LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                           Sezione Lavoro 
 
    Composta dagli Ill.mi signori Magistrati: 
    dott. Gabriella Coletti De Cesare - Presidente 
    dott. Pietro Venuti - Consigliere 
    dott. Giuseppe Bronzini - Rel. Consigliere 
    dott. Antonio Manna - Consigliere 
      dott. Lucia Tria - Consigliere 
ha pronunciato la seguente 
 
                      Ordinanza Interlocutoria 
 
    Sul ricorso 7115-2009 proposto da: 
      Brazzale Nives BRZNVS41H44L746M, domiciliata  in  Roma,  piazza
Cavour presso la  cancelleria  della  Corte  Suprema  di  Cassazione,
rappresentata e difesa dall'avv.to Giuseppe Cimino, giusta delega  in
atti; ricorrente - 
    Contro INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale  codice
fiscale n.  80078750587  in  persona  del  suo  Presidente  e  legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato  in  Roma,  via
Cesare Beccaria n. 29, presso  L'Avvocatura  Centrale  dell'Istituto,
rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandro  Riccio,  Giuseppina
Giannico, Nicola Valente, giusta delega in atti; controricorrente; 
    Avverso la sentenza n. 1285/2008 della Corte d'Appello di Torino,
depositata il 19 dicembre 2008, n.r.g. 182/07; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
17 dicembre 2014 dal Consigliere dott. Giuseppe Bronzini; 
    Udito l'Avvocato Sergio Preden per delega verbale Nicola Valente; 
    Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Paola Mastroberardino che ha concluso in  via  principale  remissione
alle Sezioni Unite Civili, in subordine sollevare questione  ex  art.
117 Corte Cost. in  riferimento  art.  1  Proc.  Cedu.  In  ulteriore
subordine rigetto. 
      
Udienza del 17 dicembre 2014, causa n. 8 
R.G. n. 7115/09 
 
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESO 
 
    1. Con ricorso al Tribunale di Verbania Brazzale Nives evocava in
giudizio  l'INPS  esponendo  di  essere  titolare  di   pensione   di
anzianita' avendo perfezionato li trasferimento presso  l'INPS  della
contribuzione versata in Svizzera; di avere chiesto  all'Istituto  il
ricalcolo  della  pensione  sulla  base  dell'effettiva  retribuzione
percepita In Svizzera, anziche' sulla base degli importi  retributivi
arbitrariamente ridotti dall'INPS  in  considerazione  della  diversa
aliquota contributiva svizzera, inferiore a quella italiana; di avere
vanamente  esperito  l'iter  amministrativo.  Chiedeva  pertanto   la
condanna al pagamento della prestazione nella misura risultante dalla
richiesta  ricostituzione.   Si   costituiva   in   giudizio   l'INPS
contestando il fondamento della domanda, di cui chiedeva il  rigetto.
Il Tribunale di Verbania con sentenza del 5 luglio 2006 accoglieva il
ricorso.  Avverso  la  detta  sentenza  interponeva  appello   l'INPS
chiedendo la riforma della decisione di  primo  grado.  La  Corte  di
appello di Torino  con  sentenza  del  19  dicembre  2008  accoglieva
l'appello dell'INPS e rigettava la  domanda.  La  Corte  territoriale
nella sua sintetica decisione ha ricordato  che  il  Tribunale  aveva
accolto   l'orientamento   della   giurisprudenza   di   legittimita'
richiamando la sentenza n. 4623/2004 della Corte  di  cassazione,  ma
che, successivamente alla decisione della Corte, era  intervenuta  la
legge n. 296/2006 (Legge finanziaria 2007) il cui art.  1  comma  777
recita «5, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica
27 aprile 1968, n. 488 e successive modificazioni, si interpreta  nel
senso che, in caso di trasferimento presso  l'assicurazione  generale
obbligatoria italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di
Paesi esteri in conseguenza di convenzione ed accordi  internazionali
di  sicurezza  sociale,  la  retribuzione  pensionabile  relativa  ai
periodi  di  lavoro  svolto   nei   paesi   esteri   e'   determinata
moltiplicando  l'importo  dei  contributi  trasferiti  per  cento   e
dividendo il risultato per l'aliquota contributiva  per  invalidita',
vecchiaia e superstiti in vigore nel  periodo  cui  i  contributi  si
riferiscono.  Sono  fatti  salvi  i  trattamenti  pensionistici  piu'
favorevoli gia' liquidati  alla  data  di  entrata  in  vigore  della
presente legge».  La  Corte  territoriale  osservava  che  i  criteri
fissati dalla norma  interpretativa  erano  stati  seguiti  dall'INPS
nella  determinazione  della  pensione  e   che   la   questione   di
legittimita'  costituzionale  della  detta   norma,   sollevata   con
ordinanza del 5 marzo 2007 dalla Corte di cassazione, in  riferimento
agli art. 3 primo comma, 35 quarto comma e 38  secondo  comma  Cost.,
era stata dichiarata non fondata dalla Corte  costituzionale  con  la
sentenza n. 172/2008. A prescindere dalla fondatezza della  questione
preliminare eccepita dall'INPS  concernente  l'intervenuta  decadenza
triennale dall'azione  ex  art.  47,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 639/1970 come modificato dall'art. 4 D.L. n.  384/1992,
l'appello appariva fondato nel merito con conseguente  rigetto  delle
domande proposte con il ricorso introduttivo. 
    1.2. Per la cassazione di  detta  decisione  propone  ricorso  la
Brazzale Nives con un motivo con il quale si allega la violazione e/o
falsa applicazione di norme di  diritto;  in  particolare  violazione
dell'art. 5, decreto del Presidente della Repubblica 27  aprile  1968
n. 488 e successive  modificazioni  ed  integrazioni.  La  ricorrente
richiama l'ordinanza interlocutoria  della  Corte  di  cassazione  n.
5048/2007 secondo la quale la disposizione di cui  all'art.  1  comma
777 legge n. 296/06, pur dichiarandosi di interpretazione  autentica,
avrebbe   carattere   innovativo   incidendo   retroattivamente,    e
irragionevolmente,  su  diritti  acquisiti  afferenti  lo  status  di
pensionato in quanto riparametra  la  retribuzione  pensionabile  del
lavoratore  emigrato  in  termini  ingiustificatamente  riduttivi   e
penalizzanti, con sensibile decurtazione  della  pensione  spettante.
Allega  la  ricorrente  che  «in  altri  termini,   ad   un   calcolo
pensionistico effettuato, ovvero da effettuare  con  riparametrazione
degli importi  alla  retribuzione  effettivamente  corrisposta  nella
misura del 32% .. viene  ex  abrupto  sostituita  la  misura  dell'8%
...commisurata alla percentuale che l'Assicurazione sociale  svizzera
aveva a suo  tempo  applicato  sulle  retribuzioni  corrisposte».  La
ricorrente da' atto che la  questione  di  legittimita'  costituzione
sollevata a suo tempo dalla Corte di cassazione e' stata ritenuta non
fondata dalla Corte costituzionale con riferimento all'art.  3  primo
comma, 35 quarto comma e 38  secondo  comma  della  Costituzione,  ma
allega che per l'art. 101 della Costituzione i giudici sono  soggetti
alla legge e non e' dato  sostituirsi  ad  essa  in  ragione  di  una
interpretazione autentica che  in  realta'  abbia  l'effetto  di  una
innovazione  con  efficacia  retroattiva  attraverso  un   intervento
legislativo che  finisce  con  il  violare  anche  l'art.  104  della
Costituzione ed il principio di separazione dei poteri. 
    1.3. Si e' costituito l'INPS chiedendo il  rigetto  del  ricorso;
l'Istituto ha prodotto anche memoria difensiva ex art. 378 C.P.C. Con
la detta memoria  l'INPS  ha  osservato  che  la  Corte  dei  diritti
dell'uomo con la sentenza Stefanetti ed altri c. Italia del 15 aprile
2014 aveva ribadito quanto precedente statuito con la sentenza Maggio
c. Italia circa la violazione in relazione all'  art.  1,  comma  777
legge n. 296/2006 del diritto ad un giusto processo di cui all'art. 6
Cedu, ma aveva - contrariamente al precedente della sentenza  Maggio-
stabilito che la  detta  norma  aveva  violato  anche  l'art.  1  del
Protocollo n.1 alla Cedu per avere integrato un'indebita interferenza
con i diritti dei pensionati comportando un onere  eccessivo  a  loro
carico. Per l'INPS, tuttavia, da un lato l'orientamento  della  Corte
di Strasburgo non era,  sul  punto  della  lesione  dell'art.  1  del
Protocollo n. 1, univoco e dall'altro lato  la  Corte  costituzionale
con la sentenza  n.  264/2012  aveva  gia'  accertato  che  la  norma
contestata era essenziale per la complessiva tenuta  del  sistema  di
sicurezza sociale,  non  in  condizione  di  reggere  gli  oneri  che
deriverebbero da un  sistema  di  calcolo  pensionistico  diverso  da
quello stabilito nel 2006.  La  prevalenza  dell'esigenza  di  tutela
della sostenibilita' del sistema  di  sicurezza  sociale  rispetto  a
quella di protezione di interessi del singolo, per il caso in  esame,
era gia' stata chiaramente affermata dalla Corte delle leggi. 
 
                        Premesse processuali 
 
    2.1 La ricorrente nel giudizio  a  quo  ha  svolto  attivita'  di
lavoro dipendente in Svizzera, maturando un periodo di  contribuzione
previdenziale di cui ha chiesto il trasferimento dalla  assicurazione
sociale elvetica  a  quella  italiana.  Nella  presente  controversia
questa  Corte  e'  chiamata,   in   primo   luogo,   a   pronunciarsi
sull'applicazione alla fattispecie in esame della legge  n.  296  del
2006, art. 1, comma 777, gia' applicato dalla Corte di appello, e  la
cui legittimita' costituzionale viene revocata  in  dubbio  da  parte
ricorrente. La citata norma prevede «il decreto del Presidente  della
Repubblica 27 aprile 1968, n. 488,  art.  5,  comma  2  e  successive
modificazioni, si interpreta nel senso che, in caso di  trasferimento
presso l'assicurazione generale obbligatoria italiana dei  contributi
versati ad enti previdenziali  di  Paesi  esteri  in  conseguenza  di
convenzioni  ed  accordi  internazionali  di  sicurezza  sociale,  la
retribuzione pensionabile relativa ai periodi di  lavoro  svolto  nei
Paesi esteri e' determinata moltiplicando  l'importo  dei  contributi
trasferiti  per  cento  e  dividendo  il  risultato  per   l'aliquota
contributiva per invalidita', vecchiaia e superstiti  in  vigore  nel
periodo  cui  i  contributi  si  riferiscono.  Sono  fatti  salvi   i
trattamenti pensionistici piu' favorevoli gia' liquidati alla data di
entrata in vigore della presente legge». Il suddetto art. 5, comma 2,
a sua volta, stabilisce che «per retribuzione annua  pensionabile  si
intende la terza parte della somma delle retribuzioni determinate  ai
sensi dell'art. 27 e seguenti  del  testo  unico  delle  norme  sugli
assegni  familiari,   estese   all'assicurazione   obbligatoria   per
l'invalidita', la vecchiaia ed i  superstiti  della  legge  4  aprile
1952, n. 218, art. 17, risultanti dalle ultime 156 settimane  coperte
da  contribuzione  effettiva  in  costanza  di  lavoro  o  figurativa
antecedenti la data di decorrenza della pensione.  A  tal  fine,  con
decreti del Ministro per  il  lavoro  e  la  previdenza  sociale,  di
concerto con il Ministro per  il  tesoro,  sentito  il  consiglio  di
amministrazione  dell'Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale
entro il 31 dicembre  1968,  sara'  stabilito  un  nuovo  sistema  di
versamento dei contributi dovuti all'assicurazione generale predetta,
che consenta la rilevazione diretta della retribuzione assoggettata a
contributo». Le modifiche sulle regole del computo della retribuzione
pensionabile, introdotte da successive  disposizioni  di  legge,  non
rilevano ai fini del presente esame. 
    2.2. La questione delle cosiddette «pensioni svizzere»,  presenta
un articolato quadro normativo e giurisprudenziale, sviluppatosi  nel
tempo, nella pendenza del presente giudizio, in ordine  al  quale  e'
opportuno procedere ad un  breve  riepilogo.  L'art.  1  dell'Accordo
aggiuntivo alla Convenzione tra l'Italia e la Svizzera relativa  alla
sicurezza sociale del 14 dicembre 1962, Accordo concluso a Berna il 4
luglio 1969, cui e' stata data esecuzione con la Legge di Ratifica 18
maggio 1973 n. 283, che trova applicazione nel caso di specie, recita
al primo comma i cittadini italiani hanno la facolta', in deroga alle
disposizioni  dell'art.  7  della  Convenzione,   di   chiedere,   al
verificarsi dell'evento assicurato in caso di  vecchiaia  secondo  la
legislazione italiana, il trasferimento  alle  assicurazioni  sociali
italiane dei contributi versati da loro stessi e dai loro  datori  di
lavoro all'assicurazione sociale  svizzera  ove  non  abbiano  ancora
beneficiato  di  alcuna  prestazione  dell'assicurazione   vecchiaia,
superstiti e invalidita' svizzera,  a  condizione  che  essi  abbiano
lasciato la Svizzera per stabilirsi definitivamente in Italia  (...).
Il comma 2 regola la connessa perdita di ogni diritto  nei  confronti
dell'assicurazione svizzera e il comma 3  disciplina  l'utilizzazione
in  Italia  dei  contributi,  prevedendo:  le  assicurazioni  sociali
italiane utilizzano a favore dell'assicurato o dei suoi superstiti  i
contributi  trasferiti  al  fine  far  loro  conseguire  i   vantaggi
derivanti dalla  legislazione  italiana,  citata  dall'art.  1  della
Convenzione,  secondo  le  disposizioni  particolari  emanate   dalle
autorita' italiane. Se in base alle disposizioni  della  legislazione
italiana  non  derivi  all'assicurato  o  ai  suoi  superstiti,   dal
trasferimento  dei  contributi,  alcun  vantaggio  nel  regime  delle
pensioni,  le  assicurazioni   sociali   italiane   rimborsano   agli
interessati i contributi trasferiti. Al  momento  della  stipulazione
del suddetto Accordo aggiuntivo del 1969 era gia' stata introdotta in
Italia  la  cosiddetta  pensione  retributiva  (citato  decreto   del
Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488, art. 5). In  base
all'art. 10 del secondo Accordo aggiuntive alla medesima  convenzione
del 1962, firmato a Berna il 2 aprile 1980 e ratificato  con legge  7
ottobre 1981, n. 668 la normativa sul trasferimento dei contributi e'
stata  applicata  ai  fini  del  conseguimento  della   pensione   di
anzianita'. In  presenza  del  richiamato  quadro  normativo,  questa
Corte, con la sentenza n. 4623 del  2004  (v.  anche  Cass.,  Sezione
lavoro, sentenze n. 20731 del 2004 e n. 7455 del 2005), nel rigettare
il ricorso dell'INPS, statuiva che la  circostanza  che  siano  stati
applicate aliquote contributive diverse e piu'  basse  di  quelle  in
vigore in Italia non puo' indurre  a  introdurre  una  corrispondente
riduzione anche della retribuzione di riferimento,  perche'  un  tale
procedimento, non previsto dalla legge,  comporterebbe  un'arbitraria
modificazione dei criteri di determinazione della pensione. Del resto
l'entita' delle aliquote contributive non sono un elemento  rilevante
ai fini della determinazione della pensione in base alla retribuzione
percepita nell'ultimo periodo lavorativo, potendo le aliquote variare
per legge nel corso del tempo, oppure essere  determinati  in  misura
diversa a seconda delle varie categorie produttive o di lavoratori  o
in presenza di situazioni particolari.  Successivamente,  interveniva
la legge n. 296 del  2006,  art.  1,  comma  777  sopra  citato,  che
prevedeva che la retribuzione percepita all'estero, da porre  a  base
del calcolo della pensione, doveva essere riproporzionata al fine  di
stabilire lo stesso rapporto percentuale previsto  per  i  contributi
versati nel nostro Paese nel  medesimo  periodo,  cosi  introducendo,
nell'ordinamento, una interpretazione della  disciplina  applicabile,
di senso non favorevole rispetto alle posizioni degli assicurati.  La
Corte di cassazione con ordinanza n. 5048 del 5 marzo 2007  sollevava
questione di legittimita' costituzionale della legge n. 296 del 2006,
art. 1, comma 777 in riferimento all'art. 3 Cost., comma 1,  all'art.
35 Cost., comma 4, e all'art. 38 Cost., comma 2. 
    2.3. La Corte costituzionale con la sentenza n. 172  del  2008  -
nel dichiarare non fondata la relativa questione di costituzionalita'
- ha affermato che tale disposizione ha reso  esplicito  un  precetto
gia'  contenuto  nelle  disposizioni   oggetto   dell'interpretazione
autentica. La norma censurata, ha affermato la Corte  costituzionale,
assegnando alla disposizione interpretata un  significato  rientrante
nelle possibili letture del testo originario,  non  determina  alcuna
lesione    dell'affidamento    del    cittadino    nella     certezza
dell'ordinamento giuridico. In virtu' di tale decisione  e'  pacifica
la natura retroattiva della disposizione prima ricordata che, per  la
Corte delle leggi, non viola gli artt. 3 Cost., comma  1,  l'art.  35
Cost.,  comma  4  ed  infine  neppure  l'art.  38  Cost.,  comma   2.
Successivamente alla sentenza della Corte costituzionale n.  172  del
2008,   questa   Corte    modificava    il    proprio    orientamento
giurisprudenziale. Con la sentenza n. 23754 del 2008 - nel confermare
la sentenza impugnata, che aveva respinto la domanda, proposta da una
assicurata nei confronti dell'INPS, di riliquidazione della  pensione
di anzianita', in  godimento  dal  gennaio  1996,  sulla  base  della
retribuzione percepita  in  Svizzera  negli  ultimi  cinque  anni  di
lavoro,  invocando  la  Convenzione  tra  Italia  e  Svizzera   sulla
sicurezza sociale del  14  dicembre  1962,  e  i  successivi  accordi
aggiuntivi, ratificata con la legge n. 283 del 1973 - statuiva che in
base al decreto del Presidente della Repubblica n. 488 del 1968, art.
5, comma 2 come interpretato autenticamente dalla legge  n.  296  del
2006, art. 1, comma 777 - che ha superato il vaglio  di  legittimita'
costituzionale a seguito della sentenza n.172 del  2008  della  Corte
costituzionale, in ipotesi di  trasferimento  presso  l'assicurazione
generale  obbligatoria  italiana  dei  contributi  versati  ad   enti
previdenziali di  Paesi  esteri  in  conseguenza  di  convenzioni  ed
accordi  internazionali  di  sicurezza   sociale,   la   retribuzione
pensionabile relativa ai periodi di lavoro svolto nei Paesi esteri e'
determinata moltiplicando l'importo  dei  contributi  trasferiti  per
cento e  dividendo  il  risultato  per  l'aliquota  contributiva  per
invalidita', vecchiaia e superstiti  in  vigore  nel  periodo  cui  i
contributi si riferiscono. Con la sentenza di questa  Corte,  Sezioni
Unite, n. 17076 del 2011, in via incidentale, e'  stato  ribadito  il
carattere di disposizione di interpretazione autentica  dell'art.  1,
comma 777, in esame. 
    2.4. Con ordinanza interlocutoria n. 23834/2011 del  15  novembre
2011 questa Corte dichiarava rilevante e non manifestamente infondata
- in riferimento all'art. 117 Cost., comma 1, in  relazione  all'art.
6, paragrafo 1,  della  Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo
(CEDU), sottoscritta dall'Italia il 4 novembre 1950 e resa  esecutiva
con legge 4  agosto  1955,  n.  848  (Ratifica  ed  esecuzione  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950  e  del
Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a  Parigi  il
20 marzo 1952), come  interpreto  dalla  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, e in particolare dalla sentenza del 31 maggio  2011,  resa
nel caso Maggio e altri c. Italia  -  la  questione  di  legittimita'
costituzionale della legge 27 dicembre 2006, n. 296,  art.  1,  comma
777  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello  Stato.  Legge  Finanziaria  2007).  Osservava,  al
riguardo,  conclusivamente  che  «nella  fattispecie  in  esame... in
riferimento dell'art. 6, par. 1, della CEDU, come interpretato  dalla
Corte EDU, nelle sentenze richiamate e nella sentenza Maggio (in  uno
all'art. 117 Cost., comma 1), si prospetta il dubbio di  legittimita'
costituzionale della legge  n.  296  del  2006,  art.  1,  comma  777
rispetto  al  quale  non  sortisce  esito  favorevole  il   tentativo
dell'odierno  interprete  di  offrire  una  lettura   conforme   alla
Convenzione,  infatti  la  verifica  di  compatibilita'  della  norma
censurata con la Convenzione in ragione  degli  elementi  valorizzati
dalla  giurisprudenza  della  Corte  di   Strasburgo   per   ritenere
ammissibili le disposizioni interpretative, ravvisando la sussistenza
di  motivi  imperativi  di  interesse  generale  -  e'   gia'   stata
effettuata, con esito negativo, dalla sentenza Maggio». 
    2.5 La Corte costituzione con sentenza n. 264/2012 dichiarava non
fondata la questione di legittimita' costituzionale  sollevata  dalla
Corte di cassazione. La Corte delle leggi osservava a sua  volta  che
«il vincolo per la Corte, nel caso di  specie,  e'  costituito  dalla
applicazione che la Corte EDU  ha  operato,  nella  sentenza  Maggio,
dell'art. 6, paragrafo  1,  della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo,  stabilendo  che  «benche'  non  sia  precluso  al   corpo
legislativo di disciplinare, mediante nuove disposizioni retroattive,
diritti derivanti da leggi in vigore, il principio  della  preminenza
del diritto e la nozione di equo processo  contenuti  nel  richiamato
art. 6 precludono, tranne che  per  impellenti  motivi  di  interesse
generale, l'interferenza del corpo  legislativo  nell'amministrazione
della giustizia con il proposito  di  influenzare  la  determinazione
giudiziaria di una controversia». La Corte  europea  ha  ritenuto  di
«non essere persuasa» del fatto che il motivo di  interesse  generale
fosse sufficientemente impellente da  superare  i  pericoli  inerenti
all'utilizzo della legislazione retroattiva, e  percio'  ha  concluso
che, nel caso ad essa sottoposto, lo Stato aveva  violato  i  diritti
dei ricorrenti ai  sensi  della  citata  disposizione  convenzionale,
intervenendo  in  modo  decisivo  per  garantire  che   l'esito   del
procedimento in cui  esso  era  parte  gli  fosse  favorevole....  La
richiamata disposizione convenzionale,  come  applicata  dalla  Corte
europea, integra, quindi, pienamente il parametro dell'articolo  117,
primo comma,  della  Costituzione,  rispetto  al  quale  il  Collegio
rimettente  ripropone  il  dubbio  di  illegittimita'  costituzionale
dell'articolo 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006. -  Tuttavia,
nell'attivita'    di    bilanciamento     con     altri     interessi
costituzionalmente protetti  cui,  come  dianzi  chiarito,  anche  in
questo  caso  e'  chiamata  questa  Corte,   rispetto   alla   tutela
dell'interesse sotteso al  parametro  come  sopra  integrato  prevale
quella degli interessi antagonisti,  di  pari  rango  costituzionale,
complessivamente coinvolti nella disciplina recata dalla disposizione
censurata. In relazione alla quale sussistono, quindi quei preminenti
interessi generali che  giustificano  il  ricorso  alla  legislazione
retroattiva. Ed infatti, gli effetti di detta  disposizione  ricadono
nell'ambito di un sistema previdenziale tendente alla  corrispondenza
tra le  risorse  disponibili  e  le  prestazioni  erogate,  anche  in
ossequio al vincolo imposto dall'articolo  81,  quarto  comma,  della
Costituzione, ed assicura la  razionalita'  complessiva  del  sistema
stesso  (sent.  n.  172  del  2008),  impedendo   alterazioni   della
disponibilita' economica a svantaggio di  alcuni  contribuenti  ed  a
vantaggio di altri, e cosi garantendo il  rispetto  dei  principi  di
uguaglianza e di solidarieta', che, per il loro  carattere  fondante,
occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con  gli  altri
valori  costituzionali.  E'  ispirata,   invero,   ai   principi   di
uguaglianza e di proporzionalita' una legge  che  tenga  conto  della
circostanza che i contributi versati in Svizzera siano quattro  volte
inferiori  a  quelli  versati  in  Italia  e   operi,   quindi,   una
riparametrazione diretta a rendere i  contributi  proporzionati  alle
prestazioni, a livellare i trattamenti, per evitare sperequazioni e a
rendere sostenibile l'equilibrio del sistema previdenziale a garanzia
di coloro che usufruiscono delle sue prestazioni» ( cfr.  punti  5.2,
5,3. 5.4 della motivazione). 
    2.6 Come gia' riferito, con sentenza del 15 aprile 2014 la  Corte
Edu nella causa Stefanetti ed altri c. Italia ha ribadito la condanna
dell'Italia per violazione dell'art. 1 del Protocollo n.  1  Cedu  in
relazione all'adozione dell'art. 1 comma 777  legge  n.  296/2006  e,
anche con implicito  riferimento  alla  sentenza  n.  264/2012  della
nostra Corte delle leggi, ha osservaio, in particolare, che: «40. Nel
caso di specie il Governo presentava ulteriori argomenti evidenziando
in particolare il fatto che la promulgazione della legge n.  296/2006
mirava ad  assicurare  il  rispetto  della  volonta'  originaria  del
legislatore  e  a   coordinare   l'applicazione   della   Convenzione
italo-svizzera e il nuovo metodo di calcolo, entrato  in  vigore  nel
1982 e che aveva creato uno squilibrio  nelle  relative  valutazioni.
Faceva riferimento alla causa OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie
X, Blanche de Castille e altri (sopra citata). 41. La  Corte  ritiene
che il caso di specie sia diverso dalla causa National  &  Provincial
Building  Society,  Leeds  Permanent  Building  Society  e  Yorkshire
Building Society (sopra citato) in cui l'avvio di un procedimento  da
parte delle societa' ricorrenti e' stato considerato un tentativo  di
approfittare  della  vulnerabilita'  delle  autorita'  derivante   da
difetti tecnici della legislazione e di  frustrare  l'intenzione  del
Parlamento (§§ 109 e 112). Il caso di specie e' diverso  anche  dalla
causa OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X, Blanche de  Castille
e altri citato dal Governo in cui i ricorrenti cercavano di nuovo  di
ottenere  dei  vantaggi  da  una  lacuna  della   legislazione,   cui
l'ingerenza legislativa mirava a porre rimedio. In questi due casi  i
tribunali   nazionali   avevano   riconosciuto   le   carenze   della
legislazione in questione e l'azione da parte dello Stato, per  porre
rimedio alla situazione, era stata  prevedibile  (rispettivamente  §§
112 e 72). 42. Nel caso di specie non vi erano difetti  cospicui  nel
quadro giuridico del  1962  e,  come  riconosciuto  dal  Governo,  la
necessita' di un intervento legislativo e' sorta solo in  conseguenza
della decisione dello  Stato,  nel  1982,  di  riformare  il  sistema
pensionistico. In quella  fase  fu  lo  Stato  stesso  a  creare  una
disparita' che esso provo' a correggere solo ventiquattro  anni  dopo
(e trentotto anni dopo la promulgazione delle disposizioni  di  legge
originarie). In effetti, non risulta che  vi  siano  stati  tentativi
tempestivi di correggere il sistema prima, nonostante  il  fatto  che
numerosi  pensionati  che  avevano  lavorato  in  Svizzera   stessero
ripetutamente vincendo in giudizio dinanzi ai tribunali nazionali.  A
tale proposito la Corte osserva che prima della  promulgazione  della
legge n.  296/2006  i  Tribunali  nazionali  si  erano  ripetutamente
pronunciati a favore di persone che si trovavano nella posizione  dei
ricorrenti, e che l'interpretazione delle pertinenti disposizioni  di
legge (come confermato dalla sentenza della Corte di Cassazione del 6
marzo  2004)  era  diventata  la  giurisprudenza  maggioritaria.   Ne
consegue  che,  dato  anche  il  fatto  che  nei   decenni   in   cui
l'applicazione del calcolo in  questione  era  stata  contestata  nei
Tribunali nazionali vi era stata un'interpretazione  maggioritaria  a
favore dei ricorrenti (con l'eccezione di alcune  sentenze  di  primo
grado), nel caso di specie, diversamente dalle  cause  summenzionate,
l'ingerenza legislativa (che faceva pendere la bilancia a  favore  di
una delle parti) non era prevedibile. 43. La Corte  ritiene  inoltre,
data la sequenza  degli  eventi,  che  non  si  possa  affermare  che
l'intervento  legislativo   mirasse   a   ripristinare   l'intenzione
originaria del legislatore del 1962. Inoltre, anche assumendo che  la
legge mirasse davvero  a  reintrodurre  la  volonta'  originaria  del
legislatore dopo le modifiche del 1982, la Corte  ha  gia'  accettato
che il fine di ristabilire un equilibrio nel  sistema  pensionistico,
benche' di interesse generale, non era sufficientemente impellente da
prevalere  sui  pericoli  inerenti  all'utilizzo  di  una   normativa
retroattiva che incideva su una controversia pendente. Invero,  anche
ammettendo che lo Stato stesse tentando di perequare  una  situazione
che originariamente non aveva inteso  creare,  avrebbe  potuto  farlo
tranquillamente senza ricorrere  all'applicazione  retroattiva  della
legge.  Inoltre,  anche  il  fatto  che  lo  Stato  abbia   aspettato
ventiquattro  anni  prima  di  effettuare  una  simile  perequazione,
nonostante il fatto che numerosi pensionati che avevano  lavorato  in
Svizzera stessero  ripetutamente  vincendo  in  giudizio  dinanzi  ai
tribunali nazionali, crea dei dubbi  riguardo  al  fatto  che  quella
fosse realmente l'intenzione del legislatore nel 1982». 
    2.7 La sentenza Edu del 15 aprile  2014  ha  anche  liquidato  la
somma di € 12.000, per ciascun ricorrente a titolo  di  danno  morale
per le violazioni degli artt. 6 Cedu e dell'art. 1  Protocollo  n.  1
Cedu (mentre ancora sub iudice e'  la  richiesta  dei  ricorrenti  di
liquidazione del danno  patrimoniale  in  applicazione  dell'art.  41
Cedu). La Corte Edu ha sul punto osservato che «65. Inoltre nel  caso
di specie la  Corte  non  puo'  perdere  di  vista  il  fatto  che  i
ricorrenti hanno deciso consapevolmente di tornare in  Italia  in  un
momento in cui avevano la legittima aspettativa  di  poter  percepire
delle pensioni piu' elevate,  e  pertanto  un  tenore  di  vita  piu'
agiato. Tuttavia in conseguenza del  calcolo  applicato  dall'INPS  e
infine dell'azione legislativa contestata, essi si sono  trovati  non
solo in una situazione economica  piu'  difficile  ma  hanno  inoltre
dovuto intraprendere delle azioni  legali  per  recuperare  cio'  che
ritenevano fosse dovuto - procedimenti che sono stati frustrati dalle
azioni del Governo in violazione della Convenzione.  Mediante  queste
azioni il corpo legislativo Italiano  ha  arbitrariamente  privato  i
ricorrenti del loro diritto all'importo della pensione  che  potevano
legittimamente aspettarsi che fosse determinata in  conformita'  alla
giurisprudenza decisa dai piu' elevati organi  giudiziari  del  paese
(si veda il  paragrafo  42  supra),  elemento  che  non  puo'  essere
ignorato al fine di  determinare  la  proporzionalita'  della  misura
contestata  (si  vedano  Maurice  c.  France,  Draon  c.  France;   e
Kuznetsova c. Russia, tutti sopra citati, §§ 90 -91, §§ 82-83 e § 51,
rispettivamente).   Malgrado   la    giurisprudenza    della    Corte
costituzionale  italiana,  non  esistevano   impellenti   motivi   di
interesse generale  che  giustificassero  l'applicazione  retroattiva
della Legge n. 296/2006, che  non  era  un'interpretazione  autentica
dell'originaria legge ed era pertanto imprevedibile (si  comparino  e
si mettano a confronto i paragrafi 26 e 42). 66.  In  conclusione  la
Corte ritiene che, dopo aver versato contributi per  tutta  la  vita,
perdendo il 67% delle loro pensioni i  ricorrenti  non  hanno  subito
delle riduzioni proporzionate ma sono  stati  di  fatto  costretti  a
sopportare un onere eccessivo. Percio',  nonostante  le  ragioni  che
erano alla base delle misure  contestate,  nelle  presenti  cause  la
Corte non puo' concludere che sia stato trovato un giusto equilibrio.
67. Ne consegue che e' stato violato l'articolo 1 del  Protocollo  n.
1, considerato singolarmente». 
 
                               Diritto 
 
    3.1. Tutto cio' premesso questa Corte ritiene che, in ordine alla
disposizione di cui all'art. 1 comma 777 legge  n.  296/2006,  emerga
ulteriore e diversa questione di legittimita' costituzionale rispetto
a quella cui si accenna nel  ricorso,  in  riferimento  all'art.  117
Cost., comma 1, in relazione non solo all'art. 6 Cedu ma  all'art.  1
Protocollo n. 1 Cedu  come  interpretati  alla  luce  della  sentenza
Stefanetti ed altri c. Italia del  15  aprile  2014,  ormai  divenuta
definitiva (avendo la Corte  Edu  l'8  settembre  2014  rigettato  la
richiesta  di  rinvio  alla  Grande  Camera  presentata  dallo  Stato
Italiano). Tale questione appare rilevante ai fini del giudizio e non
manifestamente infondata. Non e' necessario in questa sede  un  esame
della  complessa  giurisprudenza  della  Corte  Edu  in  materia   di
interpretazione autentica e retroattivita'  delle  leggi  in  materia
civile nella  sue  ricadute  processuali  sulle  controversie  ancora
pendenti allorche' lo Stato sia  parte  in  giudizio  e  in  tema  di
riduzione «ragionevole  e  proporzionata»  di  diritti  pensionistici
consolidati che possano ritenersi «un bene ai sensi dell'art.  1  del
Protocollo n. 1 Cedu» (come quelli in  discorso  alla  stregua  delle
sentenze della Corte Edu) avendo gia' la Corte di Strasburgo  -  alla
luce dei propri  orientamenti  giurisprudenziali  -  stabilito  nella
decisione Stefanetti che la norma in discorso viola sia l'art. 6  che
l'art.  1  del  Protocollo  n.  1.  Non  si  tratta  nella   presente
controversia di mutuare principi giurisprudenziali affermati  in  una
certa fattispecie e, poi applicarli  in  una  diversa,  essendo  gia'
stato accertato da parte della Corte  Edu  che  la  norma  della  cui
costituzionalita'  si  dubita  viola  i  due  diritti   umani   prima
ricordati. 
    3.2. E' certamente vero che la sentenza Stefanetti  ha  accertato
un sacrificio eccessivo ed ingiustificato per le sue  dimensioni  del
diritto pensionistico del ricorrente e di ben altri  otto  pensionati
con riferimento alla loro specifica  situazione,  ma  tale  esame  e'
stato compiuto in relazione ad effetti ordinari e,  per  cosi'  dire,
sistemici della norma interpretativa del 2006 esaminati in modo  piu'
analitico ed attento che nella precedente sentenza  Maggio.  Per  ben
nove ricorrenti il sacrifico accertato della pensione  (spettante  in
base  alla  legge  ed  alla  giurisprudenza  consolidata,  anche   di
legittimita') sulla base di dati che  l'INPS  non  ha  contestato  e'
stata di circa due terzi (67%), portando a trattamenti  molto  bassi,
in relazione  a  ipotesi  che  non  sembrano  affatto  eccezionali  e
particolari, ma risultato  «naturale»  del  contestato  provvedimento
legislativo.  In  ogni   caso   un   sacrificio   sproporzionato   ed
ingiustificato, soprattutto per la sua  dimensione  quantitativa,  e'
stato dedotto, sia pure sinteticamente, nel  ricorso  in  cassazione,
nel  quale  non  si  contesta  solo   la   natura   retroattiva   del
provvedimento ma anche l'entita' dell'intervento di correzione  della
misura pensionistica spettante ex lege e si allega che «ad un calcolo
pensionistico effettuato, ovvero da effettuare  con  riparametrazione
degli importi alla retribuzione effettivamente corrisposta (o diversa
ma vicina percentuale) viene ex abrupto sostituita la misura dell'8 %
(o  addirittura  inferiore  )  commisurata   alla   percentuale   che
l'Assicurazione sociale svizzera aveva a suo  tempo  applicato  sulle
retribuzioni corrisposte» (pag. 4  del  ricorso),  senza  che  l'INPS
abbia contestato tale assunto nel controricorso o  nella  memoria  ex
art. 378 C.P.C. Si tratta  di  un  dedotto  vulnus  pensionistico  di
entita' che appare simile a quella accertata dalla  Corte  Edu  nella
causa Stefanetti con riferimento alle pensioni concretamente  erogate
ai ricorrenti in quella controversia. Nella sentenza di  primo  grado
del Tribunale di Verbania si osserva, peraltro, che la ricorrente  ha
trasferito in Italia ben 41 anni di contributi dal 1960 al 2001 (come
emerge anche  dalla  documentazione  allegata  al  ricorso  di  primo
grado), situazione che certamente richiama da vicino, anzi  superando
per entita' di contributi trasferiti dalla Brazzale, quella  vagliata
nella Stefanetti in cui e' stato accertato che i  ricorrenti  avevano
versato contributi «per tutta la vita» (v. parte in fatto e punto  n.
25 della motivazione) ma comunque per periodi inferiori a  quanto  e'
avvenuto nella presente controversia. Nel caso  di  quest'ultima  gli
effetti negativi sul trattamento  pensionistico  spettante  ad  opera
della  norma  retroattiva  dovrebbero,  pertanto,  essere  non   meno
significativi, se non addirittura piu'  rilevanti  di  quanto  emerso
nella prima citata decisione  della  Corte  di  Strasburgo.  Peraltro
questa Corte non  puo'  non  sottolineare  che,  controvertendosi  di
lesioni di diritti umani fondamentali, la funzione  nomofilattica  ad
essa affidata, che ovviamente mira fissare un  principio  di  diritto
applicabile a tutte le controversie che vertono sugli effetti di  una
medesima normativa, non consente piu' di tanto di  soffermarsi  sugli
aspetti  piu'  concreti  e  particolari  della  vicenda,  a  meno  di
compromettere quel nesso tra il perseguimento della detta funzione  e
le esigenze costituzionali di  eguaglianza  e  certezza  del  diritto
ricordate di recente anche dalla Corte delle leggi nell'ordinanza  n.
149/2013 che ha sottolineato «il rilievo che assume, nell'ambito  del
sistema processuale e secondo una direttrice che  e'  alimentata  dal
valore  della  certezza  del  diritto,  la   funzione   nomofilattica
assegnata dall'ordinamento alla Cassazione - di recente ulteriormente
valorizzata dal legislatore a seguito delle riforme  processuali  del
2006 e del 2009 - della quale e' sicuramente partecipe il vincolo del
«principio  di  diritto»,  le  cui  fondamenta  poggiano  anche   sul
principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.), in forza  del
quale casi analoghi devono essere giudicati, per quanto possibile, in
modo analogo». Nella presente controversia  ed  in  moltissime  altre
ancora pendenti una questione di valutazione in  concreto  del  danno
pensionistico non si e' mai processualmente posta in quanto si tratta
di domande introdotte per ottenere il trattamento che -  all'epoca  -
era  previsto  per  legge,  anche   alla   luce   della   consolidata
giurisprudenza di legittimita'. 
    3.3. Posto il contrasto tra la norma della legge finanziaria  del
2006 e i due diritti protetti  dalla  Cedu,  questa  Corte  non  puo'
procedere alla disapplicazione della  norma  interna  stante  l'ormai
consolidata giurisprudenza che inibisce al giudice questa operazione.
Come ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza n.  264/2012,
sempre nel caso delle  pensioni  svizzere:  «4....  A  partire  dalle
sentenze n. 348 e n. 349 del  2007,  questa  Corte  ha  costantemente
ritenuto che «le norme della CEDU - nel significato  loro  attribuito
dalla Corte europea dei diritti dell'uomo,  specificamente  istituita
per dare ad esse interpretazione ed applicazione (art. 32,  paragrafo
1,  della  Convenzione)  -  integrano,  quali  norme  interposte,  il
parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma,  Cost.,
nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna
ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali» (sentenze n. 236,
n. 113, n. 80 - che conferma la validita' di tale ricostruzione  dopo
l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 -  e
n. 1 del 2011; n. 196 del 2010; n. 311 del 2009). Nel caso in cui  si
profili un contrasto tra una norma interna e una  norma  della  CEDU,
quindi, «il giudice nazionale comune deve preventivamente  verificare
la praticabilita' di un'interpretazione  della  prima  conforme  alla
norma convenzionale,  ricorrendo  a  tutti  i  normali  strumenti  di
ermeneutica giuridica» (sentenze n. 236 e n. 113 del 2011; n. 93  del
2010; n. 311 del 2009). Se questa verifica da' esito  negativo  e  il
contrasto non puo' essere risolto in via interpretativa,  il  giudice
comune,  non  potendo  disapplicare  la  norma  interna   ne'   farne
applicazione, avendola ritenuta  in  contrasto  con  la  CEDU,  nella
interpretazione che ne ha fornito la Corte di Strasburgo, e  pertanto
con la Costituzione, deve  denunciare  la  rilevata  incompatibilita'
proponendo  una   questione   di   legittimita'   costituzionale   in
riferimento all'art. 117, primo comma,  Cost.,  ovvero  all'art.  10,
primo  comma,  Cost.,  ove  si  tratti  di  una  norma  convenzionale
ricognitiva di una  norma  del  diritto  internazionale  generalmente
riconosciuta (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010 e n.  311  del
2009)». 
    4.5. Questa Corte non puo' nemmeno  interpretare  diversamente  i
due diritti protetti dalla Cedu essendo la violazione  di  questi  ad
opera della normativa del 2006 gia' stata  accertata,  come  ribadito
dalla Corte delle leggi nella citata decisione del 2012: «4.2.  -  In
definitiva, se, come piu' volte affermato da questa  Corte  (sentenze
n. 236, n. 113 e n. 1 del 2011, n. 93 del 2010, n. 311 e n.  239  del
2009, n. 39 del 2008, n. 349 e n. 348 del  2007),  il  giudice  delle
leggi  non  puo'  sostituire  la  propria  interpretazione   di   una
disposizione  della  CEDU  a  quella  data  in  occasione  della  sua
applicazione al caso di specie dalla Corte di  Strasburgo,  con  cio'
superando i confini delle proprie  competenze  in  violazione  di  un
preciso impegno assunto dallo Stato italiano con la sottoscrizione  e
la ratifica, senza l'apposizione di riserve, della Convenzione...». 
    4.6. La Corte non puo' pero'  nemmeno  non  tenere  nella  debita
considerazione il «fatto nuovo» della  condanna  dell'Italia  con  la
sentenza Stefanetti, cui non puo' darsi  risposta  sulla  base  degli
argomenti utilizzati dalla Corte delle  leggi  nella  gia'  ricordata
decisione n. 264/2012, non solo perche' tale decisione ovviamente non
tiene conto  della  «replica»  della  Corte  Edu  con  la  successiva
condanna anche sul punto della violazione del diritto  ad  un  giusto
processo  (punto  43  della   motivazione   delta   Stefanetti   gia'
riportata), ma - soprattutto - perche' gli argomenti  che  supportano
la decisione della Corte delle leggi  del  2012  non  considerano  il
«fatto nuovo» della condanna anche per  la  violazione  «sostanziale»
del  diritto  pensionistico  dei  lavoratori  italiani;   anzi   tali
argomenti valorizzano proprio la  mancata  condanna  dell'Italia  per
violazione dell'art. 1 Protocollo n. 1 alla  Cedu  nel  caso  Maggio.
Nella decisione n. 264/2012 si e' operato  un  bilanciamento  (v.  il
punto n. 3 della motivazione in diritto  della  sentenza:  «tuttavia,
nell'attivita'    di    bilanciamento     con     altri     interessi
costituzionalmente protetti  cui,  come  dianzi  chiarito,  anche  in
questo  caso  e'  chiamata  questa  Corte,   rispetto   alla   tutela
dell'interesse sotteso al  parametro  come  sopra  integrato  prevale
quella degli interessi antagonisti,  di  pari  rango  costituzionale,
complessivamente coinvolti nella disciplina recata dalla disposizione
censurata») tra il solo diritto umano ad un giusto processo ed  altri
interessi costituzionalmente rilevanti, mentre  ora  viene  in  gioco
l'ulteriore violazione anche di un diritto sostanziale protetto dalla
Cedu  che,  quindi,  configura  un   piu'   grave   e   significativo
allontanamento   dalla   «legalita'   convenzionale».   La   sentenza
Stefanetti ha gia'  messo  rilievo  come  sia  stato  compromesso  un
diritto di lavoratori migranti, costretti a lavorare all'estero,  che
si sono visti ridurre in modo sproporzionato ed eccessivo  la  misura
della  pensione  dovuta  ex  lege  da  parte  di   un   provvedimento
retroattivo quando non erano piu'  in  grado  di  mutare  le  proprie
scelte di vita, essendo gia' in quiescenza ed  avendo  trasferito  in
Italia i propri contributi previdenziali maturati in  Svizzera  sulla
base dell'affidamento su una normativa vigente  e  convalidata  dalla
giurisprudenza di legittimita' italiana (cfr. punti 23, 24 e 25 della
motivazione della Stefanetti). Si tratta,  quindi  di  una  ulteriore
violazione dell'ordinamento  convenzionale  che  espone  l'Italia  al
rischio di future e piu' severe condanne rispetto a  quanto  avvenuto
con la decisione Maggio. Inoltre appare opportuno  rimarcare  che  la
violazione  riguarda  le  legittime  aspettative  pensionistiche   di
soggetti che, con ogni probabilita', hanno dovuto trasferirsi  in  un
paese, neppure adente all'Unione europea e  quindi  con  le  garanzie
spettanti  al  «lavoratore  comunitario»,  in  relazione  al  mancato
compiuto adempimento della Repubblica alla garanzia del  «diritto  al
lavoro» di cui all'art.  4  della  Costituzione  (riconosciuto  anche
dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo - art. 23, dalla
Carta sociale europea - art. 1, e con la formula «diritto di lavorare
-  dalla  Carta  dei  diritti  fondamentali   dell'Unione   europea).
L'espressione «pensioni svizzere» con cui la dottrina  e  gli  stessi
media usano sintetizzare la  vicenda  non  restituisce  la  peculiare
situazione  di  persone  in  ricerca  dl  un  lavoro  e  disposte  (o
costrette) a recarsi all'estero per ottenerlo. 
    4.7. Ora  una  comparazione  tra  questa  ulteriore  e  specifica
violazione di una norma Cedu (art. 1 del Protocollo n.  1)  ed  altri
interessi costituzionalmente rilevanti non e' offerta dalla decisione
n. 264/2012  che  anzi,  insiste,  come  argomento  rilevante,  sulla
mancata condanna dell'Italia, sul punto, nella  sentenza  Maggio.  La
Corte delle leggi ha infatti espressamente affermato che  «5.4.-  Ne'
e' priva di rilievo la circostanza che la sentenza della  Corte  EDU,
che e' tenuta a tutelare in modo  parcellizzato,  con  riferimento  a
singoli diritti, i diversi valori in  giuoco,  da  un  lato,  ritenga
sussistente, nella specie, la violazione del diritto  dei  ricorrenti
ad un equo processo, solo per questo riconoscendo loro un indennizzo,
e, dall'altro, escluda la violazione dell'articolo 1  del  Protocollo
n. 1, pur denunciata dai ricorrenti sotto il  profilo  dell'ingerenza
nel pacifico godimento dei loro beni attraverso  la  riduzione  della
pensione.  La  esclusione  della  violazione  dell'articolo   1   del
Protocollo n. 1 e' motivata dai giudici europei  alla  stregua  della
considerazione che la legge n. 296 del  2006  persegue  un  interesse
pubblico, quello di fornire  un  metodo  di  calcolo  della  pensione
armonizzato,  al  fine  di   garantire   un   sistema   previdenziale
sostenibile  e  bilanciato,  evitando  che   i   ricorrenti   possano
beneficiare di vantaggi ingiustificati, e che il sacrificio subito da
costoro non e' tale da pregiudicarne i  diritti  pensionistici  nella
loro essenza, avendo essi perso  solo  un  ammontare  parziale  della
pensione. Pertanto,  la  sentenza,  non  senza  considerare  «l'ampio
margine di apprezzamento dello Stato nel disciplinare il suo  sistema
pensionistico», rigetta la domanda di riliquidazione della  pensione.
A differenza della Corte EDU, questa Corte,  come  dianzi  precisato,
opera una valutazione sistemica, e non isolata, dei valori  coinvolti
dalla norma di volta in volta scrutinata, ed  e',  quindi,  tenuta  a
quel bilanciamento, solo ad essa spettante, che,  nella  specie,  da'
appunto luogo alla soluzione indicata. E cio' anche  considerando,  a
contrario, che una declaratoria che non fosse di  infondatezza  della
questione,   e   che   espungesse,   quindi,   la   norma   censurata
dall'ordinamento,    inciderebbe    necessariamente    sul     regime
pensionistico in esame,  cosi  contraddicendo  non  solo  il  sistema
nazionale di valori nella loro  interazione,  ma  anche  la  sostanza
della decisione della Corte EDU di  cui  si  tratta,  che  ha  negato
accoglimento  alla  domanda  dei  ricorrenti  di  riconoscimento  del
criterio di calcolo della contribuzione ad essi piu' favorevole».  Si
tratta oggi di argomenti oggi non piu' attuali e che  mostrano  senza
dubbio  che  il  bilanciamento  effettuato  nel  2012  non  e'   piu'
pertinente ed esaustivo a fronte del  «fatto  nuovo»  della  sentenza
Stefanetti e che quindi la Corte delle leggi  dovra'  effettuare  una
nuova liquidazione della legittimita' costituzionale della  norma  di
interpretazione autentica approvata nel 2006 alla luce della condanna
dell'Italia per una duplice violazione delle norme convenzionali. 
    4.8. Ne', infine,  potrebbe  ritenersi  che  una  valutazione  in
ordine all'entita' della compressione del diritto  pensionistico  dei
lavoratori ex migranti in  Svizzera  (che  trova  diretta  protezione
costituzionale all'art. 38 della Costituzione) sia gia' avvenuto  con
la sentenza n. 172/2008 della Corte costituzionale. La Corte, proprio
nella decisione n. 264/2012 ha infatti  limpidamente  ricordato,  che
«4.1.  -  Nella  giurisprudenza  costituzionale   si   e',   inoltre,
reiteratamente  affermato  che,  con  riferimento   ad   un   diritto
fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non puo'  mai
essere causa di una diminuzione di  tutela  rispetto  a  quelle  gia'
predisposte dall'ordinamento interno,  ma  puo'  e  deve,  viceversa,
costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa. Del
resto,  l'art.   53   della   stessa   Convenzione   stabilisce   che
l'interpretazione delle disposizioni CEDU non puo' implicare  livelli
di tutela inferiori a quelli assicurati  dalle  fonti  nazionali.  Di
conseguenza, il confronto tra tutela  prevista  dalla  Convenzione  e
tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato
mirando alla massima espansione delle garanzie,  concetto  nel  quale
deve essere compreso, come gia' chiarito nelle sentenze nn. 348 e 349
del  2007,  il   necessario   bilanciamento   con   altri   interessi
costituzionalmente protetti, cioe' con  altre  norme  costituzionali,
che a loro volta garantiscano  diritti  fondamentali  che  potrebbero
essere incisi dall'espansione di una singola  tutela».  Nel  caso  in
esame, gia' alla luce della decisione della Corte nel  2008  rilevano
vincoli alla piena discrezionalita' del  legislatore  nel  correggere
con efficacia retroattiva le prestazioni pensionistiche spettanti  ex
lege, che derivano non da  fonti  costituzionali  interne,  ma  dalla
matrice convenzionale della protezione, non per questo meno  esigenti
in virtu' dell'art. 117 della Costituzione, La Corte delle  leggi  ha
gia' precisato nel passaggio prima riportato della  sentenza  n.  264
che  comunque  e'  necessario  un   bilanciamento   tra   la   tutela
convenzionale e quella offerta ad altri interessi  costituzionalmente
protetti, ma tale bilanciamento specifico, e quindi con riguardo alla
protezione del diritto di natura  pensionistica,  non  e'  mai  stato
effettuato nella giurisprudenza costituzionale. 
    4.8. La Corte costituzionale, anche  nella  recente  sentenza  n.
10/2015 dell'11 febbraio 2015, ha ribadito con  nettezza  i  principi
affermati nella decisione n.  264/2012  ricordando  che  «il  compito
istituzionale affidato a questa Corte richiede  che  la  Costituzione
sia garantita come un tutto unitario,  in  modo  da  assicurare  «una
tutela sistemica e non frazionata» (sentenza  n.  264  del  2012)  di
tutti i diritti e i principi coinvolti nella decisione. «Se cosi  non
fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei  diritti,
che  diverrebbe  "tiranno"  nei  confronti  delle  altre   situazioni
giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette»; per questo la
sentenza ricorda  che  la  Corte  opera  normalmente  un  ragionevole
bilanciamento dei valori coinvolti nella normativa sottoposta al  suo
esame, dal momento che «[l]a Costituzione  Italiana,  come  le  altre
Costituzioni democratiche e  pluraliste  contemporanee,  richiede  un
continuo  e  vicendevole  bilanciamento  tra   principi   e   diritti
fondamentali, senza pretese  di  assolutezza  per  nessuno  di  essi»
(sentenza n. 85 del 2013)"  (  punto  7  della  motivazione),  ed  in
quest'ottica sottolinea la necessita' di  comparare  e  bilanciare  "
tutti  i  principi  e  i  diritti  in  gioco,  in  modo  da  impedire
«alterazioni della disponibilita' economica a  svantaggio  di  alcuni
contribuenti ed a vantaggio di altri [...] garantendo il rispetto dei
principi di uguaglianza e di solidarieta', che, per il loro carattere
fondante, occupano una posizione privilegiata nel  bilanciamento  con
gli altri valori costituzionali» (sentenza n.  264  del  2012).  Essa
consente, inoltre, al legislatore di  provvedere  tempestivamente  al
fine di  rispettare  il  vincolo  costituzionale  dell'equilibrio  di
bilancio, anche in senso dinamico (sentenze n. 40 del  2014,  n.  266
del 2013, n. 250 del 2013, n. 213 del 2008, n. 384 del 1991  e  n.  1
del 1966) e  gli  obblighi,  comunitari  e  internazionali  connessi"
(punto 7 della motivazione). 
    4.9 Orbene tale «complessiva» valutazione, come  gia'  ricordato,
va oggi compiuta in riferimento anche  all'accertata  violazione  dei
diritti sostanziali di natura pensionistica dei  lavoratori  migranti
in Svizzera, delle loro  legittime  aspettative  in  base  a  precise
regole normative e principi giurisprudenziali,  cui  si  aggiunge  il
piu' grave profilo dell' inadempimento alla  legalita'  convenzionale
che la vicenda esprime, in rottura con l'impegno assunto a rispettare
l'ordinamento della Cedu come interpretato dalla Corte di Strasburgo.
Tale complessa valutazione, per  le  ragioni  prima  evidenziate,  va
rimessa all'autorita' della  Corte  delle  leggi,  in  ossequio  allo
spirito ed alla lettera dell'orientamento di  questa  sin  dalle  due
decisioni del 2007 (nn. 348 e 349) sui poteri del  Giudice  ordinario
in ordine  ad  un  accertato  contrasto  tra  ordinamento  interno  e
ordinamento convenzionale. 
    Pertanto la Corte, visti l'art. 134 Cost.  e  la  legge 11  marzo
1953,  n.  87,  art.  23  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente
infondata- in riferimento all'art. 117 Cost., comma 1,  in  relazione
all'art. 6, paragrafo 1 e all'art. 1  Protocollo  n.1  allegato  alla
Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo  (CEDU),   sottoscritta
dall'Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con  legge  4  agosto
1955, n.  848  (ratifica  ed  esecuzione  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo  addizionale  alla
Convenzione  stessa,  firmato  a  Parigi  il  20  marzo  1952),  come
interpretata  dalla  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  e   In
particolare dalla sentenza Stefanetti  ed  altri  c.  Italia  del  15
aprile 2014- la questione di legittimita' costituzionale  della legge
27  dicembre  2006,  n.  296,  art.  1,  comma  777   primo   periodo
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato. Legge finanziaria  2007).  Dispone  la  sospensione  del
procedimento n. 7115/09. Ordina la immediata trasmissione degli  atti
alta Corte costituzionale e gli adempimenti a cura della  Cancelleria
di cui al dispositivo.