I parametri costituzionali evocati sono, oltre all'art.  77,  gli
artt. 3 e 97 Cost., che presidiano i  principi  di  ragionevolezza  e
buon andamento della pubblica amministrazione; l'art.  2  Cost.,  che
garantisce tutela ai diritti fondamentali delle persone; gli artt.  4
e 35 Cost., sul diritto al lavoro; gli artt.  10,  11  e  117,  primo
comma, Cost. in riferimento al rispetto degli obblighi internazionali
ed europei, e in relazione a diversi parametri interposti, costituiti
da norme della CEDU e da norme di diritto dell'Unione. 
    8.5.-   Cio'   posto,   tutte   le   questioni   sollevate   sono
inammissibili, come eccepito dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
per difetto di  motivazione  sull'asserita  lesione  indiretta  delle
competenze delle Regioni e degli enti locali. 
    Secondo  la   gia'   menzionata   giurisprudenza   costituzionale
(sentenza  n.  145  del  2016;  in  senso  analogo,  successivamente,
sentenze n. 198 e n. 137 del  2018),  le  questioni  sollevate  dalle
Regioni in riferimento a parametri non  attinenti  al  riparto  delle
competenze statali e regionali «sono ammissibili al ricorrere di  due
concomitanti  condizioni:  in  primo  luogo,   la   ricorrente   deve
individuare  gli  ambiti  di  competenza  regionale  -   legislativa,
amministrativa o  finanziaria  -  incisi  dalla  disciplina  statale,
indicando  le  disposizioni  costituzionali  sulle  quali,   appunto,
trovano fondamento le proprie competenze in tesi indirettamente  lese
(ex plurimis, sentenze n. 83 e n. 65 del 2016, n. 251  e  n.  89  del
2015); e, in secondo luogo, la Corte  deve  ritenere  che  sussistano
competenze regionali suscettibili di essere indirettamente lese dalla
disciplina impugnata (ex plurimis, sentenze  n.  220  e  n.  219  del
2013). Cio' si verifica quando la disposizione statale, pur  conforme
al riparto costituzionale delle competenze, obbligherebbe le  Regioni
- nell'esercizio di altre loro attribuzioni normative, amministrative
o  finanziarie  -  a  conformarsi  a   una   disciplina   legislativa
asseritamente incostituzionale, per contrasto con parametri, appunto,
estranei a tale riparto». 
    Pertanto, come pure gia' detto, affinche'  una  censura  siffatta
sia ammissibile, in presenza di un intervento  normativo  ascrivibile
all'esercizio di potesta' legislativa esclusiva spettante allo Stato,
occorre  che  venga  enunciata   e   adeguatamente   argomentata   la
compressione degli spazi  di  autonomia  pur  sempre  spettanti  alle
Regioni   nell'ambito   del    complesso    fenomeno    di    governo
dell'immigrazione. 
    Negli odierni giudizi, le Regioni ricorrenti  hanno  prospettato,
come effetto delle disposizioni impugnate, la lesione indiretta delle
proprie competenze (e di quelle degli enti locali), in particolare in
relazione a una determinata categoria  di  soggetti,  costituita  dai
richiedenti  asilo,  oggi  esclusi  dal   sistema   territoriale   di
accoglienza. Esse asseriscono che l'esercizio di tali competenze,  in
relazione a tale categoria di soggetti, sarebbe del tutto «impedito»,
ovvero «condizionato»  -  nel  senso  che  sarebbe  loro  imposto  di
esercitare  le   suddette   funzioni   in   modo   costituzionalmente
illegittimo, con  lesione  di  parametri  appunto  non  attinenti  al
riparto delle  competenze  statali  e  regionali  -  oppure,  ancora,
«aggravato» sul piano finanziario. 
    Tuttavia, la motivazione  che  esse  adducono  a  sostegno  delle
censure non appare adeguata, alla luce dello  stesso  dato  normativo
come in precedenza illustrato. 
    Come  sottolineato  anche  dalla  difesa   statale,   a   seguito
dell'entrata in  vigore  della  disposizione  impugnata,  il  sistema
territoriale   di   accoglienza   resta,   infatti,   sostanzialmente
invariato, per quanto  riguarda  la  sua  organizzazione,  l'ampiezza
della rete territoriale e le modalita' di accesso a tale  sistema  da
parte degli enti locali. 
    Oggetto di modifica risulta essere la platea dei soggetti ammessi
a beneficiare dell'accoglienza territoriale. Va  da  se'  che  questo
dato e' tutt'altro che secondario  o  irrilevante,  poiche',  ora,  i
richiedenti asilo non accedono, alle  stesse  condizioni  precedenti,
alla seconda fase del sistema di accoglienza. Su questo aspetto, ogni
ulteriore valutazione di legittimita' costituzionale resta ovviamente
impregiudicata. Quel che in questa sede rileva e' che  nessuna  delle
norme impugnate importa obblighi, divieti o condizionamenti, a carico
delle Regioni e dei Comuni, tali  da  impedire  loro  di  esercitare,
anche a favore dei richiedenti  asilo  -  al  di  fuori  del  sistema
territoriale di accoglienza - le proprie attribuzioni  legislative  o
amministrative, nelle (piu' sopra  indicate)  materie  di  competenza
concorrente o residuale, ovvero tali  da  costringerli  a  esercitare
dette attribuzioni secondo modalita'  costituzionalmente  illegittime
per lesione di parametri  costituzionali  non  attinenti  al  riparto
delle competenze statali o regionali. 
    Restano pienamente in vigore, infatti, tutte le norme del  d.lgs.
n. 286  del  1998  che  consentono,  ed  anzi  auspicano,  interventi
siffatti in favore dei cittadini stranieri in genere. 
    L'art. 3, comma 5, del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  ad  esempio,
autorizza Regioni, Province e Comuni,  nell'ambito  delle  rispettive
attribuzioni e  dotazioni  di  bilancio,  ad  adottare  provvedimenti
concorrenti al perseguimento dell'obiettivo di rimuovere gli ostacoli
che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e  degli
interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato, con
particolare riguardo a quelli  inerenti  all'alloggio,  alla  lingua,
all'integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della
persona umana. 
    L'art. 40 del medesimo decreto, ancora, dispone che  le  Regioni,
in  collaborazione  con  le  Province  e  con  i  Comuni  e  con   le
associazioni  e  le  organizzazioni  di  volontariato,  predispongono
centri di accoglienza destinati a ospitare, anche  in  strutture  per
ospitare cittadini italiani o cittadini di  altri  Paesi  dell'Unione
europea, stranieri regolarmente soggiornanti (quali  sono  appunto  i
richiedenti  asilo)  per  motivi  diversi  dal  turismo,  che   siano
temporaneamente  impossibilitati  a  provvedere  autonomamente   alle
proprie esigenze alloggiative e di sussistenza;  in  tali  centri  di
accoglienza le Regioni provvedono, ove possibile, ai servizi  sociali
e culturali idonei a favorire  l'autonomia  e  l'inserimento  sociale
degli ospiti. 
    Il successivo art. 42, dal canto suo, prevede che  lo  Stato,  le
Regioni,  le  Province  e  i  Comuni,   nell'ambito   delle   proprie
competenze, anche in collaborazione con le associazioni di  stranieri
e con le organizzazioni stabilmente operanti in loro favore,  nonche'
in collaborazione con le autorita' o con enti pubblici e privati  dei
Paesi di origine, favoriscono una serie di attivita' di tipo  sociale
e assistenziale volte, tra l'altro, all'effettuazione di corsi  della
lingua  e  della  cultura  di  origine,  alla  diffusione   di   ogni
informazione utile al positivo inserimento  nella  societa'  italiana
degli stranieri medesimi, alla conoscenza e alla valorizzazione delle
espressioni culturali, ricreative, sociali,  economiche  e  religiose
degli extracomunitari regolarmente soggiornanti. 
    E' ben vero che Regioni e Comuni, se riterranno  di  intervenire,
dovranno reperire ulteriori risorse. Da un lato, tuttavia,  cio'  non
sorprende, poiche' si tratterebbe del necessario ricorso al potere di
spesa, sulla base di scelte di priorita' di natura politica  compiute
in ambito regionale; dall'altro, non possono che  corrispondentemente
sottrarsi alle censure regionali le pertinenti scelte di priorita' di
spesa compiute dal legislatore statale, in settori di  sua  esclusiva
competenza. 
    In ogni caso, anche ad ammettere che  scelte  statali  di  questa
natura possano incidere negativamente sulle Regioni,  la  motivazione
dei ricorsi non raggiunge  la  soglia  che  consente  l'accesso  allo
scrutinio di merito. Anche sotto questo specifico  profilo,  infatti,
la motivazione che nei ricorsi dovrebbe giustificare  la  ridondanza,
in termini di lesione dell'autonomia finanziaria presidiata dall'art.
119 Cost., non  assurge  al  livello  di  completezza  sufficiente  a
superare la soglia dell'ammissibilita'. 
    Questa Corte, ancora di recente (sentenza n.  79  del  2018),  ha
ritenuto ben possibile motivare anche tramite l'indicazione dell'art.
119  Cost.  la  ridondanza  di  questioni  sollevate   su   parametri
costituzionali che non riguardano la ripartizione di  competenze  tra
Stato e Regioni. Tuttavia, ha  ritenuto  necessario  che,  in  questi
casi, la Regione  ricorrente  «argomenti  in  concreto  in  relazione
all'entita' della  compressione  finanziaria  lamentata  e  alla  sua
concreta  incidenza  sull'attivita'  di  competenza  regionale».   Ha
percio'  dichiarato  inammissibili  questioni   promosse   attraverso
censure che lamentavano  effetti  negativi  sulle  finanze  regionali
meramente  «generici  e  congetturali»,  poiche'  cio'  rendeva  solo
astrattamente configurata e  del  tutto  immotivata  in  concreto  la
pretesa  lesione   dell'esercizio   delle   funzioni   amministrative
regionali. 
    Stante  l'assenza,   in   ciascuno   dei   ricorsi,   di   idonee
considerazioni  in  materia,  tali  affermazioni   sono   agevolmente
estensibili anche agli odierni giudizi, sicche' le questioni promosse
nei confronti dell'art. 12 del d.l. n. 113  del  2018  devono  essere
dichiarate inammissibili per  difetto  di  motivazione  sull'asserita
lesione indiretta delle competenze delle Regioni e degli enti locali. 
    9.- Le Regioni Umbria, Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Calabria
impugnano l'art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n.  113
del 2018; le Regioni  Umbria,  Emilia-Romagna  e  Calabria  anche  le
lettere b) e c) del comma 1 dell'art. 13; la Regione Marche anche  la
lettera c)  dello  stesso  comma.  Le  ricorrenti  formulano  censure
variamente articolate sia rispetto a parametri relativi al riparto di
competenze  tra  Stato  e  Regioni  sia  in  relazione  a   parametri
ulteriori, per la cui illustrazione si rinvia a quanto riportato  nel
Ritenuto in fatto. 
    Anche  in  questo  caso  si  rende   preliminarmente   necessario
individuare l'ambito materiale di pertinenza delle  norme  impugnate,
al fine di verificare  l'ammissibilita'  delle  censure  promosse  in
relazione a parametri  diversi  da  quelli  relativi  al  riparto  di
competenze.  e'   dunque   opportuna   una,   sia   pure   sintetica,
ricostruzione del quadro normativo in cui le  disposizioni  impugnate
si inseriscono. 
    9.1.- L'art. 13 del d.l. n. 113 del 2018  apporta  una  serie  di
modifiche agli artt. 4 e 5 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n.
142 (Attuazione della direttiva  2013/33/UE  recante  norme  relative
all'accoglienza dei richiedenti  protezione  internazionale,  nonche'
della direttiva 2013/32/UE, recante  procedure  comuni  ai  fini  del
riconoscimento  e   della   revoca   dello   status   di   protezione
internazionale), e ne abroga l'art. 5-bis. 
    In particolare, l'art. 13 impugnato si compone di un solo  comma,
che e' articolato, al suo interno, in tre lettere (a, b e c). 
    La lettera a) modifica l'art. 4 del d.lgs. n. 142 del 2015 e reca
due disposizioni (contraddistinte dai numeri 1 e  2):  con  la  prima
(che non e' oggetto di impugnazione) e' aggiunto il seguente  periodo
al comma 1 del citato art. 4: «Il permesso di  soggiorno  costituisce
documento di  riconoscimento  ai  sensi  dell'articolo  1,  comma  1,
lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica  28  dicembre
2000, n. 445.» (numero 1); con la seconda (che e' impugnata da  tutte
le Regioni ricorrenti) e' inserito, dopo il comma 1 del  citato  art.
4, il comma 1-bis del seguente tenore: «Il permesso di  soggiorno  di
cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica  ai
sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989,  n.
223, e dell'articolo 6, comma 7, del decreto  legislativo  25  luglio
1998, n. 286.» (numero 2). 
    La lettera b) modifica l'art. 5 del d.lgs. n. 142 del 2015 e reca
due disposizioni (contraddistinte dai numeri  1  e  2,  espressamente
impugnate  dalle  Regioni  Umbria,  Emilia-Romagna  e   Calabria   ma
implicitamente anche dalle altre ricorrenti): con la prima  e'  cosi'
sostituito il comma 3  del  citato  art.  5:  «L'accesso  ai  servizi
previsti dal  presente  decreto  e  a  quelli  comunque  erogati  sul
territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato  nel  luogo  di
domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2.» (numero 1);  con  la
seconda e' cosi' modificato il comma 4 del citato art. 5: «le  parole
"un luogo di residenza" sono sostituite dalle seguenti: "un luogo  di
domicilio"» (numero 2). 
    Infine, la lettera c) dispone l'abrogazione dell'art.  5-bis  del
d.lgs. n. 142 del 2015, che disciplinava le modalita'  di  iscrizione
anagrafica del richiedente protezione internazionale. 
    9.2.- Dal contenuto sopra  descritto  delle  disposizioni  recate
dall'art. 13 del d.l. n. 113 del 2018, e  in  particolare  di  quelle
fatte oggetto di impugnazione, emerge con  chiarezza  che  le  stesse
devono  essere  lette  congiuntamente,  costituendo,   ciascuna,   un
frammento di un quadro normativo unitario per ratio e per  contenuto,
come confermato dal fatto che le lettere a), b) e c) del comma 1  del
citato  art.  13  incidono  su  tre  disposizioni   (a   loro   volta
consecutive) del d.lgs. n. 142 del 2015 (artt. 4, 5 e 5-bis). 
    Altrettanto chiaramente risulta che le stesse disposizioni  vanno
ricondotte agli ambiti  di  competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato relativi  a  «diritto  di  asilo  e  condizione  giuridica  dei
cittadini di Stati non appartenenti all'Unione  europea»  (art.  117,
secondo comma, lettera a, Cost.) e alle «anagrafi» (art. 117, secondo
comma, lettera i, Cost.). Argomenti decisivi in tal  senso  sono:  la
sedes materiae (d.lgs.  n.  142  del  2015,  relativo,  tra  l'altro,
all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) in cui  si
inseriscono le disposizioni impugnate; lo specifico tenore  letterale
dell'art. 13, comma  1,  lettera  a),  numero  2),  che  richiama  la
disciplina dell'iscrizione anagrafica; l'interpretazione  sistematica
del Capo  II  del  Titolo  I  del  d.l.  n.  113  del  2018,  recante
«Disposizioni in materia di  protezione  internazionale»,  oltre  che
dello stesso Titolo I, recante «Disposizioni in materia  di  rilascio
di  speciali  permessi  di  soggiorno  temporanei  per  esigenze   di
carattere umanitario nonche' in materia di protezione  internazionale
e di immigrazione». D'altra parte, che le norme  impugnate  siano  da
ricondurre a tali competenze legislative statali non e' negato  dalle
ricorrenti  (ed  e'  anzi  espressamente  riconosciuto  nel   ricorso
dell'Emilia Romagna). 
    Nemmeno e' rinvenibile una incidenza  delle  stesse  disposizioni
sulle competenze amministrative  proprie  dei  Comuni,  posto  che  i
servizi gestiti dai Comuni in materia di anagrafe restano pur  sempre
«servizi di competenza statale» (cosi' la rubrica  dell'art.  14  del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 «Testo unico  delle  leggi
sull'ordinamento degli enti locali»)  e  le  relative  funzioni  sono
esercitate dal sindaco «quale ufficiale di Governo». 
    Cio'  nondimeno,  le  ricorrenti  ritengono  che,  anche  volendo
escludere la sussistenza di una violazione diretta  delle  competenze
regionali e degli enti locali, le norme impugnate -  in  ragione  del
fatto che la legislazione regionale e  quella  statale  prevedono  la
residenza come presupposto per l'accesso e  il  godimento  di  taluni
servizi erogati dalle Regioni e dagli enti locali  -  comportino  una
indiretta lesione delle loro competenze e di quelle degli enti locali
e su questo presupposto ne lamentano  l'illegittimita'  in  relazione
all'art. 77 Cost., per quanto riguarda l'impugnazione  della  Regione
Umbria, e agli artt. 2, 3, 5, 10, terzo comma, 32, 34, 35 e 97 Cost.,
oltre che alle norme del diritto dell'Unione europea  e  ai  trattati
internazionali richiamati sopra. 
    Le Regioni ricorrenti fondano, dunque, la loro  legittimazione  a
ricorrere sulla ricaduta indiretta, su ambiti in cui le stesse  hanno
competenza, di una normativa,  quella  concernente  le  modalita'  di
iscrizione  anagrafica  dei  richiedenti  protezione  internazionale,
riconducibile a  materie  di  potesta'  legislativa  esclusiva  dello
Stato. Tale ricaduta si collegherebbe all'inevitabile condizionamento
che  le  disposizioni  censurate  produrrebbero  sulla   platea   dei
destinatari dei servizi previsti dalla normativa regionale  a  favore
dei residenti (dai quali  dovrebbero  essere  esclusi  i  richiedenti
asilo). 
    La  motivazione  svolta  dalle  ricorrenti  si   snoda,   quindi,
attraverso un doppio passaggio argomentativo: il  primo  e'  volto  a
rappresentare una ricaduta indiretta della normativa impugnata  sulle
competenze regionali in materia  di  salute,  istruzione,  formazione
professionale, servizi e politiche sociali; il secondo  a  dimostrare
la violazione di parametri costituzionali diversi da quelli attinenti
al riparto di competenze. 
    Con riferimento a tale profilo dei gravami regionali - e ribadita
l'impossibilita' di ascrivere le  disposizioni  censurate  ad  ambiti
materiali rimessi in  tutto  o  in  parte  alle  Regioni  -  si  deve
richiamare quanto osservato supra con riferimento  alle  impugnazioni
gia' esaminate, e cioe' che, in astratto, non  puo'  escludersi  che,
nei casi in cui sussista una lesione  ancorche'  mediata  delle  loro
attribuzioni  costituzionali,  le   Regioni   siano   legittimate   a
contestare norme statali per violazione di  parametri  costituzionali
diversi da quelli attinenti al riparto di competenze. Come piu' volte
ricordato, questa Corte ha, infatti, variamente configurato le  forme
e i modi della «ridondanza» sulle competenze regionali  di  questioni
aventi  a  oggetto  una  normativa  statale,  giungendo  a   ritenere
ammissibili   anche   questioni   promosse    avverso    disposizioni
riconducibili ad ambiti materiali riservati allo Stato (tra  le  piu'
recenti, sentenze n. 139, 73 e 17 del 2018, n. 170 del 2017). 
    In questi casi, tuttavia, come gia' precisato sopra, grava  sulla
Regione ricorrente un onere motivazionale particolare,  ossia  quello
di dimostrare, in  concreto,  ragioni  e  consistenza  della  lesione
indiretta  delle  proprie   competenze,   non   essendo   sufficiente
l'indicazione  in  termini  meramente  generici  o  congetturali   di
conseguenze negative per l'esercizio delle attribuzioni regionali. 
    Questo necessario passaggio  argomentativo  risulta  carente  nei
ricorsi  introduttivi  del  presente  giudizio,  che  si  limitano  a
postulare un'astratta attitudine delle norme contestate a incidere su
ambiti assegnati  alla  Regione  e  agli  enti  locali,  ma  di  tale
incidenza non danno conto in maniera che essa possa  essere  valutata
da  questa  Corte.  Ne'  a  tali  fini  risulta  decisivo  il   fatto
(ripetutamente messo in evidenza  nei  ricorsi)  che  numerose  leggi
delle Regioni ricorrenti prevedono l'erogazione di servizi  a  favore
dei residenti, dando con cio' rilievo al requisito  della  residenza.
Sebbene  si  tratti  di  normativa   emanata   nell'esercizio   delle
competenze legislative regionali in materia di  sanita',  istruzione,
formazione professionale e politiche sociali, resta  indimostrata  la
ridondanza su tali attribuzioni  delle  questioni  fatte  valere  nel
presente giudizio, le quali, come visto, attengono  allo  status  del
richiedente protezione internazionale. 
    Da  quanto  precede  deriva  un  difetto  di  motivazione   sulla
ridondanza delle prospettate censure  sulle  competenze  regionali  e
degli enti locali, con la conseguenza  che,  restando  impregiudicata
ogni  altra  valutazione  della  legittimita'  costituzionale   delle
disposizioni contestate, le stesse censure  non  superano  il  vaglio
dell'ammissibilita'. 
    Le  questioni  promosse   devono   essere,   quindi,   dichiarate
inammissibili. 
    10.-  Dalle  considerazioni   che   precedono   consegue   infine
l'inammissibilita'  delle  censure  prospettate  con  riguardo   alla
violazione del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5
e 120 Cost. 
    Questa Corte ha costantemente affermato che il principio di leale
cooperazione viene in rilievo negli ambiti  in  cui  si  verifica  un
intreccio di competenze statali e regionali (da ultima e  per  tutte,
sentenza n. 161 del 2019). 
    Come risulta dall'analisi sin qui svolta, nel caso  in  esame  il
legislatore  statale  ha  invece  esercitato  le  competenze  che  la
Costituzione gli ha attribuito in via esclusiva in materia di diritto
di  asilo,  condizione  giuridica  dello  straniero,  immigrazione  e
anagrafi, sicche' il principio di leale  cooperazione  non  e'  stato
correttamente invocato. 
    Vero e' che questa  Corte  ha  affermato  che  l'accoglienza  dei
migranti prevede l'intervento coordinato di Stato e Regioni, ciascuno
nel proprio ambito di competenza (sentenze n. 2 del 2013, n.  61  del
2011, n. 299 e n. 134 del 2010, n. 156 del 2006 e n. 300 del 2005). A
tal fine, tuttavia, l'art. 118,  terzo  comma,  Cost.  nella  materia
dell'«immigrazione» contempla l'ipotesi di  «forme  di  coordinamento
fra Stato e Regioni»,  stabilite  dalla  legge  statale,  soltanto  a
valle,  e   cioe'   in   relazione   all'esercizio   delle   funzioni
amministrative, e non  a  monte,  in  relazione  all'esercizio  della
stessa funzione legislativa statale che e', e rimane,  di  competenza
esclusiva dello Stato. 
    In ogni caso, nella fattispecie in esame, il legislatore  statale
e' intervenuto con lo strumento del decreto-legge  ed  e'  appena  il
caso di sottolineare che la natura e le caratteristiche di tale atto,
come  risultano  dall'art.  77  Cost.,   escludono   in   radice   la
possibilita'  di  prevedere  forme  di  consultazione  delle  Regioni
nell'ambito della decretazione d'urgenza.