LA CORTE DI APPELLO DI FIRENZE Sezione lavoro Ha pronunciato la seguente ordinanza dandone pubblica lettura all'esito dell'udienza del 18 settembre 2014 nella causa n. 567 R.Gen. 2013, promossa da Fondazione Teatro Maggio Musicale Fiorentino in persona del legale rappresentante, con avvocato Andrea Del Re - appellante -, contro Mazzeranghi Maria Gaia nata il 21 maggio 1973 con avvocato Antonio Civitelli - appellata -. Conclusioni: come in atti. Oggetto: contratti a termine - Ente lirico - Appello contro la sentenza n. 1319 del 5 dicembre 2012 del Tribunale di Firenze giudice del lavoro. Ordinanza Il Tribunale di Firenze ha accolto la domanda di «conversione» del rapporto di lavoro a termine in tempo indeterminato proposta da Mazzeranghi Maria Gaia, «tersicorea di fila con obbligo di solista» occupata alle dipendenze della Fondazione Teatro Maggio Musicale Fiorentino, in base ad una serie di n. 34 contratti temporanei a partire dal 3 giugno 1997 e poi reiterati negli anni, (altri 7) anche nel corso del giudizio stesso. In particolare, il Tribunale ha cosi' statuito: «Dichiara la nullita' del termine apposto al contratto 9 gennaio 2001 e quindi instauratosi tra le parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato da tale data, con inquadramento della ricorrente nel 6° e poi nel 5° livello del CCNL come in motivazione, rapporto tuttora in atto e in relazione al quale alla prossima scadenza la ricorrente ha diritto alla prosecuzione del servizio; condanna la convenuta al pagamento in favore di (Mazzeranghi Maria Gaia) della indennita' omnicomprensiva di cui all'art. 32, comma 5, legge n. 183/2010 nella misura di sei mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali...etc.». Il giudice del lavoro fiorentino ha ritenuto che - a partire dal gennaio 2001 - la sig.ra Mazzeranghi fu stabilmente inserita nella ordinaria produzione di spettacoli del Maggio Musicale senza nessuna reale, coerente e dimostrata esigenza di temporaneita', in violazione dei principi fissati dall'art. 1, legge 18 aprile 1962, n. 230. Ha altresi' giudicato che anche i successivi contratti (denunciati anch'essi di nullita' dalla interessata quanto alla clausola del termine) fossero stati stipulati in violazione dell'art. 1, d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368 in quanto privi di effettiva motivazione. L'esame dei contratti di lavoro prodotti in atti e la loro stessa cadenza e reiterazione induce questo Collegio a condividere la decisione del Tribunale di Firenze, in quanto le assunzioni a termine di Mazzeranghi avvennero costantemente con il dichiarato scopo di assicurare l'espletamento della ordinaria programmazione del Teatro senza riferimento a specifici spettacoli e anche al di fuori dell'impegno originariamente preventivato. In diritto, la sentenza impugnata - che ha correttamente rilevato il carattere privatistico dei rapporti di lavoro in esame - si sottrae alle censure della Fondazione appellante, anche alla stregua anche dell'insegnamento di Cass. 12 marzo 2014, n. 5748: «Successivamente alla trasformazione (a partire, dunque, dal 23 maggio 1998), e fino all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 368/2001, ai contratti di lavoro a termine stipulati con le fondazioni lirico-sinfoniche si applica la disciplina prevista dalla legge 18 aprile 1962, n. 230, con l'unica esclusione costituita dell'art. 2 legge cit., relativa alla proroghe, alla prosecuzione ed ai rinnovi dei contratti a tempo determinato, come stabilito dall'art. 22 del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367. Dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, ai contratti di lavoro a termine stipulati dal personale delle fondazioni lirico-sinfoniche previste dal decreto legislativo del 29 giugno 1996, n. 367, si applicano le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 368/2001, con le uniche esclusioni costituite dall'art. 4, relativo alle proroghe, e dall'art. 5, relativo alle prosecuzioni ed ai rinnovi, come stabilito dall'art. 11, comma 4°, decreto legislativo n. 368/2001.» Nel caso concreto, risultano in ogni caso violate le previsioni della legge n. 230/1962 e poi del d.lgs. n. 368/2001, alle quali l'ente privatizzato doveva attenersi, secondo il ricordato insegnamento di Cass. n. 5748/2014, in quanto i reiterati rapporti a termine si sono stabilmente inseriti nell'ordinaria necessita' produttiva del Teatro. Cio' posto, un primo intervento del legislatore in questa specifica materia si e' avuto con l'art. 3, comma 6°, del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito in legge con modificazioni, con legge 29 giugno 2010, n. 100, che ha disposto «alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione soggetti di diritto privato, continua ad applicarsi l'art. 3, quarto e quinto comma, della legge 22 luglio 1977, n. 426 e successive modificazioni, anche con riferimento ai rapporti di lavoro instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato e al periodo anteriore alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368». In proposito, questo Collegio condivide quanto statuito dalla gia' citata Cass. n. 5748/2010, con la quale il giudice della nomofilachia ha ritenuto che l'intervento normativo del 2010 sopra riportato «ha un valore meramente confermativo della inapplicabilita' ai rapporti in esame delle norme in tema di rinnovi dei contratti a tempo determinati, dovendosi intendere tale termine riferito alla continuazione del rapporto di lavoro dopo la sua scadenza e per un periodo superiore a quello indicato dal legislatore, la riassunzione del lavoratore effettuata prima della scadenza del periodo minimo fissato dalla legge, nonche', infine, il fenomeno delle assunzioni successive alla scadenza del termine e senza soluzioni di continuita'. L'art. 3 non riguarda invece i vizi afferenti alla mancanza dell'atto scritto e alla insussistenza delle ipotesi tipiche ovvero delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che legittimano l'apposizione del termine» (per analoga interpretazione vedi motivazione di Cass. 26 maggio 2011, n. 11573). Giova aggiungere che nello stesso senso si era orientata la prevalente giurisprudenza di merito, favorevole alla «stabilizzazione» di siffatti rapporti di lavoro a termine stipulati «contra legem» dagli enti lirici, senza che l'intervento legislativo del 2010 influenzasse la specifica materia della insussistenza «ab origine» delle situazioni legittimanti l'assunzione temporanea. A questo punto, si aveva un nuovo intervento del legislatore con l'art. 40, comma 1-bis, d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche in legge 9 agosto 2013, n. 98, che sotto la rubrica: (Riequilibrio finanziario dello stato di previsione della spesa del Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo), cosi' dispone: «1-bis. L'art. 3, comma 6, primo periodo, del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2010, n. 100, si interpreta nel senso che alle fondazioni, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine, di proroga o di rinnovo dei medesimi contratti». Ritiene il Collegio che, sotto la apparente forma interpretativa, l'art. 40, comma 1-bis, ora riportato, introduca in realta' una disposizione innovativa e retroattiva che interviene a privare del diritto alla conversione del rapporto (o comunque alla stabilizzazione dello stesso) i soggetti, come Mazzeranghi Maria Gaia, i quali frattanto avevano gia' ottenuto una sentenza favorevole del giudice del lavoro (nel nostro caso, la sentenza risale al dicembre 2012). La questione della legittimita' costituzionale del citato art. 40, comma 1-bis, e' quindi rilevante in quanto investe un aspetto decisivo della presente controversia. La stessa Fondazione appellante (nella memoria 1° agosto 2014) ha ricordato che, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 183/2010, che poneva un termine di decadenza per siffatte azioni, «molti dipendenti (assunti a termine) dalle Fondazioni lirico sinfoniche hanno impugnato i detti contratti». Esisteva cioe' un vasto contenzioso che interessava il limitato numero di enti privatizzati e gia' contemplati dalla legge n. 800/1967 ed un gruppo di lavoratori individuabili nominativamente. Piu' in particolare, l'art. 40, comma 1-bis, d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni in legge 9 agosto 2013, n. 98, costituisce una risposta legislativa al fatto che un certo numero di lavoratori dipendenti precari degli enti lirici - come Mazzeranghi - stavano conseguendo pronunzie giudiziali favorevoli alla «conversione» dei rapporti di lavoro illegittimi: pronunzie di merito avvalorate dalla giurisprudenza della Cassazione sopra citata (e dalla circostanza che l'intervento normativo del 2010 era stato giudicato non pertinente e quindi non idoneo a vanificare le sempre piu' numerose sentenze favorevoli ai lavoratori). E' noto, d'altra parte, che, alla stregua del complesso normativo sopra citato, il numero degli enti lirici privatizzati costituisce un ambito assai circoscritto di datori di lavoro e che, pertanto, l'intervento della legge retroattiva del 2013 viene a colpire (risalendo indietro nel tempo) un ristretto numero di lavoratori ben individuabili nominativamente, i quali ricevono cosi' un singolare e non giustificato trattamento normativo difforme e deteriore rispetto alla generalita' dei lavoratori a termine nel settore privato, i quali, nello stesso periodo (dal 23 maggio 1998 al 9 agosto 2013), sono stati parimenti soggetti alla legge 18 aprile 1962, n. 230 e al d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368. Ne' vale l'obiezione per cui l'art. 36, d.lgs. n. 165/2001 gia' contempla il divieto di «conversione» dei rapporti irregolari dell'impiego pubblico, in quanto un simile argomento trascura che Mazzeranghi (e gli altri precari in analoga condizione) sono e restano dipendenti privati (che verrebbero a ricevere un solo e deteriore aspetto del trattamento normativo del pubblico impiego). In tal senso, il Collegio giudica rilevante e non manifestamente infondata la eccezione di illegittimita' costituzionale prospettata dalla difesa della appellata nella memoria difensiva del 19 febbraio 2014 in relazione all'art. 3 Cost. sotto il duplice profilo della irragionevolezza e della non giustificata disparita' di trattamento. Bisogna poi considerare che l'art. 40, comma 1-bis, d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98, e' intervenuto retroattivamente a modificare una situazione di diritto nella quale Mazzeranghi Maria Gaia si trovava da oltre 15 anni (maggio 1998) e nella quale faceva ragionevole affidamento avendo peraltro gia' ottenuto riconoscimento dei propri diritti con la sentenza n. 1319 del 5 dicembre 2012 del Tribunale di Firenze giudice del lavoro. Anche recentemente Cass. 12 agosto 2014, n. 17892, ha svolto una serie di considerazioni che questo Collegio deve richiamare in quando risultano del tutto pertinenti alla fattispecie in esame: «Deve inoltre considerarsi che il giudice delle leggi (cfr. ex aliis, C. Cost. n. 78/2012), ha in piu' occasioni chiarito i limiti che il legislatore incontra nell'emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, individuandolo, in generale, nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale», ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU).»; «Ha quindi stabilito che la norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica puo' dirsi costituzionalmente legittima innanzitutto qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato gia' in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (ex plurimis sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009).»; «In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire "situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo", in ragione di "un dibattito giurisprudenziale irrisolto" (sentenza n. 311 del 2009), o di "ristabilire un'interpretazione piu' aderente alla originaria volonta' del legislatore" (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioe' di principi di preminente interesse costituzionale.». Ipotesi queste che non possono ravvisarsi nella specie, ove e' riconosciuta legittimita' ed efficacia, con effetto retroattivo ed a distanza di oltre dieci anni, con relativo vulnus alla certezza del diritto, a delibere peggiorative di una sola categoria di assicurati (gia' pensionati), in contrasto con quanto affermato dal giudice delle leggi circa il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010, citata, punto 5A, del Considerato in diritto). Nella specie non puo' ritenersi che sussistano detti requisiti, in primo luogo difettando una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, sussistendo in materia un ampio, e da tempo consolidato, univoco orientamento di legittimita', in senso peraltro opposto a quello della novella in esame, che si pone cosi' in contrasto con gli ultimi dei limiti indicati. La soluzione fatta propria dal legislatore con la norma in questione, inoltre, non puo' essere considerata una possibile variante di senso del testo originario della norma oggetto d'interpretazione, quanto piuttosto una norma innovativa, diretta esclusivamente a rendere retroattivamente legittimi gli atti e delibere emanati dalla Cassa in contrasto con le norme vigenti in materia, come evincibili dal consolidato orientamento di legittimita' in argomento. Anche nel caso che interessa Mazzeranghi e la Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino si deve sottolineare che l'intervento della legge di conversione n. 98/2013, lungi dall'esprimere una soluzione ermeneutica rientrante tra i significati ascrivibili alla normativa previgente (e anzi in coincidenza temporale con sentenze della Cassazione di segno opposto) e' intervenuta a derogare all'assetto esistente e a frustrare l'affidamento dei lavoratori interessati, in palese contrasto col divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento e in dispregio della tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei lavoratori coinvolti (cfr. da ultimo C. Cost. n. 170/2013, n. 103/2013, n. 271/2011). La norma in questione, inoltre, facendo retroagire la disciplina in essa prevista al maggio 1998, non rispetta i principi generali di eguaglianza e ragionevolezza (cfr. C. Cost. n. 209 del 2010). In questi casi - trattandosi peraltro di un intervento legislativo ispirato a mere finalita' di risparmio di spese in danno di un numero circoscritto di lavoratori degli enti lirici individuabili nominativamente - valgono le ulteriori e condivisibili considerazioni gia' svolte dalla citata Cass. n. 17892/2014 citata: «Ne' puo' venire in considerazione, nel contesto riferito, il principio della discrezionalita' del legislatore nel collocare nel tempo le innovazioni normative (C. Cost. ordinanze n. 137 e 346 del 2008). E' peraltro noto che, a partire dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007, la giurisprudenza della Corte costituzionale e' costante nel ritenere che le norme della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione e applicazione - integrino, quali "norme interposte", il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali (ex plurimis, sentenze n. 1 del 2011; n. 196, n. 187 e n. 138 del 2010; sulla perdurante validita' di tale ricostruzione anche dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sentenza n. 80 del 2011).»; «La Corte europea dei diritti dell'uomo ha piu' volte affermato che se, in linea di principio, nulla vieta al potere legislativo di regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall'art. 6 della Convenzione ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l'esito giudiziario di una controversia (ex plurimis, v. Corte europea, sentenza sezione seconda, 7 giugno 2011, Agrati ed altri contro Italia; sezione seconda, 31 maggio 2011, Maggio contro Italia; sezione quinta, 11 febbraio 2010, Javaugue contro Francia; sezione seconda, 10 giugno 2008, Bortesi e altri contro Italia).»; «Pertanto, secondo il giudice delle leggi, sussiste uno spazio, sia pur delimitato, per un intervento del legislatore con efficacia retroattiva (fermi i limiti di cui all'art. 25 Cost.), se giustificato da "motivi imperativi d'interesse generale". Nel caso in esame, come si evince dalle considerazioni sopra svolte, non e' dato ravvisare quali sarebbero i motivi imperativi d'interesse generale, idonei ad attribuire effetto retroattivo alla norma in questione. Ne segue che risulta violato anche il parametro costituito dall'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6 della Convenzione europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, incidendo sull'esito giudiziario di controversie in corso». Nel caso in esame, ritiene il Collegio che non siano ravvisabili i gia' ricordati motivi imperativi di interesse generale (tenuto conto anche del permanente carattere privato delle Fondazioni in questione), mentre e' palese l'intento del legislatore di intervenire con norme innovative sull'esito di un ristretto numero di giudizi in corso. Ne segue che appare palese la violazione anche del parametro costituito dall'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo. Va dunque sollevata, anche di ufficio, la relativa questione di costituzionalita' in quanto rilevante e non manifestamente infondata: cosi' interpretando comunque il Collegio la univoca doglianza prospettata dalla difesa della appellata (pagg. 27 e seguenti della memoria difensiva) circa il carattere retroattivo della legge del 2013 e la mancanza dei «motivi imperativi di interesse generale» e i connessi richiami giurisprudenziali (mentre il riferimento ai parametri di cui agli artt. 35 e 36 Cost. sembra manifestamente infondato).