dalla di lei lettura fornita
 dagli interpreti qualificati).
   In  tal  senso,  e'  ovvio  che  la  disparita'   di   trattamento,
 costituzionalmente  censurabile,  deriva non gia' dalla norma in se',
 che',  per  definizione,  il  diritto  sopravveniente  e'  idoneo   a
 determinare variazioni di tutti i tipi alle posizioni dei soggetti di
 diritto.   Tale   disparita'  e',  piuttosto,  frutto  di  improvvide
 interpretazioni che, pur se  stabilizzatesi  per  qualunque  ragione,
 provocano  la  fattuale  cessazione del carattere d'universalita' che
 ogni norma deve possedere e che il legislatore ordinario e  obbligato
 ad  attuare  fino  al  limite  massimo possibile.   In altri termini,
 l'interpretazione qui censurabile implica un duplice  paradosso:  per
 un   verso,   rovescia   a  favore  della  P.A.  datrice  di  lavoro,
 attribuendole  un  potere  discrezionale  di  fatto   illimitato   ed
 incondizionato,  l'effetto  giuridico  del  beneficio  ex art. 16 del
 decreto legislativo n. 503/1992, la cui natura, invece, e' ictu oculi
 quella di un diritto potestativo concesso indistintamente a tutti gli
 impiegati civili dello Stato e degli enti pubblici non economici; per
 altro verso, estrapola da siffatto contesto globale  una  particolare
 categoria di impiegati civili, quelli della scuola statale, in virtu'
 di una sua peculiarita', che, com'e' formulata, e' una mera petizione
 di  principio,  atteso  che  ogni altra categoria ha sue peculiarita'
 proprie.
   Sia la legge-delega, sia il decreto legislativo n. 503/1992 muovono
 da  un  contesto  normativo  ben consapevole della plurisoggettivita'
 degli enti pubblici e della pluralita' degli statuti  dei  lavoratori
 subordinati  pubblici.  Tuttavia,  entrambe  le  fonti hanno reputato
 prevalente l'esigenza di omogeneizzare il  trattamento  pensionistico
 di questi ultimi, oltreche' della salvezza dei benefici da loro medio
 tempore  ottenuti,  attraverso  alcuni  istituti,  non ultimo proprio
 quello sancito dall'art. 16 del decreto legislativo n. 503/1992,  non
 a   caso   attribuito   a  tutti  ed  a  ciascun  impiegato  pubblico
 indipendentemente dalla di lui posizione contributiva e d'ogni  altra
 finalita'.  In  tal caso, la "peculiarita'" del personale scolastico,
 determinata ad avviso dell'interpretazione censurabile  dall'art.  15
 della  legge  n.  477/1973,  e'  priva di senso - essendo un dato non
 ritenuto significativo  nella  "strategia"  normativa  della  riforma
 pensionistica,  non diversamente d'ogni altro elemento caratteristico
 di tutte le altre categorie dell'impiego pubblico -, risolvendosi  in
 ultima  analisi in una situazione deteriore per tale personale. E che
 l'interpretazione  censurabile   provochi   effetti   paradossalmente
 negativi non par dubbio, sol che si pensi alla circostanza che l'art.
 15  della  legge  n.  477/1973  concerne  non  gia' il solo personale
 docente statale, bensi' tutto il personale scolastico, di talche'  si
 verifica l'estensione a quest'ultimo della pretesa "peculiarita'" del
 primo, ossia un ulteriore effetto negativo.
   Sulla  scorta di tali dati, pare alla Sezione che l'interpretazione
 censurabile implichi una  relazione  di  differenziazione  tra  varie
 categorie   di   impiegati  pubblici,  sulla  scorta  di  un  tertium
 comparationis, il combinato disposto dell'art. 3, comma 1 della legge
 n. 421/1992 e dell'art. 16 del decreto legislativo  n.  503/1992,  il
 quale,  sotto  un  profilo logico e funzionale, conduce a conclusioni
 diametralmente opposte. E cio' appare  vieppiu'  grave,  se  si  tien
 conto che, nella specie, la struttura lessicale e normativa dell'art.
 509  del  testo  unico  scol.  non  solo non fornisce un dato univoco
 tendente ad escludere ogni concorrenza di benefici, ma,  addirittura,
 esprime  una  volizione  del  tutto  diversa, ossia mirante a rendere
 effettiva tale concorrenza.   Ben  si  vede  che  il  citato  tertium
 comparationis,  se  letto  mediante  l'argomentazione  logica  insita
 nell'interpretazione  qui  resa  e  contestata,  da'  luogo  ad   una
 situazione  irragionevolmente  deteriore in capo a una certa frazione
 qualificata del personale scolastico, senza che  il  legislatore  del
 testo   unico   scol.,   consapevole  della  pluralita'  di  benefici
 possibili, abbia inteso escluderne  la  concorrenza,  pur  avendo  la
 possibilita'  di  formulare  diversamente  l'art.  509.  Ben si vede,
 quindi, che l'interpretazione di quest'ultimo,  nel  senso  accettato
 dal  giudice  d'appello,  ne  fornisce  un  significato arbitrario ed
 incostituzionale.
   Ne' potrebbesi asserire che tale arbitrio in realta' sia  meramente
 fattuale,  perche'  derivante  da  un  cattivo coordinamento di norme
 stratificate, pur se sicuramente non  omogenee.  La  realta'  e'  ben
 diversa:  v'e'  stata  si'  una  stratificazione,  ma  la  scelta del
 legislatore ordinario, nel 1992 e nel 1994, ha inteso la  fattispecie
 in  modo  da  salvaguardare  le  posizioni  differenziate delle varie
 categorie del personale pubblico, innestando su  tali  insopprimibili
 differenze,  d'ora in poi, un trattamento unitario. In parole povere,
 l'arbitrio nasce da un disconoscimento della volizione normativa che,
 prendendo atto delle differenze tra i  vari  status  degli  impiegati
 pubblici,  non  li  ha  livellati  sic et simpliciter, ma, assai piu'
 intelligentemente, e' partita dalle posizioni differenti di  tutti  e
 di  ciascun  dipendente,  salvaguardandole  allo stato, allo scopo di
 regolarle d'ora in  poi  in  modo  omogeneo.  La  ribellione  a  tale
 finalita',  che l'interpretazione censurabile propugna e che e' fonte
 del conflitto, cancella le predette  differenze  che  il  legislatore
 s'era    ben    guardato   dal   modificare   (nella   consapevolezza
 dell'impossibilita'  di  azzerare  beni  giuridici  gia'  stabilmente
 inseriti  nella  sfera  personale  di  tutti  e di ciascun lavoratore
 subordinato pubblico), introducendone di nuove e nocive che  il  dato
 testuale  o  i principi non giustificano (cosi abbassando la qualita'
 della sfera giuridica dei soggetti interessati, rispetto a quella  di
 tutti gli altri).
   5.2.  -  L'interpretazione  de qua s'appalesa altresi' in contrasto
 con gli artt. 4 e 38, secondo comma, Cost.
   Da un lato, se l'art. 16 del decreto legislativo n. 503/1992 e'  un
 diritto   potestativo,   esso   deriva   direttamente   dal   diritto
 costituzionale al lavoro, nel senso che la disposizione teste' citata
 serve a rendere effettiva la possibilita' di restare in servizio  per
 un ulteriore biennio, come libera esplicazione della personalita' del
 lavoratore.    Oltre  quello  del  biennio  e  della procedura per la
 presentazione della relativa istanza, la norma  non  pone  limite  in
 capo  al  lavoratore pubblico, all'evidente scopo di fargli fruire il
 trattenimento  in  servizio   senza   infingimento   alcuno   e,   in
 particolare,  senza  ingerenza da parte della P.A. datrice di lavoro.
 Ogni diversa interpretazione implica di per se' l'impossibilita', per
 il dipendente, di fruire del beneficio e concede alla P.A. stessa  la
 possibilita'  di  sindacare nell'an la concessione di quest'ultimo. E
 tale  risultato,  nella  specie,  si  ottiene  anche  invertendo   la
 situazione  del  beneficio da fruire, atteso che, come la concorrenza
 dei benefici esiste nel caso in cui il dipendente  scolastico  chieda
 il  trattenimento  in servizio ex art.  16 del decreto legislativo n.
 503/1992 dopo aver fruito, in tutto o in parte, del beneficio ex art.
 15,  secondo  comma  della  legge  n.    477/1973,  cosi'  ben   puo'
 verificarsi  nell'ipotesi  inversa,  in  cui  l'interessato chieda il
 trattenimento  in  servizio  ex  art.  15,  sussistendone  attuali  i
 presupposti  per  il  godimento, allo scadere del biennio ex art. 16.
 Infatti, se  l'interessato  ne  possiede  i  presupposti  ed  intende
 realizzarne le finalita', egli ha titolo per ottenere il beneficio ex
 art. 15, a nulla rilevando le vicende pregresse, se non hanno risolto
 l'attualita'  del  rapporto  di  lavoro  subordinato,  per  cui  ogni
 limitazione  al  riguardo  impinge  direttamente  sul   diritto   del
 lavoratore scolastico.
   Per  cio'  che attiene alla violazione dell'art. 38, secondo comma,
 Cost., e' di tutta evidenza l'impossibilita'  per  la  ricorrente  di
 raggiungere    il    massimo    dell'eta'   pensionabile,   a   causa
 dell'interpretazione censurabile. Infatti,  in  tal  modo,  la  prof.
 Capriglione  vien punita per aver goduto del beneficio ex art. 16 del
 decreto legislativo n.  503/1992,  nel  senso  che  la  fruizione  di
 quest'ultimo,  invece  di  giovarle  e  di  migliorarne  la posizione
 contributiva,   si   traduce   in   sostanza   in   una   preclusione
 all'ottenimento   della  pensione  massima  possibile.  Ne'  varrebbe
 obiettare che la ricorrente, merce' il biennio  di  trattenimento  in
 servizio  ex  art. 16, avrebbe gia' raggiunto il periodo contributivo
 massimo,  atteso  che  tale  dato  non  e' elemento del provvedimento
 impugnato - costituendo tutt'al  piu'  un'inammissibile  integrazione
 difensiva  dello  stesso  -,  e soprattutto e' contestato in fatto, a
 cagione della formale rinuncia, da parte della ricorrente stessa, dei
 periodi contributivi gia' riscattati.
   Infine,  l'interpretazione   censurabile   appare   in   violazione
 dell'art.    97,  terzo  comma, Cost., in quanto i benefici de quibus
 implicano, a fronte degli oneri imposti a carico dei  dipendenti,  la
 tempestiva  impostazione  organizzativa  della P.A. datrice di lavoro
 per  rispondere  alla  richiesta  di  trattenimento  in  servizio  di
 costoro.  In  tal  caso,  e'  un  "fuor  d'opera"  l'asserzione delle
 Amininistrazioni  resistenti  circa  il  preteso  "danno"  all'erario
 pubblico,  in  quanto, diversamente da quanto esse opinano, di regola
 la prestazione  di  lavoro  subordinato  e'  sinallagmatica  ed  esse
 continuano  a  fruire  dell'esperienza  e  del  know-how di impiegati
 esperti  e  di  qualifica  apicale.  Pertanto,  l'organizzazione  dei
 pubblici  uffici,  in base all'interpretazione de qua, soffre, invece
 di godere, degli effetti nocivi  che  essa  comporta  in  termini  di
 mancato trattenimento in servizio.