IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 2525/1994,
 proposto da Pisano' Giorgio, rappresentato e  difeso  dagli  avvocati
 Carlo  Lo Cicero e Lorenzo Lo Cicero, ed elettivamente domiciliato in
 Roma, via Muzio Clemente, 18 (avv.to Stefano Menicacci);
   Contro  il  Ministero  dell'interno  e  la  commissione  elettorale
 centrale,
  (Ufficio  centrale  nazionale),  entrambi  costituitisi in giudizio,
 rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato e  presso
 la  stessa  domiciliati  ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12, per
 l'annullamento del provvedimento del Ministero dell'interno  in  data
 15  febbraio  1994,  con  il  quale non e' stato accettato il simbolo
 presentato  dal  ricorrente  per  le  elezioni  politiche,  e   della
 decisione di rigetto dell'opposizione da parte dell'Uffi'cio centrale
 nazionale presso la Corte di cassazione, in data 19 febbraio 1994.
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio delle amministrazioni
 intimate;
   Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno  delle  rispettive
 difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Udito, alla pubblica udienza dell'11 gennaio 1996, il cons. Eugenio
 Mele;
   Udito, altresi', l'avv.to Carlo Lo Cicero, per il ricorrente;
   Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Il  ricorrente,  nella  sua  specifica  qualita'  di segretario del
 movimento politico Fascismo e Liberta' e di presentatore del relativo
 simbolo alle ultime elezioni politiche, impugna gli atti indicati  in
 epigrafe,  con  i  quali  il simbolo stesso non e' stato ammesso alla
 competizione elettorale.
   Il  ricorrente  medesimo,  premessa  la  natura   democratica   del
 movimento  politico  di  cui  e' segretario e richiamata una serie di
 decisioni giudiziarie che  hanno  riconosciuto  la  suddetta  natura,
 formula  il  seguente  motivo  unico  di  gravame: violazione e falsa
 applicazione dell'art. 14 del d.P.R. 30 marzo 1957, n.  361,  nonche'
 difetto  di  potere  degli  organi  asseritamente  competenti,  falsa
 rappresentazione della realta', sviamento  e  abuso  di  potere;  per
 avere  l'amministrazione dell'interno e l'Ufficio elettorale centrale
 ampiamente travalicato i poteri loro assegnati dall'ordinamento,  che
 sono  di  controllo  puramente  formale  e  comunque per non avere il
 movimento politico Fascismo e Liberta' caratteri tali da integrare la
 fattispecie della XII disposizione transitoria della Costituzione.
   Le   amministrazioni   intimate  si  costituiscono  in  giudizio  e
 resistono al ricorso,  rilevando  il  difetto  di  giurisdizione  del
 giudice amministrativo e comunque l'infondatezza del ricorso.
   Il  ricorrente  presenta una successiva memoria illustrativa, nella
 quale   controdeduce   in   ordine    alle    eccezioni    presentate
 dall'Avvocatura  generale  dello  Stato ed insiste per l'accoglimento
 del ricorso.
   La causa passa in decisione alla pubblica udienza  dell'11  gennaio
 1996.
                             D i r i t t o
   Il   collegio   ritiene   di   sollevare   d'ufficio  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 16 del d.P.R. 30 marzo 1957, n.
 361 - testo unico per la elezione della Camera dei deputati  -  nella
 parte  in  cui  non prevede la possibilita' di azione giudiziaria nei
 confronti della  decisione  emessa  dall'Ufficio  centrale  nazionale
 sull'opposizione  proposta  contro  il  provvedimento  del  Ministero
 dell'interno che ricusa un contrassegno elettorale, presentato per le
 elezioni politiche, nonche' dell'art. 87 dello stesso d.P.R.  n.  361
 del  1957, nella parte in cui attribuisce alla Camera dei deputati la
 giurisdizione per tutte le  controversie  attinenti  alle  operazioni
 elettorali, in combinato disposto tra loro.
   Ritiene  il  collegio  che  le  norme  sopra indicate si pongano in
 contrasto con gli artt. 24, 113  e  66  della  carta  costituzionale,
 secondo quanto successivamente esposto.
   La  rilevanza  della  questione sulla vicenda controversa si ricava
 dal fatto che la mancata attribuzione della giurisdizione a questo (o
 ad altro) giudice non  consente  di  prendere  in  considerazione  il
 merito  della  vicenda sottoposta alla sua cognizione ne' di indicare
 altra  autorita'  giurisdizionale  cui  sottoporre  la   controversia
 stessa,  per  cui  la  declaratoria di illegittimita' costituzionale,
 consentendo  di  decidere  nel  merito  la  controversia,  ovvero  di
 indicare quale altra autorita' giurisdizionale sia attributaria della
 cognizione stessa, si appalesa di evidente rilevanza.
   Relativamente  alla  non  manifesta  infondatezza  della  questione
 sollevata, si precisa quanto segue.
   E' fuori discussione che  non  possano  esistere  atti  o  rapporti
 giuridici  la cui legittimita' o liceita' non possa essere verificata
 da un giudice, salve quelle poche eccezioni come gli atti  di  natura
 politica  e  costituzionale (attribuzione dell'incarico di formare il
 governo, scelta dei ministri,  ecc.)  per  i  quali  la  mancanza  di
 giustiziabilita',  piu'  che  essere  determinata  dalla natura degli
 atti,  discende  dalla  mancanza   di   una   situazione   soggettiva
 azionabile.
   Nell'ambito   elettorale,   peraltro,  riguardato  con  particolare
 attenzione  e  significative  garanzie   dalla   Costituzione,   tali
 eccezioni non sono ne' possono essere sussistenti.
   Cio' premesso, si rileva che l'art. 16 del d.P.R. 30 marzo 1957, n.
 361,  prevede  che  qualora  il  contrassegno  elettorale  non  venga
 ritenuto conforme ai requisiti prescritti dall'art. 14  dello  stesso
 corpo   normativo,  il  Ministero  dell'interno  invita  il  soggetto
 depositante a  sostituirlo  nelle  successive  48  ore.  Contro  tale
 provvedimento  e'  data  la  possibilita'  di  esperire "opposizione"
 all'Ufficio centrale nazionale, il quale decide nelle  successive  48
 ore,  dopo  aver  sentito  i  depositanti  e  coloro  che  vi abbiano
 interesse.
   A  qusto  punto, la normativa non prevede alcuna altra possibilita'
 di azione. La giurisprudenza, invero  non  numerosa,  sul  punto,  ha
 affermato  la mancanza di qualsiasi sindacato giurisdizionale avverso
 le decisioni dell'Ufficio  centrale  nazionale,  ritenendo  che  tale
 sindacato  sia  garantito  da quello attribuito alle stesse Assemblee
 legislative dall'art. 66 della Costituzione (tra le  ultime,  pretore
 Napoli,  4  aprile  1992  e tribunale amministrativo regionale Lazio,
 sez. I, 24 marzo 1993, nn. 491 e 492), in cio'  confortata  dall'art.
 87  del  d.P.R.  n.  361  del  1957  che  attribuisce alla Camera dei
 deputati il giudizio definitivo sulle contestazioni, le  proteste  e,
 in  generale, su tutti i reclami presentati agli uffici delle singole
 sezioni elettorali o all'ufficio centrale.
   La stessa giurisprudenza (tribunale amministrativo regionale Lazio,
 sez. I, nn. 491 e 492  del  1993)  ha  anche  considerato  la  natura
 giurisdizionale  dell'ufficio  centrale nazionale che finirebbe cosi'
 per assumere la natura di giudice di primo grado  nei  confronti  del
 Parlamento, a cui e' attribuita la decisione finale.
   La   natura  giurisdizionale  dell'Ufficio  centrale  nazionale  e'
 sicuramente da escludere.
    E cio' per due motivi, uno di  natura  oggettiva  e  un  altro  di
 natura sistematica.
   Da  un  punto  di  vista oggettivo, la natura giurisdizionale di un
 organo si ricava dal fatto che lo stesso e' posto dall'ordinamento in
 posizione "terza" rispetto a due parti in lite, mentre  nella  specie
 la funzione operativa dell'Ufficio centrale nazionale e' quella di un
 riscontro   dell'operato   dell'ufficio   ministeriale,   un   tipico
 procedimento di secondo grado attivato  su  iniziativa  del  soggetto
 interessato,  che, non a caso, propone una "opposizione", termine che
 e' sempre stato considerato una richiesta di riesame, senza  che  mai
 si  sia  cosi'  denominata  ne'  la  vocatio in jus ne' il ricorso al
 giudice.
   Ne',  d'altra  parte,  puo'  attribuirsi   natura   giurisdizionale
 all'Ufficio  centrale  nazionale  per  il fatto che i suoi componenti
 siano magistrati, essendo pacifica la differenza tra la  qualita'  di
 magistrato  (vicenda che attiene al rapporto di servizio) e quella di
 giudice  (che,   invece,   investe   lo   svolgimento   di   funzioni
 giurisdizionali).
   Ma  la  mancanza di giurisdizionalita' in capo all'Ufficio centrale
 nazionale si evince, altresi', da una considerazione sistematica, per
 cui, attribuendo tale natura allUfficio suddetto  e  mantenendo  alle
 Assemblee  legislative, (alla stregua dell'art. 87 del d.P.R.  n. 361
 del 1957) il potere di decidere, in via "domestica",  ma  definitiva,
 su  tutte  le  controversie  in  materia  elettorale, ivi comprese le
 decisioni dell'Ufficio centrale nazionale, si finirebbe per creare un
 ibrido,  con  un  giudice  di  primo  grado  appartenente  all'ordine
 giudiziario  e  un  giudice  di  secondo grado appartenente al potere
 legislativo, oltre  al  fatto  che  non  potrebbe  piu'  parlarsi  di
 giurisdizione  domestica,  essendo  questa  dimidiata  con quella del
 potere giudiziario.
   Proprio queste considerazioni facilitano l'esame del secondo ordine
 di questioni, attinenti al  fatto  che  giudice  unico  di  tutte  le
 vicende  elettorali,  ivi  comprese  le operazioni elettorali, sia lo
 stesso Parlamento.
   Si  tratta  dell'autodichi'a,  cioe'  del  potere  attribuito ad un
 organo  di  giudicare  le  controversie  che  riguardano   i   propri
 componenti.
   Essa  si  regge  su  due  principi: 1) la assoluta indipendenza del
 corpo  a  cui  e'  attribuita  l'autodichi'a,  per  cui  si   ritiene
 prevalente, nel contrapposto gioco degli interessi ordinamentali, che
 quel  corpo  non debba rendere conto ad altri del proprio operato che
 non a se stesso, rispetto  al  generale  principio  della  necessita'
 della  sottoposizione delle controversie ad un soggetto neutro; 2) la
 capacita' di dicere jus esclusivamente per vicende che operano  e  si
 esauriscono  all'interno dello stesso corpo, accedendo a queste anche
 quelle relative alle vicende di coloro che aspirano  ad  entrare  nel
 corpo medesimo.
   Alla  luce  di queste considerazioni, e' evidente che il Parlamento
 e' l'unico giudice  sia  dei  titoli  di  ammissione  (soggettivi  ed
 oggettivi)   dei   propri   componenti   che  delle  eventuali  cause
 sopraggiunte  di  ineleggibilita'   e   di   incompatibilita',   come
 specificamente stabilito dall'art. 66 della Costituzione.
   E'  non  e'  arduo aggiungere che la tutela dell'indipendenza delle
 Camere deve essere  garantita  anche  relativamente  alle  operazioni
 elettorali,  essendo  evidente  che  se la legittimita' o meno di uno
 scrutinio  elettorale   dovesse   essere   decisa   all'esterno   del
 Parlamento,  la composizione dello stesso potrebbe essere alterata in
 via eteronoma.
   Ma, si domanda, l'autodichi'a del Parlamento fin dove si spinge per
 tutelare la propria indipendenza?
   Puo' essere estesa anche alle operazioni  preliminari,  consistenti
 nell'esame   delle  controversie  attinenti  alla  presentazione  del
 simbolo, che sono fuori dalle stesse  operazioni  elettorali  vere  e
 proprie  e  che  si  caratterizzano  come un prius logico e temporale
 rispetto alle operazioni elettorali vere e proprie.
   E' evidente che la tutela delle situazioni  soggettive  compromesse
 nella  fase  preliminare  delle  operazioni  elettorali,  quand'anche
 affidata ad un'autorita'  giurisdizionale,  non  intacca  menomamente
 l'indipendenza del Parlamento, il quale non e' ancora esistente e che
 proprio da queste operazioni comincia a delinearsi.
   Secondo una legge elementare, si puo' parlare di indipendenza di un
 organo, soltanto quando tale organo e' esistente, non prima.
    Ne',  peraltro, puo' pensarsi ad una legittimazione del Parlamento
 uscente per tali operazioni, atteso il chiaro disposto dell'art.   66
 della  Costituzione  che  attribuisce  alle Camere la soluzione delle
 controversie sui "propri" componenti.
   D'altro canto, pur nel rispetto dell'autodichi'a, quale garanzia di
 obiettivo esame puo' provenire da un organo, il quale, se accogliesse
 la  rinnovata  opposizione,  decreterebbe  inesorabilmente,  con   la
 necessita' del rinnovamento delle elezioni, la propria fine?
    Ne',  peraltro,  puo'  seriamente pensarsi che l'ordinamento abbia
 potuto (sia pure soltanto teoricamente) determinare un meccanismo  di
 verifica  ex  post  tale da poter portare al rinnovo delle operazioni
 elettorali con sciupio finanziario e di  credibilita'  istituzionale,
 per  operazioni  preliminari  le  cui controversie ben possono essere
 tempestivamente decise prima dell'ulteriore  corso  delle  operazioni
 elettorali, senza alcun bisogno di trascinamento innaturale.
   Deriva  da  cio'  che  tutte  le  operazioni elettorali preliminari
 precedenti  alla  manifestazione  del  voto   restano,   nell'attuale
 sistema,  prive  di  una  garanzia giurisdizionale, anche nella forma
 particolare dell'autodichi'a, per cui  il  contrasto  con  l'art.  25
 della  Costituzione  (per  la  mancata  possibilita'  del  diritto di
 azione)  e  con  l'art.  113  (per  la  sostanziale  inimpugnabilita'
 giurisdizionale  di  provvedimenti  di  natura  amministrativa) e', a
 parere del remittente collegio, evidente.
   Ma anche la violazione dell'art. 66 della Costituzione sembra fuori
 discussione, in  quanto,  al  di  la'  del  giudizio  sui  titoli  di
 ammissione  dei  propri  componenti  (che  la norma costituzionale in
 parola attribuisce alle Assemblee  legislative),  alle  stesse  viene
 attribuito  un  ulteriore  potere  che  il  costituente  non prese in
 considerazione e cioe' la possibilita' di decidere  una  controversia
 tra  un  estraneo  che ritiene illegittima la loro composizione, e se
 medesima,  considerata  in  blocco  e  non  relativamente  a  singoli
 componenti   della   stessa,   con   quanta   (teorica)  garanzia  di
 imparzialita' e' facile immaginare.
   Per le considerazioni sopra esposte, il collegio ritiene  di  dover
 sollevare  questione  di  legittimita' costituzionale degli artt. 16,
 quarto comma, e 87 del d.P.R. 30 marzo 1957,  n.  361,  in  combinato
 disposto  tra  loro,  per  contrasto con gli artt. 25, 113 e 66 della
 Costituzione.
   Sospende, pertanto, il giudizio, in attesa  della  soluzione  della
 prospettata questione di legittimita' costituzionale.