ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  173  del
decreto del  Presidente  della  Repubblica  29  marzo  1973,  n.  156
(Approvazione del  testo  unico  delle  disposizioni  legislative  in
materia  postale,  di  bancoposta  e  di   telecomunicazioni),   come
modificato dall'art. 1 del decreto-legge 30 settembre  1974,  n.  460
(Modifica  dell'art.  173  del   testo   unico   delle   disposizioni
legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni,
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo  1973,
n. 156), convertito, con modificazioni, in legge 25 novembre 1974, n.
588, promosso dal Tribunale ordinario  di  Rossano  nel  procedimento
vertente tra Poste italiane spa  e  Achiropita  Curia  e  altri,  con
ordinanza del 6  febbraio  2008,  iscritta  al  n.  93  del  registro
ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 25, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visti gli atti  di  costituzione  di  Poste  italiane  spa  e  di
Achiropita Curia, Luca Ianni e Pietro Ianni; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  29  gennaio  2020  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli; 
    uditi  gli  avvocati  Beniamino  Caravita  di  Toritto  e  Andrea
Sandulli per Poste italiane spa, Alfonso Celotto per Achiropita Curia
e altri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 29 gennaio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con l'ordinanza in epigrafe (pronunciata il  6  febbraio  del
2008 dal Tribunale ordinario  di  Rossano  ma,  stante  l'omessa  sua
notifica, solo nel maggio  2019,  a  seguito  di  istanza  di  parte,
trasmessa a questa Corte dal Tribunale ordinario di Castrovillari, al
quale nel frattempo e' stato accorpato il  Tribunale  originariamente
adito), viene sollevata  «questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 173 del d.P.R. 29 marzo  1973,  n.  156  (Approvazione  del
testo unico delle disposizioni legislative  in  materia  postale,  di
bancoposta e di telecomunicazioni), come modificato dell'art.  1  del
d.l. 30 settembre 1974, n. 460,  convertito,  con  modificazioni,  in
legge 25 novembre 1974, n. 588  ed  oggi  abrogato  dall'art.  7  del
d.lgs. 30 luglio 1999,  n.  284  [Riordino  della  Cassa  depositi  e
prestiti, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59],
nella parte in cui consentiva di estendere, con decreto del  Ministro
del Tesoro assunto di concerto con il Ministro  per  le  Poste  e  le
Telecomunicazioni, le modifiche peggiorative dei tassi  di  interesse
ad  una  o  piu'   serie   di   buoni   postali   fruttiferi   emesse
precedentemente al decreto ministeriale stesso, per contrasto con gli
articoli 3, 43, 47 e 97 della Costituzione». 
    1.1.-  La  questione  insorge  nel  corso  di  un   giudizio   di
opposizione  proposto  da  Poste  italiane  spa  avverso  un  decreto
ingiuntivo che le intimava il pagamento delle somme  residue  che  si
assumevano da essa dovute, a due risparmiatori, i  quali,  nel  1983,
avevano sottoscritto tre buoni fruttiferi postali dell'importo di  un
milione di lire ciascuno e, nel 2003, avevano riscosso  tali  titoli,
ottenendo una somma inferiore, rispetto a quella attesa  in  base  ai
tassi di interesse previsti al momento della sottoscrizione dei buoni
stessi. 
    1.2.- Nel motivare la rilevanza di  tale  questione,  afferma  il
rimettente   che   l'applicazione   della   disposizione    censurata
comporterebbe che «i tassi da riconoscersi agli opposti non sarebbero
quelli indicati nelle tabelle riportate a tergo dei buoni (e posti  a
fondamento del  decreto  ingiuntivo  opposto),  bensi'  quelli,  meno
favorevoli per i risparmiatori, introdotti dal d.m. 13 giugno  1986».
Aggiunge che «la rilevanza della questione [...]  permane»  pur  dopo
l'entrata in vigore del d.lgs. n. 284 del  1999  -  il  cui  art.  7,
abrogando l'art. 173 del d.P.R. n. 156 del 1973, aveva  pur  previsto
che i successivi decreti ministeriali, aventi  ad  oggetto  la  nuova
disciplina dei buoni fruttiferi postali, potessero estendere le nuove
norme, ove piu' favorevoli,  ai  rapporti  gia'  in  essere.  E  cio'
perche' il successivo d.m. 19 dicembre 2000 non aveva incluso, tra le
disposizioni estese ai buoni precedentemente emessi, quelle  relative
alla misura del saggio di  interesse  e  aveva  viceversa  dichiarato
integralmente applicabili, al riguardo, le  disposizioni  previgenti.
Ragione per cui  «per  determinare  il  saggio  da  applicarsi  nella
specie,  occorre[va],  appunto,  fare  riferimento  a  quello   (meno
favorevole per i risparmiatori) introdotto dal [richiamato] d.m.  [13
giugno 1986]». 
    1.3.- In punto di non manifesta infondatezza della questione,  il
giudice a quo prospetta che «la previsione contenuta  nell'art.  173,
che consente di estendere con efficacia retroattiva le  modificazioni
dei tassi di interesse disposte per le serie di nuove  emissioni  non
appa[ia] ragionevole e led[a] in maniera evidente interessi dotati di
sicuro rango  costituzionale»,  ravvisandone  in  cio'  il  possibile
contrasto con gli artt. 3 e 47 Cost. 
    Ulteriore profilo di violazione dell'art. 3 Cost.  il  rimettente
rinviene poi nella ingiustificata disparita' di disciplina dei  buoni
postali, di che trattasi, rispetto a quella degli  «analoghi  servizi
offerti dal sistema bancario», essendo  solo  per  i  primi  previsto
(dalla norma censurata) che  il  saggio  di  interesse  possa  essere
variato, anche in peius,  senza  apposita  clausola  e  senza  previa
comunicazione al destinatario, con sua facolta' di recesso. 
    Sostiene,  infine,  il  rimettente  che   la   norma   in   esame
«determin[i], altresi',  un  assoluto  scoraggiamento  del  risparmio
(nella specie: postale), con evidente violazione dell'art. 47 Cost.». 
    2.- Nel presente giudizio si e' costituita Poste italiane, che ha
chiesto, in  limine,  una  dichiarazione  di  inammissibilita'  della
questione con riferimento agli artt. 43 e 97 Cost.  (poiche'  evocati
solo in dispositivo dell'ordinanza di rimessione)  o  un  «rinvio  al
giudice a quo per una valutazione in ordine  allo  ius  superveniens,
pur se sub specie di orientamento giurisprudenziale consolidatosi nel
corso degli anni intercorsi» e, a tal fine, ha richiamato la sentenza
della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 11 febbraio 2019, n.
3963, che si e' da  ultimo  pronunciata  nel  senso  della  manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
173 in esame, in riferimento agli artt. 3, 43, 47 e 97 Cost. 
    Nel  merito,  ha  escluso  ogni  profilo   di   contrasto   della
disposizione denunciata con l'art. 3 Cost.: sostenendo, per un verso,
il carattere non retroattivo e la  prevedibilita'  della  intervenuta
variazione della misura  degli  interessi  e,  per  altro  verso,  la
«eterogeneita' della natura degli strumenti  finanziari  offerti  dal
sistema bancario rispetto ai titoli negoziati dalle Poste Italiane». 
    Priva  di  fondatezza  ha  considerato,  infine,   l'ipotesi   di
violazione dell'art. 47 Cost. 
    E tali  argomenti  ha  ulteriormente  illustrato  con  successiva
memoria, nella quale - alla luce della  comparazione  dei  rendimenti
rispettivamente garantiti dai buoni postali in  questione  e  i  piu'
similari strumenti del sistema bancario - osserva tra l'altro che, se
i titolari dei buoni postali fruttiferi che hanno subito la riduzione
del tasso di interesse ad opera del  d.m.  13  giugno  1986  avessero
disinvestito le somme, difficilmente  avrebbero  potuto  ottenere  un
rendimento  piu'  vantaggioso  di  quello  conseguito  nonostante  la
decurtazione del saggio. 
    3.- Si sono costituiti anche i due risparmiatori  (parti  opposte
nel giudizio a quo) per chiedere la  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale della norma denunciata. 
    Richiesta  poi  argomentata  in  memoria,  ove  il  verso   delle
(condivise) censure formulate dal rimettente viene ritenuto  rivolto,
piu' che alla redditivita' dei  buoni  in  questione,  alla  «mancata
informazione agli investitori dell'avvenuta  modifica  del  tasso  di
interesse,  in  funzione  della  libera  allocazione  del  risparmio,
oggetto di tutela costituzionale, al fine  di  consentire  il  libero
esercizio del diritto di recesso o un'accettazione per iscritto delle
modifiche apportate dallo ius superveniens». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza di cui si e' in narrativa detto,  e'  portato
al vaglio di legittimita' costituzionale l'art. 173 del  decreto  del
Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156  (Approvazione  del
testo unico delle disposizioni legislative  in  materia  postale,  di
bancoposta e di telecomunicazioni), come modificato dall'art.  1  del
decreto-legge 30 settembre 1974, n. 460 (Modifica dell'art.  173  del
testo unico delle disposizioni legislative  in  materia  postale,  di
bancoposta  e  di  telecomunicazioni,  approvato  con   decreto   del
Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156),  convertito,  con
modificazioni, in legge 25 novembre 1974, n. 588,  e  successivamente
abrogato dall'art. 7 del decreto legislativo 30 luglio 1999,  n.  284
(Riordino della Cassa depositi e prestiti, a norma  dell'articolo  11
della legge 15 marzo 1997, n. 59), nella parte in cui «consentiva  di
estendere, con decreto del Ministro del Tesoro  assunto  di  concerto
con il Ministro per le Poste e  le  Telecomunicazioni,  le  modifiche
peggiorative dei tassi di interesse ad una  o  piu'  serie  di  buoni
postali fruttiferi emesse  precedentemente  al  decreto  ministeriale
stesso». 
    Cio' alla stregua della prospettazione di un possibile  contrasto
della suddetta norma, in parte qua: 
    -  con  l'art.   3   Cost.,   per   l'ingiustificato   sacrificio
dell'aspettativa di chi, avendo gia'  sottoscritto  i  buoni,  avesse
fatto ragionevole affidamento  sul  tasso  di  interesse  vigente  al
momento della sottoscrizione; 
    -  sotto  altro  profilo,  con  lo  stesso  art.  3  Cost.,   per
l'ingiustificata disparita' di trattamento che  ne  sarebbe  derivata
rispetto alla disciplina delle  variazioni  in  peius  dei  tassi  di
interesse  bancario,  di  cui  agli  artt.  117  e  118  del  decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo  unico  delle  leggi  in
materia bancaria e creditizia), poiche' il mutamento peggiorativo dei
saggi dei buoni fruttiferi risultava  disposto  senza  la  previsione
della  necessaria  sottoscrizione  per  accettazione  da  parte   dei
titolari dei buoni e senza la necessaria comunicazione  al  domicilio
dei titolari dei buoni, allo scopo di consentire loro  il  tempestivo
esercizio del diritto di recesso; 
    -  con  l'art.  47  Cost.,  per  l'«assoluto  scoraggiamento  del
risparmio [...] postale», che  ne  sarebbe  conseguito,  per  effetto
della  introdotta  «possibilita'  di  estendere  retroattivamente  le
variazioni dei tassi di interesse», con il «rischio di  una  modifica
in senso peggiorativo delle condizioni esistenti», senza le  garanzie
di  trasparenza  apprestate  per  il  risparmio  presso  istituti  di
credito. 
    2.- In dispositivo (ma solo in dispositivo)  della  ordinanza  di
rimessione sono evocati anche gli artt. 43 e 97 Cost., e  rispetto  a
tali parametri - stante l'assoluta carenza di motivazione  in  ordine
al sospetto di una loro violazione - la questione va  preliminarmente
dichiarata inammissibile. 
    3.-  Ancora  in  via  preliminare,  va  respinta  la   richiesta,
formulata dalla difesa di Poste italiane, di «rinvio al giudice a quo
per  [...]  ius  superveniens,  [...]  sub  specie  di   orientamento
giurisprudenziale [nel frattempo] consolidatosi». 
    E' pur vero, infatti, che la Corte di cassazione - nel confermare
che la disciplina recata dall'abrogato art. 173 del d.P.R. n. 156 del
1973, in ordine alle consentite variazioni anche in peius  del  tasso
di interessi di buoni postali, continua  a  trovare  applicazione  ai
rapporti in essere alla  data  di  entrata  in  vigore  del  d.m.  19
dicembre 2000, emanato in attuazione della norma abrogatrice  di  cui
all'art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 284 del 1999 - ne ha anche escluso
il contrasto con tutti i parametri costituzionali che vengono ora  in
esame  (Corte  di  cassazione,  sezioni  unite  civili,  sentenza  11
febbraio 2019, n. 3963). 
    Ma  l'intervento  nomofilattico  della  Corte   regolatrice   non
costituisce un novum ius, da rimettere alla valutazione del giudice a
quo, poiche' attiene al diverso piano della interpretazione (ora  per
allora) della norma  e  viene,  quindi,  in  rilievo  ai  fini  della
valutazione,   nel   merito,   delle   questioni   di    legittimita'
costituzionale in ordine alla stessa sollevate. 
    4.- Venendo, dunque,  al  merito  delle  questioni  proposte,  va
innanzitutto esclusa la violazione dell'art. 3 Cost., sotto  entrambi
i profili della sua prospettazione. 
    4.1.- Secondo il rimettente, il denunciato art. 173 del d.P.R. n.
156 del 1973 - consentendo (fino al momento della poi intervenuta sua
abrogazione ex art. 7 del d.lgs. n. 284 del 1999) di  «estendere  con
efficacia  retroattiva  le  modificazioni  dei  tassi  di   interesse
disposte  per  le  serie  di  nuova  emissione»  (nella  specie,   le
modificazioni in peius introdotte dal decreto ministeriale del  1986)
- avrebbe in  primo  luogo  irragionevolmente  leso  l'«affidamento»,
riposto dai  risparmiatori,  sul  tasso  di  interesse  esistente  al
momento della sottoscrizione dell'investimento. 
    Per tal profilo, la questione muove  da  un  erroneo  presupposto
interpretativo, poiche' la norma  in  esame  e',  in  realta',  priva
dell'asserito suo carattere retroattivo. 
    Testualmente essa, infatti, al suo secondo comma, dispone  che  i
buoni delle precedenti serie,  ai  quali  sia  estesa  la  successiva
variazione del saggio, «si considerano come rimborsati  e  convertiti
in titoli della nuova serie e il relativo computo degli interessi  e'
effettuato sul montante  maturato»  e,  cioe',  sul  capitale  e  sui
correlativi interessi come sino a quel momento calcolati in  base  al
saggio previgente. 
    Vale a dire che la variazione sfavorevole del tasso di  interesse
dei buoni postali di che trattasi - consentita dal censurato art. 173
- non risale al momento della sottoscrizione  del  titolo,  ma  opera
solo "per il futuro", a decorrere dell'entrata in vigore del  decreto
che la disponga. Il che, appunto, esclude la retroattivita' in  senso
proprio (sentenza n. 173  del  2019),  erroneamente  attribuita  alla
norma denunciata. La  quale,  per  altro,  per  il  fatto  stesso  di
consentire  espressamente  -  e  rendere,   quindi,   prevedibili   -
successive modifiche,  anche  riduttive,  del  saggio  di  interessi,
escludeva con  cio'  che  potesse  consolidarsi,  e  prospettarsi  di
conseguenza  leso,   un   "affidamento"   del   risparmiatore   sulla
invariabilita' del saggio vigente al momento della sottoscrizione del
titolo. 
    4.2.- In secondo luogo, neppure sussiste la denunciata disparita'
di trattamento tra  utenti  di  servizi  asseritamente  analoghi  che
l'art.  173  produrrebbe  con  riferimento  ai  servizi  bancari,  in
violazione  dell'art.  3  Cost.,  sotto  il  profilo  della   mancata
comunicazione individuale della modifica dei tassi di interesse. 
    Con riferimento al periodo di vigenza della norma  in  esame,  la
natura giuridica delle Poste come azienda autonoma dello Stato  (sino
al 1994) e poi  come  ente  pubblico  economico  (fino  al  1999)  ha
comportato,  infatti,  una   innegabile   eterogeneita'   dei   buoni
fruttiferi negoziati dalle Poste  italiane  rispetto  agli  strumenti
finanziari offerti dal sistema bancario. 
    La qualificazione - per costante giurisprudenza  della  Corte  di
legittimita' - di detti buoni come «titoli di legittimazione» ha dato
ragione della soggezione dei diritti spettanti ai sottoscrittori  dei
buoni postali alle  variazioni  derivanti  dalla  sopravvenienza  dei
decreti ministeriali volti a  modificare  il  tasso  degli  interessi
originariamente stabilito. 
    E cio' ha portato  a  ritenere  che,  in  ragione  appunto  della
«soggettivita' statuale del soggetto  emittente  e  [delle]  garanzie
derivanti da tale profilo soggettivo», la modificazione  -  demandata
dalla norma censurata al  decreto  ministeriale  (accompagnata  dalla
prescrizione di messa a disposizione della nuova tabella ai  titolari
dei buoni presso gli uffici postali) - trovasse ingresso  all'interno
del contratto di sottoscrizione del buono, mediante una  integrazione
ab externo del suo contenuto, riconducibile alla previsione dell'art.
1339 del codice civile (Corte di cassazione,  sentenza  n.  3963  del
2019). 
    4.3.- La difesa dei risparmiatori ha  prospettato  che  «la  mera
pubblicazione in G.U. del D.M. che prevede la  variazione  [...]  non
assolv[a] ad una piena conoscenza in tale materia» e che  cio'  abbia
inciso sulla  «libera  allocazione  del  risparmio»,  impedendo  agli
investitori l'esercizio del diritto di recesso e un'accettazione  per
iscritto delle modifiche  apportate  dallo  jus  supervenies.  Ma  la
censura (peraltro solo in memoria) cosi' formulata  e'  inammissibile
per la sua estraneita'  al  perimetro  del  thema  decidendum,  quale
segnato dall'ordinanza di rimessione. 
    5.- Anche il residuo ipotizzato profilo di contrasto  con  l'art.
47  Cost.  muove,  a  sua  volta,  dal  presupposto   del   carattere
"retroattivo" delle variazioni sfavorevoli del  saggio  di  interesse
dei buoni postali, che il denunciato art.  173  consentirebbe;  e  da
cio' il rimettente fa discendere il paventato  effetto  di  «assoluto
scoraggiamento del risparmio (nella specie: postale)». 
    La dimostrata erroneita' di un tale presupposto gia' di  per  se'
comporta l'infondatezza della censura in esame. 
    Va  comunque  ancora  considerato   come   la   possibilita'   di
variazione, anche in senso sfavorevole, dei tassi  di  interesse  sui
buoni fruttiferi postali, consentita  dalla  disposizione  in  esame,
riflettesse un ragionevole bilanciamento tra la tutela del  risparmio
e un'esigenza di contenimento della spesa pubblica; contenimento che,
in caso di titoli emessi da enti a soggettivita' statuale,  implicava
appunto la previsione di strumenti di flessibilita' atti ad  adeguare
la redditivita' di tali prodotti all'andamento dell'inflazione e  dei
mercati.