ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 2, comma 61,
del decreto-legge 29  dicembre  2010,  n.  225  (Proroga  di  termini
previsti da disposizioni  legislative  e  di  interventi  urgenti  in
materia tributaria e di  sostegno  alle  imprese  e  alle  famiglie),
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011,  n.  10,
comma  aggiunto  dalla  detta  legge  di  conversione,  promossi  dal
Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di  Ostuni,  con  ordinanza
del 10 marzo 2011; dal Tribunale di Benevento con  ordinanza  del  10
marzo 2011; dal Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Maglie, con
ordinanza dell'8 aprile  2011;  dal  Tribunale  di  Potenza  con  tre
ordinanze del 13 aprile 2011; dal Tribunale di Catania con  ordinanza
del 26 luglio 2011; dal Tribunale di Nicosia  con  ordinanza  del  30
luglio 2011 e dal Tribunale di Venezia con ordinanza  del  13  aprile
2011, rispettivamente iscritte ai nn. 145, 166, 167, 221,  222,  223,
247, 252 e 258  del  registro  ordinanze  2011,  e  pubblicate  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28, 35,  45,  50,  51  e  52,
prima serie speciale, dell'anno 2011. 
    Visti gli atti di costituzione della Banca Monte  dei  Paschi  di
Siena s.p.a., quale incorporante della Banca Antonveneta s.p.a. (gia'
Banca Antoniana Popolare Veneta  s.p.a.),  del  San  Paolo  Banco  di
Napoli  s.p.a.,  di  C.A.,  di  B.A.,  dell'Unicredit  s.p.a.,  quale
incorporante della Unicredit Banca di Roma  s.p.a.,  della  Unicredit
s.p.a.,  quale  incorporante  del  Banco  di  Sicilia  s.p.a.  (fuori
termine), della Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., della Banca Carime
s.p.a. (fuori  termine)  e  del  Banco  Popolare  soc.  coop.,  quale
incorporante della Banca Popolare di Lodi  (fuori  termine),  nonche'
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 14 febbraio 2012 e  nella  camera
di consiglio del 15 febbraio  2012  il  Giudice  relatore  Alessandro
Criscuolo; 
    uditi gli avvocati Antonio Renato Tanza e Astolfo  Di  Amato  per
C.A., Antonio Renato Tanza per B.A., Massimo Luciani e Giorgio Tarzia
per Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.,  Giorgio  Tarzia  per  la
Banca  Nazionale  del  Lavoro  s.p.a.,  Massimo  Luciani  e   Valerio
Tavormina per il San Paolo Banco di Napoli s.p.a., Massimo Luciani  e
Michele Sesta per l'Unicredit s.p.a., e l'avvocato dello Stato  Maria
Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni,  con
ordinanza del 10 marzo 2011 (r.o. n. 145 del 2011), ha sollevato,  in
riferimento agli articoli 3, 24, 101,  102,  104,  111  e  117  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo
2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225  (Proroga  di
termini previsti da disposizioni legislative e di interventi  urgenti
in materia tributaria e di sostegno alle imprese  e  alle  famiglie),
convertito, con modificazioni, dalla legge, 26 febbraio 2011, n.  10,
comma aggiunto dalla detta legge di conversione. 
    1.1. -  Il  rimettente  premette  che  S.C.  aveva  convenuto  in
giudizio la Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a., chiedendo - sulla
base del  consolidato  indirizzo  giurisprudenziale  in  ordine  alla
nullita' della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e
della commissione di massimo scoperto - la nuova  determinazione  del
saldo del conto corrente n. 2741/R, aperto  l'11  aprile  1994,  sino
alla data dell'ultima operazione del 29 dicembre 1998,  con  condanna
della   banca   alla   restituzione   dell'indebito   versato;   che,
costituitasi  in  giudizio,  la  banca  convenuta  aveva  dedotto  la
liceita'  della  capitalizzazione  trimestrale  degli  interessi   ed
eccepito  la  prescrizione  estintiva,  chiedendo  il  rigetto  della
domanda; che, disposta consulenza tecnica d'ufficio per il  ricalcolo
del saldo, la causa era stata ritenuta  matura  per  la  decisione  e
rinviata all'udienza per la discussione orale, ai  sensi  dell'  art.
281-sexies codice di procedura civile, con concessione alle parti dei
termini per il deposito di note conclusive. 
    1.2. - In punto di rilevanza, dopo avere riportato il testo della
norma  denunziata,  il  giudice  a  quo   osserva   che   la   natura
dichiaratamente  interpretativa  della   norma   e   l'eccezione   di
prescrizione della parte convenuta ne  impongono  l'applicazione  nel
giudizio principale. 
    1.3. - Sotto il profilo  della  non  manifesta  infondatezza,  il
rimettente ravvisa la  violazione  dei  limiti  interni,  individuati
dalla  Corte  costituzionale,  alla  ammissibilita'  di   una   norma
interpretativa, nonche' la violazione degli artt. 3,  24,  101,  102,
104, 111 e 117, primo comma, Cost., in  relazione  all'art.  6  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto
1955, n. 848. 
    Quanto   alla   assunta    violazione    dei    limiti    interni
all'ammissibilita' di una  norma  di  interpretazione  autentica,  il
giudice a quo deduce la irragionevolezza della norma  censurata,  sia
per l'inesistenza di  una  norma  specifica  da  interpretare,  quale
condizione  dell'esercizio  del  potere  di   legislazione   a   fini
interpretativi,  sia  perche'   l'interpretazione   prospettata   non
potrebbe essere inclusa tra quelle  legittimamente  desumibili  dalla
disciplina complessiva dell'istituto. 
    In relazione al primo rilievo, il rimettente osserva  che  l'art.
2935 del codice civile - secondo cui il dies a  quo,  ai  fini  della
prescrizione di un  diritto,  decorre  dal  momento  in  cui  il  suo
titolare  e'  posto  nelle  condizioni  di   poterlo   esercitare   -
costituisce una regola di carattere  generale,  che  necessita  della
etero-integrazione della disciplina speciale prevista per  i  singoli
tipi contrattuali,  nonche'  dei  principi  generali  in  materia  di
adempimento delle obbligazioni e di ripetizione d'indebito. Nel  caso
di specie, le norme etero-integratrici sarebbero da individuare nella
disciplina delle operazioni bancarie e nel conto corrente bancario. 
    Il giudicante rileva che una legge di  interpretazione  autentica
avrebbe dovuto avere ad oggetto una norma che  disciplinasse  di  per
se', in maniera  specifica,  la  decorrenza  della  prescrizione  con
riguardo al contratto di  apertura  di  credito,  regolato  in  conto
corrente,  selezionandone  una  delle  possibili   opzioni.   Invero,
l'inesistenza  di  una  disciplina  specifica   aveva   indotto   gli
interpreti ad applicare un principio generale  (desumibile  dall'art.
2935 cod. civ.), adattato allo schema e  alla  funzione  del  singolo
contratto bancario. 
    Quanto   al   secondo   rilievo,   concernente   l'impossibilita'
d'includere  la  soluzione  interpretativa  prospettata  tra   quelle
legittimamente desumibili dalla disciplina complessiva dell'istituto,
il rimettente osserva che, nel rapporto di conto  corrente  bancario,
in armonia con i principi generali  in  materia  di  adempimento,  di
ripetizione d'indebito e con quelli relativi alla causa del contratto
medesimo, il decorso della prescrizione dell'azione di ripetizione  -
come ritenuto  dalla  Corte  di  cassazione  a  sezioni  unite  nella
sentenza del 2 dicembre 2010, n. 24418 - sarebbe da individuare :  a)
nella data di un versamento (nell'ipotesi  di  conto  passivo,  senza
affidamento, oppure di superamento del  limite  affidato);  b)  nella
chiusura del rapporto (quando non  siano  effettuati  versamenti,  in
pendenza di rapporto, o quando il versamento effettuato  in  pendenza
di rapporto  abbia  funzione  meramente  ripristinatoria  dell'affido
utilizzabile). Infatti, quando  il  passivo  non  abbia  superato  il
limite dell'affidamento concesso al cliente, i versamenti  da  questi
posti  in  essere  avrebbero  natura  di  atti  ripristinatori  della
provvista di cui il  correntista  puo'  ancora  continuare  a  godere
(Corte di cassazione, sezioni unite, del 2 dicembre 2010,  n.  24418;
Corte di cassazione, sezione prima civile, del 6  novembre  2007,  n.
23107, del 23 novembre 2005, n. 24588  e  del  18  ottobre  1982,  n.
5413). In questo caso, la fattispecie dell'adempimento, sub specie di
pagamento, sarebbe configurabile soltanto  dopo  che,  conclusosi  il
rapporto di apertura di credito in conto  corrente,  la  banca  abbia
preteso e ottenuto dal correntista la restituzione del saldo  finale,
nel computo del quale  risultino  comprese  somme  e  competenze  non
dovute. Ad avviso  del  rimettente,  il  legislatore,  con  la  norma
censurata,  avendo  fatto  decorrere  la  prescrizione  dei   diritti
nascenti  dall'annotazione  dal  giorno  di   questa,   non   avrebbe
attribuito alla norma interpretata un significato compatibile con  il
novero   delle   possibili   opzioni    ermeneutiche.    L'esclusione
dell'interpretazione della  norma  censurata  dal  novero  di  quelle
ammissibili si desumerebbe anche dalla individuazione, ad  opera  del
legislatore, del dies a quo della decorrenza  della  prescrizione  in
una circostanza di fatto,  quale  l'annotazione  in  conto,  esulante
dalla sfera conoscitiva  del  cliente,  essendo  quest'ultimo  edotto
delle  movimentazioni   del   conto   soltanto   con   la   ricezione
dell'estratto conto. 
    Con riferimento all'assunta violazione del principio di azione  e
di indefettibilita' della tutela giurisdizionale, di cui all'art.  24
Cost., il Tribunale censura sia la prima che  la  seconda  parte  del
citato art. 2, comma 61. 
    In particolare, in merito alla  prima  parte  della  disposizione
secondo cui «In ordine alle operazioni  bancarie  regolate  in  conto
corrente l'articolo 2935 del codice civile si  interpreta  nel  senso
che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione  in
conto inizia a decorrere  dal  giorno  dell'annotazione  stessa»,  il
rimettente denuncia la scelta del legislatore, diretta ad individuare
il dies a quo del decorso della prescrizione in  una  circostanza  di
fatto,  l'annotazione,  esulante  dalla  sfera   conoscitiva   e   di
conoscibilita'   del   cliente.   Allo   stesso   modo,   assume   la
illegittimita' della seconda parte della  disposizione,  secondo  cui
«In ogni caso non si fa  luogo  alla  restituzione  di  importi  gia'
versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto», qualora sia letta - non nel senso di una  clausola
di salvaguardia della posizione giuridica di chi abbia gia'  ricevuto
il rimborso, cui la prescrizione non puo' essere piu' eccepita  -  ma
nel  senso  di  un  divieto  generalizzato  di  ripetizione  in   via
stragiudiziale e giudiziale delle somme indebitamente corrisposte dai
clienti del sistema  bancario  (come  interessi  superiori  al  tasso
legale o anatocistici). 
    In particolare, tale ultima opzione interpretativa - che, secondo
lo stesso rimettente, sarebbe probabilmente da escludere  sulla  base
di   un'esegesi   costituzionalmente   orientata   della   norma    -
contrasterebbe con il principio di "giustiziabilita'" delle posizioni
giuridiche. 
    Il dedotto profilo  di  illegittimita'  sarebbe  aggravato  dalla
portata retroattiva attribuita dal legislatore alla norma de qua,  in
virtu' della prima parte della stessa.  Al  riguardo,  il  rimettente
richiama una serie  di  pronunce  della  Corte  costituzionale  sulla
indefettibilita' della tutela giurisdizionale, quale caposaldo  dello
Stato di diritto (sentenze n. 325 del 1998, n. 381 del 1997, n. 152 e
n. 54 del 1996, nn. 232, 206 e 49 del 1994, n. 127 del 1977). 
    Con riguardo alla dedotta violazione dell'art. 3 Cost., sotto  il
profilo del principio di uguaglianza e ragionevolezza,  il  Tribunale
lamenta,  in  primo   luogo,   l'introduzione   di   un'inammissibile
disparita' di trattamento tra banche e utenti del  sistema  bancario,
in quanto la norma censurata, nello stabilire il  dies  a  quo  della
decorrenza  della  prescrizione   dal   giorno   della   annotazione,
assicurerebbe un ingiustificato privilegio per le banche, a danno del
contraente debole, qual e' l'utente del sistema bancario.  Ad  avviso
del rimettente, una legge che avesse voluto  perseguire  l'attuazione
del principio  di  uguaglianza,  sub  specie  di  eliminazione  degli
ostacoli all'esercizio dei diritti dell'utente del sistema  bancario,
avrebbe dovuto far decorrere il dies  a  quo,  in  ogni  caso,  dalla
chiusura del conto. 
    Sempre con riferimento all'assunto contrasto con l'art. 3  Cost.,
il rimettente denuncia la violazione  del  principio  di  uguaglianza
anche sotto il  profilo  della  introduzione  di  una  disparita'  di
trattamento tra tipologie contrattuali assimilabili sotto il  profilo
funzionale. Al riguardo,  il  Tribunale  rileva  come  il  cosiddetto
contratto di conto corrente  di  corrispondenza,  qualificabile  come
negozio complesso atipico o come  forma  di  collegamento  negoziale,
ricomprenderebbe delle fattispecie, quali, ad esempio, il  mandato  o
il deposito, la prescrizione dei cui diritti inizierebbe a  decorrere
dalla cessazione dei rispettivi rapporti. 
    In ordine all'assunta violazione dell'art. 3 Cost., il giudice  a
quo lamenta, inoltre, l'introduzione di  un'inammissibile  disparita'
di trattamento tra somme versate indebitamente, rispettivamente prima
e  dopo  l'entrata  in  vigore  della  legge   di   conversione   del
decreto-legge n. 225 del 2010. 
    In particolare, in forza della seconda parte  della  disposizione
censurata, la paralisi dei poteri sostanziali e processuali di tutela
degli utenti del sistema bancario opererebbe per le sole  somme  gia'
versate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
detto decreto-legge, con ingiustificata compressione del  diritto  di
ripetizione  dell'indebito  solo  per  chi  abbia  posto  in   essere
pagamenti fino alla suddetta soglia temporale. 
    Il Tribunale assume anche il contrasto della citata  disposizione
con l'art. 111 Cost., in tema di giusto processo,  sub  specie  della
parita' delle armi,  in  quanto,  supportata  da  una  previsione  di
retroattivita', verrebbe a sancire - se non altro  nelle  ipotesi  in
cui dalle indebite annotazioni della banca sia decorso un decennio  -
la paralisi dei poteri sostanziali e processuali di chi  abbia  agito
in giudizio esperendo un'azione di ripetizione dell'indebito. 
    Il rimettente deduce,  altresi',  la  violazione  dell'art.  117,
primo comma, Cost. in relazione all'art. 6 della  Convezione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU). Tale norma  convenzionale,  nell'interpretazione
datane dalla Corte  EDU,  imporrebbe  al  legislatore  di  uno  Stato
contraente di non interferire nell'amministrazione  della  giustizia,
allo scopo di influire sulla singola causa o su  di  una  determinata
categoria  di  controversie,  attraverso  norme  interpretative  che,
violando  il  principio  di  «parita'  delle  armi»,  assegnino  alla
disposizione interpretata un significato vantaggioso  per  una  parte
del procedimento, salvo il caso di «ragioni imperative  di  interesse
generale» (sentenza della citata Corte 21  giugno  2007,  Scanner  de
L'Ouest Lyonnais e altri contro Francia; 28 ottobre 1999, Zielinski e
altri contro Francia). In alcuni casi, la Corte EDU avrebbe  ritenuto
legittimo l'intervento del legislatore, che, per porre rimedio ad una
imperfezione tecnica della norma interpretata, avrebbe inteso, con la
legge  retroattiva,  ristabilire  un'interpretazione  piu'   aderente
all'originaria volonta' del legislatore (sentenza della citata  Corte
23 ottobre 1997, National  &  Provincial  Building  Society  e  altri
contro Regno Unito; nello stesso solco, si pone la sentenza 27 maggio
2004, Ogis-Institut Stanislas e altri contro Francia).  Nel  caso  di
specie,  mancherebbe  una  specifica  norma  da  interpretare  e   il
legislatore  avrebbe  omesso  di  regolare  in   modo   espresso   la
prescrizione  di  diritti  connessi  ai   rapporti   bancari,   cosi'
indirettamente  rinviando  alla  norma  di  carattere  generale,   ai
principi regolativi della materia delle  obbligazioni,  nonche'  alla
funzione e struttura delle singole operazioni bancarie. 
    Infine, il Tribunale deduce il contrasto con gli artt. 101, 102 e
104 Cost. sotto il profilo  della  possibile  incidenza  della  norma
censurata su concrete fattispecie "sub iudice", a  vantaggio  di  una
delle due parti del giudizio (ex plurimis: sentenze n. 397 e n. 6 del
1994; n. 429, n. 283 e n. 39 del 1993). 
    2. - Con memoria  depositata  in  data  18  luglio  2011,  si  e'
costituita nel giudizio di legittimita' costituzionale la Banca Monte
dei Paschi di Siena s.p.a., quale incorporante  la  Banca  Antoveneta
s.p.a. (gia' Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.), in persona  del
legale rappresentante pro tempore, chiedendo  che  la  questione  sia
dichiarata inammissibile e, comunque, infondata. 
    2.1.  -  In  primo  luogo,  l'istituto  di  credito   deduce   la
sinteticita' della motivazione  del  rimettente  sulla  rilevanza  in
ordine alla prima parte del censurato art. 2, comma 61,  e  l'assenza
di motivazione sulla rilevanza in ordine alla seconda parte di  detta
norma, concernente la ripetizione di importi gia' versati e non  gia'
la prescrizione dei diritti  nascenti  dalla  annotazione  nel  conto
corrente bancario, sulla cui eccezione il  Tribunale  e'  chiamato  a
pronunciarsi. 
    In particolare, qualora dalla consulenza tecnica  risultasse  che
la banca non deve restituire  alcunche'  perche'  il  conto  corrente
dell'attrice si e' chiuso con un saldo passivo, non potrebbe  esservi
rilevanza della questione sulla seconda parte della norma, in  quanto
la  pretesa  restitutoria  sarebbe  priva  di  oggetto   e,   dunque,
inesistente. 
    2.2. - L'istituto di credito rileva, altresi', che la motivazione
dell'ordinanza di rimessione sulla non manifesta  infondatezza  della
questione si fonda sull'erroneo presupposto del carattere  innovativo
della norma censurata. 
    Invero,  alla  luce  di   due   possibili   chiavi   di   lettura
costituzionalmente orientate della disposizione in esame, emergerebbe
il carattere della norma effettivamente di interpretazione autentica. 
    Secondo una prima possibile lettura del citato art. 2, comma  61,
la norma in questione avrebbe codificato  l'interpretazione  espressa
dalla Corte di cassazione, a sezioni  unite,  nella  sentenza  del  2
dicembre 2010, n. 24418. 
    In particolare, nella detta pronuncia, la Corte di  cassazione  -
dopo avere premesso che,  ai  sensi  dell'art.  1422  cod.  civ.,  il
diritto  "prescrittibile",  derivante  da  un'annotazione  nel  conto
corrente bancario, altro non potrebbe essere se non il  diritto  alla
ripetizione da parte del correntista di addebiti operati dalla  banca
per una causale affetta da nullita' - preciserebbe che, in tal  caso,
il termine di prescrizione inizia a decorrere, non  gia'  dalla  data
della  sentenza   di   accertamento   della   nullita'   del   titolo
giustificativo del pagamento, ma da quella del pagamento, ovvero, nel
caso di operazioni bancarie, dal giorno in  cui  la  rimessa  che  ha
ripianato un illegittimo addebito viene annotata nel conto. La  Corte
distinguerebbe  tra  rimesse   "solutorie",   costituenti   pagamenti
ripetibili,  se  non  dovuti,  e   quelle   "ripristinatorie"   della
disponibilita' accordata dalla banca al correntista mediante apertura
di credito. 
    Nel  primo  caso,  la  prescrizione  della   condictio   indebiti
decorrerebbe dalla data  della  annotazione  "a  credito"  successiva
all'illegittimo addebito da parte della banca; nel  secondo  caso  la
solutio avverrebbe solo al termine del rapporto e la prescrizione del
diritto nascente da un'annotazione in conto inizierebbe  a  decorrere
dalla  chiusura  del  conto  (sulla  nozione   di   "pagamenti"   del
correntista  nello  svolgimento  del  conto  corrente   bancario   e'
richiamata   anche   la   giurisprudenza   di   legittimita'    sulla
identificazione  di  pagamenti  suscettibili  di  revoca   ai   sensi
dell'art.  67,  secondo  comma,  legge  fallimentare,  ante  riforma,
perche'  eseguiti  da  un  imprenditore  in  stato   di   insolvenza,
conosciuto dalla banca). 
    Pertanto, con la norma censurata,  il  legislatore  avrebbe  reso
vincolante la soluzione ermeneutica espressa dalla giurisprudenza  di
legittimita', individuando nella data della annotazione "a  credito",
costituente rimessa "solutoria" e dunque pagamento  "ripetibile",  la
data della decorrenza del termine  di  prescrizione  della  condictio
indebiti. 
    Secondo  un'altra  possibile  lettura  della  giurisprudenza   di
merito, il censurato art. 2, comma 61,  potrebbe  essere  inteso  con
riferimento al disposto  dell'art.  1827  cod.  civ.  e,  dunque,  al
diritto del correntista di fare espellere dal conto l'annotazione  di
crediti della banca basati su  titoli  dichiarati  nulli,  annullati,
rescissi o risoluti (Tribunale  di  Milano,  sentenza  del  7  aprile
2011). In particolare, dovendosi considerare  il  disposto  dell'art.
1827 cod. civ. come norma applicativa, nella specifica  materia,  dei
principi  generali  di  cui  all'art.  1422   cod.   civ.,   l'azione
ripristinatoria del corretto saldo del conto corrente, con esclusione
delle partite basate su titoli  nulli,  andrebbe  ricompresa  tra  le
azioni soggette a prescrizione ordinaria. 
    In questa chiave di lettura, il termine "annotazioni in conto" di
cui alla norma censurata si riferirebbe agli "addebiti" che la  banca
annota  in  conto,  dai  quali,  ove  basati   su   titoli   viziati,
decorrerebbe il termine di prescrizione  dell'azione  esperibile  dal
correntista per ottenerne la cancellazione. 
    La   richiamata   giurisprudenza   di   merito   ha    dichiarato
manifestamente infondate le eccezioni  di  incostituzionalita'  della
norma in questione, non essendo stato ravvisato, nel detto intervento
legislativo, alcun contenuto innovativo, bensi', nei termini  di  cui
sopra, di interpretazione autentica dell'art. 2935 cod.  civ.,  letto
in combinato disposto con gli artt. 1832 e 1422 cod. civ. 
    La  natura  di   norma   di   interpretazione   autentica   della
disposizione in  esame  comporterebbe,  ad  avviso  dell'istituto  di
credito, la  infondatezza  delle  censure  di  cui  all'ordinanza  di
rimessione. 
    In particolare, non sarebbe ravvisabile alcuna  violazione  delle
attribuzioni del  potere  giudiziario,  con  esclusione  dell'assunto
contrasto con gli artt. 24, 111 e 117 Cost., in relazione all'art.  6
della CEDU. 
    In considerazione delle  interpretazioni  rese  plausibili  dalla
norma censurata,  difetterebbe  ogni  elemento  da  cui  desumere  la
incidenza sui giudizi in corso. 
    Invero, una indicazione interpretativa sul computo del termine di
prescrizione entro il quale vanno fatti valere eventuali  diritti  in
una particolare fattispecie non inciderebbe sul principio  di  azione
ex art. 24 Cost., ne' tantomeno sul principio di uguaglianza ai sensi
dell'art. 3 Cost. In particolare,  sotto  il  profilo  della  assunta
disparita'  di  trattamento,  l'istituto  di  credito   osserva   che
mancherebbero le fattispecie diverse a confronto, trattandosi di  due
contraenti di un medesimo rapporto negoziale. Inoltre, la  decorrenza
della prescrizione della condictio indebiti varrebbe ugualmente per i
versamenti indebiti del correntista e della banca. 
    3. - Con atto depositato in data 19 luglio 2011,  e'  intervenuto
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dalla Avvocatura generale dello Stato,  chiedendo  che  la  sollevata
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile
o, comunque, infondata. 
    3.1.  -  In  primo  luogo,   la   difesa   erariale   deduce   la
inammissibilita' della questione,  in  quanto  il  Tribunale  avrebbe
omesso di valutare i profili di rilevanza delle eccezioni  formulate,
essendosi  limitato  a   svolgere   astratte   considerazioni   sulla
legittimita' della norma censurata, senza spiegare  se  ed  in  quali
termini la sua applicazione possa incidere  concretamente  sull'esito
della causa pendente dinanzi a se'. 
    Al riguardo, il rimettente assumerebbe che  la  norma  censurata,
nel far decorrere,  in  ordine  alle  operazioni  bancarie  in  conto
corrente,  la  prescrizione  del  diritto   a   ripetere   le   somme
indebitamente versate (ad esempio, a titolo di interessi anatocistici
contabilizzati trimestralmente) dalla data di annotazione  in  conto,
violerebbe i principi sull'indebito pagamento espressi dalla Corte di
cassazione a sezioni unite, secondo  cui  la  prescrizione  inizia  a
decorrere dalla data dei singoli pagamenti ovvero dalla chiusura  del
conto a seconda che i versamenti effettuati abbiano natura  solutoria
o  ripristinatoria.  Ad  avviso  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  il  giudice  a  quo  avrebbe  descritto  genericamente  la
fattispecie del giudizio principale, non specificando se  la  domanda
formulata nel detto giudizio possa trovare accoglimento  in  base  ai
principi espressi  dalla  Corte  di  cassazione  e,  quindi,  se  sia
rilevante e decisivo, ai fini del decidere, lo ius superveniens,  che
individua una  diversa  decorrenza  dei  termini  prescrizionali.  In
particolare, il rimettente non  avrebbe  precisato  quando  sarebbero
stati effettuati i versamenti delle somme richieste in ripetizione, a
quale credito siano stati imputati, se si sia trattato  di  pagamenti
di carattere "solutorio" o "ripristinatorio", in  quanto  inerenti  a
situazioni extra-fido  o  eccedenti  il  massimo  scoperto  ovvero  a
passivita' rientranti nell'ambito della provvista. 
    3.2.  -  La  difesa  erariale  deduce,   inoltre,   una   lettura
indifferenziata  e  confusa  della  norma  censurata  da  parte   del
Tribunale, non essendo stata operata la  necessaria  differenziazione
tra le diverse disposizioni della prima  e  della  seconda  parte  di
essa, attinenti rispettivamente alla interpretazione della disciplina
della prescrizione  in  relazione  ai  contratti  di  conto  corrente
bancario e all'esercizio delle azioni restitutorie.  In  particolare,
avendo  il  Tribunale  interpretato  la  seconda  parte  della  norma
denunciata nel senso di  una  generale  e  radicale  preclusione  del
diritto di agire per la restituzione  delle  somme  versate,  sarebbe
irrilevante   e,    dunque,    inammissibile    la    questione    di
costituzionalita' riferita alla prima parte di essa, relativa al tema
della prescrizione. 
    3.3. - Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  eccepisce  la
inammissibilita' della questione anche sotto il profilo della mancata
sperimentazione da parte del rimettente di una interpretazione  della
norma censurata conforme a Costituzione (ordinanze n. 139, n.  101  e
n. 15 del 2011; n. 205 del 2008). 
    La difesa erariale  sottolinea  come  molti  giudici  di  merito,
abbiano optato per  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata
della  norma,  alcuni  riconoscendo  ad  essa  natura  innovativa  ed
escludendone l'applicazione per  il  passato  (Corte  di  appello  di
Ancona, sentenza del 3 marzo 2011), altri considerando  la  norma  di
interpretazione  autentica,  con  conseguente  necessita'   di   fare
decorrere  la  prescrizione  decennale  dalla  data   delle   singole
annotazioni in conto (Tribunale di Milano, ordinanze del 4 e 7 aprile
2011). 
    In particolare,  ad  avviso  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, la mancanza di una chiara  opzione  interpretativa  sarebbe
particolarmente  evidente  con  riguardo  alla  seconda  parte  della
disposizione   censurata,   concernente   il   divieto   di    azioni
restitutorie, in  quanto  il  Tribunale,  sia  pure  ipotizzando  una
lettura  in  chiave  di  clausola  di  salvaguardia  della  posizione
giuridica di chi abbia gia' ricevuto il rimborso cui la  prescrizione
non  puo'  essere  piu'   eccepita,   opterebbe   per   una   diversa
interpretazione a sfavore del cliente, nel senso di  una  preclusione
assoluta all'esercizio  del  diritto  di  ripetizione  dell'indebito,
omettendo di verificare se il divieto di cui  trattasi  possa  essere
riferito solo ai diritti che si debbano ritenere prescritti  in  base
alla prospettata interpretazione autentica dell'art. 2935 cod. civ. 
    3.4.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   ritiene,
altresi', nel merito la questione non fondata. 
    Al riguardo - dopo avere richiamato le  disposizioni  del  codice
civile in tema di contratto di conto corrente ordinario di  cui  agli
artt. 1823 (in base al quale i  crediti  derivanti  dalle  reciproche
rimesse sono inesigibili  e  indisponibili  fino  alla  chiusura  del
conto), 1827 (secondo cui le  annotazioni  in  conto  non  precludono
l'esercizio delle azioni ed eccezioni relative all'atto da cui deriva
il credito), 1832 (secondo cui l'estratto conto si intende  approvato
se non e' contestato nel termine pattuito,  o  in  quello  usuale,  o
altrimenti  nel  termine  che  puo'  ritenersi  congruo  secondo   le
circostanze, fatto salvo il diritto di impugnare il  conto  entro  il
piu'  ampio  termine  decadenziale  di  sei  mesi   dalla   ricezione
dell'estratto, nel caso di errori di scritturazione o di calcolo,  di
omissioni o duplicazioni)  -  la  difesa  erariale  sottolinea  come,
secondo     consolidata     giurisprudenza,     l'approvazione      e
l'incontestabilita' dell'estratto conto  si  riferiscano  soltanto  a
profili di ordine contabile, fermo restando il diritto  di  accertare
la nullita', annullabilita', rescissione, risoluzione  delle  singole
clausole  contrattuali  o  degli  atti  da  cui  siano  derivate   le
specifiche annotazioni in conto. 
    In base ad un diffuso orientamento giurisprudenziale, le norme in
tema di contratto di conto corrente ordinario  sarebbero  applicabili
allo specifico contratto di conto  corrente  bancario,  di  cui  agli
artt. 1852 e seguenti cod.  civ.,  per  i  quali,  anche  per  questa
fattispecie contrattuale, varrebbe la regola secondo cui, in caso  di
mancata contestazione entro il termine decadenziale,  le  annotazioni
in conto si intendono approvate sotto  il  profilo  contabile,  fermo
restando il diritto di contestare, secondo la disciplina propria  dei
singoli rapporti, la legittimita' delle ragioni da  cui  derivano  le
reciproche posizioni debitorie e creditorie. 
    Sul punto, ad avviso di una gran parte della  giurisprudenza,  in
caso  di  annotazioni  derivanti   da   clausole   negoziali   nulle,
troverebbero applicazione i principi di cui all'art. 1422 cod.  civ.,
secondo il quale l'azione di nullita' puo' essere esercitata in  ogni
tempo, fatti salvi gli  effetti  della  prescrizione  dell'azione  di
ripetizione, con la conseguenza che solo dalla  chiusura  del  conto,
momento in cui diventano esigibili i crediti derivanti dal rapporto e
si realizzano le operazioni di pagamento, inizierebbe a decorrere  il
termine di prescrizione per la ripetizione  di  quanto  indebitamente
versato  per  effetto  delle   clausole   nulle   (questo   indirizzo
giurisprudenziale  sarebbe  stato  sostanzialmente   avallato   dalla
sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite,  n.  24418  del  2
dicembre 2010, che ha individuato un termine anteriore costituito dal
momento del singolo versamento con riferimento alla sola  ipotesi  in
cui il cliente provveda a coprire un passivo eccedente i  limiti  del
proprio accreditamento). 
    La difesa erariale sottolinea  come  una  diversa  giurisprudenza
minoritaria  non  condivida  l'estensione  generalizzata   al   conto
corrente bancario della  stessa  disciplina  prevista  per  il  conto
corrente ordinario in quanto: a)  nel  contratto  di  conto  corrente
ordinario  la  regola  della  decorrenza  della  prescrizione   delle
reciproche pretese dal momento della chiusura  del  conto  troverebbe
razionale giustificazione nella breve durata del rapporto  (ai  sensi
dell'art. 1831 cod. civ. ordinariamente pari ad un semestre),  mentre
la disciplina codicistica del contratto di  conto  corrente  bancario
non prevedrebbe alcun termine di durata,  prolungandosi  quest'ultimo
per un indeterminato periodo di tempo,  con  la  conseguenza  che  la
chiusura  del  conto  e  l'esercizio  delle  azioni  derivanti  dalle
annotazioni da clausole  o  atti  viziati  rischierebbero  di  essere
differiti  per  tempi  estremamente  lunghi,  con  pregiudizio  delle
esigenze di certezza e stabilita' dei rapporti giuridici; b) sotto un
profilo strettamente ermeneutico, l'art.1857 cod. civ. si limiterebbe
a  dichiarare  applicabile  al  conto  corrente  bancario   le   sole
disposizioni di cui agli artt. 1826, 1829, 1832  cod.  civ.,  con  la
conseguenza che - atteso il mancato richiamo degli artt. 1823 e  1827
cod. civ. - non risulterebbe certa l'estensione della regola  secondo
cui l'approvazione  dell'estratto  conto  redatto  periodicamente  si
riferisce  ai  soli  aspetti  contabili   del   rapporto,   lasciando
impregiudicata  la  possibilita'  di   contestare   la   legittimita'
sostanziale delle singole annotazioni. 
    Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  evidenzia  come  il
censurato art. 2, comma 61,  si  sia  inserito  in  questo  complesso
scenario normativo e giurisprudenziale,  attraverso  una  ragionevole
soluzione interpretativa. 
    Con riferimento  alla  prima  parte  della  citata  disposizione,
escluso che il legislatore abbia assunto l'annotazione  come  termine
per l'esercizio dell'azione di ripetizione  -  essendo  pacifico  che
tale azione e' esperibile solo per effetto di un pagamento indebito -
o che l'annotazione sia la fonte costitutiva  del  credito  riportato
nel  conto,  secondo  una  possibile  interpretazione  la  norma   si
inserirebbe nel solco della disposizione  dell'art.  1832  cod.  civ.
completandone la disciplina con specifico riferimento ai contratti di
conto corrente bancario. In questa  prospettiva,  il  legislatore  si
sarebbe limitato  ad  aggiungere  al  termine  decadenziale  previsto
dall'art. 1832 cod. civ.  un  ulteriore  termine  prescrizionale  per
l'esercizio   dell'azione   diretta   a   contestare,    sempre    ed
esclusivamente sul piano  contabile,  l'esattezza  delle  annotazioni
eseguite. Ma tale interpretazione, ad avviso  della  difesa  statale,
sarebbe poco convincente perche'  la  norma  sarebbe  sostanzialmente
priva di efficacia, non avendo senso  affermare  che  sia  prescritta
l'azione dalla quale si sia gia' decaduti. 
    Piu' convincente sarebbe la tesi secondo cui il legislatore,  nel
riferirsi ai  «diritti  nascenti  dalle  annotazioni»,  abbia  inteso
richiamare il diritto di contestare giudizialmente non solo i profili
contabili, ma anche le ragioni sostanziali dalle  quali  e'  derivata
l'annotazione in  conto  e,  percio',  il  diritto  di  accertare  la
mancanza di un valido titolo giustificativo della  posta  creditoria,
annotata in quanto derivante da una clausola negoziale o da  un  atto
invalido  (ad  esempio,  applicazione  di   interessi   ultra-legali;
indebita  capitalizzazione   di   interessi,   fonte   di   interessi
anatocistici) 
    In particolare, il legislatore avrebbe voluto affermare che  sono
soggette a prescrizione non solo le azioni di ripetizione  di  quanto
eventualmente  pagato  in  base  ad  una  clausola  nulla,  ai  sensi
dell'art. 1422 cod. civ., ma anche le azioni  di  accertamento  della
illegittimita' delle  annotazioni  eseguite  in  base  alle  predette
clausole. In tal modo, si sarebbe  chiarito  che,  nel  contratto  di
conto corrente bancario, le annotazioni hanno la funzione di  rendere
definitivi,  se  non  contestati  entro  un  termine   prescrizionale
ordinario, i crediti ed i debiti annotati nel conto sia pure in  base
ad una disposizione contrattuale viziata. 
    Pertanto,  ad  avviso  della  difesa  erariale,  nell'ottica   di
un'interpretazione   costituzionalmente   orientata    della    norma
censurata, si potrebbe ritenere che con  essa  il  legislatore  abbia
voluto precisare la portata dell'art. 2935  cod.  civ.,  individuando
nella annotazione, cui le parti hanno  inteso  dare  una  particolare
valenza in base al sinallagma contrattuale, il momento di  decorrenza
della prescrizione del diritto nascente da quella operazione. 
    Quanto alla seconda parte del censurato  art.  2,  comma  61,  il
Presidente del Consiglio dei ministri afferma che debba essere  letta
ed interpretata in correlazione con la prima parte di  essa,  di  cui
costituisce corollario. In particolare, con  detta  disposizione,  il
legislatore  non   avrebbe   inteso   precludere   qualsiasi   azione
restitutoria derivante dal  contratto  di  conto  corrente  bancario,
bensi' chiarire che non e' possibile proporre azioni  di  ripetizione
di indebito qualora risulti ormai prescritta l'azione per fare valere
l'illegittimita' delle annotazioni in conto. 
    La difesa erariale ricorda come  la  Corte  costituzionale  abbia
piu' volte affermato che  il  legislatore  puo'  adottare  norme  che
precisano il significato di altre disposizioni legislative  non  solo
quando sussista una situazione di  incertezza  nell'applicazione  del
diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali, ma anche in  presenza
di un indirizzo omogeneo giurisprudenziale, quando la scelta  imposta
dalla legge rientri tra le possibili  varianti  di  senso  del  testo
originario, con cio' vincolando un significato ascrivibile alla norma
anteriore (sentenze n. 209 del 2010; n. 311  del  1995;  n.  397  del
1994; n. 480 del 1992). 
    Con   riferimento   alla   portata   retroattiva   della    norma
interpretativa, sono stati, inoltre, individuati una serie di  limiti
che attengono alla salvaguardia di norme costituzionali,  tra  cui  i
principi  di  ragionevolezza,  uguaglianza,  quello  dell'affidamento
legittimamente posto sulla certezza dell'ordinamento giuridico e  del
rispetto delle funzioni riservate al potere giudiziario (sentenze  n.
525 del 2000 e n. 397 del 1994). 
    Nella fattispecie,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
sottolinea che, pur dovendosi riconoscere la prevalenza  dell'opzione
interpretativa favorevole alla tesi della cosiddetta unitarieta'  del
rapporto di conto corrente, sia pure con taluni distinguo nell'ambito
della  stessa  (versamenti  ripristinatori  e  solutori),  non   puo'
escludersi la possibilita' di altre diverse  soluzioni  ermeneutiche,
sostenute dalla dottrina e dalla giurisprudenza,  che,  operando  una
valutazione   del   contratto   di   conto   corrente   in    termini
sostanzialmente  autonomi  rispetto   ai   collegati   contratti   di
apprestamento  della   provvista,   valorizzano   la   facolta'   del
correntista di disporre in qualunque momento del relativo saldo o  di
richiedere un estratto conto. In questa ottica, si configurerebbe  la
possibilita'  di  accertare  l'indebita  apposizione  di   interessi,
competenze e spese e di richiederne la restituzione, con  conseguente
decorrenza del termine prescrizionale dal momento in cui la banca  ha
provveduto all'annotazione della posta in  contestazione,  in  quanto
ciascuna di queste somme  costituirebbe  autonomamente  un  indebito,
oggetto di specifica domanda  di  restituzione  (Corte  d'appello  di
Torino, sentenza del 7 maggio 2004, n.  741;  Tribunale  di  Mantova,
sentenza del 2 febbraio 2009; Tribunale  di  Roma,  sentenze  del  26
maggio 1999, del  14  aprile  1999  e  del  20  settembre  1996,  con
riferimento all'ipotesi di libretti di deposito  bancario,  Corte  di
Cassazione, sezione prima  civile,  sentenza  del  3  maggio1999,  n.
4389). 
    Infine, ad avviso  della  difesa  erariale,  non  avrebbe  pregio
l'osservazione del Tribunale secondo cui l'annotazione e' circostanza
di fatto che esula dalla sfera  conoscitiva  del  cliente,  il  quale
sarebbe  edotto  delle  movimentazioni  del  proprio  conto  con   la
ricezione dell'estratto conto, in  quanto  rilevante  ai  fini  della
prescrizione non sarebbe tanto il concreto esercizio del  diritto  ma
l'astratta possibilita' di esercitarlo (Corte di cassazione,  sezione
prima civile, sentenza  del  22  aprile  2010,  n.  9620).  Ai  sensi
dell'art.  1852  cod.  civ.,  il  cliente   avrebbe   certamente   la
possibilita' di disporre del saldo in qualunque  momento,  dato  che,
ancora prima della scadenza del termine  per  l'invio  dell'estratto,
potrebbe avere certezza della esistenza sul conto delle somme di  cui
intende disporre nonche' delle annotazioni in esso contenute. 
    La norma in questione, limitandosi  ad  esplicitare  regole  gia'
desumibili dal sistema, non lederebbe ne' l'effettivita' del  diritto
dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e
interessi legittimi, di cui all'art. 24 Cost., ne' l'integrita' delle
attribuzioni  costituzionali  dell'autorita'  giudiziaria,   di   cui
all'art. 102 Cost., ne' tantomeno  l'art.  117  Cost.,  in  relazione
all'art. 6 CEDU. 
    4. - In data 13 gennaio 2012, la Banca Monte dei Paschi di  Siena
s.p.a. in persona del legale rappresentante pro-tempore ha depositato
atto di costituzione di nuovo  di  nuovo  difensore,  in  aggiunta  a
quelli gia' costituiti. 
    5. - In data 17 gennaio 2012 la detta banca ha depositato memoria
illustrativa,   nella    quale,    in    primo    luogo,    ribadisce
l'inammissibilita' della questione, in quanto: a) sarebbe carente  la
motivazione  sulla  rilevanza;  b)  sarebbe  del  pari   carente   la
descrizione dei fatti di causa, perche' il rimettente, in presenza di
una norma come quella censurata (recante due  disposizioni  tra  loro
connesse, ma con distinto contenuto precettivo), non  avrebbe  tenuto
conto di tale complessita' normativa, articolando le sue  censure  in
maniera indistinta rispetto ai due periodi che  compongono  la  norma
stessa. Inoltre, il giudice a quo, prendendo  le  mosse  per  le  sue
argomentazioni dalla sentenza  della  Corte  di  cassazione,  sezioni
unite civili, n. 24418 del 2010, non avrebbe considerato  le  ragioni
complessive svolte dalla  Corte  di  legittimita',  cosi'  incorrendo
ancora in omessa o insufficiente motivazione sulla rilevanza;  c)  il
rimettente  si  sarebbe  sottratto  all'onere  di   sperimentare   la
possibilita'   di   pervenire   ad   una   doverosa   interpretazione
costituzionalmente orientata, peraltro individuata  anche  in  alcune
pronunzie di Corti territoriali. 
    Nel  merito,  l'istituto  di  credito  ribadisce  e  sviluppa  le
argomentazioni gia' svolte nell'atto di costituzione. 
    6. - In data 17 gennaio 2012  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  ha  depositato  memoria  illustrativa,  riportandosi   alle
conclusioni di cui alla memoria di intervento. 
    7. - Il Tribunale di Benevento, con ordinanza del 10  marzo  2011
(r.o. n. 166 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3,
24, 41, 47, 102,  Cost.,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 2, comma 61, del d.l. n.  225  del  2010,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011 (comma  aggiunto  da  detta
legge di conversione). 
    7.1. -  Il  rimettente  premette  che  U.M.  aveva  convenuto  in
giudizio la San Paolo Banco di Napoli s.p.a. - filiale di Benevento -
chiedendo la rideterminazione del saldo del conto  corrente  bancario
n. 7073 (poi corretto in quello n. 27/90), aperto il 14-21  settembre
1992 e chiuso il 31 dicembre 2006,  con  condanna  della  banca  alla
restituzione dell'indebito versato, stante l'addebito, nel corso  del
rapporto bancario, di interessi anatocistici e commissioni di massimo
scoperto  non  dovuti;  che,  costituitasi  in  giudizio,  la   banca
convenuta aveva  dedotto  la  nullita'  dell'atto  di  citazione  per
genericita' e indeterminatezza dei fatti costitutivi posti alla  base
della domanda ed aveva eccepito la prescrizione decennale dell'azione
di ripetizione dell'indebito, in  quanto  decorrente  dalla  data  di
annotazione di ogni singola posta contestata,  nonche'  la  decadenza
dalla contestazione degli estratti conto, chiedendo il rigetto  della
domanda;  che,  disposta  CTU  per  il  ricalcolo   del   saldo   con
applicazione del criterio della capitalizzazione annuale degli stessi
(dalla quale era emerso un saldo reale a favore dell'attore  di  euro
26.832,87  al  31  dicembre  2006),  la  causa  veniva  riservata  in
decisione; che, in  considerazione  dell'intervenuta  sentenza  della
Corte di cassazione, sezioni unite civili n. 24418 del 2010, la causa
era rimessa in istruttoria, fissando l'udienza del 10 marzo 2011  per
la comparizione del CTU al  fine  di  incaricare  quest'ultimo  della
ricostruzione del rapporto bancario alla luce dei principi  giuridici
affermati nella detta sentenza, con ricalcolo  epurato  integralmente
dall'interesse  anatocistico  (criterio   cosiddetto   dell'interesse
semplice); che, nelle more del giudizio, in data  27  febbraio  2011,
entrava in vigore il citato art. 2, comma 61. 
    7.2. - In punto di rilevanza, dopo avere riportato il testo della
norma censurata, il giudice a quo osserva di non  potere  prescindere
dalla sua applicazione ai fini della decisione in ordine al se ed  in
quali termini conferire al CTU un incarico integrativo  di  ricalcolo
del rapporto bancario,  avendo  la  banca  convenuta  tempestivamente
eccepito nella comparsa di costituzione la  prescrizione  dell'azione
di ripetizione dell'indebito proposta dall'attore. 
    Infatti, ad avviso del rimettente,  se  la  nuova  norma  dovesse
interpretarsi  nel  senso  che  la  prescrizione  del  diritto   alla
ripetizione dell'indebito decorre non gia' dalla data  di  estinzione
del  rapporto  di  conto  corrente  (come  affermato  da   Corte   di
cassazione, sezioni unite civili, n. 2448 del 2010),  ma  dal  giorno
della singola annotazione, sarebbe prescritto il diritto  dell'attore
alla ripetizione degli importi versati a titolo solutorio ed annotati
in data anteriore al 5 marzo 1997,  ovvero  oltre  dieci  anni  prima
della  data  di  notificazione  della  richiesta  stragiudiziale   di
restituzione dell'indebito (con raccomandata notificata alla banca in
data 5 marzo 2007). 
    Inoltre, se la seconda parte della  norma  dovesse  interpretarsi
nel senso che nelle operazioni bancarie regolate  in  conto  corrente
ciascuna delle parti puo'  non  restituire  gli  importi,  anche  non
dovuti, gia' versati alla data dell'entrata in vigore della legge  di
conversione n. 10 del 2011, la conseguenza sarebbe il rigetto  totale
della  domanda  di  restituzione  dell'indebito,  essendo  stato   il
rapporto consensualmente chiuso in data 31 dicembre 2006. 
    7.3. - Sotto il profilo  della  non  manifesta  infondatezza,  il
rimettente assume la violazione dei limiti interni, individuati dalla
Corte costituzionale, alla ammissibilita' di una norma interpretativa
nonche' degli artt. 3, 24, 41, 47, 102, Cost. 
    Riguardo alla  prima  parte  della  norma  censurata,  rileva  la
violazione  dei  limiti  interni   all'ammissibilita'   delle   norme
interpretative ed in generale alla efficacia retroattiva delle leggi,
sotto il profilo della irragionevolezza, in quanto:  1)  non  vi  era
alcun  dubbio  interpretativo  in  ordine   alla   decorrenza   della
prescrizione dei diritti nascenti dall'annotazione  delle  operazioni
bancarie in conto corrente, perche' la  Corte  di  cassazione,  nella
sentenza n. 24418 del 2010,  «per  la  particolare  importanza  delle
questioni sollevate», ha ribadito che, nei contratti bancari in conto
corrente,  il  termine  di  prescrizione  decennale  dell'azione   di
ripetizione dell'indebito (ad esempio per nullita' della clausola  di
capitalizzazione  degli  interessi)  decorre,  qualora  i  versamenti
eseguiti dal  correntista  in  pendenza  di  rapporto  abbiano  avuto
funzione ripristinatoria della provvista, dalla  data  di  estinzione
del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono
stati registrati; 2) la norma in questione sotto forma  asseritamente
interpretativa, di  fatto  innova,  scontrandosi  con  la  disciplina
normativa e la natura giuridica delle operazioni  bancarie  in  conto
corrente, di cui agli artt.  1852-1857  cod.  civ.,  nonche'  con  il
principio generale  di  cui  all'art.  2935  cod.  civ.  in  tema  di
decorrenza   della   prescrizione,   poiche'   la   dottrina   e   la
giurisprudenza hanno sempre ritenuto che nei contratti bancari, quali
contratti unitari, fonti di un unico  rapporto  giuridico,  anche  se
articolati in una pluralita' di atti esecutivi,  solo  con  il  conto
finale si stabiliscono definitivamente i crediti  e  i  debiti  delle
parti e se ne determina l'esigibilita'. 
    Inoltre, ove la  norma  censurata  si  applicasse  anche  per  il
passato e ai giudizi in corso, si avrebbe non soltanto una violazione
del  principio  di  uguaglianza  e  un'ingiustificata  disparita'  di
trattamento, ma anche la violazione dell'art. 24 Cost. (in quanto  le
norme sulla prescrizione, pur avendo  natura  sostanziale,  producono
effetti sul piano processuale, perche', invocando l'effetto estintivo
delle stesse,  e'  possibile  impedire  ai  titolari  di  diritti  di
ottenerne la realizzazione in via giudiziaria) e dell'art. 102 Cost.,
stante la invasione ingiustificata delle prerogative giudiziarie. 
    Il giudice a quo ritiene che la norma censurata violi  anche  gli
artt. 41 e 47 Cost., frustrando i principi di  tutela  del  risparmio
delle famiglie e  delle  imprese  e,  dunque,  la  libera  iniziativa
economica. Infatti, la norma in questione, sebbene  inserita  in  una
legge  titolata  «Proroga  di  termini   previsti   da   disposizioni
legislative e di  interventi  urgenti  in  materia  tributaria  e  di
sostegno alle imprese e  alle  famiglie»,  inciderebbe  negativamente
sulle  legittime  aspettative  di  esse,   volte   ad   ottenere   in
restituzione  ingenti  somme   indebitamente   contabilizzate   dalla
controparte durante lo svolgimento di rapporti in  conto  corrente  e
percepite in violazione di norme di ordine pubblico.  Inoltre,  detta
norma rischierebbe di pregiudicare anche il diritto delle  banche  ad
ottenere in restituzione somme date a mutuo ai correntisti in  regime
di apertura di credito in conto corrente, se annotate prima di  dieci
anni dalla formale richiesta di rientro  o  di  pagamento  del  saldo
finale di chiusura del conto. 
    Ad avviso del rimettente, la seconda parte della norma censurata,
nel disporre che «In ogni caso non  si  fa  luogo  alla  restituzione
degli importi gia' versati alla data di entrata in vigore della legge
di conversione del presente decreto-legge», in  violazione  non  solo
delle principali regole giuridiche e costituzionali sopra richiamate,
ma  anche  dei   canoni   di   logica   e   avvedutezza   elementari,
irragionevolmente determinerebbe che  chi  (anche  una  banca)  abbia
versato alla data del 27 febbraio 2011 (data  di  entrata  in  vigore
della legge di conversione n. 10 del 2011) degli importi a credito in
un rapporto regolato in conto corrente  non  potrebbe  ottenerli  "in
ogni caso" in restituzione dal suo debitore. 
    8. - Con memoria  depositata  in  data  14  luglio  2011,  si  e'
costituita in giudizio il Banco di  Napoli  s.p.a.  (gia'  San  Paolo
Banco  di  Napoli  s.p.a.),  in  persona  del  legale  rappresentante
pro-tempore, chiedendo, previa riunione con i  procedimenti  r.o.  n.
145 del 2011 e n. 167 del 2011  e  con  quegli  altri  che  dovessero
essere in tempo utile promossi in via incidentale, che  la  sollevata
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile
e, comunque, infondata. 
    8.1. -  In  primo  luogo,  l'istituto  di  credito  eccepisce  la
inammissibilita' della questione di legittimita'  costituzionale  per
mancata dimostrazione da parte del rimettente di  avere  sperimentato
interpretazioni  "adeguatrici"  ovvero  costituzionalmente  orientate
(sentenza n. 217 del 2010), nonche' per indeterminatezza ed oscurita'
del petitum dell'ordinanza di rimessione (sentenza n. 91 del 2010). 
    Inoltre, la banca deduce la inammissibilita' della questione  per
contraddittorieta'   ed   insufficienza   della   motivazione   sulla
rilevanza,   atteso   che   il    rimettente    avrebbe    attribuito
all'applicazione della norma censurata  conseguenze  che,  viceversa,
discendono dai principi innovativi dettati dalla Corte di cassazione,
a sezioni unite, nella sentenza n. 24418 del 2010. In particolare, la
questione di  legittimita'  costituzionale  sarebbe  stata  sollevata
sull'erroneo presupposto che solo la  norma  censurata  consentirebbe
alla banca di opporre l'eccezione di prescrizione, prima della  "data
di estinzione del rapporto di conto corrente", mentre anche la  Corte
di cassazione, a sezioni unite, ha  ammesso  questa  possibilita'  in
tutti i casi di  «importi  versati  a  titolo  solutorio».  Peraltro,
l'istituto di credito evidenzia le scarne indicazioni  in  ordine  al
caso concreto, con conseguente manifesta irrilevanza della questione. 
    La Banco di Napoli s.p.a. deduce, altresi',  che  il  rimettente,
nell'esporre le  ragioni  per  le  quali  la  norma  "interpretativa"
determinerebbe  conseguenze  irragionevoli  o  lesive   di   principi
costituzionali,  avrebbe  innanzitutto  lamentato  l'intervento   del
legislatore con una "norma interpretativa" in assenza  di  un  dubbio
ermeneutico. Invero,  come  evidenziato  dalla  Corte  costituzionale
(sentenza n. 71 del 2010), la norma interpretativa non  richiederebbe
alcun  contrasto  giurisprudenziale   in   ordine   alla   norma   da
interpretare. Peraltro, nel caso  di  specie,  prima  dell'intervento
della Cassazione, vi sarebbero state in materia due sole pronunce  di
legittimita' (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze del
14 maggio 2005, n. 10127 e del 9 aprile 1984, n. 2262), rispetto alle
quali la Corte avrebbe  affermato  nuovi  principi.  Il  legislatore,
dunque, ad avviso dell'istituto di credito, sarebbe  intervenuto  per
prevenire nuovi contrasti sulla  materia,  indicando  una  chiave  di
lettura della normativa, alla luce dei principi affermati dalla Corte
di cassazione. 
    L'Istituto di credito  sottolinea,  poi,  come,  diversamente  da
quanto ritenuto dal rimettente, la norma  censurata  non  innoverebbe
ne' modificherebbe la normativa in materia, limitandosi ad  assegnare
alla disposizione interpretata un significato gia' in essa contenuto,
come una delle possibili letture del testo originario. 
    Invero, a  detta  del  Banco  di  Napoli  s.p.a.,  con  la  norma
censurata il legislatore, coerentemente con i principi  affermati  in
materia dalla Corte di cassazione, sezioni unite, nella  sentenza  n.
24418  del  2010,  avrebbe  previsto   (ferma   l'imprescrittibilita'
dell'azione  di  nullita'  del  negozio  che  genera   l'addebito   o
l'accredito  sul  conto),  la  decorrenza  dalla  annotazione   della
prescrizione relativa all'azione di rettifica della posta  contabile,
considerato che l'unitarieta' del rapporto  derivante  dal  contratto
bancario  non  renderebbe  necessaria  la  chiusura  del  conto   per
stabilire l'esatto ammontare dei crediti e  debiti  delle  parti  tra
loro. 
    Pertanto,  la  norma  censurata  non  comporterebbe  una   deroga
all'art. 2935 cod. civ., in quanto la decorrenza  della  prescrizione
dalla annotazione non  potrebbe  riferirsi  ai  crediti  della  banca
nascenti dall'apertura di credito in conto corrente (non  potendo  la
banca esigere il rientro da parte del correntista fino alla revoca  o
scadenza dell'apertura di credito), bensi' al diritto  di  contestare
gli eventuali accrediti o addebiti privi di causa. 
    Il Banco di Napoli s.p.a. eccepisce, altresi', l'inammissibilita'
(per mancata motivazione) e, comunque, la infondatezza delle  censure
relative agli artt. 3, 24 e 102 Cost., concernenti il primo capoverso
del censurato art. 2, comma 61. 
    Inoltre, l'istituto di credito  deduce  la  inammissibilita'  e/o
infondatezza della censura relativa agli artt.  41  e  47  Cost.,  in
quanto sarebbe illogico interpretare la norma censurata nel senso che
il diritto della banca al rimborso  del  finanziamento  possa  essere
fatto  valere  dall'annotazione  dei  singoli  utilizzi,  poiche'  il
diritto al rimborso dell'apertura di credito concessa al  cliente  e'
esercitabile solo alla chiusura della linea di credito per scadenza o
revoca. 
    Infine, il Banco di Napoli s.p.a. eccepisce  la  inammissibilita'
della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 61,
secondo capoverso, stante la assoluta mancanza di motivazione ad essa
sottesa. 
    8.2.  -  Con  atto  depositato  in  data  6  settembre  2011   e'
intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  del  ministri,
rappresentato  e  difeso  dalla  Avvocatura  generale  dello   Stato,
chiedendo che la sollevata questione di  legittimita'  costituzionale
sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. 
    8.3.  -  In  primo  luogo,   la   difesa   erariale   deduce   la
inammissibilita' della questione  con  riguardo  alla  seconda  parte
della norma censurata secondo cui «non si fa luogo alla  restituzione
degli importi gia'  versati»,  essendosi  il  rimettente  limitato  a
formulare l'ipotesi che essa  impedisca  la  restituzione  di  quanto
pagato in  eccesso,  senza  sperimentare  altre  possibili  soluzioni
ermeneutiche conformi al dettato costituzionale. 
    8.4. - Nel merito,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
svolge  le  medesime  argomentazioni  sulla  non   fondatezza   della
questione, di cui all'atto di intervento del 19 luglio 2011, relativo
al giudizio r.o. n. 145 del 2011, cui si fa rinvio. 
    In particolare, con riferimento ai giudizi in  esame,  la  difesa
erariale  sottolinea  che  non  risultano  violati  il  principio  di
uguaglianza e il diritto di agire in giudizio, essendo  evidente  che
la norma interpretativa di cui si tratta si applica in ugual modo  ad
entrambe le parti del rapporto e che  la  norma  sulla  prescrizione,
avendo natura sostanziale e  non  processuale,  non  comporta  alcuna
lesione dei principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 102 Cost. 
    8.5. - In data 13 gennaio 2012, il Banco  di  Napoli  s.p.a.,  in
persona del legale rappresentante pro-tempore, ha depositato atto  di
costituzione  di  nuovo  difensore,  in  aggiunta   a   quelli   gia'
costituiti. 
    8.6. - Il 17 gennaio 2012, l'ente ora detto ha depositato memoria
illustrativa, ribadendo e sviluppando  le  conclusioni  di  cui  alla
memoria di costituzione. 
    8.7. - In data 17 gennaio 2012, il Presidente del  Consiglio  dei
ministri  ha  depositato  memoria  illustrativa,  riportandosi   alle
conclusioni di cui alla memoria di intervento. 
    9. - Il Tribunale di Lecce, sezione  distaccata  di  Maglie,  con
ordinanza dell'8 aprile 2011 (r.o. n. 167 del 2011), ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 23, 24, 47, 111, 117  Cost.,  questione  di
legittimita' costituzionale della stessa norma gia' censurata con  le
ordinanze sopra richiamate. 
    9.1. - In punto di rilevanza, il rimettente deduce che, alla luce
del  primo  capoverso  della   norma   censurata,   qualificato   dal
legislatore di natura interpretativa,  dovrebbero  essere  dichiarate
prescritte tutte le somme  illegittimamente  addebitate  oltre  dieci
anni  prima  della  notifica  dell'atto  di  citazione.  Inoltre,  in
applicazione del secondo capoverso della norma  censurata,  tutte  le
somme indebitamente iscritte nel  conto  dell'attore  non  potrebbero
essere ripetute, trattandosi di operazioni  anteriori  alla  data  di
entrata in vigore della citata  legge  di  conversione  (27  febbraio
2011). 
    9.2. - Sotto il profilo  della  non  manifesta  infondatezza,  il
rimettente esamina distintamente i due periodi della norma censurata. 
    Quanto al primo,  concernente  l'interpretazione  dell'art.  2935
cod. civ., il giudice a quo sostiene che detta norma si  porrebbe  in
contrasto con gli artt. 3, 24, 111, 47 e 117 Cost. 
    In primo luogo, il rimettente assume la  violazione  dell'art.  3
Cost., sotto il profilo della irragionevolezza della norma stessa, in
quanto:  1)  facendo  decorrere  la   prescrizione   dell'azione   di
ripetizione   dell'indebito   dall'annotazione,    attribuirebbe    a
quest'ultima un effetto "solutorio" che  l'annotazione  non  potrebbe
per se stessa avere, non essendovi stato  il  pagamento,  e  cio'  in
contrasto con la ricostruzione operata dalla Corte di cassazione,  da
ultimo, a sezioni unite, con la sentenza n. 24418 del  2010,  secondo
cui  il  termine  di  prescrizione  decennale  cui  tale  azione   di
ripetizione e' soggetta decorre, qualora i  versamenti  eseguiti  dal
correntista  in  pendenza  di   rapporto   abbiano   avuto   funzione
ripristinatoria della provvista, dalla data in cui e'  stato  estinto
il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non  dovuti  sono
stati registrati; 2) se la norma  dovesse  invece  interpretarsi  nel
senso che si riferisca all'azione volta a fare dichiarare la nullita'
della previsione contrattuale in base alla quale e' stata  effettuata
l'annotazione,  si  sarebbe  in  presenza  di  una  disposizione   di
carattere eccezionale priva  di  qualsiasi  giustificazione,  essendo
principio generale, non suscettibile di eccezioni, quello secondo cui
l'azione di nullita' e'  imprescrittibile;  3)  la  norma  violerebbe
tutti i limiti interni all'ammissibilita' delle norme  interpretative
e all'efficacia retroattiva della legge,  perche'  introdurrebbe  una
deroga al principio generale stabilito dall'art. 2935 cod. civ.,  che
non trova alcuna ragionevole  giustificazione  e  sarebbe,  altresi',
lesiva dell'affidamento  dei  risparmiatori  ingenerato  dalla  legge
vigente  e  da  consolidata  giurisprudenza  circa  l'aspettativa  di
ottenere la ripetizione di quanto illegittimamente  addebitato  dalle
banche, minando la certezza dei rapporti giuridici e la coerenza  del
sistema. 
    Il rimettente assume anche la violazione degli  artt.  24  e  111
Cost., in quanto 1) la  norma  censurata  consentirebbe  alla  banca,
attraverso l'annotazione, di precostituire la prova del  dies  a  quo
del termine di prescrizione, cosi' sovvertendo i principi generali in
materia di prova di cui agli artt. 2709 e  seguenti  cod.  civ.,  che
riconoscono efficacia  probatoria  alle  scritture  dell'imprenditore
solo "contro" di lui, e di  cui  all'art.  634  cod.  proc.  civ.  in
materia  di  procedimento  di  ingiunzione,  che   attribuisce   alle
scritture contabili in favore  dell'imprenditore  rilevanza  solo  ai
fini  di  una  tutela  sommaria;  2)   la   norma   si   risolverebbe
nell'attribuzione alla banca di un potere di attestazione, attraverso
l'annotazione, in contrasto con la marcata natura privatistica che la
piu' recente legislazione in  materia  bancaria  ha  attribuito  agli
istituti di credito; 3) la norma consentirebbe ad una delle parti  di
godere di una posizione privilegiata nella costituzione della  prova,
in contrasto con l'esigenza che la difesa in giudizio  si  svolga  in
modo adeguato e con parita' delle armi tra i  contendenti,  non  solo
con riguardo al potere di  allegazione,  ma  anche  al  diritto  alla
prova. 
    Il giudice a quo sospetta la  illegittimita'  costituzionale  del
primo capoverso anche in riferimento  all'art.  47  Cost.,  sotto  il
profilo della tutela dei risparmiatori, in quanto la norma  censurata
introdurrebbe una disciplina di privilegio per le banche e quindi  di
svantaggio per i singoli risparmiatori. 
    Infine, il rimettente lamenta la violazione  dell'art.117,  primo
comma, Cost., in relazione all'art. 12 del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea, in quanto la norma censurata,  introducendo  una
disciplina palesemente di favore  per  le  banche  e  sfavorevole  ai
consumatori, violerebbe il fondamentale  principio  cui  deve  essere
improntata l'attivita' legislativa dell'Unione e degli Stati  che  vi
aderiscono, secondo  il  quale,  nei  rapporti  contrattuali  con  le
imprese, deve essere assicurata particolare tutela  e  protezione  al
consumatore,  in  quanto  contraente  debole,   nell'ottica   di   un
necessario riassetto degli equilibri di fatto esistenti. 
    Il secondo periodo  della  norma  censurata  -  che,  secondo  il
rimettente, si presterebbe a due  possibili  interpretazioni,  quella
secondo cui per «importi gia' versati» si  dovrebbero  intendere  gli
importi gia'  annotati,  e  quella  secondo  cui  per  «importi  gia'
versati» si dovrebbero intendere gli  importi  che,  a  chiusura  del
conto, siano stati determinati ed eventualmente anche  corrisposti  -
sarebbe invece in contrasto con gli artt. 3, 23, 24, 111 e 117 Cost. 
    In particolare, il giudice a quo lamenta la violazione  dell'art.
3  Cost.,  sotto  il  profilo  della  irragionevolezza  della   norma
censurata, in quanto: 1) sia che si voglia considerare il  versamento
come annotazione, sia che lo si voglia intendere come  riferito  alla
chiusura del conto,  verrebbero  cancellati  i  diritti  delle  parti
scaturenti da un eventuale errore di  calcolo  o  da  nullita'  delle
clausole  sulla  base  delle  quali  i  calcoli  stessi  sono   stati
effettuati;  2)  si  tratterebbe  di  una   norma   irragionevolmente
retroattiva, con incidenza su posizioni  giuridiche  gia'  formatesi,
anche se non ancora accertate giudizialmente; 3) la  norma,  operando
retroattivamente, lederebbe l'affidamento dei cittadini nella  legge,
lacerando la coerenza dell'ordinamento stesso; 4) il fatto stesso che
si introduca una norma che  regola  anche  per  il  passato  in  modo
diverso i rapporti patrimoniali, arrecherebbe un vulnus  evidente  al
principio  della  certezza  del  diritto.  Inoltre,  ad  avviso   del
rimettente, la disposizione si porrebbe in contrasto  con  l'art.  23
Cost., stante il sostanziale effetto ablativo nei  confronti  di  chi
sia  stato  vittima  di  un   errore   di   annotazione   ovvero   di
un'annotazione in forza di una clausola  nulla,  senza  che  sussista
alcuna ragione di interesse pubblico che ne giustifichi il  contenuto
ablatorio. 
    Ancora, il secondo capoverso  della  norma  censurata  violerebbe
l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione  all'art.  1   del
Protocollo numero 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali -  come  interpretato
dalla Corte EDU nel senso che la nozione di "beni" puo' ricomprendere
sia dei "beni effettivi"  che  dei  valori  patrimoniali  compresi  i
crediti, in virtu' dei quali il ricorrente puo' pretendere  di  avere
almeno una speranza legittima di ottenere l'effettivo godimento di un
diritto di proprieta' - in quanto la norma censurata si  risolverebbe
in una ingiustificata ablazione di un diritto di credito. 
    9.3. - Con memoria depositata il 30 giugno 2011, si e' costituito
nel  giudizio   di   legittimita'   costituzionale   A.C.   chiedendo
l'accoglimento della questione  di  legittimita'  costituzionale  del
citato art. 2, comma 61, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 24,  47,
77,  102,  111  e  117,  Cost.,  parametro  quest'ultimo  evocato  in
relazione all'art. 6 della CEDU. 
    In primo luogo, la parte  privata  sostiene  il  contrasto  della
norma censurata con l'art. 77 Cost., mancando, nel caso di specie,  i
requisiti di validita' costituzionale relativi alla preesistenza  dei
presupposti di necessita' e urgenza (sentenza n.  29  del  1995).  In
particolare, non sarebbe indicato, ne' individuabile il  collegamento
formale delle tematiche urgenti di  cui  alla  premessa  del  decreto
(misure in materia tributaria e  di  sostegno  alle  imprese  e  alle
famiglie) con la norma de qua, oggetto di eccezione. 
    La detta parte, poi, deduce la violazione  dell'art.  117,  primo
comma, Cost. in relazione all'art. 6 della CEDU, sul diritto all'equo
processo,  trattandosi  di  un  intervento  legislativo   che   trova
applicazione, stante l'efficacia retroattiva, anche nei  processi  in
corso,  con  incidenza  sull'amministrazione  della   giustizia,   in
mancanza di motivi imperativi di carattere generale (ad esempio, come
per i motivi di carattere storico  epocale  o  imperfezioni  tecniche
della legge interpretata). 
    Il deducente lamenta anche la violazione dell'art. 3 Cost.  sotto
il  profilo  del  principio  di  uguaglianza   (per   disparita'   di
trattamento tra titolari di diritti restitutori nascenti da  rapporti
bancari di conto corrente e titolari di analoghe posizioni soggettive
regolate da conto corrente ordinario;  tra  correntisti  che  abbiano
chiuso il conto prima del 27 febbraio 2011 e dopo tale  data;  tra  i
versamenti del cliente e gli accrediti della banca); del principio di
ragionevolezza  (in  quanto   irrazionalmente   si   sarebbe   voluto
anticipare   alla   data   dell'annotazione   la   decorrenza   della
prescrizione dell'azione di ripetizione dell'indebito  ed,  altresi',
precludere  l'azione  giudiziaria  per   le   somme   gia'   versate,
discriminando i  cittadini  sulla  base  del  solo  dato  temporale);
nonche' del  principio  di  affidamento  connaturato  allo  Stato  di
diritto. 
    La parte privata assume il contrasto  della  norma  in  questione
anche con l'art. 23 Cost.,  in  quanto  non  sarebbe  dato  rinvenire
alcuna  ragione  di  interesse  pubblico  che  possa  legittimare  il
contenuto ablatorio della previsione. 
    La norma de qua violerebbe poi: 1) l'art. 24 Cost., in quanto  la
preclusione  del  diritto  di   ripetizione   delle   somme   versate
inciderebbe sul diritto dell'individuo alla  tutela  giurisdizionale;
2) l'art. 102 Cost., in quanto il carattere retroattivo  della  norma
comporterebbe una incidenza sulla integrita' delle  attribuzioni  del
potere giurisdizionale; 3) l'art. 111 Cost.  ,  come  diritto  ad  un
giusto processo. 
    E' addotta, altresi', la violazione dell'art. 47 Cost., in quanto
la norma in questione, impedendo la ripetizione di somme versate (sia
dal correntista che dagli istituti di credito), non sarebbe  conforme
al principio della tutela giurisdizionale del risparmio. 
    Infine, la norma censurata comporterebbe la violazione  dell'art.
2 Cost. in quanto, negando  il  diritto  alla  ripetizione  di  somme
versate e comportando il decorso  del  termine  di  prescrizione  del
diritto alla ripetizione dell'indebito dall'annotazione,  quale  atto
compiuto dalla banca (che e' la  sola  a  "tenere  il  conto")  anche
nell'ignoranza del correntista, contrasterebbe con  il  principio  di
solidarieta' tra le parti del rapporto  contrattuale,  sancito  anche
dalla Corte di cassazione. 
    9.4.- Con memoria depositata in data  6  settembre  2011,  si  e'
costituita in giudizio la Unicredit s.p.a. - in qualita' di  societa'
incorporante la Unicredit Banca di  Roma  s.p.a.  -  in  persona  del
legale  rappresentante  pro-tempore,  chiedendo  che   la   sollevata
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile
o infondata. 
    In   primo   luogo,   l'istituto   di   credito   eccepisce    la
inammissibilita' della questione per  difetto  di  motivazione  sulla
rilevanza   e   violazione   del   principio    di    autosufficienza
dell'ordinanza  di  rimessione,  non  avendo  il  rimettente  affatto
illustrato la materia del contendere del giudizio principale. 
    In secondo luogo, la questione  sollevata  sarebbe  inammissibile
per mancata sperimentazione di un'interpretazione  costituzionalmente
orientata della norma censurata, tanto piu' che la giurisprudenza  di
merito avrebbe gia' messo in luce come una  corretta  interpretazione
della   detta   disposizione   sia   compatibile   con   il   dettato
costituzionale. 
    In particolare, il Tribunale di Milano, con ordinanze del 4  e  7
aprile 2011, avrebbe  ritenuto  come,  con  la  norma  censurata,  il
legislatore abbia  precisato  i  limiti  prescrizionali  del  diritto
nascente dall'annotazione a seguito dell'accertamento della  nullita'
dell'atto  sottostante  da  cui  deriva  il  credito   annotato,   in
conformita' a quanto disposto dall'art. 1422 cod. civ. 
    Nel merito, ad avviso dell'istituto di credito, la questione  non
sarebbe fondata, in quanto la disposizione avrebbe valenza  meramente
interpretativa,  tenuto   anche   conto   che   l'imprescrittibilita'
dell'azione di nullita' non osta alla salvezza  di  determinati  atti
(pagamenti, annotamenti) compiuti da oltre dieci anni,  alla  stregua
di quanto disposto dall'art. 1422 cod. civ. 
    9.5.  -  Con  atto  depositato  in  data  6  settembre  2011,  e'
intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e
difeso dalla  Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la
sollevata questione di  legittimita'  costituzionale  sia  dichiarata
inammissibile o, comunque, infondata. 
    In primo luogo, la difesa  erariale  deduce  la  inammissibilita'
della questione, per omessa descrizione dei fatti di causa nonche' di
motivazione sulla  rilevanza,  essendosi  limitato  il  rimettente  a
svolgere  astratte  considerazioni  sulla  legittimita'  della  norma
censurata, senza spiegare in quali termini la sua applicazione incida
concretamente  sulla  decisione  della   fattispecie   del   giudizio
principale. 
    Ugualmente   inammissibile   risulterebbe   la    questione    di
legittimita' costituzionale relativa alla seconda parte  della  norma
censurata, avendo il rimettente fornito due  diverse  interpretazioni
di  tale  disposizione,  tra   loro   incompatibili,   impedendo   di
comprendere in quali termini essa  contrasterebbe  con  gli  invocati
principi costituzionali. 
    Nel merito, il Presidente del Consiglio dei  ministri  svolge  in
sostanza  le  medesime  argomentazioni  sulla  non  fondatezza  della
questione di cui all'atto di intervento del 19 luglio 2011,  relativo
al giudizio r.o. n. 145 del 2011, cui si fa rinvio. 
    9.6. - In data 15 dicembre 2011, A.C. ha  depositato  istanza  di
trattazione congiunta del procedimento  r.o.  n.  167  del  2011  con
quello n. 252 del 2011 per ragioni di connessione oggettiva. 
    Il 13 gennaio 2012 Unicredit s.p.a., quale incorporante Unicredit
Banca di Roma s.p.a., ha depositato atto  di  costituzione  di  nuovo
difensore, in aggiunta a quelli gia' costituiti. 
    Il 16 gennaio 2012 A.C. ha depositato  atto  di  costituzione  di
nuovo difensore e memoria illustrativa riportandosi alle  conclusioni
di cui alla memoria di costituzione. 
    Il 17 gennaio 2012 Unicredit s.p.a., quale incorporante Unicredit
Banca  di  Roma   s.p.a.,   ha   depositato   memoria   illustrativa,
riportandosi alle conclusioni di cui alla memoria di intervento. 
    Il 17 gennaio 2012 il Presidente del Consiglio  dei  ministri  ha
depositato memoria illustrativa, riportandosi alle conclusioni di cui
alla memoria di costituzione. 
    9.7.- Il Tribunale di Nicosia, con ordinanza del 30  luglio  2011
(r. o. n. 252 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli  artt.  3,
24,  102,  117,  primo  comma,  Cost.,  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 61, secondo periodo,  del  d.l.  n.
225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge  n.  10  del
2011 (comma aggiunto da detta legge di conversione). 
    In punto  di  fatto,  il  rimettente  espone  che,  con  atto  di
citazione notificato in data 8 ottobre 2008, A.B. aveva convenuto  in
giudizio   il   Banco   di   Sicilia   s.p.a.,   chiedendo,    previa
rideterminazione del saldo dei diversi rapporti bancari  intrattenuti
con  l'istituto  di  credito,  la  condanna  di   quest'ultimo   alla
restituzione delle somme indebitamente  versate,  stante  l'addebito,
nel  corso  del  rapporto  bancario,  di  interessi  anatocistici   e
commissioni di massimo scoperto non dovuti; che il Banco di  Sicilia,
nel costituirsi, aveva dedotto, in primo luogo,  la  validita'  delle
pattuizioni relative agli interessi contabilizzati e la  legittimita'
dell'applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi,
in subordine il versamento da parte del correntista  delle  somme  in
adempimento  di  un'obbligazione  naturale,  ed,  in  ogni  caso,  la
prescrizione  del  diritto  alla  ripetizione   dell'indebito;   che,
disposta CTU contabile,  era  risultato  un  saldo  in  favore  della
correntista; che, entrato in vigore,  nelle  more  del  processo,  il
citato art. 2, comma 61, mentre il Banco di Sicilia  aveva  insistito
sulla richiesta di prescrizione dell'azione di ripetizione, l'attrice
aveva chiesto di non applicare detta norma  al  giudizio  ovvero,  in
subordine, di  sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale
della stessa. 
    In punto di rilevanza, il rimettente ritiene di dovere  applicare
al giudizio principale solo il secondo periodo dell'art. 2, comma 61,
nei cui confronti avanza i dubbi di legittimita'  costituzionale.  In
particolare, lo stesso osserva che,  applicando  la  disposizione  in
questione, la domanda  dovrebbe  essere  rigettata,  atteso  che,  al
momento dell'entrata in vigore della legge di conversione, le  somme,
oggetto di indebito, erano gia' state versate dal correntista. 
    Diversamente, quanto al primo periodo dell'art. 2, comma  61,  il
giudice a quo (come anche gia' il Tribunale di Milano  con  ordinanza
del 7 aprile 2011)  ritiene  che  non  debba  porsi  un  problema  di
legittimita'   costituzionale,   in   quanto,    in    una    lettura
costituzionalmente  orientata  della  norma,  per  «diritti  nascenti
dall'annotazione  in  conto»  si  dovrebbero  intendere   i   diritti
derivanti dall'art. 1832, secondo comma,  cod.  civ.,  ovvero  quelli
volti ad ottenere la rettifica sul piano cartolare delle  annotazioni
sul conto basate su titoli invalidi.  Questa  lettura  renderebbe  la
norma in questione non in contrasto con quanto affermato dalla  Corte
di cassazione, a sezioni unite, nella sentenza  n.  24418  del  2010,
relativamente alla decorrenza della  diversa  azione  di  ripetizione
dell'indebito dalla chiusura del conto o  dalla  data  del  pagamento
"solutorio" (cui non  potrebbe  essere  equiparata  l'annotazione  in
conto). 
    In punto di non manifesta infondatezza,  il  rimettente  premette
che il tenore letterale del secondo periodo dell'art.  2,  comma  61,
risulterebbe   chiaramente   volto   a   paralizzare    il    diritto
all'ottenimento della restituzione di  somme  indebitamente  versate,
non consentendo un'interpretazione costituzionalmente orientata  tale
da impedire la rimessione alla Corte (sentenze nn. 315, 270 e 26  del
2010). 
    In primo luogo, il giudice a quo lamenta la violazione  dell'art.
3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza  della  disposizione
censurata, in quanto: 1) differenziando le posizioni dei correntisti,
a seconda che abbiano effettuato versamenti  indebiti  prima  o  dopo
l'entrata in vigore della norma censurata, la  norma  ammetterebbe  o
escluderebbe   la   restituzione    dell'indebito    unicamente    ed
irragionevolmente in base al dato temporale; 2) essa differenzierebbe
irragionevolmente i rapporti regolati in conto corrente bancario  dai
rapporti regolati in conto corrente ordinario o maturati in  rapporti
di altra natura. 
    Il giudice a quo assume, altresi',  la  violazione  dell'art.  24
Cost., in quanto la norma, nel disporre che  non  si  fa  luogo  alla
restituzione delle somme gia' versate alla data di entrata in  vigore
della  legge  di  conversione,  impedirebbe  di   fatto   la   tutela
giurisdizionale del diritto (sia del correntista che dell'istituto di
credito)  alla  restituzione  di  somme   indebite   ed   inciderebbe
retroattivamente   sul   diritto   all'effettivita'   della    tutela
giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive. 
    Ad avviso del rimettente, la disposizione  sarebbe  in  contrasto
anche  con  l'art.  102  Cost.,  in  quanto,  data  la  sua   valenza
retroattiva, violerebbe l'integrita' delle  attribuzioni  del  potere
giurisdizionale,  incidendo   sulle   pronunce   di   condanna   alla
ripetizione dell'indebito cui l'obbligato non abbia ancora  adempiuto
e sui giudizi ancora pendenti. 
    Infine, il rimettente ritiene che la disposizione censurata violi
l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6  della  CEDU,
come diritto ad un giusto processo, nell'interpretazione datane dalla
Corte EDU, in quanto essendo destinata ad  incidere  retroattivamente
su  diritti  gia'  maturati  in  base  all'ordinamento  preesistente,
interferirebbe, determinando un vantaggio per  una  delle  parti  del
giudizio, su singole cause o su determinate tipologie di controversie
gia'  pendenti,  in  assenza  di  ragioni  imperative  di   interesse
generale. 
    9.8. - Con memoria depositata in data  18  novembre  2011  si  e'
costituita in giudizio A.B. chiedendo che il citato art. 2, comma 61,
sia dichiarato costituzionalmente illegittimo, per  violazione  degli
artt. 2, 3, 23, 24,  47,  77,  102,  111  e  117,  Cost.,  parametro,
quest'ultimo, evocato in relazione all'art. 6 della CEDU. 
    Le argomentazioni sottese alle singole  censure  risultano  nella
sostanza analoghe a quelle  svolte  nella  comparsa  di  costituzione
della parte privata A.C. relativamente al giudizio r.o.  n.  167  del
2011. Pertanto, si rinvia in merito a quanto esposto con  riferimento
a tale giudizio. 
    Il 15 dicembre 2011 A.B. ha  depositato  istanza  di  trattazione
congiunta del procedimento iscritto al  r.o.  n.  252  del  2011  con
quello n. 167 del 2011 per ragioni di connessione oggettiva. 
    Con atto depositato in data 20 dicembre 2011, e'  intervenuto  il
Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e  difeso  dalla
Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la sollevata questione
di  legittimita'  costituzionale  sia  dichiarata  inammissibile   o,
comunque, infondata. 
    In primo luogo, la difesa erariale  osserva  come  il  rimettente
abbia erroneamente omesso di dare una lettura del secondo periodo  in
correlazione con il primo, finendo per interpretare la norma in senso
puramente letterale,  senza  coglierne  l'effettivo  significato.  Al
riguardo, la prima disposizione sulla prescrizione si riferirebbe  al
diritto di fare  valere  sotto  ogni  profilo  -  sia  contabile  che
sostanziale  -  l'erroneita'  delle  annotazioni  in   conto   e   la
disposizione che preclude la ripetizione degli importi  gia'  versati
andrebbe letta in stretta correlazione con la prima, in modo tale  da
sottrarsi alle eccezioni di incostituzionalita'. 
    Nel merito, il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  svolge
sostanzialmente le medesime argomentazioni sulla non fondatezza della
questione, di cui all'atto di intervento del 19 luglio 2011  relativo
al giudizio iscritto al r.o. n. 145 del 2011, al quale si fa rinvio. 
    In data 17 gennaio  2012  e,  dunque,  fuori  termine,  Unicredit
s.p.a., quale incorporante il Banco di Sicilia, ha depositato memoria
di  costituzione,  chiedendo  che  la   questione   di   legittimita'
costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. 
    Il 17 gennaio 2012 il Presidente del Consiglio  dei  ministri  ha
depositato memoria illustrativa, riportandosi alle conclusioni di cui
alla memoria di intervento. 
    9.9. - Il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 13 aprile  2011
(r.o. n. 258 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3,
24, 47, 101, 102, 104, 111, 117, primo  comma,  Cost.,  questione  di
legittimita' costituzionale  della  medesima  norma  censurata  dalle
ordinanze precedentemente illustrate. 
    In punto di  fatto,  il  rimettente  espone  che  Adria  Trading.
s.r.l.,  in  liquidazione,  aveva  convenuto  in  giudizio  la  Banca
Nazionale del Lavoro, s.p.a., agenzia di  Mestre,  chiedendo,  previa
declaratoria  di  nullita'   delle   clausole   di   capitalizzazione
trimestrale degli interessi passivi,  delle  commissioni  di  massimo
scoperto, delle spese e  degli  interessi  ultralegali,  la  condanna
della banca alla restituzione delle somme indebitamente percepite  in
ordine ai diversi rapporti bancari intercorsi tra le parti  dal  1993
al 2003; che, costituitasi in giudizio, la banca  aveva  eccepito  la
genericita' della domanda e la prescrizione decennale dell'azione  di
ripetizione  dell'indebito,  in  quanto  decorrente  dalla  data   di
annotazione di  ogni  singola  posta;  che  era  stata  disposta  CTU
contabile, considerando sia l'ipotesi della capitalizzazione  annuale
che quella senza capitalizzazione, con scorporo della commissione  di
massimo scoperto; che, nelle more del giudizio, era entrata in vigore
la legge di conversione n. 10 del 2011, con introduzione dell'art. 2,
comma 61. 
    In punto di rilevanza, il rimettente osserva  che,  se  la  nuova
norma dovesse interpretarsi nel senso che la prescrizione del diritto
alla  ripetizione  dell'indebito  decorre  non  gia'  dalla  data  di
estinzione del rapporto  di  conto  corrente  (come  affermato  dalla
Cassazione con la sentenza n. 24418 del 2010), ma  dal  giorno  della
singola annotazione, sarebbe prescritto il diritto  dell'attore  alla
ripetizione degli importi versati a titolo solutorio ed  annotati  in
data anteriore al 1997, ovvero oltre dieci anni prima della  data  di
notificazione  della   richiesta   stragiudiziale   di   restituzione
dell'indebito (con raccomandata notificata alla banca il 19  dicembre
2007). Inoltre, se la seconda parte della norma dovesse interpretarsi
nel senso che, nelle operazioni bancarie regolate in conto  corrente,
ciascuna delle parti puo'  non  restituire  gli  importi,  anche  non
dovuti, gia' versati alla data dell'entrata in vigore della legge  di
conversione n. 10 del 2011, la conseguenza sarebbe il rigetto  totale
della  domanda  di  restituzione  dell'indebito,  essendo  stato   il
rapporto consensualmente chiuso in data 31 dicembre 2003. 
    In via preliminare, il rimettente osserva che, quanto alla  prima
parte dell'art. 2, comma 61, la decorrenza della  prescrizione  dalla
data  dell'annotazione  sarebbe   riferita   ai   «diritti   nascenti
dall'annotazione in conto»  e  non  gia'  all'azione  di  ripetizione
dell'indebito,  che   presupporrebbe   un   atto   "solutorio",   non
ravvisabile  nell'annotazione  in  conto.  Pertanto,  la  norma   non
contrasterebbe  con  quanto  affermato  dalla  Corte  di  cassazione,
sezioni unite, nella sentenza n. 24418  del  2010,  sulla  decorrenza
della prescrizione dell'azione  di  ripetizione  dell'indebito  dalla
chiusura   del   conto,   se   ci   siano   stati   solo   versamenti
"ripristinatori", in quanto l'art.  2,  comma  61,  concernerebbe  la
decorrenza  della  prescrizione   dei   diversi   «diritti   nascenti
dall'annotazione in conto». 
    In ordine alla seconda parte dell'art. 2, comma 61, il rimettente
osserva che la norma non assumerebbe alcun carattere  interpretativo,
perche' essa derogherebbe, con riferimento ai soli rapporti di  conto
corrente bancario, all'art. 2033 cod. civ. e,  conseguentemente,  non
potrebbe avere alcuna valenza retroattiva. 
    Inoltre,  la  sua  formulazione   lessicale   non   consentirebbe
l'applicazione alle ipotesi riguardanti la tutela  dei  diritti  alla
ripetizione nascenti da "pagamenti" su conto (e non da annotazioni su
conto). 
    Il rimettente  solleva,  quindi,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale «in ipotesi  di  ritenuta  applicabilita'  tout  court
della duplice nuova norma anche alle questioni in esame». 
    In primo luogo, il giudice a quo assume la violazione dei  limiti
costituzionali   all'ammissibilita'   delle   norme   interpretative.
Infatti, la norma censurata si porrebbe, in riferimento all'art. 2935
cod. civ.,  in  funzione  "derogativa  ed  innovativa"  -  in  aperto
contrasto con l'orientamento giurisprudenziale in materia  confermato
dalla Corte di cassazione, nella sentenza n. 24418 del 2010 -  e,  in
riferimento all'art. 2033 cod. civ., in funzione "derogativa". 
    In particolare, il rimettente ritiene la norma in  contrasto  con
il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in quanto si  porrebbe
come norma "particolare" in deroga, senza adeguata giustificazione, a
disposizioni dell'ordinamento di carattere generale,  annullando  del
tutto (con l'esclusione del diritto alla ripetizione) i  diritti  che
sarebbero conseguiti a tutela  degli  interessi  lesi  in  danno  del
contraente debole e salvando soltanto e paradossalmente il contraente
forte, con incisione, peraltro, sui soli conti correnti bancari. 
    Il giudice a quo assume,  altresi',  la  violazione  dell'art.  3
Cost., sotto il profilo del principio di uguaglianza,  in  quanto  la
preclusione di ogni azione di ripetizione delle  somme  indebitamente
versate,  alla  data  della  entrata  in  vigore   della   legge   di
conversione,  comporterebbe  una  ingiustificata   compressione   del
diritto di  ripetere  l'indebito,  per  chi  abbia  posto  in  essere
pagamenti fino alla menzionata soglia temporale e non anche  per  chi
non versi ancora nella predetta situazione giuridica. 
    Ad avviso del rimettente sarebbero violati anche gli artt.  24  e
111  Cost.,  con  riferimento   al   principio   inderogabile   della
effettivita' della tutela giudiziaria e del giusto processo,  nonche'
gli  artt.  101,  102  e  104   Cost.,   sotto   il   profilo   della
invulnerabilita' delle funzioni proprie, costituzionalmente riservate
al  potere  giudiziario,  in  quanto:  1)  il  legislatore,  mediante
l'introduzione di una norma intenzionalmente diretta ad  incidere  su
concrete fattispecie gia' sub iudice, porrebbe nel nulla le  funzioni
giurisdizionali,  intervenendo  per   annullare   gli   effetti   del
giudicato;  2)  la  norma  censurata,   lungi   dall'introdurre   una
disciplina organica diretta a regolare una molteplicita' di  rapporti
e  situazioni,  sarebbe  manifestamente  diretta  ad   incidere   sul
contenzioso  pendente  tra  correntisti  e   banche,   al   fine   di
sterilizzare i risultati della giurisprudenza di legittimita'. 
    Il giudice a quo denuncia, altresi', la violazione  dell'art.  47
Cost., in quanto la riscossione e ritenzione di somme indebite  (data
l'applicazione di tassi  di  interesse  ultralegali,  illegittimi  ed
anatocistici), illegittimamente sottratte ai patrimoni e ai  risparmi
dei cittadini, implicherebbe grave violazione  e  compromissione  del
principio del risparmio, idoneo ad incidere per  le  sue  proporzioni
sull'economia e sul reddito dell'intera collettivita'. 
    Il Tribunale di Venezia deduce, infine, la  violazione  dell'art.
117, primo comma, Cost., attraverso la violazione dell'art.  6  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), in quanto la norma  censurata  verrebbe
ad interferire con l'amministrazione della giustizia, in  assenza  di
motivi    imperativi    di    interesse     generale,     modificando
retroattivamente,  in  senso   sfavorevole   agli   interessati,   le
disposizioni di legge attributive di diritti, la  cui  lesione  abbia
dato luogo ad azioni  giudiziarie  ancora  pendenti  all'epoca  della
modifica. 
    9.10. - Con  memoria  depositata  il  25  novembre  2011,  si  e'
costituita nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  la  Banca
Nazionale del Lavoro s.p.a., chiedendo che la sollevata questione  di
legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque,
infondata. 
    L'istituto di credito eccepisce, in primo luogo,  il  difetto  di
motivazione  sulla  rilevanza  della  questione,  non  essendosi   il
rimettente espresso in modo chiaro e puntuale sulla necessita' o meno
di applicazione della norma censurata ai fini della  decisione  della
controversia sottoposta al suo esame. Invero, il giudice a quo,  dopo
avere prospettato delle  interpretazioni  sul  primo  e  sul  secondo
capoverso della norma in questione che  avrebbero  dovuto  portare  a
concludere per l'irrilevanza dell'art. 2, comma  61,  ai  fini  della
decisione della causa, ha  sollevato  la  questione  «in  ipotesi  di
ritenuta applicabilita' tout court della duplice  nuova  norma  anche
alle questioni in esame». 
    Sul piano della non manifesta infondatezza,  la  Banca  Nazionale
del Lavoro s.p.a. osserva che la natura autenticamente interpretativa
della prima parte della norma censurata risulterebbe da due possibili
chiavi di lettura costituzionalmente orientate della stessa. 
    L'istituto di credito  prospetta  una  prima  possibile  lettura,
prendendo  le  mosse  dall'iter  logico  sviluppato  dalla  Corte  di
cassazione nella sentenza n. 24418 del 2010. Dopo avere riassunto  il
percorso argomentativo di tale decisione, la banca  sostiene  che  la
norma censurata si sarebbe posta nel solco  interpretativo  tracciato
da detta sentenza: «la "prescrizione relativa ai diritti nascenti  da
un'annotazione in conto" non puo'  che  riferirsi  alla  prescrizione
della condictio indebiti, che presuppone che  nello  svolgimento  del
conto corrente bancario vi sia stato da parte della banca un addebito
illegittimo, e  il  correntista  lo  abbia  ripianato  attraverso  la
progressiva compensazione che si verifica  con  gli  annotamenti  "in
dare" e "in avere" nel conto corrente bancario, con la annotazione "a
credito" successiva all'illegittimo addebito: sempre sul  presupposto
che quell'annotazione "a credito" non fosse  invece  "ripristinatoria
di provvista" nell'ambito di un'apertura di credito, perche', allora,
il "diritto prescrittibile nascente da un'annotazione in conto" sara'
quello  che  avviene  al  termine  del   rapporto,   allorquando   il
correntista paghi un saldo  passivo  che,  in  ipotesi,  fosse  stato
determinato o almeno influenzato da precedenti addebiti illegittimi».
In  questo   quadro,   la   norma   in   esame   avrebbe   codificato
un'interpretazione espressa dal giudice di legittimita', «sulla  base
del  diritto  vigente,  nell'individuare  il   dies   a   quo   della
prescrizione del diritto di ripetere  indebiti  pagamenti  effettuati
nello svolgimento di un contratto  di  conto  corrente  bancario;  ed
allora non puo' dubitarsi che si sia trattato di norma autenticamente
interpretativa che ha reso vincolante la ragionevole  ed  equilibrata
soluzione ermeneutica espressa dalla Magistratura al  suo  piu'  alto
livello». 
    Secondo  altra  possibile  lettura  della  norma  censurata,   in
combinato con gli artt. 1422 cod. civ. (di  cui  costituirebbe  norma
applicativa nella  materia  bancaria  l'art.  1827  cod.  civ.),  per
prescrizione relativa  ai  «diritti  nascenti  da  un'annotazione  in
conto» si dovrebbe intendere la prescrizione decennale  di  un'azione
ripristinatoria del corretto saldo del conto corrente, con esclusione
di partite basate su titoli nulli. 
    In ogni caso, l'interpretazione data  dal  legislatore  a  regole
gia' esistenti nell'ordinamento non potrebbe contrastare  con  valori
costituzionali. 
    Infine, quanto alla seconda parte della norma censurata, la Banca
Nazionale del Lavoro sottolinea come, ammesso che  tale  disposizione
sia destinata ad incidere su situazioni pregresse, non sarebbero lesi
i  principi  di  uguaglianza,  considerato  che  l'esclusione   della
ripetizione  di  pregressi   pagamenti   riguarderebbe   entrambi   i
contraenti e che il rapporto di un conto corrente bancario ha una sua
specificita', tale da giustificare una diversita' di trattamento  sul
piano della condictio indebiti rispetto ad altri rapporti  negoziali,
anche se di durata, nonche' comportanti un legittimo affidamento. 
    10. - Con atto depositato in data 27 dicembre 2011 e' intervenuto
in giudizio il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e
difeso dalla  Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la
sollevata questione di  legittimita'  costituzionale  sia  dichiarata
inammissibile o, comunque, infondata. 
    Al riguardo, il Presidente del Consiglio dei ministri  svolge  le
medesime argomentazioni sulla non fondatezza della questione, di  cui
all'atto di intervento del 19 luglio 2011 relativo al  giudizio  r.o.
n. 145 del 2011, cui si fa rinvio. 
    In data 13 gennaio 2012 la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a.,  in
persona del legale rappresentante pro tempore, ha depositato atto  di
costituzione di nuovo difensore in aggiunta a quelli gia' costituiti.
Il  17  gennaio  2012  la  Banca  suddetta  ha   depositato   memoria
illustrativa, richiamando gli argomenti gia'  svolti  e  riportandosi
alle conclusioni di cui alla memoria di intervento. 
    Infine, in data 17 gennaio 2012 il Presidente del  Consiglio  dei
ministri  ha  depositato  memoria  illustrativa,  riportandosi   alle
conclusioni di cui alla memoria di costituzione. 
    11. - Il Tribunale di Potenza, con tre ordinanze  del  13  aprile
2011 (r.o. n. 221, 222 e 223 del 2011), ha sollevato, in  riferimento
agli artt. 3 e 24 Cost.,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 2, comma 61, gia' censurato dalle ordinanze che precedono. 
    11.1. - In punto di fatto, nella ordinanza relativa  al  giudizio
r.o. n. 221 del  2011,  il  rimettente  premette  che,  con  atto  di
citazione  ritualmente   notificato,   SA.CA.   Costruzioni   di   A.
Santarsiere e  C.  s.n.c.,  in  persona  dei  legali  rappresentanti,
nonche' i signori A.S. e A.R.C., avevano  convenuto  in  giudizio  la
Banca Carime s.p.a. (Credem), chiedendo: 1) la  rideterminazione  del
saldo - risultato passivo - del conto corrente  intrattenuto  con  la
banca, avendo quest'ultima, nel  corso  del  rapporto,  applicato  la
capitalizzazione  trimestrale  degli  interessi,  interessi  a  tasso
usurario,  nonche'  conteggiato  commissioni  su  massimo   scoperto,
attribuzioni di valuta e spese non corrispondenti a quelle  pattuite;
2) la condanna della banca alla restituzione dell'indebito percepito;
che la Banca Carime s.p.a. si era costituita in  giudizio,  eccependo
la prescrizione decennale del diritto alla ripetizione  dell'indebito
e contestando nel merito le domande degli attori; che,  disposta  CTU
per il  ricalcolo  del  saldo,  all'udienza  del  25  marzo  2011  la
convenuta, nel contestare le risultanze della  consulenza  contabile,
aveva chiesto l'espletamento di nuovi conteggi, stante  l'intervenuta
prescrizione del diritto alla ripetizione delle  somme  versate  alla
banca in applicazione dell'art. 2, comma 61, della legge  n.  10  del
2011. 
    11.2. - Nella ordinanza relativa al giudizio iscritto al r.o.  n.
222 del 2011,  il  rimettente  espone  che,  con  atto  di  citazione
ritualmente notificato, C.I.,  titolare  di  un'impresa  individuale,
aveva convenuto in giudizio la Bancapulia s.p.a. e - premesso che  la
banca, nel corso di quattro rapporti di conto  corrente  intrattenuti
tra le parti, aveva applicato interessi ultralegali non pattuiti  per
iscritto, interessi usurari, la  capitalizzazione  trimestrale  degli
interessi stessi, addebitato costi, oneri e  commissioni  di  massimo
scoperto senza  effettiva  causa  e  specifica  pattuizione  scritta,
gravato i conti sia attraverso il meccanismo  dei  cosiddetti  giorni
valuta, con gli addebiti al correntista in tempo reale o anticipato e
gli accrediti in tempo posticipato,  sia  attraverso  il  sistema  di
calcolo in linea banca anziche' in linea capitale; che  dall'analisi,
ad opera di un consulente, della situazione dei  quattro  conti,  era
risultato, per ognuno di essi, un saldo attivo in favore dell'attrice
- aveva chiesto la condanna dell'istituto di credito al pagamento dei
saldi effettivi  finali  dei  quattro  conti  correnti,  ovvero  alla
restituzione   dell'indebito   versato,    nonche'    al    pagamento
dell'indennizzo per arricchimento senza causa. 
    Il giudice a quo aggiunge che Bancapulia s.p.a. si era costituita
in giudizio, eccependo la prescrizione del  diritto  per  il  periodo
precedente al quinquennio o al decennio dalla data  di  notificazione
dell'atto di citazione e deducendo, nel merito,  la  pattuizione  per
iscritto   del   tasso   di   interesse,   la   legittimita'    della
capitalizzazione degli interessi e il mancato superamento  dei  tassi
soglia usurari. 
    Disposta CTU contabile, all'udienza del 30  marzo  2011,  fissata
per chiarimenti al CTU, parte convenuta,  contestando  le  risultanze
della perizia contabile, aveva chiesto,  in  punto  di  prescrizione,
l'applicazione dell'art. 2, comma 61, della  legge  n.  10  del  2011
nonche' della sentenza della Corte di cassazione, sezioni  unite,  n.
24418 del 2010. 
    11.3. - Nell'ordinanza relativa al giudizio r.o. n. 223 del 2011,
il  rimettente  espone  che,  con  atto  di   citazione   ritualmente
notificato, la societa' Franco Vito & C., s.n.c., aveva convenuto  in
giudizio la Banca Credito Emiliano s.p.a. (Credem) e -  premesso  che
la banca, nel corso nel rapporto di conto corrente di corrispondenza,
con apertura di credito, acceso  prima  del  marzo  del  1994,  aveva
applicato interessi ultralegali non pattuiti per iscritto,  interessi
usurari, la capitalizzazione trimestrale degli interessi,  addebitato
costi, oneri e commissioni di massimo scoperto senza effettiva  causa
e specifica pattuizione scritta, gravato i conti  sia  attraverso  il
meccanismo  dei  cosiddetti  giorni  valuta,  con  gli  addebiti   al
correntista in tempo reale o anticipato  e  gli  accrediti  in  tempo
posticipato, sia attraverso il sistema  di  calcolo  in  linea  banca
anziche'  in  linea  capitale;  che  l'attrice  aveva  analizzato  la
situazione del conto corrente dal 30  giugno  1995  al  30  settembre
2008, conteggiando un saldo attivo in suo favore di euro 164.851,36 -
aveva chiesto la condanna dell'istituto di credito al  pagamento  del
saldo effettivo finale del conto corrente, ovvero  alla  restituzione
dell'indebito  versato,  nonche'  al  pagamento  dell'indennizzo  per
arricchimento senza causa. 
    Il giudice a quo aggiunge che, costituitasi in giudizio, la Banca
Credito Emiliano s.p.a.,  aveva  eccepito,  sul  presupposto  che  il
contratto oggetto di causa fosse stato stipulato il 2 maggio 1995  ed
estinto il 21 ottobre 2008 e che la notifica dell'atto  di  citazione
fosse avvenuta in data 9  febbraio  2009,  la  avvenuta  prescrizione
quinquennale  (per  il  periodo  anteriore  all'8  febbraio  2004)  o
decennale (per il periodo anteriore all'8 febbraio 1999) del diritto;
che, nel merito, aveva dedotto la pattuizione per iscritto del  tasso
di interesse, la legittimita' della capitalizzazione degli  interessi
e il mancato superamento dei tassi soglia usurari. 
    Disposta  CTU  contabile,  all'udienza  del  30  marzo  2011   la
convenuta, contestando le risultanze della consulenza, aveva  chiesto
l'applicazione del censurato art. 2, comma 61, della legge n. 10  del
2011 e la conseguente riconvocazione del CTU  per  l'espletamento  di
nuovi conteggi che tenessero conto dell'intervenuta prescrizione  del
diritto alla ripetizione delle somme versate alla banca.  Di  contro,
l'attrice aveva chiesto di rinviare  la  causa  per  la  precisazione
delle conclusioni  e,  in  subordine,  sostenendo  la  illegittimita'
costituzionale della norma invocata da controparte, aveva invitato il
giudice a sollevare la questione di legittimita' costituzionale. 
    11.4. - In punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza, il
rimettente svolge nelle tre ordinanze (r.o. n. 221,  222  e  223  del
2011) le medesime argomentazioni. 
    Quanto alla rilevanza, dopo avere riportato il testo della  norma
censurata, il giudice a quo osserva che, al fine di decidere se e  in
quali termini affidare al  consulente  l'incarico  di  effettuare  un
nuovo conteggio delle somme movimentate sul conto corrente oggetto di
causa,  ovvero  rinviare  la  causa   per   la   precisazione   delle
conclusioni, non si puo' prescindere dall'esame della citata norma. 
    Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il  rimettente
assume la violazione dei  limiti  interni,  individuati  dalla  Corte
costituzionale, alla  ammissibilita'  di  una  norma  interpretativa,
nonche' degli artt. 3 e 24 della Costituzione. 
    Ad avviso del giudice a quo, al citato art. 2, comma 61, non puo'
essere  attribuita  natura  di  norma  di  interpretazione  autentica
dell'art. 2935 cod. civ., ne'  tantomeno  efficacia  retroattiva.  E,
invero, la norma censurata violerebbe tutti i  limiti  fissati  dalla
Corte  costituzionale  in  tema  di  ammissibilita'  delle  norme  di
interpretazione autentica e di efficacia retroattiva delle leggi. 
    In   particolare,   il   rimettente   ricorda   come   la   Corte
costituzionale abbia chiarito che il legislatore puo' adottare  norme
di interpretazione autentica, non  solo  in  presenza  di  incertezze
sull'applicazione   di    una    disposizione    o    di    contrasti
giurisprudenziali, ma anche quando  la  scelta  imposta  dalla  legge
rientri tra le possibili varianti  di  senso  del  testo  originario,
vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore. 
    Inoltre,  la  stessa   Corte   avrebbe   individuato   i   limiti
all'efficacia  retroattiva  delle  leggi   nella   salvaguardia   del
principio di ragionevolezza, del divieto di ingiustificate disparita'
di trattamento, di tutela del diritto di azione a difesa  dei  propri
diritti ed interessi, del principio di affidamento, nonche' di quello
di coerenza e certezza dell'ordinamento giuridico. 
    Ad avviso del rimettente, nell'ambito del nostro ordinamento, non
sarebbero  ravvisabili   incertezze   circa   la   decorrenza   della
prescrizione  del  diritto  di  ripetere   le   somme   indebitamente
trattenute dalla banca nei rapporti regolati in conto corrente. 
    Il giudice a quo ricorda come la Corte di cassazione abbia,  piu'
volte, chiarito che il termine di prescrizione decennale del  diritto
di ripetizione delle somme indebitamente  trattenute  dalla  banca  a
titolo di interessi su  un'apertura  di  credito  in  conto  corrente
decorre dalla chiusura definitiva del rapporto (ex plurimis: sentenze
n. 10127 del 2005 e n. 2262 del 1984).  Il  rimettente  richiama,  da
ultimo, la sentenza della  Corte  di  cassazione,  sezioni  unite,  2
dicembre 2010, n. 24418, con la quale si e' precisato che  «se,  dopo
la conclusione di  un  contratto  di  apertura  di  credito  bancario
regolato in conto corrente, il correntista agisce per fare dichiarare
la nullita' della clausola che prevede la corresponsione di interessi
anatocistici e per la ripetizione di quanto  pagato  indebitamente  a
questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui  tale  azione
di ripetizione e' soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal
correntista in pendenza del  rapporto  abbiano  avuto  solo  funzione
ripristinatoria della provvista, dalla data in cui e'  stato  estinto
il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non  dovuti  sono
stati registrati». Peraltro, sottolinea il  rimettente,  l'art.  2935
cod. civ. prevede che la prescrizione inizia a decorrere  dal  giorno
in cui il diritto puo' essere fatto valere. 
    Come precisato dalla Corte di cassazione, perche'  possa  sorgere
il diritto alla ripetizione di un pagamento  indebitamente  eseguito,
tale pagamento deve esistere ed essere ben individuabile. 
    Ad avviso del giudice a quo, la statuizione normativa secondo cui
la prescrizione decorre dall'annotazione in conto dell'addebito degli
interessi, attribuendo all'annotazione l'efficacia di  un  pagamento,
introdurrebbe un concetto del tutto innovativo, ponendosi al di fuori
delle possibili varianti interpretative delle preesistenti norme. 
    Inoltre,  qualora  l'applicazione  della   norma   censurata   si
estendesse anche ai giudizi in corso, si violerebbe il principio  del
legittimo affidamento delle parti in relazione all'applicazione di un
orientamento consolidato  in  tema  di  prescrizione,  essendo  stato
operato, per via legislativa, un vero e proprio overruling. 
    Infine, il rimettente  osserva  che  la  citata  norma,  rendendo
impossibile la restituzione degli  importi  gia'  versati  alla  data
della sua entrata in vigore, oltre ad  impedire  ai  titolari  di  un
diritto di ottenere la relativa realizzazione  per  via  giudiziaria,
con  conseguente  violazione  dell'art.   24   Cost.,   non   sarebbe
giustificata da alcun  ragionevole  principio  e  determinerebbe  una
inammissibile disparita' di trattamento, con  conseguente  violazione
dell'art. 3 Cost., tra i debitori che  abbiano  versato  somme  prima
dell'entrata in vigore della legge e debitori che dette somme abbiano
versato successivamente. 
    Con atti di uguale contenuto depositati in data 8 novembre  2011,
e' intervenuto nei giudizi il Presidente del Consiglio del  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la sollevata questione di  legittimita'  costituzionale
sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. 
    In primo luogo, la difesa  erariale  deduce  la  inammissibilita'
della  questione,  in  quanto  il  rimettente  avrebbe  fornito   una
interpretazione non univoca della norma censurata, affermando, da  un
lato, che alla stessa non puo' essere attribuita natura di  norma  di
interpretazione autentica dell'art.  2935  cod.  civ.  ne'  efficacia
retroattiva e, dall'altro, fondando la questione di costituzionalita'
proprio  sulla  natura   interpretativa   e   retroattiva   di   tale
disposizione. 
    Ugualmente   inammissibile    risulterebbe    la    censura    di
illegittimita' costituzionale relativa alla seconda parte della norma
censurata, secondo cui «non  si  fa  luogo  alla  restituzione  degli
importi gia' versati». 
    Anche  in  questo  caso  il  rimettente  si  sarebbe  limitato  a
formulare l'ipotesi che essa  impedisca  la  restituzione  di  quanto
pagato in  eccesso,  senza  sperimentare  altre  possibili  soluzioni
ermeneutiche conformi al dettato costituzionale. 
    Inoltre,  non  sarebbe  chiara  quale  sia   la   disparita'   di
trattamento (con violazione dell'art. 3 Cost.) che si  determinerebbe
tra i debitori in considerazione del momento del versamento  da  essi
effettuato. 
    Nel merito, il Presidente del Consiglio dei  ministri  svolge  le
medesime argomentazioni sulla non fondatezza della questione  di  cui
all'atto di intervento del 19 luglio 2011, relativo al giudizio  r.o.
n. 145 del 2011, cui si fa rinvio. 
    In particolare, con riferimento ai giudizi in  esame,  la  difesa
erariale sottolinea che non risulterebbero violati  il  principio  di
uguaglianza e il diritto di agire in giudizio, essendo  evidente  che
la norma interpretativa di cui trattasi  si  applicherebbe  in  ugual
modo ad  entrambe  le  parti  del  rapporto  e  che  la  norma  sulla
prescrizione,  avendo  natura  sostanziale  e  non  processuale,  non
comporterebbe alcuna lesione  del  principio  costituzionale  sancito
dall'art. 24 Cost. 
    In data 17 gennaio 2012, con intervento, dunque,  fuori  termine,
nel giudizio iscritto al r.o. n. 221 del 2011, la Banca Carime s.p.a.
(Credem), in  persona  del  legale  rappresentante  pro  tempore,  ha
depositato atto  di  costituzione,  chiedendo  che  la  questione  di
legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque,
infondata. 
    11.5. - Il Tribunale di Catania, sezione distaccata di  Belpasso,
con ordinanza  del  26  luglio  2011  (r.o.  n.  247  del  2011),  ha
sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 41, 47 e  102,  Cost.,
questione di legittimita' costituzionale della norma  gia'  censurata
con le precedenti ordinanze. 
    In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che, se la  nuova
norma dovesse interpretarsi nel senso che la prescrizione del diritto
alla  ripetizione  dell'indebito  decorre  non  gia'  dalla  data  di
estinzione del rapporto di conto corrente (come affermato dalla Corte
di cassazione) ma  dal  giorno  della  singola  annotazione,  sarebbe
prescritto il diritto  dell'attore  alla  ripetizione  degli  importi
versati a titolo solutorio ed annotati oltre dieci anni  prima  della
data di notificazione della richiesta stragiudiziale di  restituzione
dell'indebito. Inoltre, se  la  seconda  parte  della  norma  dovesse
interpretarsi nel senso che nelle  operazioni  bancarie  regolate  in
conto corrente ciascuna delle parti puo' non restituire gli  importi,
anche non dovuti, gia' versati alla data dell'entrata in vigore della
legge di conversione n.  10  del  2011,  la  conseguenza  sarebbe  il
rigetto   totale   della   domanda,   essendo   stato   il   rapporto
consensualmente chiuso in data 29 giugno 2010. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, il  rimettente  riproduce
testualmente la motivazione della ordinanza r.o. n. 166 del 2011,  di
cui sopra. 
    Con atto depositato in data 20 dicembre 2011, e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  del  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  che  la  sollevata
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile
o, comunque, infondata. 
    In primo luogo, la difesa  erariale  deduce  la  inammissibilita'
della questione, per carente motivazione sulla rilevanza, non  avendo
il rimettente indicato la causale della pretesa restitutoria (l'unico
indizio fornito al riguardo dall'ordinanza di rimessione concerne  il
carattere "solutorio" dei versamenti effettuati dal correntista). 
    Ugualmente   inammissibile    risulterebbe    la    censura    di
illegittimita' costituzionale,  relativa  alla  seconda  parte  della
norma censurata secondo cui «non si fa luogo alla restituzione  degli
importi gia' versati». Anche in questo caso il rimettente si  sarebbe
limitato a formulare l'ipotesi che essa impedisca la restituzione  di
quanto  pagato  in  eccesso,  senza  sperimentare   altre   possibili
soluzioni ermeneutiche conformi al dettato costituzionale. 
    Nel merito, il Presidente del Consiglio dei  ministri  svolge  in
sostanza  le  medesime  argomentazioni  sulla  non  fondatezza  della
questione, di cui all'atto di intervento del 19 luglio 2011, relativo
al giudizio iscritto al r.o. n. 145 del 2011, al quale si fa rinvio. 
    In particolare, con riferimento al giudizio in esame,  la  difesa
erariale  sottolinea  che  non  risultano  violati  il  principio  di
uguaglianza e il diritto di agire in giudizio, essendo  evidente  che
la norma interpretativa di cui trattasi  si  applicherebbe  in  ugual
modo ad  entrambe  le  parti  del  rapporto  e  che  la  norma  sulla
prescrizione,  avendo  natura  sostanziale  e  non  processuale,  non
comporterebbe alcuna lesione dei principi costituzionali di cui  agli
artt. 24 e 102 Cost. 
    In data 17 gennaio 2012 e,  pertanto,  fuori  termine,  il  Banco
Popolare Soc. Coop., quale successore della Banca  Popolare  di  Lodi
s.p.a.,  in  persona  del  legale  rappresentante   pro-tempore,   ha
depositato atto  di  costituzione,  chiedendo  che  la  questione  di
legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque,
infondata. 
    Considerato in diritto 
    1. - Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni,  con
l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,  dubita,  in  riferimento   agli
articoli 3, 24,  101,  102,  104,  111  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione, nonche' ai limiti interni individuati da  questa  Corte
in ordine all'ammissibilita' di una  legge  d'interpretazione,  della
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 61, del  decreto-legge
29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni
legislative e di  interventi  urgenti  in  materia  tributaria  e  di
sostegno   alle   imprese   e   alle   famiglie),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n.  10  (comma  aggiunto
dalla legge di conversione),  che  cosi'  dispone:  «In  ordine  alle
operazioni bancarie regolate in conto corrente  l'articolo  2935  del
codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai
diritti nascenti dall'annotazione in conto  inizia  a  decorrere  dal
giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non  si  fa  luogo  alla
restituzione d'importi gia' versati alla data di  entrata  in  vigore
della legge di conversione del presente decreto». 
    Ad  avviso  del  rimettente,  la  norma  censurata  violerebbe  i
menzionati parametri costituzionali, in primo  luogo,  per  contrasto
col principio  di  ragionevolezza  (art.  3  Cost.),  in  quanto:  1)
mancherebbe una norma specifica  da  interpretare,  quale  condizione
dell'esercizio del potere  di  legislazione  a  fini  interpretativi,
cioe' una norma  che  disciplini  di  per  se'  la  decorrenza  della
prescrizione con riguardo al singolo contratto bancario  regolato  in
conto corrente,  essendo  la  lacuna  colmata  dagli  interpreti  con
l'applicazione di una norma generale, qual e' l'art. 2935 cod.  civ.,
nonche'  di  principi  desumibili  dalla  disciplina  delle   singole
operazioni bancarie e di principi in tema di estinzione del  rapporto
obbligatorio e di condictio indebiti; 2) la soluzione  interpretativa
prescelta dal legislatore non  potrebbe  essere  inclusa  tra  quelle
legittimamente desumibili dalla disciplina complessiva dell'istituto,
perche', come posto in luce dalla Corte di cassazione a sezioni unite
nella sentenza n. 24418  del  2  dicembre  2010,  in  armonia  con  i
principi  generali  in  materia  di   adempimento,   di   ripetizione
d'indebito e con quelli relativi alla causa del  contratto  di  conto
corrente bancario, la decorrenza della prescrizione  dovrebbe  essere
individuata:  a)  nella  chiusura  del  rapporto,  quando  non  siano
effettuati  versamenti  in  pendenza  del  rapporto  stesso,   oppure
allorche' il versamento (effettuato in pendenza del rapporto),  abbia
funzione   meramente   ripristinatoria   dell'affidamento;   b)   nel
versamento, in ipotesi  di  conto  passivo  senza  affidamento  o  di
superamento del limite affidato. 
    Inoltre, la norma in questione si porrebbe  in  contrasto  con  i
principi di ragionevolezza e di uguaglianza, e,  quindi,  ancora  con
l'art. 3  Cost.,  perche':  1)  essa,  con  una  previsione  ad  hoc,
introdurrebbe una disciplina che,  menomando  i  poteri  di  reazione
processuale  dei  clienti  del  sistema  bancario,  assicurerebbe  un
ingiustificato    privilegio    per    le    banche,     determinando
un'inammissibile disparita'  di  trattamento  tra  due  categorie  di
soggetti;  2)  introdurrebbe  un  termine  per   il   decorso   della
prescrizione diverso, non soltanto dall'unico coerente (chiusura  del
conto) con la causa dei contratti bancari regolati in conto  corrente
(in particolare, del contratto di  apertura  di  credito),  ma  anche
dallo  statuto  normativo  dei  singoli  tipi  contrattuali,  recanti
profili di affinita' con il rapporto de quo (mandato, deposito, per i
quali la prescrizione dei diritti dai medesimi derivanti decorrerebbe
dalla   cessazione   dei    contratti    stessi),    cosi'    creando
un'inammissibile disparita' di trattamento tra tipologie contrattuali
assimilabili sotto il profilo funzionale; 3)  la  censurata  paralisi
dei poteri sostanziali e processuali volti a tutelare gli utenti  del
sistema bancario sarebbe destinata ad operare soltanto per  le  somme
gia'  versate  alla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge   di
conversione del citato  d.l.,  con  ingiustificata  compressione  del
diritto a ripetere l'indebito per chi abbia posto in essere pagamenti
fino alla suddetta soglia temporale. 
    La norma censurata si porrebbe, altresi', in  contrasto:  1)  con
l'art. 24 Cost., sotto il profilo della indefettibilita' della tutela
giurisdizionale, in quanto la prima parte di essa  farebbe  decorrere
la prescrizione da una circostanza  di  fatto,  cioe'  l'annotazione,
esulante dalla sfera conoscitiva e  di  conoscibilita'  del  cliente,
mentre  la  seconda  parte  -  in  base  ad  una  possibile   opzione
interpretativa, peraltro (ad avviso del rimettente)  suscettibile  di
essere  esclusa  con  un'esegesi   della   norma   costituzionalmente
orientata - introdurrebbe  il  divieto  di  ripetizione  delle  somme
indebitamente corrisposte  dal  cliente  alla  banca,  alla  data  di
entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 225
del 2010; 2) con gli artt. 101, 102 e 104  Cost.,  sotto  il  profilo
dell'integrita' delle attribuzioni  costituzionalmente  riservate  al
potere giudiziario,  trattandosi  di  stabilire  «se  la  statuizione
contenuta nella norma censurata integri  effettivamente  i  requisiti
del precetto di fonte legislativa, come tale dotato dei caratteri  di
generalita' e astrattezza, ovvero sia diretta ad incidere su concrete
fattispecie sub iudice, a  vantaggio  di  una  delle  due  parti  del
giudizio»; 3) con l'art. 111  Cost.,  sotto  il  profilo  del  giusto
processo, sub specie della parita' delle armi,  in  quanto  la  norma
censurata, supportata da una espressa previsione  di  retroattivita',
verrebbe a sancire - se non altro dalle ipotesi in cui dalle indebite
annotazioni della banca sia gia' decorso un decennio  -  la  paralisi
processuale  della  pretesa  fatta  valere  da  chi  abbia  agito  in
giudizio, esperendo un'azione di ripetizione d'indebito. 
    Infine, la norma di cui si tratta violerebbe  l'art.  117,  primo
comma, Cost., attraverso la violazione dell'art. 6 della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali (CEDU), come diritto ad un giusto processo, in quanto il
legislatore nazionale, in presenza di un notevole contenzioso e di un
orientamento della  Corte  di  cassazione  sfavorevole  alle  banche,
avrebbe interferito nell'amministrazione della giustizia,  assegnando
alla norma interpretata un significato vantaggioso per una parte  del
processo, in assenza di «motivi imperativi  di  interesse  generale»,
come enucleati dalla giurisprudenza della Corte europea  dei  diritti
dell'uomo. 
    2. - Il Tribunale  di  Benevento,  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe, dubita, in riferimento agli artt.  3,  24,  41,  47  e  102
Cost., della legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  61,  del
d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.
10 del 2011 (comma aggiunto da detta legge di conversione). 
    Secondo il giudice a quo, il primo periodo della norma censurata,
«se dovesse interpretarsi nel senso  che  la  prescrizione  decennale
(dell'azione di ripetizione dell'indebito) decorre non dalla data  di
estinzione del rapporto  di  conto  corrente  -  come  confermato  di
recente da Cass., sez. un., n. 24418 del 2010 - ma dal giorno di ogni
singola annotazione in conto», violerebbe l'art. 3  Cost.,  sotto  il
profilo  della  irragionevolezza  della  norma   stessa,   per   aver
travalicato  i  limiti   interni   all'ammissibilita'   delle   norme
interpretative e, in generale, all'efficacia retroattiva delle leggi,
in quanto: 1) non vi sarebbe stato  alcun  dubbio  interpretativo  in
ordine  alla  decorrenza  della  prescrizione  dei  diritti  nascenti
dall'annotazione nelle operazioni bancarie in conto corrente, perche'
sul punto vi sarebbe stata costante  giurisprudenza  della  Corte  di
cassazione, ribadita, da ultimo, dalla medesima Corte a sezioni unite
(sentenza  n.  24418  del  2010);  2)  la  norma  in  questione,  pur
qualificandosi interpretativa, di fatto avrebbe carattere innovativo,
ponendosi in contrasto  con  la  disciplina  normativa  e  la  natura
giuridica delle operazioni bancarie in conto corrente,  di  cui  agli
artt. 1852-1857 cod. civ., nonche' con il principio generale  di  cui
all'art. 2935 cod. civ., in tema di  decorrenza  della  prescrizione,
«considerato  che  la  dottrina  e  la  giurisprudenza  hanno  sempre
ritenuto che nei contratti bancari di credito con esecuzione ripetuta
di piu' prestazioni, quali  contratti  unitari,  fonti  di  un  unico
rapporto giuridico anche se articolati  in  una  pluralita'  di  atti
esecutivi, solo con il conto finale si stabiliscono definitivamente i
crediti e i debiti delle parti e se ne determina l'esigibilita'». 
    Ancora,  sarebbe  violato  l'art.  3  Cost.,  per  disparita'  di
trattamento e per contrasto col principio di uguaglianza, qualora «la
norma censurata si applicasse anche per il passato ed ai  giudizi  in
corso». 
    Inoltre, la norma in questione: a) si porrebbe in  contrasto  con
gli artt. 41  e  47  Cost.,  frustrando  i  principi  di  tutela  del
risparmio delle  famiglie  e  delle  imprese  e,  dunque,  la  libera
iniziativa economica, perche' verrebbe ad incidere in senso  negativo
sulle legittime aspettative, coltivate da queste ultime, di  ottenere
in restituzione  ingenti  somme  indebitamente  contabilizzate  dalla
controparte durante lo svolgimento di rapporti in  conto  corrente  e
riscosse in violazione di norme di ordine pubblico (quale il  divieto
di anatocismo); b) rischierebbe  di  pregiudicare  anche  il  diritto
delle banche ad ottenere  in  restituzione  somme  date  a  mutuo  ai
correntisti in regime di apertura di credito in  conto  corrente,  se
annotate prima di dieci anni dalla formale richiesta di rientro o  di
pagamento del saldo finale  di  chiusura  del  conto;  c)  violerebbe
l'art. 24 Cost., in quanto,  se  essa  si  applicasse  anche  per  il
passato ed ai giudizi in corso, impedirebbe ai titolari di diritti di
ottenerne la realizzazione in via giudiziaria, poiche' le norme sulla
prescrizione, pur avendo natura  sostanziale,  produrrebbero  effetti
sul piano processuale, stante l'efficacia estintiva delle stesse;  d)
violerebbe l'art. 102 Cost., perche', se si applicasse anche  per  il
passato  ed  ai  giudizi  in  corso,  «comporterebbe  una   invasione
ingiustificata delle prerogative giudiziarie». 
    Infine, con riguardo al secondo periodo  della  norma  censurata,
«se dovesse interpretarsi nel senso  che  nelle  operazioni  bancarie
regolate in conto corrente ciascuna delle parti puo'  non  restituire
gli importi gia' versati alla data del 27 febbraio  2011  -  data  di
entrata in vigore della legge di conversione n. 10 del 2011  -  anche
se non dovuti»,  sarebbero  violate  le  norme  costituzionali  sopra
richiamate, nonche' i canoni di logica elementare, in quanto la norma
irragionevolmente  stabilirebbe  che  chi  (anche  una  banca)  abbia
versato alla data del 27 febbraio 2011 degli importi a credito in  un
rapporto regolato in conto corrente,  "in  ogni  caso"  non  potrebbe
ottenerli in restituzione dal suo debitore. 
    3. - Il Tribunale di Lecce, sezione  distaccata  di  Maglie,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in  riferimento  agli
artt. 3, 23, 24, 47, 111 e 117,  primo  comma,  Cost.,  questione  di
legittimita' costituzionale del gia' citato art. 2, comma 61. 
    Ad avviso del rimettente, il primo periodo della norma  censurata
violerebbe l'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza  e
della lesione del principio di affidamento,  in  quanto:  1)  facendo
decorrere la prescrizione dell'azione  di  ripetizione  dell'indebito
dalla data dell'annotazione, attribuirebbe a quest'ultima un  effetto
solutorio che essa non puo' avere, non essendovi stato  pagamento,  e
cio' in  contrasto  con  la  ricostruzione  operata  dalla  Corte  di
cassazione, con la sentenza n.  24418  del  2010;  2)  se  la  norma,
invece, dovesse  essere  interpretata  nel  senso  che  si  riferisce
all'azione diretta a far  dichiarare  la  nullita'  della  previsione
contrattuale in base alla quale l'annotazione e' stata effettuata, si
sarebbe in presenza di una  disposizione  di  carattere  eccezionale,
priva di qualsiasi giustificazione, essendo principio  generale,  non
suscettibile di eccezioni, quello secondo cui l'azione di nullita' e'
imprescrittibile; 3) la  norma  violerebbe  tutti  i  limiti  interni
all'ammissibilita'  delle  norme   interpretative   e   all'efficacia
retroattiva   della   legge,   perche'   introdurrebbe   una   deroga
ingiustificata al principio generale stabilito  dall'art.  2935  cod.
civ., e cagionerebbe una lesione all'affidamento  dei  risparmiatori,
ingenerato dalla legge vigente e  da  consolidata  giurisprudenza  in
ordine  all'aspettativa  di  ottenere  la   ripetizione   di   quanto
illegittimamente addebitato dalle banche, cosi' minando  la  certezza
dei rapporti giuridici e la coerenza del sistema. 
    Inoltre, la norma in questione si porrebbe in contrasto  con  gli
artt.  24  e  111  Cost.,  perche':  a)  consentirebbe  alla   banca,
attraverso l'annotazione in conto, di precostituire  la  prova  della
data  di  decorrenza  del  termine  di  prescrizione,  sovvertendo  i
principi generali in materia di prova,  di  cui  agli  artt.  2709  e
seguenti  cod.  civ.  e  634  del  codice  di  procedura  civile;  b)
attribuirebbe alla medesima  banca  un  potere  di  attestazione,  in
contrasto con la natura privatistica degli istituti  di  credito;  c)
consentirebbe  ad  una  delle  parti  di  godere  di  una   posizione
privilegiata  nella  costituzione  della  prova,  in  contrasto   con
l'esigenza che la difesa in giudizio si svolga in modo adeguato e con
parita' delle armi tra i contendenti. 
    Ancora, sarebbero violati l'art. 47 Cost.,  in  quanto  la  norma
censurata introdurrebbe una disciplina di privilegio per le banche e,
quindi, di svantaggio per i  singoli  risparmiatori,  nonche'  l'art.
117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 12  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea, perche' detta norma,  introducendo
una disciplina di palese  favore  per  le  banche  e  sfavorevole  ai
consumatori, si porrebbe  in  contrasto  col  principio  fondamentale
secondo cui, nei rapporti con  le  imprese,  deve  essere  assicurata
particolare tutela e protezione al consumatore, in quanto  contraente
piu' debole, nell'ottica di un necessario riassetto  degli  equilibri
esistenti. 
    Quanto al secondo periodo della norma censurata, esso, ad  avviso
del rimettente,  si  presterebbe  a  due  possibili  interpretazioni:
quella alla  stregua  della  quale  per  "importi  gia'  versati"  si
dovrebbero intendere gli importi gia' annotati e quella per  cui  con
la detta espressione si dovrebbe avere riguardo agli importi  che,  a
chiusura del conto, siano stati determinati ed, eventualmente,  anche
corrisposti. 
    La norma, comunque, violerebbe gli  artt.  3,  24  e  111  Cost.,
perche': 1) essa, in modo irrazionale, determinerebbe un principio di
irripetibilita' connesso al mero dato di fatto dell'entrata in vigore
della legge, in difetto di ogni esigenza di ordine pubblicistico;  2)
del pari in modo irrazionale sarebbero  cancellati  i  diritti  delle
parti, scaturenti da un eventuale errore di  calcolo  o  da  nullita'
delle  clausole  sulla  cui  base  i  calcoli  stessi   siano   stati
effettuati;  3)  si  tratterebbe  di  una   norma   irragionevolmente
retroattiva, con incidenza su posizioni  giuridiche  gia'  formatesi,
anche se non ancora giuridicamente accertate; 4) la  norma,  operando
retroattivamente, lederebbe l'affidamento dei cittadini nella  legge;
5) sarebbe altresi' violato il principio della certezza del diritto. 
    Infine, la norma censurata si porrebbe in violazione dell'art. 23
Cost., perche' avrebbe un sostanziale effetto ablativo nei  confronti
di chi sia stato vittima  di  un  errore  di  annotazione  ovvero  di
un'annotazione in  base  a  clausola  nulla,  nonche'  in  violazione
dell'art. 117, primo  comma,  Cost.,  in  relazione  all'art.  1  del
Protocollo numero 1 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea
dei diritti dell'uomo, nel  senso  che  la  nozione  di  "beni"  puo'
comprendere sia beni effettivi, sia valori patrimoniali,  compresi  i
crediti, in virtu' dei quali il  ricorrente  potrebbe  pretendere  di
avere  almeno  la  "speranza  legittima"  di   ottenere   l'effettivo
godimento di un diritto di proprieta', mentre  la  norma  di  cui  si
tratta si risolverebbe in una ingiustificata ablazione di un  diritto
di credito. 
    4. -  Il  Tribunale  di  Nicosia,  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe, dubita della legittimita'  costituzionale  della  norma  in
esame, in riferimento agli artt. 3,  24,  102  e  117,  primo  comma,
Cost., limitatamente al secondo periodo della norma stessa. 
    Il rimettente ritiene che la norma censurata violi: a)  l'art.  3
Cost., sotto il profilo della irragionevolezza, perche'  ammetterebbe
o escluderebbe la restituzione dell'indebito unicamente  in  base  al
dato  temporale,  in  tal  guisa  differenziando  senza   ragionevole
giustificazione i rapporti regolati in conto  corrente  bancario  dai
rapporti regolati in conto corrente ordinario o maturati in  rapporti
di altra natura; b) l'art. 24 Cost., in quanto, nel disporre che  non
si faccia luogo alla restituzione delle somme gia' versate alla  data
di entrata in vigore della legge di conversione, impedirebbe di fatto
la tutela  giurisdizionale  del  diritto  (sia  del  correntista  sia
dell'istituto di credito) alla  restituzione  di  somme  non  dovute,
incidendo retroattivamente sul diritto all'effettivita' della  tutela
giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive; c) l'art. 102
Cost., in quanto la  norma,  data  la  sua  valenza  retroattiva,  si
porrebbe in contrasto con le attribuzioni del potere giurisdizionale,
incidendo sulle pronunzie di condanna alla ripetizione  dell'indebito
e sui giudizi  ancora  pendenti;  d)  l'art.  117,  primo  comma,  in
relazione all'art. 6  CEDU,  come  diritto  ad  un  giusto  processo,
nell'interpretazione  datane  dalla   Corte   europea   dei   diritti
dell'uomo,  in  quanto  la  norma  censurata,  essendo  destinata  ad
incidere  retroattivamente  su  diritti   gia'   maturati   in   base
all'ordinamento preesistente, verrebbe ad  interferire,  determinando
un vantaggio per una delle parti del giudizio, su singole cause o  su
determinate tipologie di controversie gia' pendenti,  in  assenza  di
ragioni imperative d'interesse generale. 
    5. -  Il  Tribunale  di  Venezia,  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli artt.  3,  24,  47,  101,
102, 104, 111 e 117, primo comma, Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale del medesimo art. 2, comma 61. 
    Il  rimettente,  con  riguardo  al  primo  periodo  della   norma
censurata, «se dovesse interpretarsi nel senso  che  la  prescrizione
decennale (dell'azione  di  ripetizione  dell'indebito)  decorre  non
dalla data di estinzione  del  rapporto  di  conto  corrente  -  come
confermato di recente da Cass., sez. un., n. 24418 del 2010 - ma  dal
giorno di ogni singola annotazione in conto», e  al  secondo  periodo
della norma censurata, «se dovesse interpretarsi nel senso che  nelle
operazioni bancarie regolate in conto corrente ciascuna  delle  parti
puo' non restituire  gli  importi  gia'  versati  alla  data  del  27
febbraio 2011 - data di entrata in vigore della legge n. 10 del  2011
- anche se non dovuti», e con riguardo  ad  entrambi  i  periodi  «in
ipotesi di ritenuta applicabilita' tout court della  (duplice)  nuova
norma anche alle questioni in esame», sostiene che la norma  suddetta
violerebbe l'art. 3 Cost., perche' irragionevole, in quanto: 1) essa,
superando   i   limiti   interni    all'ammissibilita'    di    norme
interpretative, derogherebbe all'art. 2935 cod.  civ.,  ponendosi  in
aperto contrasto con l'orientamento della giurisprudenza in  materia,
confermato dalla Corte di cassazione a sezioni unite  con  la  citata
sentenza n. 24418 del  2010;  2)  la  norma  stessa  si  porrebbe  in
funzione "derogativa" in riferimento all'art. 2033 cod. civ. e, senza
adeguata     giustificazione,     derogherebbe     a     disposizioni
dell'ordinamento di carattere generale, annullando, con  l'esclusione
del diritto alla ripetizione,  i  diritti  in  danno  del  contraente
debole, nell'ambito dei rapporti di conto corrente bancario. 
    Inoltre, la norma in questione violerebbe:  a)  l'art.  3  Cost.,
sotto il profilo del principio di uguaglianza, perche' la preclusione
all'azione di ripetizione di somme indebitamente versate alla data di
entrata in vigore della legge di conversione  darebbe  luogo  ad  una
ingiustificata compressione del diritto di ripetere  l'indebito,  per
chi abbia  posto  in  essere  pagamenti  fino  alla  suddetta  soglia
temporale, e non anche  per  chi  non  versi  ancora  nella  predetta
situazione giuridica; b) gli artt. 24 e 111 Cost., con riferimento al
principio inderogabile dell'effettivita' della tutela  giudiziaria  e
del giusto processo; c) gli artt. 101, 102  e  104  Cost.,  sotto  il
profilo  della  invulnerabilita'  delle  funzioni  costituzionalmente
riservate al potere giudiziario;  d)  l'art.  47  Cost.,  perche'  la
ritenzione di somme indebite, illegittimamente sottratte ai  risparmi
dei cittadini, implicherebbe una grave compromissione  del  principio
di tutela del risparmio;  e)  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 6 della CEDU, perche', modificando  con  efficacia
retroattiva, in senso sfavorevole agli interessati,  disposizioni  di
legge attributive di diritti, la cui  lesione  abbia  dato  luogo  ad
azioni giudiziarie ancora pendenti all'epoca della modifica, verrebbe
ad interferire con l'amministrazione della giustizia, in  assenza  di
motivi imperativi d'interesse generale. 
    6. - Il Tribunale di Potenza, con le  tre  ordinanze  di  analogo
tenore indicate in epigrafe, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24
Cost., della legittimita' costituzionale della normativa  piu'  volte
indicata. 
    Il rimettente ritiene che  la  norma  censurata  violi  i  limiti
interni all'ammissibilita' di una legge d'interpretazione autentica e
alla efficacia  retroattiva  delle  leggi,  sotto  il  profilo  della
irragionevolezza e della lesione del legittimo  affidamento  (art.  3
Cost.),  in  quanto:  1)  non   vi   sarebbe   stato   alcun   dubbio
interpretativo in  ordine  alla  decorrenza  della  prescrizione  dei
diritti nascenti dall'annotazione nelle operazioni bancarie in  conto
corrente, perche', da ultimo, la Corte di cassazione a sezioni unite,
con la  sentenza  n.  24418  del  2010,  avrebbe  ribadito  che,  nei
contratti bancari in  conto  corrente,  il  termine  di  prescrizione
decennale dell'azione di ripetizione dell'indebito (ad  esempio,  per
nullita' della clausola di capitalizzazione degli interessi) decorre,
qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza di rapporto
abbiano avuto funzione ripristinatoria della provvista, dalla data di
estinzione del saldo di chiusura del conto in cui gli  interessi  non
dovuti sono stati registrati; 2) la statuizione normativa, secondo la
quale la prescrizione  del  diritto  alla  ripetizione  dell'indebito
dovrebbe decorrere  dall'annotazione  in  conto  dell'addebito  degli
interessi,  attribuendo  a  detta  annotazione  l'efficacia   di   un
pagamento, introdurrebbe un concetto del tutto innovativo,  ponendosi
al di fuori  delle  possibili  varianti  interpretative  delle  norme
preesistenti, avuto  riguardo  anche  alle  risultanze  della  citata
sentenza della Corte di legittimita'; 3) qualora l'applicazione della
norma censurata si estendesse anche ai giudizi in  corso,  resterebbe
violato anche il principio del legittimo affidamento delle parti,  in
relazione all'applicazione di un orientamento consolidato in tema  di
prescrizione, essendo stato operato, per via legislativa, un  vero  e
proprio overruling. 
    L'art. 3 Cost. sarebbe, altresi', violato sotto il profilo  della
ragionevolezza e dell'uguaglianza, perche'  la  mancata  restituzione
degli importi gia' versati, alla data  di  entrata  in  vigore  della
legge di conversione,  creerebbe  una  ingiustificata  disparita'  di
trattamento tra debitori che abbiano versato somme prima dell'entrata
in vigore della legge e debitori che abbiano versato  tali  somme  in
epoca successiva. 
    Infine, sarebbe violato l'art. 24 Cost., in quanto  la  norma  in
questione, rendendo impossibile la restituzione  degli  importi  gia'
versati alla  data  della  sua  entrata  in  vigore,  impedirebbe  ai
titolari  di  un  diritto  di  ottenerne  la  realizzazione  per  via
giudiziaria. 
    7. - Il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Belpasso, con
l'ordinanza indicata in epigrafe, solleva questione  di  legittimita'
costituzionale  della  norma  gia'  censurata   con   le   precedenti
ordinanze, in riferimento agli artt. 3,  24,  41,  47  e  102  Cost.,
svolgendo considerazioni identiche a quelle contenute  nell'ordinanza
del Tribunale di Benevento (punto  2  che  precede),  alla  quale  si
rinvia. 
    8.-Le nove ordinanze  di  rimessione,  qui  riassunte,  sollevano
tutte questione di legittimita' costituzionale della  medesima  norma
(art. 2, comma  61,  del  d.l.  n.  225  del  2010,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 10 del 2001 - comma aggiunto in sede di
conversione), adducendo argomenti analoghi o identici. 
    Pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti  per  essere  definiti
con unica sentenza. 
    9. - In relazione all'ordinanza di rimessione  del  Tribunale  di
Brindisi,  sezione  distaccata  di  Ostuni,  l'istituto  di   credito
resistente  (Banca  Monte  dei  Paschi  di   Siena,   s.p.a.,   quale
incorporante della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a., poi  Banca
Antonveneta s.p.a.) ha eccepito la manifesta  inammissibilita'  della
questione, sia per carente motivazione sulla rilevanza,  sia  perche'
il rimettente avrebbe articolato in modo indistinto  le  sue  censure
rispetto alle due diverse disposizioni che compongono la norma di cui
si discute, sia perche' - pur prendendo le mosse dalla sentenza  resa
dalla Corte di cassazione a sezioni unite, n.  24418  del  2010,  che
aveva avuto riguardo ad un contratto di apertura di credito  bancario
in conto corrente - egli avrebbe  omesso  di  distinguere  tra  conti
correnti ordinari e conti  correnti  con  apertura  di  credito,  tra
annotazioni per un prelievo e per un versamento, tra  versamenti  con
cui il correntista "rientra" dal cosiddetto  extrafido  e  versamenti
riespansivi del credito assentito dalla banca,  trascurando  di  dare
qualsiasi informazione in ordine al titolo  dedotto  dall'attore  nel
giudizio principale, a sostegno della sua pretesa restitutoria. 
    Inoltre, il giudice a  quo  avrebbe  omesso  qualsiasi  cenno  in
ordine alla qualificazione delle annotazioni per le quali si  sarebbe
potuto  agire  per  la  ripetizione  dell'indebito,   se   vi   fosse
un'apertura di credito regolata in  conto  corrente,  se  vi  fossero
stati versamenti da parte del correntista. 
    Anche l'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta nel giudizio
in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri,
ha sostenuto che  la  questione  sarebbe  inammissibile,  perche'  il
Tribunale avrebbe omesso di valutarne la  rilevanza,  limitandosi  «a
svolgere  astratte  considerazioni  sulla  legittimita'  della  norma
censurata, senza tuttavia spiegare se  e  in  quali  termini  la  sua
applicazione possa  incidere  concretamente  sull'esito  della  causa
pendente dinanzi  a  se'».  In  particolare,  il  rimettente  avrebbe
richiamato i principi sull'indebito pagamento enunciati  dalla  Corte
di cassazione a sezioni unite (sentenza n. 24418 del 2010),  principi
che sarebbero rimasti lesi dalla censurata norma  interpretativa,  ma
avrebbe omesso di dimostrare  le  sue  affermazioni,  trascurando  di
specificare se la domanda proposta nel  giudizio  principale  potesse
essere accolta sulla base di quei principi, in modo da  far  emergere
la rilevanza, ai fini del decidere, della normativa sopravvenuta che,
individuando una diversa  decorrenza  dei  termini  di  prescrizione,
avrebbe precluso l'esercizio dell'azione  restitutoria.  Inoltre,  il
giudice a quo avrebbe proposto una lettura confusa ed indifferenziata
della norma in esame, senza operare la necessaria distinzione tra  le
sue diverse disposizioni. 
    Le suddette eccezioni non sono fondate. 
    Il  rimettente,   descrivendo   lo   svolgimento   del   processo
principale, riferisce quanto segue: «Con atto di citazione notificato
il 18.04.2005 il sig. C. S. conveniva in  giudizio  la  Banca  A.P.V.
s.p.a. chiedendo che fosse rideterminato il saldo del conto  corrente
n. 2741/R, acceso in data  11.04.1994,  sino  alla  data  dell'ultima
operazione avvenuta il 29.12.1998; in  particolare,  chiedeva  che  i
conteggi fossero riformulati  tenendo  conto  dell'ormai  consolidato
indirizzo giurisprudenziale circa la nullita' della  capitalizzazione
trimestrale degli interessi passivi e della c. m.  s.,  affinche'  la
banca fosse condannata alla restituzione dell'indebito versato. 
    Costituitasi  in  giudizio,  la  banca  convenuta  contestava  le
eccezioni  e  le  richieste  attoree,  concludendo  per  il   rigetto
integrale della domanda ed opponendo,  preliminarmente,  la  liceita'
della  capitalizzazione  trimestrale  degli  interessi   e,   quindi,
l'eccezione di prescrizione estintiva». 
    Il giudice a quo prosegue esponendo che, allo scopo di  procedere
al ricalcolo del saldo, aveva disposto una consulenza tecnica; che la
relazione del consulente era stata depositata, con il  ricalcolo  del
saldo compiuto «alla  stregua  dei  criteri  di  cui  alla  ordinanza
ammissiva della ctu»; che egli aveva considerato la causa matura  per
la decisione ma, entrato in vigore l'art. 2, comma 61, della legge n.
10 del 2011, recante conversione del d.l.  n.  225  del  2010,  aveva
ritenuto  sussistenti  i  presupposti  per  sollevare  questione   di
legittimita' costituzionale  di  tale  norma,  osservando,  sotto  il
profilo della rilevanza «ai fini del  thema  decidendum»,  che  senza
dubbio  «la  natura  assertivamente  interpretativa   della   stessa,
unitamente  all'eccezione  di  prescrizione,   sollevata   da   parte
convenuta» ne imponevano l'applicazione nel caso concreto. 
    Come si vede, il rimettente, in forma concisa ma sufficiente,  si
e' pronunciato sulla rilevanza della questione nel  caso  di  specie.
Egli  ha  individuato  il  rapporto  negoziale  (contratto  di  conto
corrente bancario), precisandone l'arco temporale di operativita', ha
chiarito l'oggetto della pretesa  azionata  dall'attore  (ripetizione
d'indebito oggettivo per nullita' della clausola di  capitalizzazione
trimestrale degli interessi passivi e della  commissione  di  massimo
scoperto,  cosi'  indicando  il  titolo  dedotto  a  sostegno   della
domanda), ha posto l'accento sull'eccezione di prescrizione sollevata
dall'istituto di credito convenuto e, dovendo pronunciarsi  su  detta
eccezione, ha considerato necessario  lo  scrutinio  di  legittimita'
costituzionale  della  norma  sopravvenuta  che,  intervenendo  sulla
decorrenza del termine di  prescrizione  in  ordine  alle  operazioni
bancarie regolate in conto corrente, evidentemente incide  anche  sui
risultati del ricalcolo del saldo  effettuato  dal  consulente  «alla
stregua dei criteri di cui all'ordinanza  ammissiva  della  ctu».  Il
che,  del  resto,  si  evince  con  chiarezza  dall'affermazione  del
giudicante, secondo cui egli, dovendo pronunciarsi sull'eccezione  di
prescrizione, non puo' prescindere dall'esame della norma censurata. 
    Quanto, poi, al rilievo secondo cui  il  giudice  a  quo  avrebbe
svolto argomenti che  fanno  indistinto  riferimento  ad  entrambi  i
periodi di  cui  si  compone  il  citato  art.  2,  comma  61,  cosi'
incorrendo in un vizio  di  contraddittorieta'  intrinseca  e  in  un
difetto  di  motivazione,  si  deve   osservare   che   la   presunta
contraddizione non  sussiste,  perche'  il  contenuto  delle  singole
censure consente d'individuare la norma di volta in volta denunziata,
mentre, in  ordine  all'asserito  difetto  di  motivazione,  si  deve
rinviare alle considerazioni dianzi svolte. 
    10. - L'istituto bancario e la difesa dello Stato eccepiscono  un
ulteriore profilo di inammissibilita', che  sarebbe  ravvisabile  nel
fatto  che  il  rimettente  avrebbe   omesso   di   sperimentare   la
possibilita' di pervenire ad una  interpretazione  costituzionalmente
orientata della norma. Al riguardo, sono  richiamate  alcune  recenti
pronunzie  di  giudici  di  merito  che,   facendo   leva   su   tale
interpretazione, avrebbero  respinto  la  questione  di  legittimita'
costituzionale qui in esame. 
    Neppure tale eccezione e' fondata. 
    Fermo il punto che alcune pronunzie adottate in  sede  di  merito
non sono idonee ad integrare un "diritto vivente", si deve  osservare
che, come questa Corte ha  gia'  affermato,  l'univoco  tenore  della
norma  segna  il  confine  in  presenza  del   quale   il   tentativo
interpretativo deve cedere il  passo  al  sindacato  di  legittimita'
costituzionale (sentenza n. 26 del 2010, punto 2, del Considerato  in
diritto; sentenza n. 219  del  2008,  punto  4,  del  Considerato  in
diritto). 
    Nel caso in esame, il dettato  della  norma  e',  per  l'appunto,
univoco. Nel primo  periodo  essa  stabilisce  che,  in  ordine  alle
operazioni bancarie  regolate  in  conto  corrente  (il  richiamo  e'
all'art. 1852 cod. civ.), l'art. 2935 cod.  civ.  si  interpreta  nel
senso   che   la   prescrizione   relativa   ai   diritti    nascenti
dall'annotazione   in   conto   inizia   a   decorrere   dal   giorno
dell'annotazione stessa (il principio  e'  da  intendere  riferito  a
tutti i diritti nascenti dall'annotazione in  conto,  in  assenza  di
qualsiasi distinzione da parte del legislatore). Il  secondo  periodo
dispone che, in ogni caso, non  si  fa  luogo  alla  restituzione  di
importi gia' versati alla data di entrata in vigore  della  legge  di
conversione del d.l. n. 225 del 2010; ed  anche  questa  disposizione
normativa e' chiara nel senso fatto palese  dal  significato  proprio
delle parole (art. 12 disposizioni sulla legge in generale),  che  e'
quello  di  rendere  non  ripetibili   gli   importi   gia'   versati
(evidentemente, nel quadro del rapporto menzionato nel primo periodo)
alla data di entrata in vigore della legge di conversione. 
    Questo e', dunque, il contesto normativo sul quale l'ordinanza di
rimessione e' intervenuta. Esso non si prestava ad un'interpretazione
conforme a Costituzione, come  risultera'  dalle  considerazioni  che
saranno svolte trattando del merito. Pertanto,  la  presunta  ragione
d'inammissibilita' non sussiste. 
    11. - La questione e' fondata. 
    L'art. 2935 cod. civ. stabilisce che «La prescrizione comincia  a
decorrere dal giorno in cui il diritto puo' essere fatto valere».  Si
tratta di una norma di carattere generale, dalla quale si evince  che
presupposto della prescrizione e' il mancato esercizio del diritto da
parte del suo titolare. La formula elastica usata dal legislatore  si
spiega con  l'esigenza  di  adattarla  alle  concrete  modalita'  dei
molteplici rapporti dai  quali  i  diritti  soggetti  a  prescrizione
nascono. 
    Il principio posto dal citato  articolo,  peraltro,  vale  quando
manchi una specifica statuizione legislativa sulla  decorrenza  della
prescrizione. Infatti, sia nel codice civile sia in  altri  codici  e
nella legislazione speciale, sono numerosi i casi  in  cui  la  legge
collega il dies a quo  della  prescrizione  a  circostanze  o  eventi
determinati. In alcuni di questi casi  l'indicazione  espressa  della
decorrenza costituisce una  specificazione  del  principio  enunciato
dall'art.  2935  cod.  civ.;  in  altri,  la   determinazione   della
decorrenza stabilita dalla legge costituisce una deroga al  principio
generale che la prescrizione inizia il suo corso dal momento  in  cui
sussiste la  possibilita'  legale  di  far  valere  il  diritto  (non
rilevano, invece, gli impedimenti di mero fatto). 
    In questo quadro, prima  dell'intervento  legislativo  concretato
dalla norma qui censurata,  con  riferimento  alla  prescrizione  del
diritto  alla  ripetizione  dell'indebito  nascente   da   operazioni
bancarie regolate in conto corrente, nella giurisprudenza  di  merito
si era formato un orientamento, peraltro minoritario, secondo cui  la
prescrizione  del  menzionato  diritto   decorreva   dall'annotazione
dell'addebito in conto, in quanto,  benche'  il  contratto  di  conto
corrente bancario fosse considerato come rapporto  unitario,  la  sua
natura di contratto di durata e la  rilevanza  dei  singoli  atti  di
esecuzione giustificavano quella conclusione. 
    In particolare, gli atti di addebito e di  accredito,  fin  dalla
loro annotazione,  producevano  l'effetto  di  modificare  il  saldo,
attraverso la variazione quantitativa, e di determinare in  tal  modo
la somma esigibile dal correntista ai sensi dell'art. 1852 cod. civ. 
    A tale indirizzo si contrapponeva, sempre nella giurisprudenza di
merito, un orientamento di gran lunga maggioritario  secondo  cui  la
prescrizione  del  diritto  alla  ripetizione  dell'indebito   doveva
decorrere dalla chiusura  definitiva  del  rapporto,  considerata  la
natura unitaria del contratto di conto corrente  bancario,  il  quale
darebbe luogo ad un unico rapporto giuridico, ancorche' articolato in
una pluralita' di atti esecutivi: la serie successiva di versamenti e
prelievi,   accreditamenti   e   addebiti,   comporterebbe   soltanto
variazioni quantitative del titolo originario costituito tra banca  e
cliente; soltanto con la chiusura del conto si stabilirebbero in  via
definitiva i crediti e i debiti delle parti  e  le  somme  trattenute
indebitamente dall'istituto di credito potrebbero essere  oggetto  di
ripetizione. 
    Nella giurisprudenza di legittimita',  prima  della  sentenza  n.
24418 del 2 dicembre 2010, resa dalla Corte di cassazione  a  sezioni
unite, non risulta che si  fossero  palesati  contasti  sul  tema  in
esame. Infatti, essa aveva affermato,  in  linea  con  l'orientamento
maggioritario  emerso  in  sede  di  merito,  che   il   termine   di
prescrizione decennale per il reclamo delle  somme  trattenute  dalla
banca indebitamente a titolo di interessi su un'apertura  di  credito
in conto corrente decorre dalla  chiusura  definitiva  del  rapporto,
trattandosi di un contratto  unitario  che  da'  luogo  ad  un  unico
rapporto giuridico, anche se articolato in  una  pluralita'  di  atti
esecutivi, sicche' soltanto con la chiusura del conto si stabiliscono
definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro  (Corte  di
cassazione, sezione prima civile, sentenza 14 maggio 2005, n. 10127 e
sezione prima civile, sentenza 9 aprile 1984, n. 2262). 
    Con la citata sentenza n. 24418 del 2010 (affidata  alle  sezioni
unite per la particolare importanza delle questioni  sollevate:  art.
374, secondo comma, cod. proc. civ.)  la  Corte  di  cassazione,  con
riguardo alla fattispecie al suo  esame  (contratto  di  apertura  di
credito bancario in conto corrente), ha tenuto ferma  la  conclusione
alla quale la precedente giurisprudenza di legittimita' era pervenuta
ed ha affermato, quindi, il seguente principio di diritto: «Se,  dopo
la conclusione di  un  contratto  di  apertura  di  credito  bancario
regolato in conto corrente, il correntista agisce per far  dichiarare
la nullita' della clausola che prevede la corresponsione di interessi
anatocistici e per la ripetizione di quanto  pagato  indebitamente  a
questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui  tale  azione
di ripetizione e' soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal
correntista in pendenza del  rapporto  abbiano  avuto  solo  funzione
ripristinatoria della provvista, dalla data in cui e'  stato  estinto
il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non  dovuti  sono
stati registrati». 
    Rispetto alle pronunzie precedenti, la sentenza n. 24418 del 2010
ha aggiunto che, quando nell'ambito  del  rapporto  in  questione  e'
stato  eseguito  un  atto   giuridico   definibile   come   pagamento
(consistente nell'esecuzione  di  una  prestazione  da  parte  di  un
soggetto, con conseguente spostamento patrimoniale a favore di  altro
soggetto), e il solvens ne  contesti  la  legittimita'  assumendo  la
carenza di una idonea causa giustificativa e percio'  agendo  per  la
ripetizione dell'indebito, la prescrizione decorre dalla data in  cui
il pagamento indebito e' stato eseguito. Ma cio' soltanto qualora  si
sia in presenza  di  un  atto  con  efficacia  solutoria,  cioe'  per
l'appunto di un pagamento, vale a dire di un versamento  eseguito  su
un conto passivo ("scoperto"), cui  non  accede  alcuna  apertura  di
credito a favore del correntista, oppure di un versamento destinato a
coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento (cosiddetto
extra fido). 
    In particolare, con riferimento  alla  fattispecie  (relativa  ad
azione di ripetizione d'indebito proposta dal cliente di  una  banca,
il quale lamentava la nullita'  della  clausola  di  capitalizzazione
trimestrale  degli  interessi),  la  Corte  di  legittimita'  non  ha
condiviso la tesi dell'istituto di credito  ricorrente,  che  avrebbe
voluto individuare il dies a quo del decorso della prescrizione nella
data di annotazione in conto  di  ogni  singola  posta  di  interessi
illegittimamente addebitati al correntista.  Infatti,  «L'annotazione
in conto di una siffatta posta comporta un incremento del debito  del
correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora  dispone,
ma in nessun modo si risolve  in  un  pagamento,  nei  termini  sopra
indicati: perche' non vi corrisponde alcuna attivita'  solutoria  del
correntista  medesimo  in  favore  della  banca.  Sin   dal   momento
dell'annotazione,  avvedutosi  dell'illegittimita'  dell'addebito  in
conto, il correntista potra' naturalmente agire per far dichiarare la
nullita' del titolo su cui quell'addebito si basa e, di  conseguenza,
per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze  del  conto
stesso. E potra' farlo, se al conto  accede  un'apertura  di  credito
bancario, allo scopo di recuperare  una  maggiore  disponibilita'  di
credito entro i limiti del fido concessogli. Ma non puo' agire per la
ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non  ha
ancora avuto luogo». 
    Come  si  vede,  dunque,  a  parte  la  correzione  relativa   ai
versamenti con carattere solutorio, la citata sentenza della Corte di
cassazione a sezioni unite conferma l'orientamento  della  precedente
giurisprudenza  di  legittimita',  a  sua  volta  in   sintonia   con
l'orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito. 
    12. - In questo contesto e' intervenuto l'art. 2, comma  61,  del
d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.
10 del 2011. 
    La norma si compone di due periodi: come gia' si e' accennato, il
primo dispone che «In ordine alle  operazioni  bancarie  regolate  in
conto corrente l'art. 2935 cod. civ. si interpreta nel senso  che  la
prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione  in  conto
inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa». 
    La disposizione si autoqualifica di  interpretazione  e,  dunque,
spiega efficacia retroattiva come, del resto, si evince anche dal suo
tenore letterale che rende  la  stessa  applicabile  alle  situazioni
giuridiche nascenti dal rapporto contrattuale di conto corrente e non
ancora esaurite alla data della sua entrata in vigore. 
    Orbene,  questa  Corte  ha  gia'  affermato  che  il  divieto  di
retroattivita' della legge (art. 11 delle disposizioni sulla legge in
generale), pur costituendo valore fondamentale di civilta' giuridica,
non riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art. 25
Cost. (sentenze n. 15 del 2012, n. 236 del 2011, e n. 393 del  2006).
Pertanto, il legislatore - nel rispetto di  tale  previsione  -  puo'
emanare  norme  retroattive,  anche  di  interpretazione   autentica,
purche'   la   retroattivita'    trovi    adeguata    giustificazione
nell'esigenza  di  tutelare  principi,  diritti  e  beni  di  rilievo
costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi  imperativi  di
interesse generale», ai sensi della Convenzione europea  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU). 
    La norma che deriva dalla  legge  di  interpretazione  autentica,
quindi, non puo'  dirsi  costituzionalmente  illegittima  qualora  si
limiti ad assegnare alla  disposizione  interpretata  un  significato
gia' in  essa  contenuto,  riconoscibile  come  una  delle  possibili
letture del testo originario (ex plurimis: sentenze n. 271 e  n.  257
del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009). In tal caso, infatti, la
legge interpretativa ha lo scopo di chiarire «situazioni di oggettiva
incertezza  del  dato  normativo»,  in  ragione  di   «un   dibattito
giurisprudenziale  irrisolto»  (sentenza  n.  311  del  2009),  o  di
«ristabilire  un'interpretazione  piu'   aderente   alla   originaria
volonta' del legislatore» (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela
della certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioe' di
principi di  preminente  interesse  costituzionale.  Accanto  a  tale
caratteristica, questa Corte  ha  individuato  una  serie  di  limiti
generali  all'efficacia  retroattiva  delle  leggi,  attinenti   alla
salvaguardia,  oltre  che  dei  principi  costituzionali,  di   altri
fondamentali  valori  di  civilta'  giuridica,  posti  a  tutela  dei
destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno
ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza,  che
si riflette nel divieto di introdurre  ingiustificate  disparita'  di
trattamento; la  tutela  dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei
soggetti quale  principio  connaturato  allo  Stato  di  diritto;  la
coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto  delle
funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza
n. 209 del 2010, citata, punto 5.1, del Considerato in diritto). 
    Cio' posto, si deve osservare che la norma censurata, con la  sua
efficacia retroattiva, lede in primo luogo il canone  generale  della
ragionevolezza delle norme (art. 3 Cost.). 
    Invero, essa e' intervenuta sull'art. 2935 cod. civ.  in  assenza
di  una  situazione  di  oggettiva  incertezza  del  dato  normativo,
perche',  in  materia  di  decorrenza  del  termine  di  prescrizione
relativo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, a parte
un indirizzo del tutto minoritario della giurisprudenza di merito, si
era  ormai   formato   un   orientamento   maggioritario   in   detta
giurisprudenza, che aveva trovato riscontro in sede  di  legittimita'
ed  aveva  condotto  ad  individuare  nella  chiusura  del   rapporto
contrattuale o nel pagamento solutorio il dies a quo per  il  decorso
del suddetto termine. 
    Inoltre, la soluzione fatta propria dal legislatore con la  norma
denunziata non  puo'  sotto  alcun  profilo  essere  considerata  una
possibile variante di senso del testo originario della norma  oggetto
d'interpretazione. 
    Come  sopra  si  e'  notato,  quest'ultima  pone  una  regola  di
carattere generale, che fa decorrere la prescrizione  dal  giorno  in
cui il diritto (gia' sorto) puo' essere fatto legalmente  valere,  in
coerenza  con  la  ratio  dell'istituto  che  postula  l'inerzia  del
titolare del diritto stesso, nonche' con la finalita' di demandare al
giudice  l'accertamento  sul  punto,  in  relazione   alle   concrete
modalita' della fattispecie. La norma censurata, invece,  interviene,
con riguardo alle operazioni bancarie  regolate  in  conto  corrente,
individuando, con effetto retroattivo, il dies a quo per  il  decorso
della prescrizione nella data di annotazione  in  conto  dei  diritti
nascenti dall'annotazione stessa. 
    In proposito, si deve osservare che non e' esatto (come  pure  e'
stato sostenuto) che con tale  espressione  si  dovrebbero  intendere
soltanto i diritti di contestazione, sul piano cartolare, e dunque di
rettifica o di eliminazione delle annotazioni conseguenti ad  atti  o
negozi accertati come nulli, ovvero basati su errori di  calcolo.  Se
cosi' fosse, la norma sarebbe inutile, perche'  il  correntista  puo'
sempre  agire  per  far  dichiarare  la   nullita'   -   con   azione
imprescrittibile  (art.  1422  cod.  civ.)  -  del  titolo   su   cui
l'annotazione illegittima si basa e, di conseguenza, per ottenere  la
rettifica in suo favore delle  risultanze  del  conto.  Ma  non  sono
imprescrittibili  le  azioni  di  ripetizione  (art.  1422   citato),
soggette a prescrizione decennale. 
    Orbene, come sopra si e' notato l'ampia formulazione della  norma
censurata impone di affermare che, nel novero dei  «diritti  nascenti
dall'annotazione»,  devono  ritenersi  inclusi  anche  i  diritti  di
ripetere somme non dovute (quali sono quelli derivanti,  ad  esempio,
da interessi anatocistici o comunque non spettanti, da commissioni di
massimo scoperto e cosi' via, tenuto conto del fatto che il  rapporto
di conto corrente di cui si discute, come risulta  dall'ordinanza  di
rimessione del Tribunale di Brindisi, si e' svolto in data precedente
all'entrata in vigore del decreto legislativo 4 agosto 1999, n.  342,
recante modifiche al d.lgs. 1° settembre 1993, n.  385  (Testo  unico
delle leggi in materia bancaria  e  creditizia).  Ma  la  ripetizione
dell'indebito oggettivo postula un pagamento (art.  2033  cod.  civ.)
che, avuto riguardo alle modalita' di funzionamento del  rapporto  di
conto corrente, spesso si rende configurabile soltanto all'atto della
chiusura del conto (Corte di cassazione, sezioni unite,  sentenza  n.
24418 del 2010, citata). 
    Ne deriva che ancorare con norma retroattiva  la  decorrenza  del
termine  di   prescrizione   all'annotazione   in   conto   significa
individuarla in un momento diverso da quello in cui il  diritto  puo'
essere fatto valere, secondo la previsione dell'art. 2935 cod. civ. 
    Pertanto, la norma censurata, lungi dall'esprimere una  soluzione
ermeneutica rientrante tra i significati ascrivibili al  citato  art.
2935 cod. civ., ad esso  nettamente  deroga,  innovando  rispetto  al
testo previgente, peraltro senza alcuna ragionevole giustificazione. 
    Anzi, l'efficacia retroattiva della deroga rende  asimmetrico  il
rapporto contrattuale di  conto  corrente  perche',  retrodatando  il
decorso  del   termine   di   prescrizione,   finisce   per   ridurre
irragionevolmente l'arco temporale disponibile  per  l'esercizio  dei
diritti nascenti dal rapporto stesso, in particolare pregiudicando la
posizione giuridica  dei  correntisti  che,  nel  contesto  giuridico
anteriore all'entrata  in  vigore  della  norma  denunziata,  abbiano
avviato azioni dirette a ripetere somme ai medesimi  illegittimamente
addebitate. 
    Sussiste, dunque, la violazione dell'art.  3  Cost.,  perche'  la
norma censurata, facendo retroagire la disciplina in  esso  prevista,
non rispetta i principi  generali  di  eguaglianza  e  ragionevolezza
(sentenza n. 209 del 2010). 
    13. - L'art. 2, comma  61,  del  d.l.  n.  225  del  2010  (primo
periodo), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del  2011,
e' costituzionalmente illegittimo anche per altro profilo. 
    E' noto che, a partire dalle sentenze n. 348 e 349 del  2007,  la
giurisprudenza di questa Corte e' costante nel ritenere che le  norme
della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea  dei
diritti  dell'uomo,  specificamente  istituita  per  dare   ad   esse
interpretazione e applicazione - integrino, quali "norme interposte",
il parametro costituzionale  espresso  dall'art.  117,  primo  comma,
Cost., nella parte in cui impone la conformazione della  legislazione
interna  ai  vincoli  derivanti  dagli  obblighi  internazionali  (ex
plurimis: sentenze n. 1 del 2011; n. 196, n. 187 e n. 138  del  2010;
sulla perdurante validita' di tale ricostruzione anche dopo l'entrata
in vigore del Trattato di Lisbona, sentenza n. 80 del 2011). 
    La Corte europea dei diritti dell'uomo ha  piu'  volte  affermato
che se, in linea di principio, nulla vieta al potere  legislativo  di
regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata
retroattiva, diritti risultanti da  leggi  in  vigore,  il  principio
della preminenza del diritto e il concetto di processo  equo  sanciti
dall'art. 6  della  Convenzione  ostano,  salvo  che  per  imperative
ragioni di interesse generale, all'ingerenza del  potere  legislativo
nell'amministrazione della giustizia, al fine di influenzare  l'esito
giudiziario di una controversia (ex plurimis: Corte europea, sentenza
sezione seconda, 7  giugno  2011,  Agrati  ed  altri  contro  Italia;
sezione seconda,  31  maggio  2011,  Maggio  contro  Italia;  sezione
quinta, 11 febbraio 2010, Javaugue contro Francia;  sezione  seconda,
10 giugno 2008, Bortesi e altri contro Italia). 
    Pertanto,  sussiste  uno  spazio,  sia  pur  delimitato,  per  un
intervento del legislatore con efficacia retroattiva (fermi i  limiti
di cui all'art. 25 Cost.),  se  giustificato  da  «motivi  imperativi
d'interesse  generale»»,  che  spetta  innanzitutto  al   legislatore
nazionale e a questa Corte  valutare,  con  riferimento  a  principi,
diritti e beni di rilievo costituzionale, nell'ambito del margine  di
apprezzamento riconosciuto dalla giurisprudenza della Cedu ai singoli
ordinamenti statali (sentenza n. 15 del 2012). 
    Nel caso in esame, come si  evince  dalle  considerazioni  dianzi
svolte, non e' dato ravvisare quali  sarebbero  i  motivi  imperativi
d'interesse generale, idonei a giustificare l'effetto retroattivo. Ne
segue che risulta violato anche  il  parametro  costituito  dall'art.
117, primo comma, Cost., in relazione all'art.  6  della  Convenzione
europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo. 
    Pertanto, deve essere dichiarata l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 2, comma 61, del d.l. n.  225  del  2010,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 10 del  2011  (comma  introdotto  dalla
legge di conversione). La declaratoria  di  illegittimita'  comprende
anche il secondo periodo della norma («In ogni caso non si  fa  luogo
alla restituzione di importi gia' versati alla  data  di  entrata  in
vigore della legge di conversione del presente decreto»), trattandosi
di disposizione strettamente connessa al primo  periodo,  del  quale,
dunque, segue la sorte. 
    14. - Ogni altro profilo, emergente dall'ordinanza del  Tribunale
di Brindisi  e  dalle  altre  ordinanze  di  rimessione  indicate  in
epigrafe, resta assorbito.