Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'articolo  7,  primo
comma, primo periodo, del decreto-legge 12  settembre  1983,  n.  463
(Misure urgenti  in  materia  previdenziale  e  sanitaria  e  per  il
contenimento della spesa  pubblica,  disposizioni  per  vari  settori
della  pubblica  amministrazione  e  proroga  di   taluni   termini),
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n.  638,
promosso dalla Corte di cassazione, sezione controversie  di  lavoro,
nel procedimento vertente tra P.A.M. e l'INPS con  ordinanza  del  20
ottobre 2010, iscritta  al  n.  15  del  registro  ordinanze  2011  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  6,  prima
serie speciale, dell'anno 2011. 
    Visti gli atti di costituzione di P. A. M. e  dell'INPS,  nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza  pubblica  del  10  gennaio  2012  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    Uditi gli avvocati Amos Andreoni e Vittorio Angiolini per P.A.M.,
Antonietta Corsetti per l'INPS e l'avvocato dello Stato Diana Ranucci
per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - La Corte di cassazione, sezione controversie di lavoro,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in  riferimento  agli
articoli  3  e  38  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'articolo  7,  primo  comma,  primo  periodo,  del
decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure  urgenti  in  materia
previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica,
disposizioni  per  vari  settori  della  pubblica  amministrazione  e
proroga di taluni termini) convertito, con modificazioni, dalla legge
11 novembre 1983, n. 638, «nella parte in cui, in sede di computo del
numero  di  contributi  settimanali  da  accreditare  ai   lavoratori
dipendenti nel corso  dell'anno  solare  al  fine  delle  prestazioni
pensionistiche, non prevede che  la  soglia  minima  di  retribuzione
utile per l'accredito  del  singolo  contributo  ivi  prevista  venga
ricondotta al valore dell'ora lavorativa del lavoratore a tempo pieno
e quindi rapportata al numero di ore  settimanali  del  lavoratore  a
tempo parziale». 
    1.1. - La rimettente premette che la signora P.A.M., invocando la
disciplina di cui al regio decreto-legge  4  ottobre  1935,  n.  1827
(Perfezionamento  e  coordinamento   legislativo   della   previdenza
sociale), convertito dalla legge 6 aprile 1936, n. 1155, e successive
modificazioni, aveva chiesto, in data 17 dicembre 1996,  all'Istituto
nazionale  della  previdenza  sociale   (d'ora   in   avanti,   INPS)
l'indennita' ordinaria di disoccupazione, essendo rimasta disoccupata
a partire  dal  4  dicembre  del  medesimo  anno  e  avendo  prestato
attivita' lavorativa per nove ore settimanali nel biennio  precedente
fino al 4 dicembre 1996, per cinquantadue settimane nell'anno 1995  e
per ventisei settimane nel 1996. 
    L'ente aveva respinto la domanda, invocando per  il  calcolo  dei
contributi necessari per ottenere il beneficio richiesto  (anzianita'
contributiva  di  almeno  un   anno   nel   biennio   precedente   la
presentazione della domanda) l'art. 7, secondo comma, del d.l. n. 463
del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 del 1983. 
    Al riguardo, la  parte  privata  aveva  sostenuto  una  possibile
interpretazione estensiva della disciplina di cui all'art.  1,  comma
4, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 (Disposizioni urgenti  in
materia di evasione  contributiva,  di  fiscalizzazione  degli  oneri
sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno  e  di  finanziamento
dei patronati), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre
1989,  n.  389,  relativa  alla  previsione,  per  il  calcolo  della
contribuzione previdenziale in caso di lavoro a tempo parziale, di un
minimale retributivo orario, realizzato attraverso un  meccanismo  di
riparametrazione della retribuzione minima giornaliera - prevista per
il  lavoro  a  tempo  pieno  -  in  base  alla  quantita'  di  lavoro
effettivamente prestato. 
    A   detta   della   ricorrente,   tale   criterio    legale    di
riparametrazione su base oraria doveva estendersi al lavoro part-time
anche  in  sede  di  determinazione  della  quantita'  di  contributi
settimanali utili per ottenere la prestazione previdenziale che,  per
il lavoro a tempo pieno, sarebbe stata limitata al  caso  in  cui  la
retribuzione settimanale, su cui tali contributi erano calcolati, non
fosse inferiore al 40 per cento dell'importo minimo  del  trattamento
mensile di pensione  a  carico  del  Fondo  pensioni  dei  lavoratori
dipendenti, ai sensi dell'art. 7, primo comma, del d.l.  n.  463  del
1983, convertito dalla legge n. 638 del 1983. Diversamente  opinando,
la disciplina,  come  interpretata  e  applicata  dall'INPS,  essendo
discriminatoria nei confronti dei lavoratori a tempo parziale, non si
sarebbe sottratta a censure di illegittimita' costituzionale. 
    La  Corte  rimettente   riferisce   che   la   domanda   proposta
dall'interessata in sede giudiziaria era stata rigettata in  entrambi
i gradi di merito. In particolare, la Corte di  appello  di  Bologna,
con  sentenza  del  22  agosto  2006,  aveva  sottolineato  come   la
disciplina di cui all'art.1, comma 4,  del  d.l.  n.  338  del  1989,
convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  n.  389   del   1989,
concernente il calcolo del minimale imponibile per la  determinazione
dei contributi dovuti dal datore di lavoro nel caso di lavoro a tempo
parziale, fosse chiaramente estranea alla disciplina di cui  all'art.
7 del d.l.  n.  463  del  1983,  correttamente  applicata  dall'INPS,
disciplina relativa al sistema di accredito dei contributi utili  per
accedere alle prestazioni previdenziali. 
    La Corte aggiunge che avverso la sentenza della Corte di  appello
la parte  privata  ha  proposto  ricorso  per  cassazione,  deducendo
violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge  n.  638  del
1983 e dell'art. 1, comma 4, della legge n. 389 del 1989, sostitutivo
dell'art. 5, quinto comma, del decreto-legge 30 ottobre 1984, n.  726
(Misure  urgenti   a   sostegno   e   ad   incremento   dei   livelli
occupazionali). 
    A  sostegno  dell'impugnazione,  la  ricorrente  ha  ribadito  la
propria tesi in ordine alla applicabilita' dell'art. 7 della legge n.
638 del 1983 solo  ai  rapporti  di  lavoro  a  tempo  pieno  e  alla
possibile estensione, in via  interpretativa,  dell'art.1,  comma  4,
della legge n. 389 del 1989 anche al tema del calcolo dei  contributi
nel  rapporto  di  lavoro  a   tempo   parziale,   non   disciplinato
specificamente all'epoca della legge del 1983. 
    Con il secondo subordinato  motivo  la  ricorrente  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7 del d.l. n.  463
del 1983, come interpretato dai giudici di merito, per contrasto  con
gli artt. 3 e 38 Cost. 
    La Corte rimettente,  ritenuto  infondato  il  primo  motivo  del
ricorso, quanto al secondo motivo svolge le seguenti considerazioni. 
    Dopo avere riportato i  commi  primo,  secondo,  terzo  e  quarto
dell'art. 7 del d.l. n. 463 del 1983, come convertito,  la  Corte  di
cassazione rileva che la disciplina in esame attiene  sia  al  regime
relativo al numero di contributi settimanali da accreditare  ai  fini
dell'attribuzione  delle  prestazioni  previdenziali  ai   lavoratori
assicurati (prima parte del primo comma e secondo  comma  del  citato
art. 7), sia al regime attinente al  limite  minimo  di  retribuzione
giornaliera imponibile ai  fini  della  determinazione  della  misura
dell'obbligazione contributiva (seconda parte del primo comma). 
    La Corte sottolinea come, mentre il primo  regime  non  e'  stato
modificato fino  all'epoca  cui  si  riferiscono  i  fatti  di  causa
(1995-1996), il secondo, fondato sulla  regola  della  commisurazione
della contribuzione dovuta ad un minimale retributivo giornaliero, e'
stato integrato con la previsione di un  diverso  criterio,  valevole
per i contratti a tempo parziale, ad opera dell'art. 5, quinto comma,
del d.l. n. 726 del 1984, convertito in legge 19  dicembre  1984,  n.
863, poi sostituito dall'art. 1, comma 4, del d.l. 9 ottobre 1989, n.
338, convertito, con modificazioni, in legge n. 389 del 1989, con  la
formulazione ripresa dall'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25
febbraio 2000, n. 61 (Attuazione della  direttiva  97/81/CE  relativa
all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale  concluso  dall'UNICE,
dal CEEP e dalla CES). 
    La rimettente  ricorda  che  mentre,  nella  prima  versione,  il
minimale retributivo giornaliero era stato  sostituito,  nel  settore
del lavoro a tempo  parziale,  da  un  minimale  retributivo  orario,
rapportato ad un sesto di quello giornaliero di cui  all'art.  7  del
d.l. n. 463 del 1983, il legislatore del 1989 (poi ripreso da  quello
del 2001) ha sostituito l'art. 5, quinto comma, del d.l. n.  726  del
1984, convertito dalla legge n. 863 del 1984,  con  la  formula:  «La
retribuzione minima oraria da assumere quale base per il calcolo  dei
contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale, si
determina rapportando alle giornate di lavoro settimanale  ad  orario
normale  il  minimale  giornaliero  di  cui  all'art.  7  del   d.l.,
convertito, con modificazioni, dalla  legge,  e  dividendo  l'importo
cosi' ottenuto per il numero delle ore di orario normale  settimanale
previsto dal  contratto  collettivo  nazionale  di  categoria  per  i
lavoratori a tempo pieno». 
    Ad  avviso  della  ricorrente,  sul  presupposto  che  il  regime
relativo al numero dei contributi settimanali da accreditare ai  fini
dell'attribuzione  delle  prestazioni  previdenziali  ai   lavoratori
assicurati, di cui alla prima parte del  primo  comma  e  al  secondo
comma dell'art. 7 del d.l. n. 463 del 1983,  riguardi  unicamente  il
settore del lavoro a tempo pieno (non essendo all'epoca  disciplinato
dalla legge il lavoro a tempo parziale), la norma di cui all'art.  1,
quarto  comma,  del  d.l.  n.  338  del   1989,   con   la   relativa
riparametrazione della retribuzione minima giornaliera in  base  alla
quantita'  di  lavoro  effettivamente  prestato,   si   applicherebbe
estensivamente anche in sede di calcolo  del  numero  dei  contributi
settimanali utili per la maturazione  del  diritto  alla  prestazione
previdenziale in capo al lavoratore a tempo parziale. 
    La Corte rimettente sottolinea che gia' prima del d.l. n. 726 del
1984 il  lavoro  parziale  era  stato  preso  in  considerazione  dal
legislatore previdenziale (art. 45, recte:  48,  secondo  comma,  del
regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, recante «Perfezionamento
e  coordinamento  legislativo  della  previdenza  sociale»)  e  dalla
giurisprudenza di legittimita' (Corte di cassazione, sezione  lavoro,
sentenza del 27 febbraio 1986, n. 1251 e sentenza del 7 luglio  1987,
n. 5910) sulla infrazionabilita' del minimale retributivo  imponibile
al di sotto della giornata lavorativa  anche  nel  lavoro  part-time.
Inoltre, essa ritiene che, avuto riguardo anche al  tenore  letterale
dell'art. 1, comma 4, del d.l. n.  338  del  1989  (riproposto  negli
stessi termini nell'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 61 del  2000),  il
cui ambito applicativo attiene alla «retribuzione  minima  oraria  da
assumere quale base  per  il  calcolo  dei  contributi  previdenziali
dovuti  per  i  lavoratori  a  tempo  parziale»,  non  sia  possibile
l'estensione, in via interpretativa, del  meccanismo  di  adeguamento
ivi   previsto   all'ipotesi   diversa   del   sistema   di   calcolo
dell'anzianita' contributiva utile per il conseguimento  del  diritto
alla  prestazione  previdenziale  nel  settore  del  lavoro  a  tempo
parziale. 
    Infatti, ad avviso della rimettente, la ratio della disciplina di
cui all'art. 7, primo comma, prima parte, e secondo comma,  del  d.l.
n. 463 del 1983, e' quella di stabilire una soglia  all'accesso  alle
prestazioni previdenziali considerate ed il fatto  che  detta  soglia
possa essere reputata non equa o irrazionale con riguardo al lavoro a
tempo parziale attiene al tema di una  sua  eventuale  illegittimita'
costituzionale. 
    La Corte esclude anche una interpretazione analogica della  norma
di cui all'art. 1, comma 4, del d.l. n.  338  del  1989  in  sede  di
calcolo della  retribuzione  utile  per  l'accredito  dei  contributi
settimanali nel settore del contratto di lavoro a tempo parziale,  in
presenza  del  chiaro  intento   del   legislatore   (del   1984,   e
successivamente del 2001 e del 2003) di tenere distinta la disciplina
dei due argomenti e di volere applicare la normativa di cui al citato
art. 7, comma 1, prima frase,  anche  con  riguardo  al  settore  del
lavoro a tempo parziale. 
    La    Corte    rimettente,    ritenuta,    pertanto,     corretta
l'interpretazione data alle norme considerate dalla Corte di appello,
ritiene rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli
artt. 3 e 38  Cost.,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 7, primo comma, primo periodo, del d.l. n.  463  del  1983,
convertito, con modificazioni, dalla legge n.  638  del  1983,  nella
parte in cui non prevede, per il rapporto di lavoro a tempo parziale,
un  meccanismo  di   riparametrazione   della   retribuzione   minima
settimanale analogo a quello adottato dall'art. 1, comma 4, del  d.l.
n. 338 del 1989, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  389
del 1989. 
    1.2. - In punto di rilevanza, la Corte di cassazione osserva che,
avuto riguardo alle ore settimanali lavorate dalla parte  privata  (9
ore settimanali per 52 settimane nell'anno 1995 e  per  26  settimane
nell'anno 1996) e alla retribuzione  riscossa  da  quest'ultima  (nel
1995 la somma complessiva di lire 5.777.000 e nel 1996  la  somma  di
lire 3.777.000), qualora si adottasse un sistema di  riparametrazione
su base oraria  (analogo  a  quello  di  cui  all'art.  1,  comma  4,
dell'art. 1 del decreto-legge n. 338  del  1989)  della  retribuzione
minima utile per  l'accreditamento  del  contributo  settimanale,  si
potrebbe riconoscere alla ricorrente,  gia'  in  relazione  al  1995,
un'anzianita'  contributiva  (52  contributi  settimanali)  tale   da
garantirle l'accesso al trattamento  previdenziale  (lire  250.580:40
pari a retribuzione oraria di lire 6.265 che, moltiplicata per  le  9
ore di servizio settimanali prestate equivalgono a lire 56.380, quale
retribuzione settimanale minima, soglia superata  dalla  retribuzione
settimanale effettivamente percepita complessiva di lire 111.096,15). 
    Diversamente,  come   effettuato   dall'INPS,   in   applicazione
dell'art. 7, secondo comma, del d.l. citato, essendo la  retribuzione
settimanale percepita dalla ricorrente (lire 5.777.000, 52 contributi
pari a lire 111.096,15 settimanali) inferiore al minimo stabilito dal
comma 1 del medesimo articolo (lire 250.580  pari  al  40  per  cento
della pensione  minima  mensile  a  carico  del  Fondo  pensioni  dei
lavoratori dipendenti, per l'anno  1995  pari  a  lire  626.450),  le
potrebbero  essere  accreditati  solo  un  numero  proporzionale   di
contributi settimanali (nel caso di specie 37). 
    1.3. - Quanto alla  non  manifesta  infondatezza,  la  rimettente
ritiene che la  norma  censurata,  nel  determinare  un'unica  soglia
minima retributiva settimanale per l'accesso all'indennita' di natura
previdenziale con riguardo sia ai lavoratori  a  tempo  pieno  che  a
quelli a tempo  parziale,  comporta  un  ingiustificato  elemento  di
discriminazione a danno di questi ultimi per i quali e'  maggiore  la
possibilita' di non raggiungere tale soglia minima,  dato  il  minore
orario praticato. 
    La Corte di cassazione sottolinea che  l'irragionevole  probabile
discriminazione (eguale  trattamento  di  situazioni  diseguali)  dei
lavoratori a tempo parziale nei confronti di  quelli  a  tempo  pieno
nell'accesso ai mezzi predisposti dallo Stato per  fare  fronte  alle
esigenze  di  vita  nascenti   da   uno   stato   di   disoccupazione
involontaria, non e' eliminata - ma solo in parte attenuata  -  dalla
previsione della indennita' di disoccupazione, a  requisiti  ridotti,
ai sensi dell'art. 7, comma 3, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86
(Norme in  materia  previdenziale,  di  occupazione  giovanile  e  di
mercato  del  lavoro,  nonche'  per  il  potenziamento  del   sistema
informatico del Ministero del lavoro  e  della  previdenza  sociale),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  20
maggio 1988,  n.  160,  che,  sebbene  applicabile  anche  al  lavoro
part-time, appare ispirata ad «esigenze  di  tutela  del  reddito  di
lavoratori impiegati in lavori temporanei e  precari,  espressivi  di
fenomeni di sub-occupazione» diverse da quelle riferibili al lavoro a
tempo parziale, divenuto normale in quanto scelto per  consentire  il
soddisfacimento anche di altre esigenze di studio e di vita. 
    Alla luce delle suddette argomentazioni, la Corte  di  cassazione
ritiene rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli
artt. 3 e 38  Cost.,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 7 del d.l. n. 463 del 1983, nei sensi sopra indicati. 
    2. - Con memoria depositata  in  data  18  febbraio  2011  si  e'
costituito in giudizio l'INPS, chiedendo che la  sollevata  questione
di  legittimita'  costituzionale  sia  dichiarata  inammissibile   e,
comunque, non fondata. 
    2.1. - Sotto il profilo della manifesta inammissibilita',  l'INPS
rileva che la soluzione prospettata nell'ordinanza di rimessione  non
sarebbe "a rime  obbligate"  ovvero  costituzionalmente  necessitata,
rientrando  nella   piena   discrezionalita'   del   legislatore   la
possibilita'  di  prevedere  la  determinazione   di   un   requisito
contributivo minimo ai fini dell'accesso  alle  tutele  previdenziali
(e' citata la sentenza n. 28 del 1984), nonche'  il  connesso  regime
della determinazione di una soglia minima di retribuzione settimanale
per l'attribuzione di un corrispondente contributo settimanale  utile
al fine di mantenere l'equilibrio generale del sistema delle gestioni
previdenziali, pensionistiche e non, nel rispetto  del  limite  delle
risorse disponibili (e' citata la sentenza n. 316  del  2010)  e  del
principio di solidarieta' generale di cui all'art. 2 Cost. 
    Al riguardo, l'INPS sottolinea che, se del caso, «le esigenze (di
opportunita'  ispirate  ad  una  maggiore  equita')  evidenziate  dal
rimettente, possono trovare la sede idonea  alla  loro  realizzazione
nell'attivita'  del  legislatore  e  non   gia'   nel   giudizio   di
legittimita' costituzionale» (e' citata la sentenza n. 461 del 2000). 
    A sostegno della  eccepita  inammissibilita',  l'INPS  sottolinea
come, nell'ordinanza di rimessione, la Corte di cassazione abbia,  da
un lato, escluso la possibilita' di una applicazione analogica  della
norma di cui all'art. 1, comma 4, del d.l. n. 338 del 1989, anche  in
sede  di  calcolo  della  retribuzione  utile  per  l'accredito   dei
contributi settimanali nel settore del contratto di  lavoro  a  tempo
parziale e, dall'altro, concluso nel senso della adottabilita' di  un
sistema   di   riparametrazione   della   retribuzione   minima   per
l'accreditamento del contributo settimanale simile a quello di cui al
citato art. 1, comma 4. 
    2.2. - Nel merito, l'INPS deduce l'infondatezza  della  sollevata
questione di legittimita' costituzionale. 
    2.3. - In particolare,  in  ordine  alla  dedotta  illegittimita'
costituzionale della norma censurata in riferimento all'art. 3 Cost.,
l'INPS osserva che occorre distinguere i requisiti per l'accesso alla
prestazione (an), dai criteri per determinare l'ammontare (quantum). 
    L'ammontare della retribuzione  e  della  connessa  contribuzione
incide   sulla   determinazione   del   quantum   della   prestazione
previdenziale,  costituito  da  una  percentuale  della  retribuzione
medesima. L'art. 7, primo comma, prima frase, secondo e terzo  comma,
del d.l. n. 463 del 1983, pone la regola per  l'accertamento  dell'an
delle prestazioni,  indicando  le  modalita'  di  raggiungimento  del
requisito contributivo, applicabile a tutti i lavoratori dipendenti. 
    L'INPS evidenzia come la  norma  de  qua  stabilisca  il  quomodo
dell'attribuzione  dei  contributi  settimanali  utili:  a)  in   via
principale e piena  al  primo  comma,  e  b)  in  via  sussidiaria  e
proporzionale al secondo comma. Ad  avviso  dell'Istituto,  la  ratio
della norma sarebbe quella di stabilire una soglia fissa  di  accesso
alle prestazioni previdenziali valevole  per  tutti  i  lavoratori  a
tempo pieno e a tempo parziale, senza che si stabiliscano limiti piu'
facili  di  accesso  al  diritto  (an)  ad  assicurati  che  prestino
attivita' lavorative ridotte, nel rispetto della logica  assicurativa
che permea il sistema previdenziale costituzionale. 
    L'ente sottolinea, quindi, come la norma censurata, a parita'  di
condizione, faccia corrispondere un  identico  regime  di  contributi
settimanali utili sia per i lavoratori a tempo pieno che per quelli a
tempo parziale. 
    Pertanto,  ad  avviso  dell'Istituto,   la   rimettente   avrebbe
effettuato, in modo arbitrario, una  commistione  tra  il  meccanismo
delineato dall'art. 7, primo comma, primo  periodo,  e  secondo,  del
d.l. n. 463 del 1983 e il meccanismo per nulla  assimilabile  di  cui
all'art.1, comma 4, del d.l. n. 338 del 1989, cosi'  stravolgendo  le
finalita' dei due differenti istituti  previdenziali  (accredito  dei
contributi al lavoratore e determinazione dei contributi  dovuti  dal
datore di lavoro). 
    La soluzione prospettata dalla Corte di cassazione nell'ordinanza
di rimessione introdurrebbe una irrazionale ed  inammissibile  soglia
minima retributiva settimanale mobile, non conforme alla ratio  della
norma censurata, creando disparita' di trattamento e discrasie. 
    Peraltro, al riguardo  l'INPS  ricorda  che,  come  precisato  in
alcune pronunce della Corte costituzionale (e' citata la sentenza  n.
121 del 2006) e della Corte di cassazione (e' citata la  sentenza  n.
1732 del 2003), il lavoro part-time e' «un lavoro normale, in  quanto
scelto in maniera da consentire il soddisfacimento di altre  esigenze
di  vita  e  di  studio»,  per  cui  eventuali   limiti   di   tutela
previdenziale    sarebbero    ascrivibili    all'opzione    negoziale
dell'assicurato. 
    2.4. - Quanto alla dedotta  illegittimita'  costituzionale  della
norma censurata in riferimento all'art.  38  (secondo  comma)  Cost.,
l'ente pone in evidenza che, come  rilevato  dalla  stessa  Corte  di
cassazione, il sistema previdenziale predisposto per  il  caso  della
disoccupazione   involontaria   prevede   l'ipotesi   dell'indennita'
ordinaria di disoccupazione con requisiti ridotti proprio per  coloro
che, in possesso del requisito  del  biennio  di  assicurazione,  non
possano vantare il requisito dell'anno di contribuzione (cinquantadue
contributi settimanali) nel biennio precedente l'inizio  del  periodo
di disoccupazione (art. 7, comma 3, del d.l. n. 86 del 1988). 
    Peraltro, l'INPS sottolinea che  il  rispetto  del  principio  di
adeguatezza della prestazione  previdenziale,  con  riferimento  alla
sussistenza  dei  limiti  di  accesso,  non  puo'   prescindere   dal
contemperamento con l'interesse generale ai sensi dell'art. 2  Cost.,
«ponderando i costi sociali dell'erogazione di prestazioni di  minima
entita' e l'utilita' marginale del singolo assicurato» (e' citata  la
sentenza della Corte costituzionale n. 31 del 1986). 
    Infine, l'Istituto rileva che eventuali inconvenienti comportanti
difficolta' in concreto nell'accesso alle  prestazioni  previdenziali
(per esempio,  mancato  raggiungimento  dei  cinquantadue  contributi
settimanali), concretano circostanze di fatto  non  giustificanti  di
per se' una pronuncia di illegittimita' costituzionale (e' citata  la
sentenza di  questa  Corte  n.  202  del  2008).  Esso  aggiunge,  al
riguardo,  che  non  sussiste  alcuna  discriminazione  de  iure  tra
lavoratori dipendenti a tempo pieno e lavoratori dipendenti  a  tempo
parziale, ma al piu'  puo'  determinarsi  una  distinzione  de  facto
(anche nell'ambito della  stessa  categoria  di  lavoratori  a  tempo
parziale), come tale  irrilevante,  tra  lavoratori  subordinati  che
godono di retribuzioni elevate e  lavoratori  che  fruiscono  di  una
bassa retribuzione contrattuale. 
    3. - Con memoria depositata in  data  18  febbraio  2011,  si  e'
costituita in giudizio la  parte  privata,  chiedendo  l'accoglimento
della sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7,
primo comma, prima frase, del d.l. n. 463 del 1983, convertito  dalla
legge n. 638 del 1983. 
    In punto di fatto, essa espone di avere  inoltrato,  in  data  17
dicembre  1996,  domanda  all'INPS  volta  ad  ottenere  l'indennita'
ordinaria di disoccupazione, essendo  involontariamente  disoccupata,
avendo prestato attivita' lavorativa  nei  due  anni  antecedenti  lo
stato di disoccupazione (per 52 settimane nel 1995 e 26 settimane nel
1996,  per  nove  ore  settimanali)   e   vantando   una   anzianita'
contributiva di almeno un anno nel biennio  precedente  l'inizio  del
periodo  di  disoccupazione.  Aggiunge  che  l'INPS  ha  respinto  la
domanda, ritenendo che, in applicazione dell'art. 7  della  legge  n.
638 del 1983, la richiedente  potesse,  nel  biennio  antecedente  la
cessazione  del  lavoro,  far  valere  solo  trentasette   contributi
settimanali, anziche' i cinquantadue richiesti. 
    Riferisce,  altresi',  di  avere  adito   la   via   giudiziaria,
sostenendo che, sul presupposto della applicabilita' del citato  art.
7 della legge n. 638 del 1983 solo ai  rapporti  di  lavoro  a  tempo
pieno, si potesse estendere, in  via  interpretativa,  il  meccanismo
della riparametrazione su base oraria della  retribuzione  minima  di
cui all'art. 1, comma 4,  del  d.l.  n.  338  del  1989,  anche  alla
retribuzione minima settimanale di cui al citato art. 7. 
    Precisa  ancora  di  avere,  in  via  subordinata,  eccepito   la
illegittimita' costituzionale dell'art. 7, in riferimento agli  artt.
3, 36, 38, secondo comma, Cost.  In  particolare,  ricorda  di  avere
denunciato, quanto alla assunta  violazione  dell'art.  3  Cost.,  la
discriminazione  nell'accesso  alle  prestazioni  previdenziali   tra
lavoratori a tempo pieno e lavoratori  a  tempo  parziale  e,  quanto
all'assunto contrasto con gli artt. 36 e 38, secondo comma, Cost., la
violazione dei  principi  di  giusta  retribuzione  e  di  assistenza
sociale, stante la previsione di un ostacolo  legislativo,  quale  la
retribuzione minima settimanale, nel riconoscimento  del  diritto  al
trattamento di disoccupazione ai lavoratori part-time. 
    Respinte le domande della ricorrente dai giudici  di  entrambi  i
gradi di merito,  la  signora  P.A.M.  riferisce  di  avere  proposto
ricorso per  cassazione,  ribadendo,  in  sostanza,  come  motivi  di
ricorso quelli gia' posti a fondamento dei giudizi di merito. 
    In punto di diritto, la sig.ra P.A.M. dubita  della  legittimita'
costituzionale anche del terzo comma del citato art. 7,  nella  parte
in  cui  estende  il  meccanismo  della   contrazione   del   periodo
assicurativo alle prestazioni previdenziali non pensionistiche per le
quali non opera alcuna integrazione al minimo - come previsto  invece
per l'ordinamento pensionistico - essendo la prestazione  corrisposta
in  misura  corrispondente  al  solo  trattamento  retributivo   gia'
percepito. 
    Al  riguardo,  la   parte   privata   precisa   che   la   misura
dell'indennita'   ordinaria   di   disoccupazione   e'   strettamente
proporzionale alla retribuzione percepita e  stabilita  nella  misura
percentuale del 30 per cento  della  retribuzione  media  soggetta  a
contribuzione  dei  tre  mesi  precedenti  l'inizio  del  periodo  di
disoccupazione, senza alcuna integrazione al  minimo,  come,  invece,
previsto per l'ordinamento pensionistico. 
    La estensione  del  meccanismo  di  contrazione  della  settimana
assicurativa risulta  pertanto,  a  detta  della  parte  privata,  in
violazione dell'art. 3 Cost., mancando di razionalita'  intrinseca  e
di ragionevolezza, non  sussistendo  una  effettiva  similarita'  tra
pensione e altri trattamenti previdenziali. 
    La  parte  privata  sottolinea  il  contrasto   della   normativa
censurata con l'art. 38 Cost. (espressivo del principio di assistenza
sociale), dato che la contrazione della  settimana  assicurativa  da'
luogo alla necessita' di allungare il  periodo  di  riferimento,  con
impossibilita' per il lavoratore  a  tempo  limitato  di  raggiungere
l'anno di contribuzione piena nel biennio anteriore alla domanda. 
    Infatti, la compresenza di un doppio requisito - di contribuzione
minima piena e di annualita'  contributiva  -  consentirebbe,  stante
l'allungamento del periodo  di  riferimento,  di  accreditare  l'anno
pieno dopo avere oltrepassato il biennio entro cui  potere  utilmente
accreditare quell'importo. 
    Peraltro, il lavoratore part-time orizzontale, oltre a non potere
raggiungere mai (o quasi mai) il diritto  al  trattamento  ordinario,
resterebbe  escluso  anche  dalla  indennita'  di  disoccupazione   a
requisiti ridotti (art.  7,  comma  3,  del  d.l.  n.  86  del  1988,
convertito dalla legge n. 160 del 1988; art. 1 del  decreto-legge  29
marzo 1991, n.108, recante «Misure urgenti  in  materia  di  sostegno
dell'occupazione» convertito, con modificazioni, in legge  1°  giugno
1991,  n.  169)  che  risulta  calibrata  sulle  giornate  lavorative
effettuate nell'anno precedente la domanda di disoccupazione, purche'
in quell'anno ci siano vuoti lavorativi da colmare (che non  ci  sono
nel part-time). 
    Infine, la parte privata, richiamando  la  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 121 del  2006,  ricorda  che  anche  il  lavoratore
part-time verticale, per i giorni non lavorati,  non  ha  diritto  ad
alcun trattamento di disoccupazione perche', perdurando lo  stato  di
occupazione a tempo parziale, non puo'  ritenersi  in  uno  stato  di
disoccupazione involontaria. 
    4. - Con atto depositato in data 21 febbraio 2011, e' intervenuto
il Presidente del Consiglio  del  ministri,  rappresentato  e  difeso
dalla Avvocatura generale dello Stato,  chiedendo  che  la  sollevata
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile
e, comunque, infondata. 
    4.1. - In primo luogo, la difesa erariale evidenzia come,  mentre
l'indennita' di disoccupazione risponde alla finalita' di  assicurare
al lavoratore, in presenza dei requisiti ex lege, un aiuto  economico
che sostituisca il  reddito  da  lavoro  in  caso  di  disoccupazione
involontaria ed il  relativo  contributo,  ad  esclusivo  carico  del
datore di lavoro, e' versato all'INPS in  misura  proporzionale  alla
retribuzione  corrisposta,  il  contributo  a   fini   previdenziali,
parimenti determinato in misura proporzionale alla  retribuzione,  e'
posto in parte a carico del datore di lavoro ed in parte a carico del
lavoratore, ed e' finalizzato  alla  corresponsione  del  trattamento
pensionistico per finalita' proprie dell'assicurazione per vecchiaia,
invalidita', pensione ai superstiti. 
    Ad  avviso  del  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri,   la
previsione, solo in punto di contribuzione ai fini previdenziali, per
il lavoratore a tempo parziale di una soglia minima  di  retribuzione
utile per il calcolo del singolo contributo riconducibile  al  valore
dell'ora lavorativa del lavoratore a tempo  pieno,  si  spiega  avuto
riguardo alla  differente  natura  dei  due  trattamenti  corrisposti
dall'INPS, di tutela sociale il primo e strettamente contributiva  il
secondo, tenuto conto della diversita' oggettiva della materia, oltre
che delle diverse caratteristiche dei due rapporti di lavoro. 
    La difesa erariale evidenzia anche la previsione,  in  forza  del
comma 3  della  medesima  disposizione  in  esame  (recte:  comma  3,
dell'art. 7 del d.l. n. 86 del 1988), relativa alla  possibilita'  di
accesso al trattamento di disoccupazione involontaria  con  requisiti
ridotti da parte del lavoratore che non abbia raggiunto il  requisito
contributivo minimo di cui all'art. 7, prima comma,  prima  parte,  e
secondo comma, del d.l. n. 463 del 1983. 
    Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea  come
la scelta legislativa risponda, nel caso in esame, a precise esigenze
di contenimento del bilancio, sussistendo,  come  riconosciuto  anche
dalla  Corte  costituzionale,  la  discrezionalita'  del  legislatore
nell'adozione di singole misure al fine di bilanciare, da un lato, il
contenimento della spesa nel contesto di date risorse e,  dall'altro,
la tutela di diritti costituzionalmente protetti. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Corte di cassazione, sezione controversie di lavoro,  con
l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,  dubita,  con  riferimento  agli
articoli 3 e 38 della Costituzione, della legittimita' costituzionale
dell'articolo 7, primo comma, primo  periodo,  del  decreto-legge  12
settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti  in  materia  previdenziale  e
sanitaria e per il contenimento della  spesa  pubblica,  disposizioni
per vari settori della pubblica amministrazione e proroga  di  taluni
termini), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  11  novembre
1983, n. 638, «nella parte in cui, in sede di computo del  numero  di
contributi settimanali da accreditare ai  lavoratori  dipendenti  nel
corso dell'anno solare al fine delle prestazioni pensionistiche,  non
prevede che la soglia minima di retribuzione  utile  per  l'accredito
del singolo  contributo  ivi  prevista  venga  ricondotta  al  valore
dell'ora lavorativa del lavoratore a tempo pieno e quindi  rapportata
al numero di ore settimanali del lavoratore a tempo parziale». 
    La Corte suddetta  e'  chiamata  a  pronunciare  su  un  ricorso,
proposto  da  una  lavoratrice  che  aveva  chiesto,  prima  in  sede
amministrativa  e  poi  in   sede   giurisdizionale,   il   pagamento
dell'indennita' di disoccupazione, essendo rimasta disoccupata a  far
tempo dal 4 dicembre 1996 e avendo prestato attivita' lavorativa  per
nove ore settimanali, nel biennio precedente la data predetta, per 52
settimane nell'anno 1995 e per 26 settimane nel 1996. 
    L'INPS aveva respinto l'istanza, richiamando, per il calcolo  dei
contributi necessari per ottenere il beneficio richiesto  (anzianita'
contributiva  di  almeno  un  anno   nel   biennio   anteriore   alla
presentazione della domanda), l'art. 7, secondo comma,  del  d.l.  n.
463 del 1983, come convertito. 
    La parte privata aveva addotto la possibilita'  di  interpretare,
in via estensiva o analogica, la norma di cui all'art.  1,  comma  4,
del decreto-legge 9 ottobre 1989, n.  338  (Disposizioni  urgenti  in
materia di evasione  contributiva,  di  fiscalizzazione  degli  oneri
sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno  e  di  finanziamento
dei patronati), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre
1989,  n.  389,  relativa  alla  previsione,  per  il  calcolo  della
contribuzione previdenziale in caso di lavoro a tempo parziale, di un
minimale retributivo orario, realizzato attraverso un  meccanismo  di
riparametrazione della retribuzione minima giornaliera, prevista  per
il lavoro a  tempo  pieno,  sulla  base  della  quantita'  di  lavoro
effettivamente prestato. Questa tesi, pero', era stata  respinta  dai
giudici di merito. 
    In particolare, la Corte di appello di  Bologna  aveva  affermato
che la norma invocata, riguardando il calcolo del minimale imponibile
per la determinazione dei contributi dovuti dal datore di  lavoro  in
caso di rapporto di lavoro a tempo parziale, era del  tutto  estranea
al tema del sistema di accredito di contributi al fine di ottenere le
prestazioni previdenziali a carico dell'INPS, oggetto della normativa
stabilita dall'art. 7 del d. l. n. 463 del 1983, poi convertito. 
    La Corte di cassazione, adita dalla lavoratrice che, con apposito
motivo, ha riproposto l'argomento, ha condiviso il giudizio  espresso
sul punto dalla Corte distrettuale. Ha  poi  esaminato  la  questione
proposta,  in  via  subordinata,  dalla  ricorrente,  «relativa  alla
dedotta illegittimita' costituzionale dell'art. 7, primo comma, prima
frase, del d.l. n. 463 del 1983, convertito nella legge  n.  638  del
1983, nella parte in cui non prevede, per il  rapporto  di  lavoro  a
tempo parziale, un meccanismo di riparametrazione della  retribuzione
minima settimanale analogo a quello adottato dall'art.  1,  comma  4,
del d.l. 9 ottobre 1989, n. 338, convertito nella  legge  7  dicembre
1989, n. 389, in relazione agli artt. 3 e 38 Cost.»; ed  ha  ritenuto
la questione stessa rilevante e non manifestamente infondata. 
    Infatti, ad avviso della  rimettente,  la  norma  censurata,  nel
determinare  un'unica  soglia  minima   retributiva   per   l'accesso
all'indennita' di natura previdenziale, qual e' quella  ordinaria  di
disoccupazione (di cui nella specie si tratta, equiparata -  in  base
al disposto dell'art. 7, terzo comma,  del  d.l.  n.  463  del  1983,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638  del  1983  -  alla
disciplina dettata per le prestazioni pensionistiche dai commi  primo
e secondo del medesimo art. 7), con  riguardo  sia  ai  lavoratori  a
tempo  pieno  sia  a  quelli  a  tempo  parziale,  comporterebbe   un
ingiustificato elemento di discriminazione - per  uguale  trattamento
di situazioni disuguali - a danno di questi ultimi, per  i  quali  si
presenterebbe  irrazionalmente  maggiore  la  possibilita'   di   non
raggiungere tale soglia minima, dato il minore orario praticato. 
    La discriminazione non  sarebbe  eliminata  dalla  previsione  di
un'indennita'  di  disoccupazione,  a  requisiti  ridotti,  ai  sensi
dell'art. 7, comma 3, del decreto-legge 21 marzo 1988, n.  86  (Norme
in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di  mercato  del
lavoro, nonche' per il  potenziamento  del  sistema  informatico  del
Ministero del lavoro e della  previdenza  sociale),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 20 maggio 1988, n.  160,  previsione  che,
secondo la rimettente, benche' applicabile anche al lavoro part-time,
appare ispirata «ad esigenze di  tutela  del  reddito  di  lavoratori
impiegati in lavori temporanei e precari, espressivi di  fenomeni  di
sub-occupazione, pertanto diverse da quelle riferibili ad  un  lavoro
ritenuto normale, in  quanto  scelto  in  maniera  da  consentire  il
soddisfacimento anche di altre esigenze di vita e di studio». 
    2. - La questione e' inammissibile. 
    La norma censurata  cosi'  dispone:  «Il  numero  dei  contributi
settimanali  da  accreditare  ai  lavoratori  dipendenti  nel   corso
dell'anno solare, ai fini delle prestazioni pensionistiche  a  carico
dell'Istituto nazionale  della  previdenza  sociale,  per  ogni  anno
solare successivo al 1983 e' pari a quello delle settimane  dell'anno
stesso retribuite o riconosciute in base alle norme che  disciplinano
l'accreditamento figurativo, sempre che  risulti  erogata,  dovuta  o
accreditata  figurativamente  per  ognuna  di  tali   settimane   una
retribuzione non inferiore  al  30%  (poi  elevato  al  40%:  n.d.r.)
dell'importo del trattamento minimo mensile di pensione a carico  del
Fondo  pensioni  lavoratori  dipendenti  in  vigore  al  1°   gennaio
dell'anno considerato». 
    Come il testuale tenore della norma rivela, essa si  applica  «ai
lavoratori dipendenti», senza alcuna  distinzione,  cosi'  prevedendo
un'unica soglia minima retributiva per  l'accesso  all'indennita'  di
natura previdenziale, con riguardo sia ai lavoratori  a  tempo  pieno
sia a quelli a tempo parziale. Il che, in effetti, puo'  rendere  per
questi ultimi piu' difficile il conseguimento di detta soglia minima,
avuto riguardo al piu' ridotto livello  di  reddito,  conseguente  al
minore orario praticato. 
    Tuttavia, si deve osservare che, se  tale  rilievo  richiederebbe
per il lavoro a tempo parziale una disciplina specifica in parte qua,
questo risultato non puo' essere conseguito con l'intervento di  tipo
additivo sollecitato dall'ordinanza di rimessione. Invero,  la  Corte
dovrebbe  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  della   norma
censurata  «nella  parte  in  cui   non   prevede   un   sistema   di
riparametrazione della retribuzione minima utile per l'accreditamento
del contributo settimanale  simile  a  quello  di  cui  al  4°  comma
dell'art. 1 del D.L. del 1989». In  sostanza,  la  soglia  minima  di
retribuzione utile per l'accredito del  singolo  contributo  dovrebbe
essere «ricondotta al valore dell'ora  lavorativa  del  lavoratore  a
tempo pieno e quindi rapportata al  numero  di  ore  settimanali  del
lavoratore a tempo parziale». 
    Orbene, in primo luogo,  va  rilevato  che  la  norma  da  ultimo
richiamata  concerne  il  calcolo  del  minimale  imponibile  per  la
determinazione dei contributi dovuti dal datore di lavoro in caso  di
rapporto di lavoro a tempo parziale, onde ha carattere  non  omogeneo
rispetto al  sistema  di  accredito  dei  contributi  allo  scopo  di
ottenere le prestazioni previdenziali a carico dell'INPS, di cui alla
disciplina dettata dalla norma censurata; il  che,  peraltro,  emerge
dalla stessa ordinanza di rimessione. Ma, pur volendo prescindere  da
tale profilo, e' decisivo  l'argomento  che  la  soluzione  postulata
dalla Corte  rimettente  non  e'  costituzionalmente  obbligata,  non
essendo al riguardo configurabile un  criterio  univocamente  imposto
dalla Costituzione. Basta considerare che, come la  stessa  ordinanza
di rimessione ricorda, prima della normativa introdotta con l'art. 1,
comma 4, del d.l. n. 338 del 1989, poi convertito, era in  vigore  la
diversa  disciplina  dettata   dall'art.   5,   quinto   comma,   del
decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 (Misure urgenti a sostegno e ad
incremento dei livelli occupazionali), convertito, con modificazioni,
dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, alla  stregua  del  quale  (nel
testo originario) «La retribuzione minima oraria  da  assumere  quale
base di calcolo dei contributi previdenziali dovuti per i  lavoratori
a tempo parziale e' pari a un sesto del minimale giornaliero  di  cui
all'art. 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n.  463,  convertito,
con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n.  638».  Ed  altre
soluzioni potrebbero essere  previste,  per  esempio  operando  sulle
percentuali indicate nella medesima norma censurata. 
    In proposito, come questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato,  la
mancanza di una soluzione costituzionalmente vincolata,  peraltro  in
un settore caratterizzato da ampia discrezionalita'  del  legislatore
nel bilanciamento dei diversi interessi contrapposti (sentenza n.  18
del 1998 e ordinanza n. 448 del  1999),  comporta  l'inammissibilita'
della questione (ex plurimis: sentenze n. 121 del 2006 e  n.  61  del
1999, ordinanze n. 141 del 2011 e n. 186 del 2006).