ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 6,  commi
1, 2 e 6; 7, commi 6, 7, 8, lettera c), e 9;  e  8,  comma  2,  della
legge della Regione Abruzzo 4 settembre 2017, n. 51 (Impresa  Abruzzo
competitivita' - sviluppo - territorio), promosso dal Presidente  del
Consiglio dei ministri, con  ricorso  notificato  il  20-22  novembre
2017, depositato in cancelleria il 28 novembre 2017, iscritto  al  n.
88 del registro ricorsi 2017 e pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Udito nella udienza pubblica  del  6  novembre  2018  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    udito l'avvocato dello Stato Chiarina Aiello  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso spedito per la notifica il  20  novembre  2017  e
depositato il 28  novembre  2017  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha promosso questioni  di  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 6, commi 1, 2 e 6; 7, commi 6, 7, 8, lettera  c),  e  9;  e  8,
comma 2, della legge della Regione Abruzzo 4 settembre  2017,  n.  51
(Impresa  Abruzzo  competitivita'  -  sviluppo  -   territorio)   per
violazione degli artt. 117, secondo comma, lettere e), m) e s), della
Costituzione. 
    1.1.-  Dopo  aver  illustrato  il  contenuto  delle  disposizioni
regionali impugnate, la difesa statale svolge  alcune  considerazioni
generali sottolineando come gli impugnati artt. 6, 7  e  8,  i  quali
intervengono sulla disciplina dell'avvio delle attivita'  economiche,
si pongano in contrasto con le disposizioni  statali  interposte  che
disciplinano il procedimento amministrativo. In particolare, le norme
indicate  introdurrebbero  «adempimenti  ed  oneri   aggiuntivi   non
giustificati» e quindi aggraverebbero tale procedimento. Al riguardo,
il ricorrente precisa che, ai sensi dell'art. 29, comma 2-ter,  della
legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia  di  procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti  amministrativi),
la presentazione di istanze, segnalazioni  e  comunicazioni  attiene,
come la disciplina della conferenza di servizi, ai livelli essenziali
delle prestazioni di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  m),
Cost., con la conseguenza che alle Regioni  e  agli  enti  locali  e'
consentito  derogare  solo  in  melius,  prevedendo   cioe'   livelli
ulteriori di tutela (art. 29, comma 2-quater). e' richiamato altresi'
l'art. 5 del decreto legislativo 25 novembre 2016,  n.  222,  recante
«Individuazione   di   procedimenti   oggetto   di    autorizzazione,
segnalazione certificata di  inizio  di  attivita'  (SCIA),  silenzio
assenso e comunicazione e di definizione  dei  regimi  amministrativi
applicabili  a  determinate  attivita'  e  procedimenti,   ai   sensi
dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124», il quale  dispone
che le Regioni e gli enti  locali  possono  derogare  alla  normativa
statale solo prevedendo «livelli ulteriori di semplificazione». 
    Le  norme  regionali  impugnate,  inoltre,   contraddirebbero   i
principi di accelerazione e di certezza dei termini del procedimento,
che stanno alla base  della  nuova  disciplina  della  conferenza  di
servizi,   e   il   principio   della   concentrazione   dei   regimi
amministrativi, introdotto con la cosiddetta "SCIA unica"  e  con  la
"SCIA condizionata". Sarebbe,  infine,  violato  il  principio  della
unificazione   e   della    standardizzazione    degli    adempimenti
amministrativi previsti  per  l'avvio  e  l'esercizio  dell'attivita'
d'impresa.  In  proposito  l'Avvocatura  generale  ricorda   che   la
disciplina  dell'istituto  della  SCIA  e'  stata   ricondotta   alla
competenza legislativa  statale  in  materia  di  determinazione  dei
livelli essenziali delle prestazioni (e' richiamata  la  sentenza  n.
164 del 2012). 
    1.2.- Svolte tali considerazioni generali, il ricorrente illustra
i singoli motivi di impugnazione, soffermandosi sull'art. 6, commi 1,
2 e 6, della legge  reg.  Abruzzo  n.  51  del  2017,  censurati  per
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere e) e m), Cost. 
    1.2.1.- In particolare, il comma 1 dell'art. 6 - il quale prevede
la presentazione di una  comunicazione  unica  regionale  (CUR)  allo
sportello unico delle attivita' produttive  (SUAP)  per  l'avvio,  lo
svolgimento,  la  trasformazione  e  la   cessazione   di   attivita'
economiche, «nonche' per l'installazione,  attivazione,  esercizio  e
sicurezza di impianti e  agibilita'  degli  edifici  funzionali  alle
attivita' economiche» - si porrebbe in contrasto,  innanzitutto,  con
l'art. 2, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno  2016,  n.  126,
recante  «Attuazione  della  delega  in   materia   di   segnalazione
certificata di inizio attivita' (SCIA), a norma dell'articolo 5 della
legge 7  agosto  2015,  n.  124»,  che  dispone  l'adozione  di  «una
modulistica unificata  e  standardizzata  a  livello  nazionale».  La
difesa statale rileva, in proposito, che questa modulistica e'  stata
adottata dalla Conferenza unificata con gli accordi del  4  maggio  e
del 6 luglio 2017, i quali hanno statuito l'obbligo per  le  Regioni,
«in relazione alle specifiche normative regionali», di adeguare entro
il 30 settembre 2017 i contenuti informativi dei moduli  «utilizzando
le informazioni contrassegnate come variabili». A loro volta, anche i
Comuni erano tenuti ad adeguare la modulistica entro  il  20  ottobre
2017. 
    Da quanto appena riportato, il ricorrente deduce l'illegittimita'
dell'intervento normativo regionale, nella parte in cui  prevede  che
per  iniziare  un'attivita'  economia  sia  presentata  al  SUAP  una
«dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorieta',  che  attesti  la
presenza nel fascicolo informatico d'impresa o il rilascio  da  parte
della pubblica amministrazione dei documenti sulla conformita'  o  la
regolarita' degli interventi o delle attivita'». 
    Il comma  1  dell'art.  6  della  legge  regionale  impugnata  si
porrebbe in contrasto anche con l'art. 19-bis della legge n. 241  del
1990, introdotto dall'art. 3 del d.lgs. n. 126 del 2016,  che  regola
la  «concentrazione  dei   regimi   amministrativi»   prevedendo   la
possibilita' di una "SCIA unica" o di  una  "SCIA  condizionata".  In
particolare, la disposizione regionale impugnata, «aggiungendo  oneri
formali  non  previsti  dalla  legge  statale  ne'   dall'intesa   in
Conferenza unificata», violerebbe il principio di «eguaglianza  delle
condizioni per l'esercizio di  un'attivita'  d'impresa  in  tutto  il
territorio nazionale», garantito dalla  previsione  della  competenza
legislativa statale per la determinazione dei livelli essenziali. 
    Oggetto di specifiche censure e' anche l'ultima parte del comma 1
dell'art. 6, la' dove prevede che alla comunicazione unica  regionale
«non devono essere allegati documenti aggiuntivi,  il  cui  onere  di
trasmissione  telematica,  ai  fini  dell'acquisizione  al  fascicolo
informatico d'impresa presso la camera di commercio,  resta  in  capo
alle pubbliche amministrazioni per il tramite del SUAP. Nel  caso  in
cui  tale  comunicazione  risulti  formalmente  incompleta  l'ufficio
competente,  per  il  tramite  del  SUAP,  richiede  le  integrazioni
necessarie da trasmettersi a cura del richiedente entro i  successivi
quindici  giorni,  pena  la  decadenza  della   comunicazione   unica
regionale». 
    Secondo  il  ricorrente  questa  disposizione,   «nel   prevedere
ulteriori casi di impiego del fascicolo informatico di impresa, sia a
carico  dell'amministrazione  che  a  carico  dell'interessato»,   si
porrebbe in contrasto con quanto previsto dall'art. 4, comma  6,  del
decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega
di cui all'articolo 10 della legge 7 agosto  2015,  n.  124,  per  il
riordino  delle  funzioni  e  del  finanziamento  delle   camere   di
commercio, industria, artigianato e agricoltura), che  rimette  a  un
decreto del Ministero dello  sviluppo  economico  la  definizione  di
termini  e  modalita'  operativi  per   l'inserimento   di   atti   e
provvedimenti nel fascicolo d'impresa. 
    1.2.2.- Il comma 2 dell'art. 6 della legge reg. Abruzzo n. 51 del
2017 stabilisce che «Entro  sessanta  giorni  dal  ricevimento  della
comunicazione  unica  regionale,   le   amministrazioni   competenti,
verificata la regolarita' della stessa, effettuano i controlli, anche
mediante la consultazione del fascicolo informatico d'impresa, almeno
nella misura minima indicata dalla Giunta regionale, e  fissano,  ove
necessario,  un  termine  non  inferiore  a   sessanta   giorni   per
ottemperare  alle  relative  prescrizioni,  salvo  i  casi   in   cui
sussistano i vincoli ambientali, paesaggistici  o  culturali  di  cui
all'articolo 19, comma 1, della legge 241/1990 o che  non  sussistano
irregolarita' tali da determinare gravi pericoli per la  popolazione,
con riferimento alla salute pubblica, all'ambiente e  alla  sicurezza
sui luoghi di lavoro. Qualora l'interessato non provveda nel  termine
assegnato, l'amministrazione competente emette  il  provvedimento  di
inibizione al proseguimento dell'attivita'». 
    Questa norma e' impugnata perche' ridurrebbe  «la  portata  della
clausola di salvaguardia dei vincoli», rispetto a quanto e'  previsto
dall'art. 19, comma 1, della legge n. 241  del  1990,  facendo  salvi
solo i vincoli ambientali, paesaggistici  o  culturali  e  non  anche
tutti gli altri indicati nel citato art. 19. 
    Inoltre, l'art. 6, comma 2, della legge regionale, prevedendo  un
ulteriore termine «non inferiore a sessanta giorni»  per  ottemperare
alle  prescrizioni  imposte   dall'amministrazione   competente,   si
porrebbe in contrasto con quanto  previsto  dall'art.  19,  comma  3,
della legge n. 241 del 1990, che dispone la fissazione «di un termine
non  inferiore  a  trenta  giorni»  per   l'adozione   delle   misure
prescritte. In questo modo -  a  detta  della  difesa  statale  -  si
avrebbe  «una  estensione  generale  dei  termini  del  procedimento»
contraria alla ratio di semplificazione su cui si dovrebbe fondare la
normativa impugnata. 
    1.2.3.- Il comma 6 dell'art. 6 della legge reg. Abruzzo n. 51 del
2017 stabilisce che «La Giunta regionale,  d'intesa  con  il  sistema
camerale, individuati i procedimenti di cui  ai  commi  1  e  5  e  i
requisiti minimi per l'esercizio di ciascuna  attivita'  di  impresa,
procede  alla  pubblicazione  dell'elenco  unitamente  alla  relativa
modulistica sui portali dei SUAP,  sul  sito  delle  Agenzie  per  le
Imprese, sul sito delle camere di commercio e sul sito della  Regione
Abruzzo». 
    Questa disposizione e' impugnata nella parte in cui rimette  alla
Giunta regionale il compito di individuare i procedimenti per i quali
si applica la CUR, «senza prevedere i casi in cui alla  comunicazione
sia necessario  allegare  le  attestazioni  e  le  asseverazioni  per
consentire  alle   amministrazioni   competenti   di   effettuare   i
controlli». Al riguardo, l'Avvocatura generale rileva che  l'art.  2,
comma 2, ultima parte, del d.lgs. n. 222 del 2016 -  attuando  quanto
previsto dall'art. 14 del decreto legislativo 26 marzo  2010,  n.  59
(Attuazione della  direttiva  2006/123/CE  relativa  ai  servizi  nel
mercato interno) - ha gia'  individuato  i  procedimenti  oggetto  di
autorizzazione, SCIA, silenzio assenso e  comunicazione,  compresi  i
casi in cui occorra allegare asseverazioni e certificazioni. 
    Pertanto, la normativa regionale impugnata  si  sovrapporrebbe  a
quella  statale,  a  sua   volta   attuativa   di   quella   europea,
«determinando un accrescimento dell'incertezza e  della  complessita'
normativa  ed  operativa,  palesemente  contrario  al  principio   di
semplificazione». 
    In definitiva, le disposizioni regionali in materia  di  CUR  non
assicurerebbero una maggiore semplificazione, tale da giustificare la
sostituzione della SCIA, che - ricorda il  ricorrente  -  attiene  ai
livelli essenziali delle prestazioni. La difesa statale sottolinea in
proposito come l'uniformita' della disciplina a livello nazionale del
sistema comunicativo sia indispensabile al fine  di  evitare  che  le
medesime attivita', dislocate in Regioni diverse, siano  assoggettate
a regimi comunicativi differenti. 
    Per  le  ragioni  anzidette,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ritiene che i commi 1, 2 e 6 dell'art. 6  della  legge  reg.
Abruzzo n. 51 del 2017 violino l'art. 117, secondo comma, lettera m),
Cost., in quanto «derogano [...] ai livelli essenziali aggravando  il
procedimento», e lettera e), Cost., in quanto  «inficiano  la  tutela
della concorrenza,  introducendo  differenziazioni  tra  le  Regioni,
parimenti non giustificate dal parametro  dei  "livelli  maggiori  di
semplificazione"». 
    1.3.- Oggetto di specifiche impugnazioni e' anche l'art. 7  della
legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017, il quale - secondo il ricorrente -
«riscrive la disciplina della conferenza di servizi  [...]  derogando
in peius la normativa  statale  generale,  poiche'  aggrava  e  rende
incerti i termini dei procedimenti amministrativi, a  svantaggio  dei
cittadini e delle imprese». La norma de qua non prevederebbe  termini
perentori  per  l'adozione  delle  determinazioni  da   parte   delle
amministrazioni competenti, ne' una scansione temporale certa al fine
del rispetto del termine di conclusione  del  procedimento.  Inoltre,
l'art. 7  ometterebbe  di  considerare  l'esigenza  di  tutela  degli
interessi sensibili nel caso in cui siano  coinvolte  amministrazioni
preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni
culturali o alla tutela della salute dei cittadini. 
    1.3.1.- In particolare, l'Avvocatura generale  rileva  la  scarsa
chiarezza della disposizione di cui all'art. 7, comma 6, lettera  a),
in quanto -  nel  caso  in  cui  non  sia  necessario  convocare  una
conferenza di servizi - non sarebbe  precisato  entro  quale  termine
l'interessato debba produrre la documentazione integrativa  richiesta
dall'amministrazione procedente, ne' ci sarebbe un rinvio all'art. 2,
comma 7, della legge n. 241 del 1990, che prevede la possibilita'  di
sospensione di questo termine per una sola volta e per un periodo non
superiore a trenta giorni. In questo modo  il  legislatore  abruzzese
avrebbe reso incerto il  termine  per  l'adozione  del  provvedimento
conclusivo del procedimento. 
    Per ragioni analoghe e' impugnata anche la  disposizione  di  cui
alla  lettera  b)  del  comma  6  citato,  relativa  all'ipotesi   di
necessaria convocazione della conferenza  di  servizi  («qualora  sia
necessario acquisire pareri, autorizzazioni o altri atti  di  assenso
comunque denominati, di amministrazioni diverse da quella comunale»).
In proposito la difesa statale rileva la mancata  indicazione  di  un
termine per l'integrazione documentale e, contestualmente,  l'assenza
di un rinvio all'art. 2, comma 7, della legge n.  241  del  1990;  di
conseguenza, sarebbe incerto sia il termine per la convocazione della
conferenza di servizi, sia quello  per  l'applicazione  del  silenzio
assenso (comma 6, lettera b, e comma 9 dell'art.  7  impugnato),  che
dipende dal termine per l'integrazione documentale (lettere a e b del
comma 6 del medesimo art. 7). 
    La disposizione contenuta nella lettera b) del comma 6  dell'art.
7 della legge reg. Abruzzo n.  51  del  2017  e'  altresi'  impugnata
poiche', discostandosi da  quanto  previsto  dall'art.  14-bis  della
legge n. 241 del 1990, avrebbe previsto la  modalita'  telematica  di
svolgimento dei lavori della conferenza come una  scelta  facoltativa
dell'amministrazione procedente e non come «la regola».  Inoltre,  il
legislatore  regionale  non  avrebbe  distinto  i  casi  in  cui  nel
procedimento siano coinvolte  amministrazioni  preposte  alla  tutela
degli interessi sensibili, in contrasto  con  quanto  previsto  dagli
artt. 14-bis e 17-bis della legge n. 241 del 1990. 
    In definitiva, la disciplina  contenuta  nell'impugnato  art.  7,
comma 6, aggraverebbe il procedimento rendendone incerta  la  durata,
non prevederebbe la modalita' telematica come regola e  trascurerebbe
la  necessaria  tutela  «rinforzata»   degli   interessi   sensibili,
garantita invece dalla  normativa  statale.  Pertanto  il  ricorrente
ritiene che, anche  per  questi  profili,  sia  violato  l'art.  117,
secondo comma, lettera m), Cost. 
    1.3.2.- Oggetto di specifica impugnazione e'  anche  il  comma  7
dell'art. 7 della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017, il quale prevede
che «[q]ualora l'intervento  sia  soggetto  a  valutazione  d'impatto
ambientale  (VIA)  o  a  valutazione  ambientale  strategica   (VAS),
verifica di VIA, verifica di VAS, a quelle previste per le aziende  a
rischio d'incidente rilevante (ARIR) [...], a quelle previste per gli
impianti assoggettati ad autorizzazione  integrata  ambientale  (AIA)
[...], ad autorizzazione unica per nuovo impianto di smaltimento e di
recupero dei rifiuti [...],  ad  autorizzazione  unica  per  impianto
alimentato ad energia rinnovabile [...], oppure ad  alcuno  dei  casi
individuati dall'articolo  20,  comma  4,  della  legge  241/1990,  i
termini di  cui  alla  lettera  b),  del  comma  6,  decorrono  dalla
comunicazione dell'esito favorevole delle relative procedure». 
    Dall'esame di questa disposizione e di quella  della  lettera  b)
del comma 6  del  medesimo  art.  7,  il  ricorrente  deduce  che  la
normativa regionale impugnata «configura la procedura di VIA come una
procedura  autonoma  rispetto  a  quella  volta   al   rilascio   del
provvedimento   autorizzatorio,   anche   se   ovviamente   ad   essa
funzionalmente collegata». 
    Cosi'  configurato  il   rapporto   tra   i   due   procedimenti,
l'Avvocatura generale  rileva  il  contrasto  delle  norme  regionali
indicate con l'art. 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006,  n.
152 (Norme in materia ambientale), che disciplina il procedimento per
ottenere  il  rilascio  di  un  provvedimento  unico  regionale.   In
particolare, il comma 7 del citato art.  27-bis  stabilisce  che  «La
determinazione motivata di conclusione della  conferenza  di  servizi
costituisce  il  provvedimento  autorizzatorio  unico   regionale   e
comprende il provvedimento di VIA e i titoli  abilitativi  rilasciati
per  la  realizzazione  e   l'esercizio   del   progetto,   recandone
l'indicazione  esplicita».  Pertanto,  la   normativa   statale   non
ammetterebbe «la scissione tra procedimento in conferenza di  servizi
ai fini della VIA e ai fini dell'autorizzazione o  abilitazione»;  da
qui discenderebbe  «un  evidente  aggravio  della  complessita'»  del
procedimento, con conseguente «compromissione del livello uniforme di
semplificazione». 
    La norma di cui all'art. 7, comma 7, della legge reg. Abruzzo  n.
51 del 2017 si porrebbe in contrasto anche con l'art.  14,  comma  4,
della legge n. 241  del  1990,  il  quale  dispone  che,  qualora  un
progetto sia  sottoposto  a  valutazione  di  impatto  ambientale  di
competenza regionale, tutte le autorizzazioni,  intese,  concessioni,
licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque  denominati,
necessari alla realizzazione e all'esercizio del  medesimo  progetto,
siano  acquisiti  nell'ambito  di  apposita  conferenza  di  servizi,
convocata  in  modalita'  sincrona  ai  sensi  dell'articolo  14-ter,
secondo quanto previsto dall'articolo 27-bis del d.lgs.  n.  152  del
2006. 
    Sarebbe, quindi, violata la  competenza  legislativa  statale  in
materia di tutela dell'ambiente ex art. 117, secondo  comma,  lettera
s), Cost. 
    Al contempo,  la  normativa  regionale  in  esame,  ponendosi  in
contrasto con gli artt. 14 e 27-bis della legge n. 241 del 1990,  che
sono  «norme   di   semplificazione   amministrativa   adottate   dal
legislatore  statale  nell'esercizio  della  propria  competenza   in
materia di "livelli essenziali delle prestazioni"», violerebbe l'art.
117, secondo comma, lettera m), Cost. 
    1.3.3.- e' inoltre impugnato il comma 8 dell'art. 7, nella  parte
in cui prevede che «Il procedimento  e'  espressamente  concluso  con
provvedimento di: [...] c) rigetto, che puo' essere adottato nei soli
casi di motivata impossibilita' ad adeguare  il  progetto  presentato
per la presenza di vizi o carenze tecniche insanabili». Il ricorrente
si duole, infatti, del fatto  che  siffatta  disposizione  limita  il
provvedimento di rigetto alle sole ipotesi di vizi o carenze tecniche
insanabili del progetto, «escludendo, quindi, la possibilita'  di  un
diniego   assoluto   che   riguardi    la    stessa    localizzazione
dell'intervento, precludendone l'autorizzazione (cosiddetta  "opzione
zero")». Peraltro, la disposizione impugnata si  applicherebbe  anche
quando sono coinvolti beni culturali e paesaggistici, con conseguente
violazione della competenza legislativa statale in materia (art. 117,
secondo comma, lettera s, Cost.). 
    Al riguardo, l'Avvocatura  generale  osserva  come  debba  essere
assicurata la possibilita' per le autorita' preposte alla tutela  dei
beni culturali e paesaggistici di opporre un diniego o  di  esprimere
un  parere  negativo  non  condizionato   e   di   proporre   diverse
localizzazioni; in sostanza, cioe', di opporre un diniego per ragioni
"localizzative" e non solo un diniego "propositivo". Al contrario, la
norma impugnata precluderebbe siffatta possibilita'. 
    1.3.4.- Oggetto di impugnazione e' anche il comma 9  dell'art.  7
della legge reg. Abruzzo  n.  51  del  2017,  il  quale  prevede  che
«Decorsi dieci giorni lavorativi dal termine di cui alla  lettera  a)
del comma 6, ovvero dalla seduta della conferenza di servizi  di  cui
alla lettera  b)  del  comma  6,  senza  che  sia  stato  emanato  il
provvedimento  conclusivo,  il  procedimento  si   intende   concluso
positivamente.   L'efficacia   del   provvedimento   conclusivo    e'
subordinata al pagamento dei corrispettivi eventualmente dovuti». 
    La norma in esame e' impugnata nella parte in cui, prevedendo  il
silenzio assenso «a valle della conferenza di servizi», non esclude i
procedimenti ad istanza di parte  riguardanti  la  materia  dei  beni
culturali  e  del  paesaggio.  In  proposito,  l'Avvocatura  generale
richiama il parere 13 luglio 2016, n. 1640, con il quale il Consiglio
di Stato ha precisato che l'istituto  del  silenzio  assenso  di  cui
all'art. 17-bis della legge  n.  241  del  1990  «opera  in  tutti  i
procedimenti  che  prevedano  una  fase  co-decisoria  necessaria  di
competenza di altra amministrazione (silenzio assenso "orizzontale")»
e non anche nei  casi  in  cui  la  richiesta  proviene  dal  privato
destinatario dell'atto, anziche' dall'amministrazione procedente.  In
questa ipotesi trova applicazione l'art. 20 della legge  n.  241  del
1990, che esclude l'operativita' del silenzio  assenso  nel  caso  di
interessi sensibili. 
    Pertanto, il comma 9 dell'art. 7 della legge reg. Abruzzo  n.  51
del 2017, analogamente al precedente comma 8, violerebbe l'art.  117,
secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  che  riserva  alla  competenza
legislativa statale la materia della tutela dei beni culturali e  del
paesaggio. Sarebbero, altresi', violate le norme  interposte  di  cui
agli artt. 21 e 146 del decreto legislativo 22 gennaio  2004,  n.  42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10
della legge 6 luglio 2002, n. 137). 
    1.4.- Da ultimo e' impugnato l'art. 8, comma 2, della legge  reg.
Abruzzo n. 51 del 2017, il  quale  prevede  che  «In  ogni  caso,  le
irregolarita'   riscontrate   in   sede   di    verifica    derivanti
dall'inosservanza  dei   requisiti   minimi   pubblicati   ai   sensi
dell'articolo 6, comma 7, non possono dare luogo a  provvedimenti  di
divieto di prosecuzione dell'attivita'  senza  che  prima  sia  stato
concesso un termine congruo per la regolarizzazione non  inferiore  a
centottanta  giorni,  salvo  non  sussistano  irregolarita'  tali  da
determinare gravi pericoli per la popolazione, l'ambiente o  l'ordine
pubblico. Le pubbliche amministrazioni, all'esito di procedimenti  di
verifica, non possono richiedere adempimenti ulteriori  ne'  irrogare
sanzioni che non riguardino esclusivamente il rispetto dei  requisiti
minimi». 
    La  difesa  statale  sottolinea  come  l'art.  6,  comma  7,  sia
richiamato in riferimento, tra l'altro, ai «controlli espletati dalle
autorita' competenti», fra i  quali  sono  compresi  i  controlli  in
materia di autorizzazione integrata ambientale  (AIA).  Pertanto,  il
combinato disposto dell'art. 8, comma 2,  e  dell'art.  6,  comma  7,
della legge regionale impugnata porterebbe a  concludere  che,  anche
nei casi in cui a seguito dei controlli in materia di AIA emergessero
irregolarita',   sarebbe   impossibile   vietare   la    prosecuzione
dell'attivita' senza la previa concessione di «un termine congruo per
la regolarizzazione non inferiore a  centottanta  giorni,  salvo  non
sussistano irregolarita' tali da determinare gravi  pericoli  per  la
popolazione, l'ambiente o l'ordine pubblico». 
    Sarebbe quindi violato l'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),
Cost., in relazione all'art. 29-decies, comma 9, del  d.lgs.  n.  152
del 2006, il quale prevede una  serie  di  misure,  a  seconda  della
gravita' delle infrazioni: diffida, diffida e contestuale sospensione
dell'attivita',     revoca     dell'autorizzazione     e     chiusura
dell'installazione, chiusura dell'installazione. 
    Il legislatore regionale, limitando l'adozione  di  provvedimenti
di  divieto  di  prosecuzione  dell'attivita'   ai   soli   casi   di
«irregolarita' tali da determinare gravi pericoli per la popolazione,
l'ambiente o l'ordine pubblico», avrebbe  palesemente  vanificato  il
sistema di tutela degli interessi  ambientali,  apprestato  dall'art.
29-decies, comma 9, del  d.lgs.  n.  152  del  2006  con  conseguente
violazione del parametro costituzionale indicato. 
    2.- La Regione Abruzzo non si e' costituita. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 6, commi 1, 2 e 6;  7,  commi
6, 7, 8, lettera c), e 9; e 8, comma 2,  della  legge  della  Regione
Abruzzo 4 settembre 2017, n. 51  (Impresa  Abruzzo  competitivita'  -
sviluppo - territorio),  per  violazione  degli  artt.  117,  secondo
comma, lettere e), m) e s), della Costituzione e  di  numerose  norme
statali interposte. 
    2.- La legge  reg.  Abruzzo  n.  51  del  2017  e'  espressamente
finalizzata a promuovere «la crescita competitiva e la  capacita'  di
innovazione del sistema produttivo  e  l'attrattivita'  del  contesto
territoriale  e  sociale  abruzzese  nel  rispetto  dei  principi  di
responsabilita',  sussidiarieta'  e  fiducia,  garantendo  la  libera
iniziativa economica in armonia con l'articolo 41 della Costituzione»
(art. 1, comma 1). Significativo in tale senso  e'  il  titolo  della
legge («Impresa Abruzzo competitivita' - sviluppo - territorio»), che
evidenzia le finalita' perseguite  («competitivita'»  e  «sviluppo»),
individuando i principali destinatari delle sue norme  («Impresa»)  e
le modalita' con cui conseguire le finalita'  stesse  (valorizzazione
del «territorio»). 
    Le censure del Presidente del Consiglio si  appuntano  su  alcune
disposizioni contenute in tre articoli: il 6 (Semplificazione), il  7
(Amministrazione unica) e l'8 (Sistema integrato dei controlli). Piu'
precisamente, le norme impugnate modificano la disciplina  di  alcuni
profili del procedimento amministrativo, in  asserito  contrasto  con
quanto previsto dalla normativa statale, in  particolare  con  quella
risultante a seguito dell'entrata in  vigore  dei  decreti  attuativi
della delega contenuta nella legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe  al
Governo  in  materia  di   riorganizzazione   delle   amministrazioni
pubbliche). 
    Sempre in via preliminare deve  essere  precisato  che  la  legge
regionale  impugnata  non  incide   (nel   senso   che   non   abroga
espressamente  alcuna  disposizione  ne'  apporta   modificazioni   o
integrazioni)  sul  testo  della  preesistente  (e  tuttora  vigente)
normativa  regionale  in  materia  di  procedimento   amministrativo,
dettata dalla legge della Regione Abruzzo  1°  ottobre  2013,  n.  31
(Legge organica in materia di procedimento  amministrativo,  sviluppo
dell'amministrazione   digitale   e   semplificazione   del   sistema
amministrativo regionale e locale e modifiche alle LL.RR.  n.  2  del
2013 e n. 20 del 2013).  Il  legislatore  abruzzese  e'  intervenuto,
dunque, al  di  fuori  della  disciplina  generale  sul  procedimento
amministrativo dettata con la citata legge reg.  Abruzzo  n.  31  del
2013, al solo fine di adeguare taluni istituti agli  obiettivi  sopra
indicati. 
    3.- Un primo gruppo di questioni  riguarda  i  commi  1,  2  e  6
dell'art. 6 della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017. 
    3.1.- Il comma 1 dispone: «In attuazione  dell'articolo  9  della
legge n. 180 del 2011 e successive modificazioni ed  integrazioni,  i
procedimenti   amministrativi   relativi   all'avvio,    svolgimento,
trasformazione e cessazione  di  attivita'  economiche,  nonche'  per
l'installazione, attivazione, esercizio e  sicurezza  di  impianti  e
agibilita' degli edifici funzionali alle attivita' economiche, il cui
esito dipenda esclusivamente dal rispetto di requisiti e prescrizioni
di leggi, regolamenti o  disposizioni  amministrative  vigenti,  sono
sostituiti da una comunicazione unica  regionale  resa  al  SUAP  dal
legale rappresentante dell'impresa ovvero dal titolare dell'attivita'
economica, sotto forma  di  dichiarazione  sostitutiva  dell'atto  di
notorieta',  che  attesti  la  presenza  nel  fascicolo   informatico
d'impresa o il rilascio da parte della pubblica  amministrazione  dei
documenti sulla conformita' o la regolarita' degli interventi o delle
attivita'. L'avvio dell'attivita' e' contestuale  alla  comunicazione
unica regionale, alla quale  non  devono  essere  allegati  documenti
aggiuntivi,  il  cui  onere  di  trasmissione  telematica,  ai   fini
dell'acquisizione al fascicolo informatico d'impresa presso la camera
di commercio, resta in capo alle  pubbliche  amministrazioni  per  il
tramite  del  SUAP.  Nel  caso  in  cui  tale  comunicazione  risulti
formalmente incompleta l'ufficio competente, per il tramite del SUAP,
richiede le  integrazioni  necessarie  da  trasmettersi  a  cura  del
richiedente entro i successivi quindici  giorni,  pena  la  decadenza
della comunicazione unica regionale». 
    Ai sensi del richiamato art. 9 della legge 11 novembre  2011,  n.
180 (Norme per la tutela  della  liberta'  d'impresa.  Statuto  delle
imprese), «[l]e pubbliche  amministrazioni  di  cui  all'articolo  1,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e  successive
modificazioni, informano i rapporti con le  imprese  ai  principi  di
trasparenza,  di  buona  fede  e  di  effettivita'  dell'accesso   ai
documenti amministrativi, alle informazioni e  ai  servizi  svolgendo
l'attivita'  amministrativa  secondo  criteri  di  economicita',   di
efficacia, di efficienza,  di  tempestivita',  di  imparzialita',  di
uniformita' di trattamento, di  proporzionalita'  e  di  pubblicita',
riducendo o eliminando, ove possibile, gli oneri meramente formali  e
burocratici  relativi  all'avvio  dell'attivita'  imprenditoriale   e
all'instaurazione dei rapporti di lavoro nel settore privato, nonche'
gli  obblighi  e  gli  adempimenti  non  sostanziali  a  carico   dei
lavoratori e delle imprese» (comma 1). 
    Tornando alle disposizioni impugnate,  il  comma  2  dell'art.  6
della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 stabilisce:  «Entro  sessanta
giorni  dal  ricevimento  della  comunicazione  unica  regionale,  le
amministrazioni competenti, verificata la regolarita'  della  stessa,
effettuano i controlli, anche mediante la consultazione del fascicolo
informatico d'impresa, almeno  nella  misura  minima  indicata  dalla
Giunta regionale, e fissano, ove necessario, un termine non inferiore
a sessanta giorni per ottemperare alle relative prescrizioni, salvo i
casi  in  cui  sussistano  i  vincoli  ambientali,  paesaggistici   o
culturali di cui all'articolo 19, comma 1, della  legge  n.  241  del
1990 o che non sussistano irregolarita'  tali  da  determinare  gravi
pericoli per la popolazione, con riferimento  alla  salute  pubblica,
all'ambiente  e  alla  sicurezza  sui  luoghi  di   lavoro.   Qualora
l'interessato non provveda nel termine  assegnato,  l'amministrazione
competente emette il provvedimento  di  inibizione  al  proseguimento
dell'attivita'». 
    Infine, il comma 6 prevede: «La Giunta regionale, d'intesa con il
sistema camerale, individuati i procedimenti di cui ai commi 1 e 5  e
i requisiti minimi per l'esercizio di ciascuna attivita' di  impresa,
procede  alla  pubblicazione  dell'elenco  unitamente  alla  relativa
modulistica sui portali dei SUAP,  sul  sito  delle  Agenzie  per  le
Imprese, sul sito delle camere di commercio e sul sito della  Regione
Abruzzo». 
    Per completezza occorre aggiungere che il comma 5, non  impugnato
ma richiamato dalla disposizione di cui al comma 6, dispone: «Tutti i
procedimenti   disciplinati   da    norme    regionali    finalizzati
all'iscrizione ad albi o registri comunque denominati sono sostituiti
da  una  comunicazione  unica  regionale  del  legale  rappresentante
dell'impresa  regolarmente  iscritta  nel  registro  delle   imprese,
trasmessa alla camera  di  commercio  che  provvede  al  suo  inoltro
all'autorita' presso cui e' istituito l'albo.  L'iscrizione  all'albo
decorre dalla data di  invio  della  comunicazione  unica  regionale.
L'autorita' competente alla tenuta dell'albo dispone gli accertamenti
e i controlli sul possesso  dei  requisiti  e  adotta  gli  eventuali
provvedimenti di cancellazione». 
    3.2.- Le norme di cui ai commi 1, 2 e 6 dell'art. 6  della  legge
reg. Abruzzo n. 51 del  2017  sono  impugnate  per  violazione  della
competenza statale in materia di livelli essenziali delle prestazioni
(art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.) e in  materia  di  tutela
della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), per il
tramite di plurime norme interposte. 
    Pur  nella  diversita'  dei  parametri  interposti  evocati   dal
ricorrente, le censure mosse alle indicate disposizioni devono essere
esaminate congiuntamente, perche' tutte legate da un'unica ragione di
impugnazione. Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  lamenta,
infatti, l'illegittimita' costituzionale della scelta del legislatore
abruzzese (che trova compiuta realizzazione nel comma 1 dell'art.  6)
di sostituire  «i  procedimenti  amministrativi  relativi  all'avvio,
svolgimento, trasformazione e  cessazione  di  attivita'  economiche,
nonche' per l'installazione, attivazione, esercizio  e  sicurezza  di
impianti  e  agibilita'  degli  edifici  funzionali  alle   attivita'
economiche» con una comunicazione unica  regionale  (CUR)  resa  allo
sportello unico delle attivita' produttive (SUAP). 
    A questa previsione si collegano le  altre  censurate,  contenute
nei commi 2 e 6, che fanno riferimento alla CUR. Di qui la necessita'
per questa Corte di esaminare preliminarmente  le  censure  mosse  al
comma 1 dell'art. 6. 
    3.2.1.- In relazione al citato comma 1, il ricorrente ritiene che
i parametri costituzionali evocati siano violati per il tramite delle
norme interposte di cui all'art. 2, comma 1, del decreto  legislativo
30 giugno 2016, n. 126, recante «Attuazione della delega  in  materia
di segnalazione certificata  di  inizio  attivita'  (SCIA),  a  norma
dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124», e all'art. 19-bis
della legge 7  agosto  1990,  n.  241  (Nuove  norme  in  materia  di
procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai  documenti
amministrativi), introdotto dall'art. 3, comma  1,  lettera  c),  del
d.lgs. n. 126 del 2016.  Inoltre,  in  riferimento  all'ultima  parte
dell'art. 6, comma 1, che  prevede  ulteriori  casi  di  impiego  del
fascicolo informatico  d'impresa,  il  ricorrente  lamenta  anche  la
violazione dell'art. 4, comma 6, del decreto legislativo 25  novembre
2016, n. 219 (Attuazione della delega di cui  all'articolo  10  della
legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino  delle  funzioni  e  del
finanziamento delle camere di  commercio,  industria,  artigianato  e
agricoltura). 
    In particolare, l'art. 2, comma 1, del d.lgs.  n.  126  del  2016
stabilisce  che  «[l]e  amministrazioni  statali,  con  decreto   del
Ministro competente, di concerto con  il  Ministro  delegato  per  la
semplificazione e la pubblica amministrazione, sentita la  Conferenza
unificata di cui all'articolo 8 del  decreto  legislativo  28  agosto
1997,  n.  281,  adottano  moduli  unificati  e  standardizzati   che
definiscono  esaustivamente,  per  tipologia   di   procedimento,   i
contenuti tipici e la relativa organizzazione dei dati delle istanze,
delle segnalazioni  e  delle  comunicazioni  di  cui  ai  decreti  da
adottare ai sensi dell'articolo  5  della  legge  n.  124  del  2015,
nonche'  della  documentazione  da  allegare.   I   suddetti   moduli
prevedono, tra l'altro,  la  possibilita'  del  privato  di  indicare
l'eventuale   domicilio   digitale   per   le    comunicazioni    con
l'amministrazione. Per la presentazione di  istanze,  segnalazioni  o
comunicazioni  alle   amministrazioni   regionali   o   locali,   con
riferimento all'edilizia  e  all'avvio  di  attivita'  produttive,  i
suddetti moduli sono adottati, in attuazione del principio  di  leale
collaborazione, in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8
del decreto legislativo  n.  281  del  1997,  con  accordi  ai  sensi
dell'articolo 9 dello stesso decreto  legislativo  o  con  intese  ai
sensi della  legge  5  giugno  2003,  n.  131,  tenendo  conto  delle
specifiche normative regionali». 
    Il  legislatore  delegato  del  2016  ha  distinto,  dunque,   la
presentazione  di  istanze,   segnalazioni   o   comunicazioni   alle
amministrazioni statali da quella alle  amministrazioni  regionali  o
locali. Per le prime ha previsto  che  adottino  moduli  unificati  e
standardizzati;  per  le  seconde,  invece,  ha  disposto  che,   «in
attuazione del principio di leale collaborazione», i relativi  moduli
(unificati e standardizzati) siano adottati  in  sede  di  Conferenza
unificata con accordi o con intese. Si e' cercato in questo  modo  di
conciliare l'esigenza di uniformita' (dei modelli  di  comunicazione)
con  quella  di  tutela  delle  competenze   legislative   regionali,
assicurando il coinvolgimento  delle  Regioni  e  degli  enti  locali
mediante la previsione di accordi o  intese  in  sede  di  Conferenza
unificata. 
    La disposizione dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 126 del  2016
ha trovato attuazione con l'accordo in  Conferenza  unificata  del  4
maggio 2017, modificato poi con l'accordo in Conferenza unificata del
6 luglio 2017 e con l'accordo in Conferenza unificata del 22 febbraio
2018. Con questi accordi sono stati adottati  i  moduli  unificati  e
standardizzati per la presentazione delle segnalazioni, comunicazioni
e istanze in materia di attivita'  commerciali  e  assimilate,  e  in
materia di attivita' edilizia. 
    Ancora  prima  del  d.lgs.  n.  126  del  2016,  l'art.  24   del
decreto-legge  24  giugno  2014,  n.  90  (Misure  urgenti   per   la
semplificazione e la trasparenza amministrativa  e  per  l'efficienza
degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella  legge
11  agosto  2014,  n.  114,  ha   introdotto   previsioni   analoghe,
stabilendo: «Entro centottanta  giorni  dall'entrata  in  vigore  del
presente decreto le amministrazioni statali,  ove  non  abbiano  gia'
provveduto, adottano con decreto del Ministro competente, di concerto
con il  Ministro  delegato  per  la  semplificazione  e  la  pubblica
amministrazione, sentita la Conferenza unificata, moduli unificati  e
standardizzati su tutto il territorio nazionale per la  presentazione
di istanze, dichiarazioni e segnalazioni da  parte  dei  cittadini  e
delle imprese, che possono essere utilizzati da cittadini  e  imprese
decorsi trenta  giorni  dalla  pubblicazione  dei  relativi  decreti»
(comma 2). 
    E soprattutto il comma 3 del citato art.  24  ha  stabilito:  «Il
Governo, le regioni e gli enti locali, in attuazione del principio di
leale collaborazione, concludono, in sede  di  Conferenza  unificata,
accordi ai sensi dell'articolo 9 del decreto  legislativo  28  agosto
1997, n. 281, o intese ai sensi dell'articolo 8 della legge 5  giugno
2003, n. 131, per adottare, tenendo conto delle specifiche  normative
regionali, una modulistica unificata e  standardizzata  su  tutto  il
territorio   nazionale   per   la   presentazione   alle    pubbliche
amministrazioni  regionali   e   agli   enti   locali   di   istanze,
dichiarazioni e segnalazioni con riferimento all'edilizia e all'avvio
di attivita' produttive. Le  pubbliche  amministrazioni  regionali  e
locali utilizzano i moduli unificati  e  standardizzati  nei  termini
fissati con i suddetti accordi o intese; i cittadini e le imprese  li
possono  comunque  utilizzare  decorsi  trenta  giorni  dai  medesimi
termini». 
    Inoltre, il comma 4 del citato art. 24 ha  cosi'  qualificato  le
norme in materia: «Ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere
e), m) e r), della Costituzione, gli accordi  sulla  modulistica  per
l'edilizia e per l'avvio di attivita' produttive conclusi in sede  di
Conferenza  unificata  sono   rivolti   ad   assicurare   la   libera
concorrenza,  costituiscono  livelli  essenziali  delle   prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto  il   territorio   nazionale,   assicurano   il   coordinamento
informativo statistico e informatico  dei  dati  dell'amministrazione
statale, regionale e locale al  fine  di  agevolare  l'attrazione  di
investimenti dall'estero». 
    Secondo l'art. 29 della legge n. 241 del 1990, nel testo  vigente
a seguito delle modifiche operate, da ultimo, dal  citato  d.lgs.  n.
126 del 2016, «[a]ttengono ai livelli essenziali delle prestazioni di
cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m),  della  Costituzione
le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per  la
pubblica   amministrazione    di    garantire    la    partecipazione
dell'interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di
concluderlo entro il termine prefissato  e  di  assicurare  l'accesso
alla documentazione  amministrativa,  nonche'  quelle  relative  alla
durata massima dei procedimenti» (comma  2-bis).  In  base  al  comma
2-ter, «[a]ttengono altresi' ai livelli essenziali delle  prestazioni
di  cui  all'articolo  117,  secondo   comma,   lettera   m),   della
Costituzione le disposizioni  della  presente  legge  concernenti  la
presentazione  di   istanze,   segnalazioni   e   comunicazioni,   la
dichiarazione  di  inizio  attivita'  e  il  silenzio  assenso  e  la
conferenza di servizi, salva  la  possibilita'  di  individuare,  con
intese in sede di Conferenza unificata  di  cui  all'articolo  8  del
decreto  legislativo  28  agosto   1997,   n.   281,   e   successive
modificazioni,  casi  ulteriori  in  cui  tali  disposizioni  non  si
applicano». Il comma 2-quater dispone poi che  «[l]e  regioni  e  gli
enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi  di  loro
competenza,  non  possono  stabilire  garanzie  inferiori  a   quelle
assicurate  ai  privati  dalle  disposizioni  attinenti  ai   livelli
essenziali delle prestazioni di  cui  ai  commi  2-bis  e  2-ter,  ma
possono prevedere livelli ulteriori di tutela». 
    Inoltre, il decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222, recante
«Individuazione   di   procedimenti   oggetto   di    autorizzazione,
segnalazione certificata di  inizio  di  attivita'  (SCIA),  silenzio
assenso e comunicazione e di definizione  dei  regimi  amministrativi
applicabili  a  determinate  attivita'  e  procedimenti,   ai   sensi
dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124», ha  provveduto  a
individuare i  procedimenti  oggetto,  tra  l'altro,  di  SCIA  e  di
comunicazione (si veda, in  particolare,  l'allegato  A  al  medesimo
decreto). 
    Infine, l'altra norma interposta, l'art. 19-bis  della  legge  n.
241 del 1990 (introdotto dall'art. 3, comma 1, lettera c, del  d.lgs.
n.   126   del   2016),   rubricato   «Concentrazione   dei    regimi
amministrativi», dispone quanto segue: «1. Sul sito istituzionale  di
ciascuna amministrazione e' indicato lo sportello  unico,  di  regola
telematico,  al  quale  presentare  la  SCIA,  anche   in   caso   di
procedimenti connessi di competenza di altre  amministrazioni  ovvero
di  diverse  articolazioni  interne  dell'amministrazione  ricevente.
Possono essere istituite piu' sedi di tale sportello, al  solo  scopo
di garantire la pluralita' dei punti di accesso sul territorio. 2. Se
per lo svolgimento di un'attivita' soggetta a  SCIA  sono  necessarie
altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni  e  notifiche,
l'interessato presenta un'unica SCIA allo sportello di cui  al  comma
1. L'amministrazione che riceve la SCIA la  trasmette  immediatamente
alle altre amministrazioni interessate al  fine  di  consentire,  per
quanto  di  loro  competenza,  il  controllo  sulla  sussistenza  dei
requisiti e dei presupposti per lo svolgimento  dell'attivita'  e  la
presentazione, almeno cinque giorni prima della scadenza dei  termini
di cui all'articolo 19,  commi  3  e  6-bis,  di  eventuali  proposte
motivate per l'adozione dei provvedimenti ivi previsti. 3.  Nel  caso
in cui l'attivita' oggetto di SCIA e'  condizionata  all'acquisizione
di atti di assenso comunque denominati o pareri  di  altri  uffici  e
amministrazioni,  ovvero  all'esecuzione  di  verifiche   preventive,
l'interessato presenta allo sportello di cui al comma 1  la  relativa
istanza, a seguito  della  quale  e'  rilasciata  ricevuta  ai  sensi
dell'articolo 18-bis. In tali casi, il termine  per  la  convocazione
della conferenza  di  cui  all'articolo  14  decorre  dalla  data  di
presentazione   dell'istanza   e   l'inizio   dell'attivita'    resta
subordinato al rilascio degli atti medesimi, di cui lo sportello  da'
comunicazione all'interessato». 
    3.3.- Le questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  6,
comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 sono fondate. 
    Dal quadro normativo sopra riportato emerge chiaramente  come  le
disposizioni statali interposte (art. 2, comma 1, del d.lgs.  n.  126
del 2016 e art. 19-bis della legge n. 241 del 1990) siano  rivolte  a
snellire le modalita' di avvio, di svolgimento e di cessazione  delle
attivita' economiche, prevedendo la semplificazione delle procedure e
la loro uniformita' su tutto il  territorio  nazionale.  Uniformita',
come  visto,  assicurata  attraverso  una  modulistica  unificata   e
standardizzata predisposta a seguito di  un  adeguato  coinvolgimento
delle Regioni e degli enti locali (nel caso di istanze,  segnalazioni
o comunicazioni alle amministrazioni regionali o locali). 
    La norma regionale  impugnata  -  prevedendo  «una  comunicazione
unica  regionale  [CUR]  resa  al  SUAP  dal  legale   rappresentante
dell'impresa ovvero  dal  titolare  dell'attivita'  economica,  sotto
forma di  dichiarazione  sostitutiva  dell'atto  di  notorieta',  che
attesti la presenza nel fascicolo informatico d'impresa o il rilascio
da  parte  della  pubblica  amministrazione   dei   documenti   sulla
conformita' o la regolarita' degli interventi o delle attivita'» - ha
introdotto una nuova forma di comunicazione  che  sostituisce  quelle
gia' previste dal legislatore statale (art. 2, comma 1, del d.lgs. n.
126 del 2016). 
    Per espressa menzione del comma 1 dell'art. 6  della  legge  reg.
Abruzzo n. 51 del 2017, la CUR  "sostituisce"  -  relativamente  alle
attivita'   ivi   indicate   e   cioe'    «all'avvio,    svolgimento,
trasformazione e cessazione  di  attivita'  economiche,  nonche'  per
l'installazione, attivazione, esercizio e  sicurezza  di  impianti  e
agibilita' degli edifici funzionali alle attivita'  economiche»  -  i
procedimenti amministrativi «il cui esito dipenda esclusivamente  dal
rispetto  di  requisiti  e  prescrizioni  di  leggi,  regolamenti   o
disposizioni amministrative vigenti». 
    La previsione regionale appena citata  non  coincide  con  quella
statale dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 126 del 2016 (che  invece
fa riferimento «all'edilizia e all'avvio di attivita' produttive»), e
soprattutto   non   realizza   una   evidente   semplificazione   del
procedimento, finendo anzi per tradursi in  un'inutile  complicazione
per  gli  operatori  economici  che,  di  volta  in  volta,  dovranno
preventivamente stabilire se, ed eventualmente in  che  misura,  essi
sono tenuti alla CUR o alle diverse forme di  comunicazione  previste
dalla  normativa  statale.  In   altre   parole,   l'intervento   del
legislatore abruzzese, lungi dal perseguire l'obiettivo dichiarato di
realizzare  una  forma  di  «[s]emplificazione»  (cosi'  la   rubrica
dell'art. 6), comporta un aggravamento degli oneri cui sono tenuti  i
legali rappresentanti di un'impresa  o  i  titolari  di  un'attivita'
economica. 
    Da questo punto  di  vista,  la  previsione  statale  di  «moduli
unificati e standardizzati» - peraltro concordati con le Regioni  nel
caso di «istanze, segnalazioni o comunicazioni  alle  amministrazioni
regionali o locali» - contribuisce ad assicurare livelli uniformi  di
semplificazione su tutto il territorio nazionale e, al tempo  stesso,
a  porre  gli  operatori  economici  nelle  medesime  condizioni   di
partenza. Cio' non esclude, in linea di principio,  che  una  Regione
possa dotarsi di una normativa  che  preveda  «livelli  ulteriori  di
tutela», secondo l'indicazione fornita dal legislatore statale  (art.
29, comma 2-quater, della legge n.  241  del  1990)  sul  modello  di
quanto previsto dall'art. 117, secondo comma, lettera  m),  Cost.  La
Regione puo' percio' intervenire su specifici profili o segmenti  del
procedimento amministrativo delineato dalla legge statale, variandoli
in  senso  migliorativo  in  termini  di  semplicita',  snellezza   o
speditezza. Cosi', per esempio,  fermo  restando  il  rispetto  delle
attribuzioni statali in altre materie,  potrebbe  ridurre  i  termini
assegnati all'amministrazione  per  provvedere  o  eliminare  singoli
passaggi  procedimentali.  Cio'  che   invece   resta   precluso   al
legislatore regionale e'  di  introdurre  un  modello  procedimentale
completamente nuovo e incompatibile con  quello  definito  a  livello
statale, giacche' un intervento di questo tipo, anche  se,  come  nel
caso  in  esame,  si  autoqualificasse  come  diretto  a   perseguire
l'obiettivo della semplificazione, per  un  verso  sarebbe  di  assai
difficile, se non impossibile, raffronto con quello statale  al  fine
di apprezzarne la maggiore o  minore  semplificazione,  e  per  altro
verso finirebbe per complicare le attivita' connesse allo svolgimento
di un'impresa, imponendo ai suoi destinatari l'onere aggiuntivo della
non facile individuazione della normativa in concreto applicabile. 
    Per queste ragioni, la disposizione contenuta all'art.  6,  comma
1, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 viola l'art. 117,  secondo
comma, lettera m), Cost., con assorbimento di ogni altro  profilo  di
censura. 
    L'illegittimita' costituzionale dell'intero comma 1  dell'art.  6
assorbe le specifiche censure rivolte all'ultima parte  dello  stesso
comma, impugnata per violazione dei medesimi parametri costituzionali
ma in relazione a una diversa norma statale interposta (art. 4, comma
6, del d.lgs. n. 219 del 2016). 
    Va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
6, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017. 
    3.4.- Anche le questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
6, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 sono fondate. 
    Tale disposizione fa  decorrere  dal  ricevimento  della  CUR  il
termine entro il quale le amministrazioni competenti,  verificata  la
regolarita' della comunicazione, effettuano i  controlli  e  fissano,
eventualmente,  un  termine  non  inferiore  a  sessanta  giorni  per
ottemperare alle relative prescrizioni. Sono fatti salvi «i  casi  in
cui in cui sussistano i vincoli ambientali, paesaggistici o culturali
di cui all'articolo 19, comma 1, della legge n. 241 del  1990  o  che
non sussistano irregolarita' tali da determinare gravi  pericoli  per
la popolazione, con riferimento alla salute pubblica, all'ambiente  e
alla sicurezza sui luoghi di lavoro». 
    Questa disposizione e' impugnata per l'asserito contrasto con gli
stessi parametri costituzionali evocati per il  comma  1  (art.  117,
secondo comma, lettere e e m, Cost.),  ma  in  relazione  alle  norme
interposte di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 19 della legge n. 241  del
1990 (Segnalazione certificata  di  inizio  attivita'  -  Scia),  che
sarebbero violati:  a)  perche'  la  norma  impugnata  ridurrebbe  la
portata della clausola di salvaguardia dei vincoli rispetto a  quanto
e' previsto dal citato art. 19, comma 1, facendo salvi solo i vincoli
ambientali, paesaggistici o culturali e non  anche  tutti  gli  altri
indicati nella disposizione statale; b) perche' la  norma  impugnata,
prevedendo un ulteriore termine «non inferiore a sessanta giorni» per
ottemperare   alle    prescrizioni    imposte    dall'amministrazione
competente, si porrebbe in contrasto con quanto previsto  dal  citato
art. 19, comma 3, che  dispone  la  fissazione  «di  un  termine  non
inferiore a trenta giorni» per l'adozione  delle  misure  prescritte.
Cio'  comporterebbe  «una  estensione  generale   dei   termini   del
procedimento» contraria alla ratio di semplificazione su cui si fonda
la normativa impugnata. 
    Come  gia'  rilevato  (punto  3.2),  le  questioni  promosse  nei
confronti dei commi 1, 2 e 6 dell'art.  6  sono  legate  da  un'unica
ragione di impugnazione, individuabile nel  comune  riferimento  alla
CUR. In particolare, nel caso del comma 2, i controlli  svolti  dalle
amministrazioni competenti hanno inizio  entro  sessanta  giorni  dal
ricevimento   della   CUR.   La   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale del comma 1 dell'art. 6 della legge reg. Abruzzo n. 51
del 2017, che disciplina questa forma  di  comunicazione,  fa  dunque
venir meno  il  dies  a  quo  del  termine  per  l'effettuazione  dei
controlli. 
    Cio'  nondimeno,  il  comma  2  potrebbe   sopravvivere   se   il
riferimento alla CUR - a seguito  dell'accertata  incostituzionalita'
della norma che la prevede - fosse inteso come relativo alle forme di
comunicazione previste dalla normativa  statale.  Per  quanto  questa
operazione non si presenti agevole,  stante  la  radicale  diversita'
delle procedure, regionale e statale,  in  questione,  e'  necessario
prendere in esame le  specifiche  censure  mosse  nei  confronti  del
citato comma 2. 
    Quanto al primo parametro interposto (art.  19,  comma  1,  della
legge n. 241 del 1990), la  norma  regionale  impugnata  prevede  una
clausola di salvaguardia decisamente piu' limitata di quella prevista
dalla norma statale, la quale esclude tutti i «casi in cui sussistano
vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati
dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale,  alla  pubblica
sicurezza,   all'immigrazione,    all'asilo,    alla    cittadinanza,
all'amministrazione  della   giustizia,   all'amministrazione   delle
finanze, ivi compresi gli atti concernenti le  reti  di  acquisizione
del gettito, anche derivante dal gioco, nonche'  di  quelli  previsti
dalla normativa per le costruzioni  in  zone  sismiche  e  di  quelli
imposti dalla normativa comunitaria». 
    Anche a voler fare riferimento in via integrativa alla previsione
dell'art. 6, comma 12, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 -  che
prevede un elenco (piu' ampio di quello di cui all'impugnato comma 2)
di casi nei  quali  non  trovano  applicazione  le  disposizioni  del
medesimo art. 6 - permane una significativa differenza tra la portata
della clausola di salvaguardia prevista dalla normativa  regionale  e
quella dell'analoga clausola posta nella normativa statale, che fissa
i livelli uniformi di tutela degli  interessi  cosiddetti  sensibili,
non sacrificabili in nome dell'esigenza di semplificazione. 
    Quanto al secondo parametro interposto (art. 19, comma  3,  della
legge n. 241 del 1990), la norma regionale  impugnata  effettivamente
amplia - rispetto alla disposizione statale - il termine concesso  al
privato  per  adottare  le  misure  prescritte   dall'amministrazione
competente, determinando  pertanto  un  allungamento  dei  tempi  del
procedimento. Rileva in tale senso l'autoqualificazione  operata  dal
legislatore statale, che, nell'art. 29, comma 2-bis, della  legge  n.
241 del 1990, riconduce alla competenza statale in materia di livelli
essenziali delle  prestazioni  le  disposizioni  della  stessa  legge
concernenti, tra l'altro, «la durata massima dei procedimenti».  Come
questa Corte ha ripetutamente affermato  (ex  plurimis,  sentenze  n.
140, n. 137, n. 94 e n.  87  del  2018),  la  validita'  delle  norme
recanti autoqualificazioni di questo tipo  non  puo'  essere  assunta
come presupposto indiscusso per  la  valutazione  della  legittimita'
costituzionale delle disposizioni che le  contengono  o  che  -  come
nell'odierno giudizio - si pongono in contrasto  con  esse,  ma  deve
essere sottoposta a verifica in relazione al suo oggetto e  alla  sua
ratio, in modo da identificare correttamente l'interesse tutelato. 
    Nel caso di specie, le disposizioni statali relative alla  durata
massima dei procedimenti rispondono  pienamente  alla  ratio  sottesa
alla determinazione di livelli uniformi di  tutela  (come  del  resto
riconosciuto da questa Corte nella sentenza n. 207 del 2012), che non
possono essere derogati nemmeno quando - come nel  caso  in  esame  -
l'eventuale estensione operi a favore del privato,  non  solo  e  non
tanto per mantenere il procedimento amministrativo entro  il  termine
massimo ritenuto ragionevole dal legislatore statale,  ma  anche  per
tutelare eventuali soggetti terzi che potrebbero  avere  interesse  a
che il privato istante adotti le  prescrizioni  richieste  nei  tempi
fissati. 
    Per queste ragioni si deve concludere  che  l'art.  6,  comma  2,
della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017  viola  l'art.  117,  secondo
comma, lettera m), Cost.. con assorbimento di ogni altro  profilo  di
censura.  Va  pertanto  dichiarata  l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 6, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017. 
    3.5.-   E'   fondata   anche   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 6, comma 6, della legge reg. Abruzzo  n.  51
del 2017. 
    Tale norma e' impugnata nella parte in cui  rimette  alla  Giunta
regionale il compito di individuare i procedimenti  per  i  quali  si
applica la CUR, senza prevedere i  casi  in  cui  alla  comunicazione
occorra allegare le attestazioni e le  asseverazioni  necessarie  per
consentire alle amministrazioni competenti di effettuare i controlli.
Secondo il ricorrente questa norma si porrebbe in contrasto  -  oltre
che con gli stessi parametri costituzionali indicati in relazione  ai
commi 1 e 2 - con l'art. 2, comma 2, ultima parte, del d.lgs. n.  222
del 2016, il quale, attuando quanto previsto dall'art. 14 del decreto
legislativo  26  marzo  2010,  n.  59  (Attuazione  della   direttiva
2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), gia'  individua
i procedimenti oggetto di autorizzazione, SCIA,  silenzio  assenso  e
comunicazione, compresi i casi in cui occorra allegare  asseverazioni
e certificazioni. 
    La questione del comma 6 dell'art.  6  si  presenta  strettamente
collegata a quella relativa al comma  1,  non  fosse  altro  che  per
l'esplicito  richiamo  ai  procedimenti  ivi  indicati.  Pertanto  e'
evidente che la declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  del
comma 1 dell'art. 6 comporta inevitabilmente  anche  l'illegittimita'
del  comma  6,  limitatamente  al  richiamo  da   esso   operato   ai
procedimenti del comma 1. Per le stesse ragioni indicate in relazione
al  comma  1,  deve   quindi   essere   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale  dell'art.  6,  comma  6,  nella  parte  in   cui   fa
riferimento ai «procedimenti di cui ai commi 1 e 5», anziche' ai soli
«procedimenti di cui al comma 5», che, come detto, non e' oggetto  di
impugnazione (punto 3.1). 
    4.- Un secondo gruppo di questioni riguarda l'art.  7,  comma  6,
della legge  reg.  Abruzzo  n.  51  del  2017.  Al  riguardo  occorre
distinguere quelle attinenti la lettera a)  del  comma  6  da  quelle
relative alla lettera b). 
    4.1.- La questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,
comma 6, lettera a), della legge reg.  Abruzzo  n.  51  del  2017  e'
fondata. 
    Questa norma e' impugnata per violazione dell'art.  117,  secondo
comma, lettera m), Cost., in quanto - per il  caso  in  cui  non  sia
necessario convocare una conferenza di  servizi  -  non  preciserebbe
entro quale termine l'interessato  deve  produrre  la  documentazione
integrativa richiesta dall'amministrazione procedente, ne' opererebbe
un rinvio all'art. 2, comma 7, della  legge  n.  241  del  1990,  che
prevede la possibilita' di sospensione di questo termine per una sola
volta e per un periodo non superiore a trenta giorni. In questo  modo
il  legislatore  abruzzese  avrebbe  reso  incerto  il  termine   per
l'adozione del provvedimento conclusivo del procedimento. 
    La disposizione impugnata deve  essere  letta  congiuntamente  al
precedente comma 5 (non impugnato), il quale prevede: «La domanda  di
avvio del procedimento e' presentata esclusivamente in via telematica
al SUAP. Entro quindici giorni lavorativi dal ricevimento,  il  SUAP,
sulla base delle verifiche effettuate in via telematica dagli  uffici
competenti,  puo'  richiedere   all'interessato   la   documentazione
integrativa; decorso tale termine la domanda si  intende  completa  e
correttamente presentata». 
    In effetti, la disposizione impugnata si limita a stabilire  che,
in  questo  caso  (cioe'  «qualora  non  sia  necessario   acquisire,
esclusivamente in via telematica, pareri, autorizzazioni o altri atti
di assenso comunque denominati di amministrazioni diverse  da  quella
comunale»), il SUAP adotta il provvedimento  conclusivo  entro  dieci
giorni lavorativi «decorso il termine di cui al comma  5  ovvero  dal
ricevimento delle integrazioni». In sostanza, se il SUAP richiede una
documentazione integrativa, la durata del procedimento dipende da  un
evento incerto nel quando (oltre che nell'an), cioe' dal  ricevimento
delle integrazioni. Il legislatore regionale non precisa, quindi, ne'
nella disposizione impugnata, ne' nelle altre che  compongono  l'art.
7, il termine entro il quale deve essere prodotta  la  documentazione
integrativa.  Peraltro  -  come  rilevato   dal   ricorrente   -   la
disposizione de qua non contiene alcun rinvio all'art.  2,  comma  7,
della  legge  n.  241  del  1990,  che  prevede  la  possibilita'  di
sospensione del termine in esame per una sola volta e per un  periodo
non superiore a trenta giorni. 
    Come gia' messo in evidenza, il comma 2-bis  dell'art.  29  della
legge n. 241 del 1990 qualifica - correttamente, ad avviso di  questa
Corte - come attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui
all'articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost.  «le  disposizioni
della  presente  legge  concernenti  gli  obblighi  per  la  pubblica
amministrazione  [...]  di  concluder[e  il  procedimento]  entro  il
termine prefissato [...], nonche' quelle relative alla durata massima
dei procedimenti». Nel  caso  di  specie,  l'assenza  di  un  termine
prefissato  per  la  conclusione  del  procedimento  comporta  invece
un'inevitabile  incertezza  sui   tempi   della   "prestazione"   che
l'amministrazione competente e' chiamata a fornire al richiedente. 
    Al  riguardo  occorre  osservare  che  un  eventuale   intervento
meramente ablatorio di questa Corte farebbe venir meno la  previsione
del «ricevimento delle integrazioni» come dies a quo per  il  computo
del termine entro il quale adottare il provvedimento conclusivo,  con
la conseguenza che, al fine di garantire la certezza della durata del
procedimento,  sarebbe  irrimediabilmente  compromesso   il   diritto
dell'interessato di produrre la documentazione  integrativa.  D'altro
canto, il ricorrente impugna questa disposizione nella parte  in  cui
non precisa il termine per la  produzione  di  questi  documenti  ne'
opera un rinvio all'art. 2, comma 7, della legge n. 241 del 1990. 
    Per le anzidette ragioni, questa Corte - non potendosi sostituire
al  legislatore  regionale  nella  determinazione  del  termine   per
produrre  la  documentazione  integrativa  -   puo'   assicurare   la
conformita' a Costituzione della disposizione impugnata solo operando
un'addizione chiaramente desumibile dal quadro normativo statale. Per
queste ragioni deve essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 7, comma 6, lettera a), della legge reg. Abruzzo n. 51  del
2017 nella parte in cui non rinvia all'art. 2, comma 7,  della  legge
n. 241 del 1990 al fine  di  individuare  il  termine  relativo  alla
produzione dei documenti integrativi. 
    4.2.- La questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,
comma 6, lettera b), della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 e'  solo
in parte fondata. 
    Questa disposizione e' impugnata per  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera m), Cost., sotto tre  differenti  profili:  1)
innanzitutto, perche' - analogamente a quanto si e' visto per  l'art.
7, comma 6, lettera a) - non prevedendo un termine per l'integrazione
documentale e non operando il rinvio all'art. 2, comma 7, della legge
n. 241 del 1990, aggraverebbe il procedimento rendendone  incerta  la
durata; 2) in secondo luogo, perche' - violando la  norma  interposta
di cui all'art. 14-bis della legge n. 241 del 1990 - non prevederebbe
la modalita' telematica come regola; 3) in  terzo  luogo,  perche'  -
violando la norma interposta di cui all'art. 17-bis  della  legge  n.
241 del 1990 - non avrebbe distinto i casi in  cui  nel  procedimento
sono coinvolte amministrazioni preposte alla tutela  degli  interessi
sensibili, non assicurando quindi  la  tutela  «rinforzata»  di  tali
interessi, necessariamente garantita invece dalla normativa statale. 
    4.2.1.- Quanto al primo profilo di  censura,  puo'  estendersi  a
questa norma quanto gia' affermato in relazione all'art. 7, comma  6,
lettera a). Anche  in  questo  caso  (qualora  cioe'  sia  necessario
convocare una conferenza di servizi), il legislatore regionale si  e'
limitato a indicare nel «ricevimento delle integrazioni»  il  dies  a
quo per la convocazione della conferenza, senza operare alcun  rinvio
all'art. 2, comma 7, della legge n. 241 del 1990. 
    In  presenza  del  medesimo  dato  letterale  della  disposizione
impugnata,  dei  medesimi  parametri  e  delle  stesse   ragioni   di
impugnazione,  questa  Corte  non  puo'  che  ribadire  quanto   gia'
affermato in relazione alla disposizione della lettera  a).  Pertanto
deve essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  7,
comma 6, lettera b), della legge reg. Abruzzo n. 51  del  2017  nella
parte in cui non rinvia all'art. 2, comma 7, della legge n.  241  del
1990 al fine di individuare il termine relativo alla  produzione  dei
documenti integrativi. 
    4.2.2.- Quanto al  secondo  profilo  di  censura,  relativo  alla
violazione della competenza statale prevista  all'art.  117,  secondo
comma, lettera m),  Cost.  per  contrasto  con  la  norma  interposta
dell'art. 14-bis della legge n. 241 del 1990, il ricorrente si  duole
del fatto che la norma impugnata non preveda la modalita'  telematica
come regola. 
    4.2.2.1.- E' preliminarmente necessario richiamare la  disciplina
della conferenza di servizi,  originariamente  prevista  all'art.  14
della legge n. 241 del 1990 e ripetutamente  modificata  e  integrata
negli anni successivi, da ultimo con il decreto legislativo 30 giugno
2016, n. 127 (Norme per il riordino della disciplina  in  materia  di
conferenza di servizi, in attuazione dell'articolo 2  della  legge  7
agosto  2015,  n.  124).  Con  questa  piu'  recente  innovazione  il
legislatore statale ha inteso rimediare alle  disfunzioni  registrate
nella prassi prevedendo, essenzialmente, tre strumenti: la conferenza
semplificata; la conferenza simultanea e i rappresentanti  unici;  il
meccanismo di opposizione successiva in caso di dissensi qualificati.
Queste tre novita' concernono la sola conferenza cosiddetta decisoria
e non riguardano invece quella cosiddetta  istruttoria  (prevista  al
novellato art. 14, comma 1, della legge n. 241 del 1990). 
    In questa sede vengono in rilievo solo le forme  e  le  modalita'
con cui puo' avere luogo la  conferenza  decisoria,  disciplinata  al
comma 2 dell'art. 14. In base a quanto disposto dal  successivo  art.
14-bis (Conferenza semplificata), questo tipo di conferenza si svolge
di regola (e salvi i casi poi precisati ai commi 6 e 7  dello  stesso
articolo) in forma semplificata e in modalita' asincrona  (comma  1).
In questo tipo  di  conferenza  le  comunicazioni  avvengono  secondo
quanto previsto dall'art. 47 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n.
82 (Codice dell'amministrazione digitale), cioe' «mediante l'utilizzo
della posta  elettronica  o  in  cooperazione  applicativa»,  essendo
altresi' previsto che «[i]l documento  puo'  essere,  altresi',  reso
disponibile  previa  comunicazione   delle   modalita'   di   accesso
telematico allo stesso». 
    Scaduto il termine entro il quale  le  amministrazioni  coinvolte
devono   rendere   le   proprie   determinazioni,   l'amministrazione
procedente - se ha  acquisito  esclusivamente  atti  di  assenso  non
condizionato, anche implicito, o se ritiene, sentiti i privati  e  le
altre amministrazioni interessate, che le condizioni  e  prescrizioni
eventualmente  indicate  possano  essere  accolte   senza   modifiche
sostanziali alla decisione - adotta  la  determinazione  motivata  di
conclusione positiva della conferenza. Se ha invece acquisito  uno  o
piu'  atti  di  dissenso  che  ritiene  non  superabili,  adotta   la
determinazione di conclusione negativa della conferenza  che  produce
l'effetto del rigetto della domanda  (art.  14-bis,  comma  5,  della
legge n. 241 del 1990). 
    Fuori dei casi appena visti -  ossia  nelle  ipotesi  di  assenso
condizionato  che  richieda  modifiche  sostanziali  o  di   dissenso
ritenuto  superabile  -  all'esito  della  conferenza  in   modalita'
asincrona, l'amministrazione procedente  convoca  la  riunione  della
conferenza in modalita' sincrona (art. 14-bis, comma 6,  della  legge
n.  241  del  1990).  Ugualmente  puo'  convocare  direttamente   una
conferenza simultanea (art. 14-bis, comma 7)  «[o]ve  necessario,  in
relazione  alla  particolare  complessita'  della  determinazione  da
assumere» ovvero su richiesta motivata delle altre amministrazioni  o
dei privati interessati. Quando e' indetta in modalita' sincrona,  la
conferenza si svolge con la partecipazione contestuale, ove possibile
anche in via telematica,  dei  rappresentanti  delle  amministrazioni
competenti» (art. 14-ter, comma 1). 
    Sintetizzando, il d.lgs. n. 127 del 2016 ha previsto che:  a)  la
conferenza decisoria si svolge in forma semplificata e  in  modalita'
asincrona,  disponendo  che  le  comunicazioni  avvengano  per  posta
elettronica;  b)  in   casi   di   particolare   complessita'   della
determinazione da assumere o su richiesta motivata degli interessati,
la conferenza puo' svolgersi direttamente in forma  simultanea  e  in
modalita' sincrona; c) comunque, in caso di assenso condizionato  che
richieda modifiche sostanziali o  di  dissenso  ritenuto  superabile,
all'esito della conferenza  in  forma  semplificata  e  in  modalita'
asincrona, si procede alla convocazione  della  conferenza  in  forma
simultanea e in modalita' sincrona. 
    4.2.2.2.- Si puo' a  questo  punto  ritornare  alle  censure  del
ricorrente, il quale lamenta che il legislatore abruzzese  non  abbia
previsto la modalita' telematica come regola per lo svolgimento della
conferenza di servizi. 
    Da quanto appena esposto si comprende chiaramente come il  quadro
normativo statale sia assai piu' complesso di quello ricostruito  dal
ricorrente. Cio' nondimeno, e' vero che  il  legislatore  statale  ha
previsto che la conferenza decisoria si svolga di regola - e salvi  i
casi di particolare complessita' -  per  via  telematica  (conferenza
cosiddetta semplificata, cioe' in forma semplificata e  in  modalita'
asincrona)  e  anche  che,   qualora   all'esito   della   conferenza
semplificata non si  addivenga  alla  determinazione  di  conclusione
positiva, la conferenza sia indetta in modalita' sincrona (conferenza
cosiddetta  simultanea),  con  la  partecipazione  contestuale,  «ove
possibile  anche  in  via  telematica»,  dei   rappresentanti   delle
amministrazioni competenti. 
    L'obbligo di utilizzo  della  modalita'  telematica,  dunque,  e'
senz'altro riferito alla conferenza  semplificata,  ma  non  anche  a
quella simultanea. La legge  regionale  abruzzese  non  opera  questa
distinzione e si limita a stabilire  che  la  conferenza  di  servizi
dovra' essere svolta «in seduta unica anche in via  telematica».  Dal
tenore letterale  della  disposizione  impugnata  si  deduce  che  il
legislatore regionale ha  inteso  fare  riferimento  alla  conferenza
simultanea; se cosi' non  fosse,  non  si  capirebbe  in  cosa  possa
consistere  la  «mancata  partecipazione  dei   soggetti   invitati»,
formula, questa, che presuppone una partecipazione contestuale (anche
in via telematica) e non invece uno  scambio  di  informazioni  e  di
documenti in modalita' asincrona. 
    Cosi'  intesa,  la  disposizione  impugnata,  che  disciplina  la
conferenza con modalita' sincrona, non si pone in  contrasto  con  il
parametro costituzionale indicato (art. 117, secondo  comma,  lettera
m, Cost.), risultando inconferente la norma  interposta  evocata  dal
ricorrente (art.  14-bis  della  legge  n.  241  del  1990),  che  si
riferisce invece alla conferenza semplificata asincrona. 
    La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 6,
lettera b), della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017, nella  parte  in
cui  non  prevede  la  modalita'  telematica  come  regola   per   lo
svolgimento della conferenza di servizi, non e'  dunque  fondata  nei
termini suddetti. 
    4.2.3.- L'ultimo profilo di censura dell'art. 7, comma 6, lettera
b), della legge reg. Abruzzo  n.  51  del  2017  concerne  l'asserita
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera  m),  Cost.  per  il
tramite della norma interposta dell'art. 17-bis della  legge  n.  241
del 1990. In questo caso il ricorrente si  duole  del  fatto  che  la
norma impugnata non distingue i casi in  cui  nel  procedimento  sono
coinvolte  amministrazioni  preposte  alla  tutela  degli   interessi
sensibili, non assicurando cosi' la necessaria tutela «rinforzata» di
questi interessi, garantita invece dalla normativa statale. 
    4.2.3.1.- L'art. 17-bis della legge n. 241 del  1990,  introdotto
dall'art. 3, comma 1, della legge n. 124 del 2015  (Silenzio  assenso
tra amministrazioni  pubbliche  e  tra  amministrazioni  pubbliche  e
gestori di beni o servizi pubblici),  stabilisce,  tra  l'altro,  che
«[n]ei casi in cui e' prevista l'acquisizione di assensi, concerti  o
nulla osta comunque denominati  di  amministrazioni  pubbliche  e  di
gestori di beni o servizi pubblici, per l'adozione  di  provvedimenti
normativi e amministrativi di  competenza  di  altre  amministrazioni
pubbliche, le amministrazioni o i gestori  competenti  comunicano  il
proprio assenso, concerto  o  nulla  osta  entro  trenta  giorni  dal
ricevimento dello schema di provvedimento, corredato  della  relativa
documentazione, da parte dell'amministrazione procedente» (comma  1).
Inoltre, «[d]ecorsi i termini di cui al comma 1 senza che  sia  stato
comunicato l'assenso, il concerto o  il  nulla  osta,  lo  stesso  si
intende acquisito» (comma 2). 
    Il regime anzidetto si applica «anche ai casi in cui e'  prevista
l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque  denominati
di    amministrazioni    preposte     alla     tutela     ambientale,
paesaggistico-territoriale, dei beni culturali  e  della  salute  dei
cittadini, per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi
di competenza di amministrazioni pubbliche».  In  questi  casi,  «ove
disposizioni di legge o i provvedimenti di  cui  all'articolo  2  non
prevedano  un  termine  diverso,  il  termine  entro  il   quale   le
amministrazioni competenti comunicano il proprio assenso, concerto  o
nulla osta e' di novanta giorni dal ricevimento  della  richiesta  da
parte dell'amministrazione procedente», fermo restando che «[d]ecorsi
i suddetti termini senza  che  sia  stato  comunicato  l'assenso,  il
concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito» (comma 3). 
    In sintesi, la  disposizione  statale  richiamata  disciplina  le
modalita'  di  funzionamento   del   cosiddetto   silenzio   assenso,
prevedendo un termine generale di trenta giorni dal ricevimento dello
schema di provvedimento e uno "speciale" di  novanta  giorni  per  il
caso in cui l'assenso, il concerto o il nulla osta debba essere  reso
da    «amministrazioni    preposte    alla     tutela     ambientale,
paesaggistico-territoriale, dei beni culturali  e  della  salute  dei
cittadini». In questi casi il legislatore statale, in  considerazione
della speciale rilevanza dei  beni  giuridici  coinvolti,  ha  inteso
introdurre un regime che, in ragione delle  particolari  esigenze  di
tutela di questi beni,  estende  a  novanta  giorni  il  termine  per
rendere l'assenso, il concerto o il nulla osta. 
    La citata disciplina statale -  sebbene  collocata  al  di  fuori
degli articoli espressamente  dedicati  alla  conferenza  di  servizi
(artt. 14-14-quinquies) -, seguendo l'interpretazione estensiva  data
dal Consiglio di Stato, trova applicazione  anche  nel  caso  in  cui
occorra  convocare  la  conferenza  di  servizi;  infatti  dal   dato
letterale si deduce che «il silenzio assenso di cui  all'art.  17-bis
opera sempre (anche nel caso in cui siano previsti  assensi  di  piu'
amministrazioni) e, se si forma, previene la necessita' di  convocare
la conferenza di servizi»  (Consiglio  di  Stato,  ad.  comm.  spec.,
parere 13 luglio 2016, n. 1640). 
    Nel  disciplinare  la  conferenza  di  servizi   il   legislatore
regionale abruzzese non ha invece preso in considerazione questi casi
"speciali", come sarebbe stato necessario, considerato  altresi'  che
nessuna clausola generale di  salvaguardia  di  questi  beni  risulta
prevista nella legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 o nella  legge  reg.
Abruzzo n. 31 del 2013, che reca la disciplina organica in materia di
procedimento amministrativo. 
    4.2.3.2.- Occorre individuare a questo punto  l'ambito  materiale
di riferimento della normativa impugnata e, di  riflesso,  di  quella
statale indicata come interposta. 
    Stando all'autoqualificazione  operata  dal  legislatore  statale
nell'art. 29, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990, la disciplina
della conferenza di  servizi  attiene  ai  livelli  essenziali  delle
prestazioni. Questa Corte, dopo aver precisato che la  conferenza  di
servizi   costituisce   «un    modulo    procedimentale-organizzativo
suscettibile di produrre un'accelerazione dei  tempi  procedurali  e,
nel contempo, un esame congiunto degli interessi pubblici coinvolti»,
ha  pero'  escluso  che  l'«intera  disciplina  della  conferenza  di
servizi» sia riconducibile alla  competenza  legislativa  statale  in
materia di determinazione dei livelli essenziali  delle  prestazioni,
aggiungendo che «[e]ssa, infatti, lungi dal determinare uno  standard
strutturale o qualitativo di  prestazioni  determinate,  attinenti  a
questo o a quel diritto civile o sociale, in  linea  con  il  secondo
comma, lettera m), dell'art. 117 Cost. [...], assolve al ben  diverso
fine di regolare l'attivita' amministrativa, in settori vastissimi ed
indeterminati, molti dei quali di competenza regionale» (sentenza  n.
179 del 2012). 
    Cio' non esclude  che  singoli  profili  della  disciplina  della
conferenza di servizi siano riconducibili alla competenza legislativa
statale in materia di determinazione dei livelli essenziali. 
    Peraltro, l'art. 29, comma 2-quater, della legge n. 241 del  1990
- coerentemente con la necessaria lettura finalistica  della  formula
dei «livelli essenziali delle prestazioni» - consente alle Regioni  e
agli enti locali di «prevedere livelli ulteriori di tutela», vietando
loro di stabilire «garanzie inferiori a quelle assicurate ai  privati
dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle  prestazioni
di cui ai commi 2-bis e 2-ter». 
    Sennonche', in questo caso, le norme  statali  che  prevedono  un
diverso, piu'  lungo  termine  per  la  comunicazione  dell'«assenso,
concerto o nulla osta» da parte delle amministrazioni  preposte  alla
cura degli interessi "sensibili" definiscono un punto  di  equilibrio
tra le contrapposte esigenze di accelerazione dei procedimenti  e  di
adeguata «tutela  ambientale,  paesaggistico-territoriale,  dei  beni
culturali e della salute dei cittadini», assicurando per un  verso  a
queste ultime condizioni  di  migliore  ponderazione,  ma  mantenendo
fermo per altro verso il meccanismo del silenzio assenso. 
    In  questi  termini,  la  normativa  statale  interposta   svolge
coerentemente la propria funzione di parametro uniforme  dei  livelli
essenziali  delle  prestazioni  nell'ambito  della   disciplina   del
procedimento amministrativo e della conferenza  di  servizi,  con  la
conseguenza che l'art. 7, comma  6,  lettera  b),  della  legge  reg.
Abruzzo n. 51 del 2017, nella parte in cui non rinvia all'art. 17-bis
della legge n. 241 del 1990, viola l'art. 117, secondo comma, lettera
m), Cost. 
    Va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
7, comma 6, lettera b), della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 nella
parte in cui non rinvia all'art. 17-bis della legge n. 241 del 1990. 
    5.- Le questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,
comma 7, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 sono fondate. 
    La disposizione e'  impugnata  perche'  fa  decorrere  i  termini
relativi allo svolgimento della conferenza di servizi, previsti dalla
lettera b) del comma 6,  dalla  comunicazione  dell'esito  favorevole
delle seguenti procedure: di valutazione d'impatto ambientale  (VIA),
di valutazione ambientale strategica (VAS), di verifica  di  VIA,  di
verifica di  VAS,  di  quelle  previste  per  le  aziende  a  rischio
d'incidente rilevante (ARIR), di quelle  previste  per  gli  impianti
assoggettati  ad  autorizzazione  integrata  ambientale   (AIA),   ad
autorizzazione unica per nuovo impianto di smaltimento e di  recupero
dei rifiuti, ad  autorizzazione  unica  per  impianto  alimentato  ad
energia rinnovabile, oppure ad alcuno dei casi individuati  dall'art.
20, comma 4, della legge n. 241 del 1990. 
    Cosi' disponendo, l'impugnato art. 7, comma 7, presuppone che  le
procedure elencate abbiano luogo e si concludano prima  dell'avvio  e
dello svolgimento della conferenza di servizi. Secondo il ricorrente,
aver previsto «la  procedura  di  VIA  come  una  procedura  autonoma
rispetto a quella volta al rilascio del provvedimento autorizzatorio,
anche se ovviamente ad essa funzionalmente collegata»,  comporterebbe
la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere m) ed s),  Cost.,
per contrasto con le norme interposte di cui all'art.  27-bis,  comma
7, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152  (Norme  in  materia
ambientale), e all'art. 14, comma 4, della legge n. 241 del 1990. 
    Le  questioni  prospettate   devono   essere   prese   in   esame
congiuntamente, in quanto le due norme interposte sono espressione di
un unico disegno riformatore, che si  e'  concretizzato  nel  decreto
legislativo 16  giugno  2017,  n.  104  (Attuazione  della  direttiva
2014/52/UE del Parlamento europeo e  del  Consiglio,  del  16  aprile
2014,  che  modifica  la   direttiva   2011/92/UE,   concernente   la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti  pubblici
e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio  2015,
n. 114). Infatti, l'art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006  e'  stato
introdotto dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017,  mentre
l'art. 14, comma 4, della legge n. 241 del 1990 e'  stato  sostituito
dall'art. 24 dello stesso d.lgs. n. 104 del 2017. 
    Dal combinato disposto  delle  due  norme  interposte  si  ricava
chiaramente l'intendimento del legislatore statale  di  ricondurre  a
unita' le complesse procedure amministrative, stabilendo che, qualora
un progetto sia sottoposto a valutazione  di  impatto  ambientale  di
competenza regionale, tutte le autorizzazioni,  intese,  concessioni,
licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque  denominati,
necessari alla realizzazione e all'esercizio del  medesimo  progetto,
sono  acquisiti  nell'ambito  di  apposita  conferenza  di   servizi,
convocata in modalita' sincrona ai sensi dell'art. 14-ter della legge
n.  241  del  1990.  Questa  apposita  conferenza   di   servizi   e'
disciplinata dal citato art. 27-bis, comma 7, del d.lgs. n.  152  del
2006. La determinazione motivata di conclusione della  conferenza  di
servizi costituisce il provvedimento autorizzatorio unico regionale e
comprende il provvedimento di VIA e i titoli  abilitativi  rilasciati
per  la  realizzazione  e   l'esercizio   del   progetto,   recandone
l'indicazione esplicita. 
    Anche in questo caso la disciplina statale individua un punto  di
equilibrio tra l'esigenza di semplificazione e di  accelerazione  del
procedimento amministrativo, da un lato, e la "speciale"  tutela  che
deve essere riservata al bene ambiente, dall'altro, ambito materiale,
quest'ultimo, cui devono  essere  ascritte  sia  la  norma  regionale
impugnata che quelle statali interposte. 
    Con riferimento alle determinazioni assunte all'esito  di  questo
tipo  di  procedimenti,  questa   Corte   ha   chiarito   che   «[i]l
provvedimento unico non sostituisce i  diversi  provvedimenti  emessi
all'esito   dei   procedimenti    amministrativi,    di    competenza
eventualmente   anche   regionale,   che   possono   interessare   la
realizzazione del progetto, ma li  ricomprende  nella  determinazione
che conclude la conferenza di servizi (comma 7 del nuovo art.  27-bis
cod. ambiente, introdotto dall'art. 16, comma 2, del  d.lgs.  n.  104
del 2017). Esso ha, dunque,  una  natura  per  cosi'  dire  unitaria,
includendo in un unico atto i singoli  titoli  abilitativi  emessi  a
seguito della conferenza di servizi che, come noto, riunisce in unica
sede decisoria le diverse  amministrazioni  competenti.  Secondo  una
ipotesi gia' prevista dal decreto legislativo 30 giugno 2016, n.  127
(Norme per il riordino della disciplina in materia di  conferenze  di
servizi, in attuazione dell'articolo 2 della legge 7 agosto 2015,  n.
124) e ora disciplinata dall'art. 24 [del d.lgs. n. 104 del 2017], il
provvedimento unico regionale non  e'  quindi  un  atto  sostitutivo,
bensi'  comprensivo  delle  altre  autorizzazioni   necessarie   alla
realizzazione del progetto.  Evidente,  allora,  la  riconducibilita'
della disposizione alla competenza esclusiva in  materia  ambientale,
ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.»  (sentenza
n. 198 del 2018). 
    Alla luce di questa ricostruzione del quadro  normativo,  non  e'
consentita  al  legislatore  regionale  la  scissione   dell'unitario
procedimento autorizzatorio, che, a prescindere dal modo  in  cui  e'
concretamente configurata,  non  sembra  garantire  un  livello  piu'
elevato di tutela dell'ambiente. 
    Per le anzidette ragioni deve essere dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 7, comma 7, della legge reg. Abruzzo  n.  51
del 2017 per violazione dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),
Cost., con assorbimento di ogni altra censura. 
    6.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,
comma 8, lettera c), della legge reg.  Abruzzo  n.  51  del  2017  e'
fondata. 
    La disposizione e' impugnata nella parte in cui  prevede  che  il
procedimento e' espressamente concluso - oltre che con  provvedimento
di accoglimento e di accoglimento condizionato - con provvedimento di
rigetto,  che  «puo'  essere  adottato  nei  soli  casi  di  motivata
impossibilita' ad adeguare il progetto presentato per la presenza  di
vizi  o  carenze  tecniche  insanabili».  Il  ricorrente  lamenta  la
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto
il citato art. 7, comma 8, lettera c), limiterebbe  il  provvedimento
di rigetto alle sole ipotesi di vizi o  carenze  tecniche  insanabili
del progetto. In questo modo, essendo esclusa «la possibilita' di  un
diniego   assoluto   che   riguardi    la    stessa    localizzazione
dell'intervento» e trovando applicazione  la  disposizione  impugnata
anche quando sono coinvolti beni culturali e  paesaggistici,  sarebbe
violata la competenza legislativa statale in materia di ambiente. 
    Dalla lettura della disposizione impugnata si deduce a  contrario
che un provvedimento di rigetto non  puo'  essere  adottato:  qualora
l'impossibilita'  di  adeguare   il   progetto   non   sia   motivata
dall'amministrazione; qualora si sia in presenza di  vizi  o  carenze
tecniche  sanabili;  qualora  le  ragioni  del  diniego   non   siano
riconducibili a vizi o a carenze tecniche ma ad  altre  ragioni  (es.
dissenso sulla localizzazione dell'intervento).  La  norma  impugnata
limita,    dunque,    lo    spazio    di    valutazione     assegnato
all'amministrazione  competente,  esprimendo  un  netto   favor   per
l'accoglimento del progetto. 
    In altre parole,  la  norma  in  oggetto  esclude  la  cosiddetta
opzione zero  (cioe'  il  dissenso  assoluto  sull'opera)  anche  con
specifico riguardo al caso in cui siano coinvolti  beni  culturali  e
paesaggistici,   nel   quale   caso   la    disposizione    impugnata
effettivamente non ammette la possibilita' di rigettare il progetto a
causa del dissenso sulla localizzazione  dell'opera.  Il  legislatore
regionale ha, pertanto, realizzato  una  indebita  limitazione  dello
spettro di soluzioni adottabili dall'amministrazione competente,  che
si traduce nella violazione della competenza statale di cui  all'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    Al riguardo, questa Corte ha rilevato, con riferimento a norme di
analogo contenuto, che «se la funzione  del  piano  paesaggistico  e'
quella di introdurre un organico sistema di regole,  sottoponendo  il
territorio regionale a una specifica normativa d'uso in funzione  dei
valori tutelati, ne deriva che, con riferimento a determinate aree, e
a  prescindere  dalla  qualificazione  dell'opera,  il  piano   possa
prevedere anche divieti assoluti di intervento.  La  possibilita'  di
introdurre divieti di  questo  tipo  appare,  d'altronde,  del  tutto
conforme al ruolo attribuito al piano paesaggistico dagli artt.  143,
comma 9, e  145,  comma  3,  cod.  beni  culturali,  secondo  cui  le
previsioni del piano sono  cogenti  e  inderogabili  da  parte  degli
strumenti  urbanistici  degli   enti   locali   e   degli   atti   di
pianificazione previsti dalle normative di settore e vincolanti per i
piani, i programmi e i progetti nazionale  e  regionali  di  sviluppo
economico» (sentenza n. 172 del 2018). 
    Deve essere, pertanto, dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 7, comma 8, lettera c), della legge reg. Abruzzo n. 51  del
2017 per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.,
nella parte in  cui  non  prevede  la  possibilita'  di  adottare  un
provvedimento di rigetto per diniego assoluto. 
    7.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,
comma 9, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 e' fondata. 
    La  disposizione  e'  impugnata  per  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., in quanto, prevedendo  il  silenzio
assenso «a valle della conferenza di  servizi»,  non  escluderebbe  i
procedimenti a istanza di  parte  riguardanti  la  materia  dei  beni
culturali e del paesaggio, per i quali troverebbe applicazione l'art.
20 della legge n.  241  del  1990,  che  esclude  l'operativita'  del
silenzio assenso nel caso di interessi sensibili. Sarebbero  pertanto
violate le norme interposte di cui agli artt. 21 e 146 del d.lgs.  n.
42 del 2004. 
    In effetti, l'art. 20, comma 4,  della  legge  n.  241  del  1990
stabilisce che  «[l]e  disposizioni  del  presente  articolo  non  si
applicano  agli  atti  e  procedimenti  riguardanti   il   patrimonio
culturale  e  paesaggistico,  l'ambiente,  la  tutela   dal   rischio
idrogeologico,  la   difesa   nazionale,   la   pubblica   sicurezza,
l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute  e  la  pubblica
incolumita',  ai  casi  in  cui  la  normativa   comunitaria   impone
l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la
legge  qualifica  il  silenzio  dell'amministrazione   come   rigetto
dell'istanza, nonche' agli atti e procedimenti individuati con uno  o
piu' decreti del Presidente del Consiglio dei ministri,  su  proposta
del Ministro per la funzione pubblica, di  concerto  con  i  Ministri
competenti». A loro volta gli artt. 21 e 146 del  d.lgs.  n.  42  del
2004 recano un elenco degli interventi in materia di beni culturali e
di paesaggio per i quali e' necessaria l'autorizzazione del Ministero
(art. 21) o l'autorizzazione paesaggistica da parte della  Regione  o
degli enti da questa delegati (art. 146, comma 6). 
    La disposizione regionale impugnata reca una generica  previsione
di operativita' del silenzio assenso allo scadere del termine in essa
indicato, senza escludere dal  suo  ambito  di  applicazione  i  casi
elencati dall'art. 20, comma 4, della legge  n.  241  del  1990,  nei
quali la legge statale prescrive la non applicabilita'  del  silenzio
assenso, corrispondendo in tal  modo  all'esigenza  che  le  relative
scelte avvengano in maniera maggiormente  consapevole,  e  quindi  in
forma espressa. 
    Deve essere, pertanto, dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 7, comma 9, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017,  nella
parte in cui non rinvia all'art. 20, comma 4, della legge n. 241  del
1990, per violazione della competenza legislativa statale in  materia
di beni culturali e paesaggio ex art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., in relazione alle norme interposte di cui agli artt. 21 e  146
del d.lgs. n. 42 del 2004. 
    8.- Infine, anche la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 8, comma 2, della legge reg. Abruzzo  n.  51  del  2017  e'
fondata. 
    La disposizione e' impugnata nella parte in cui prevede che «[i]n
ogni caso, le irregolarita' riscontrate in sede di verifica derivanti
dall'inosservanza  dei   requisiti   minimi   pubblicati   ai   sensi
dell'articolo 6, comma 7, non possono dare luogo a  provvedimenti  di
divieto di prosecuzione dell'attivita'  senza  che  prima  sia  stato
concesso un termine congruo per la regolarizzazione non  inferiore  a
centottanta  giorni,  salvo  non  sussistano  irregolarita'  tali  da
determinare gravi pericoli per la popolazione, l'ambiente o  l'ordine
pubblico». Secondo il ricorrente essa violerebbe l'art. 117,  secondo
comma, lettera s), Cost.,  per  il  tramite  della  norma  interposta
contenuta all'art. 29-decies, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006, il
quale prevede una serie di misure, graduate a seconda della  gravita'
delle  infrazioni:  diffida,  diffida   e   contestuale   sospensione
dell'attivita',     revoca     dell'autorizzazione     e     chiusura
dell'installazione, chiusura dell'installazione. 
    In particolare, dal combinato disposto della  norma  impugnata  e
del  precedente  art.  6,  comma  7  (che,  facendo  riferimento   ai
«controlli  espletati  dalle  autorita'  competenti»,  include  anche
quelli in materia di AIA), deriverebbe l'impossibilita' di vietare la
prosecuzione  dell'attivita'  senza  la  previa  concessione  di  «un
termine congruo per la regolarizzazione non inferiore  a  centottanta
giorni», a meno che non sussistano irregolarita' tali da  determinare
gravi pericoli per la popolazione, l'ambiente o l'ordine pubblico. 
    Anche in questo caso le censure mosse dal ricorrente meritano  di
essere accolte. Il legislatore  abruzzese  e',  infatti,  intervenuto
indirettamente (cioe' per il tramite del rinvio all'art. 6, comma  7,
della stessa legge regionale) in  un  ambito  (quello  del  «Rispetto
delle condizioni dell'autorizzazione integrata  ambientale»,  secondo
la rubrica dell'art.  29-decies  del  d.lgs.  n.  152  del  2006)  di
competenza    esclusiva    del    legislatore    statale     («tutela
dell'ambiente»), realizzando un'ingiustificata - e  comunque  per  il
legislatore regionale inammissibile - semplificazione delle  sanzioni
previste in caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie  o
di esercizio in assenza di autorizzazione. 
    Deve essere, pertanto, dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 8, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017,  nella
parte  in  cui  non  esclude  dal  suo  ambito  di  applicazione   le
irregolarita'  riscontrate  in  sede  di  verifica  delle  condizioni
dell'autorizzazione integrata ambientale,  per  violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost.