ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  670  del
codice di  procedura  penale  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di
Bologna,   seconda   sezione   penale,   in   funzione   di   giudice
dell'esecuzione, nel procedimento penale  a  carico  di  A.  S.,  con
ordinanza del 9  febbraio  2021,  iscritta  al  n.  61  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 20, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  A.  S.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  23  novembre  2021  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi l'avvocato Maila Catani per A. S. e l'avvocato dello  Stato
Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 novembre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale  ordinario
di  Bologna,  sezione  seconda  penale,  in   funzione   di   giudice
dell'esecuzione,   ha    sollevato    questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 670  del  codice  di  procedura  penale,  in
riferimento agli artt. 3, 10, 13,  25,  primo  comma,  e  117,  primo
comma, della Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  5,
paragrafi 1, lettera a), e 4, della Convenzione europea  dei  diritti
dell'uomo (CEDU),  «nella  parte  in  cui  non  consente  al  giudice
dell'esecuzione di rilevare la  nullita'  della  sentenza  di  merito
passata in giudicato  derivante  dalla  violazione  della  competenza
funzionale del Tribunale per i Minorenni». 
    1.1.- Il giudice a quo si trova a decidere  su  un  incidente  di
esecuzione  proposto  da  un  detenuto,  che  si  duole  in  sostanza
dell'illegittimita' della sentenza, risalente al 1998, con  la  quale
gli era stata applicata su richiesta, ai  sensi  dell'art.  444  cod.
proc. pen., la pena di due anni di reclusione e di una multa  per  il
delitto di traffico di sostanze stupefacenti, qualificato come  fatto
di lieve entita' ai sensi dell'art. 73,  comma  5,  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle
leggi  in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e   sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza). La pena era stata condizionalmente sospesa; ma il
beneficio era stato revocato nel 2020, e il pubblico ministero  aveva
conseguentemente emesso ordine di esecuzione della pena medesima. 
    Piu' in particolare, secondo quanto espone il giudice a  quo,  il
ricorrente fu arrestato nel luglio 1997 per il  reato  in  questione.
Trattandosi di straniero sprovvisto di documenti  di  riconoscimento,
la sua dichiarazione  di  minore  eta'  non  fu  ritenuta  credibile,
sicche' egli fu trattenuto  in  custodia  cautelare  in  un  istituto
penitenziario per maggiorenni. In esito a una perizia ordinata  dalla
locale Procura per i minorenni, emerse che il suo sviluppo osseo  era
compatibile con la maggiore eta'. Nel febbraio 1998, il Tribunale  di
Bologna pronuncio' la sentenza di applicazione della pena di  cui  si
e' detto. Tornato in liberta', il soggetto  in  questione  reperi'  e
consegno' al difensore i propri documenti, rilasciati dallo Stato  di
provenienza, dai quali  risultava  essere  nato  nel  dicembre  1979.
Conseguentemente, il difensore propose ricorso per cassazione avverso
la sentenza di patteggiamento, assumendone la nullita' per violazione
della competenza funzionale del tribunale per  i  minorenni,  essendo
l'imputato ancora minorenne all'epoca dei fatti. Nel gennaio 1999  il
ricorso fu  tuttavia  dichiarato  inammissibile,  e  la  sentenza  di
applicazione della pena divenne cosi' irrevocabile. 
    A molti anni di distanza, nel gennaio 2020,  il  beneficio  della
sospensione condizionale della pena originariamente concesso e' stato
revocato, per effetto della  commissione  di  altri  reati  da  parte
dell'imputato  nei  cinque  anni  successivi  dalla  sentenza;  e  il
pubblico ministero, previo provvedimento di cumulo, ha emesso  ordine
di  esecuzione  della  pena  per  oltre  tre   anni   di   detenzione
complessivi, comprendente anche la pena di due anni di  reclusione  e
la multa applicate nella sentenza di cui ora il ricorrente si duole. 
    Con istanza manoscritta fatta  pervenire  dal  penitenziario  nel
luglio 2020,  riferisce  il  rimettente,  il  condannato  ha  chiesto
testualmente il «rifacimento del processo e lo scalaggio dei due anni
dal cumulo n. 773/18 SIEP finche' non avro' un  giusto  processo  dal
Trib. dei minori». Qualificata l'istanza come  questione  sul  titolo
esecutivo  ai  sensi  dell'art.  670  cod.  proc.  pen.,  il  giudice
dell'esecuzione ha sollevato, d'ufficio,  la  predetta  questione  di
legittimita'  costituzionale,  ritenuta  rilevante  ai   fini   della
decisione. 
    1.2.- Il giudice a quo osserva, anzitutto, che il dato  letterale
dell'art. 670 cod. proc. pen. consente al giudice dell'esecuzione  di
accertare la  mancanza  del  titolo  esecutivo,  ovvero  la  sua  non
esecutivita'. Tali formule sono state  tradizionalmente  interpretate
dalla  giurisprudenza  come  riferite  alla  regolarita'  formale   e
sostanziale del titolo su cui  si  fonda  l'esecuzione,  escludendosi
invece ogni rilievo alle  «nullita'  eventualmente  verificatesi  nel
corso del processo di cognizione in epoca precedente al passaggio  in
giudicato  della  sentenza,  con  la  sola  eccezione  dei  vizi  che
interferiscono con la  formazione  del  giudicato,  come  ad  esempio
quelli   attinenti   [...]   alla   rituale   notifica   all'imputato
dell'estratto contumaciale o che siano  in  grado  per  tale  via  di
riflettersi sul titolo, avendo  compromesso  la  previa  ed  autonoma
facolta' d'impugnazione riconosciuta al difensore»  (e'  citata,  tra
l'altro, Corte di  cassazione,  sezione  prima  penale,  sentenza  16
luglio 2019, n. 31854). Cio' rifletterebbe l'idea dell'intangibilita'
del giudicato, a sua volta funzionale all'esigenza  di  certezza  del
diritto e di stabilita' dei rapporti giuridici, che si porrebbe  come
«argine alla perpetua rivedibilita' dell'assetto cristallizzato nella
res iudicata». 
    Il giudice a quo sottolinea,  peraltro,  come  la  giurisprudenza
penale piu' recente, anche per impulso delle sentenze della Corte EDU
e di questa stessa Corte, abbia progressivamente ampliato  gli  spazi
per un controllo del  giudice  dell'esecuzione  sulla  legalita'  del
giudicato e, dunque, del titolo  esecutivo,  attraverso  un  percorso
«ispirato  dall'esigenza  di   non   lasciare   mai   senza   rimedio
l'illegalita' - lato sensu intesa - della condanna o del  trattamento
sanzionatorio, seppur cristallizzati  dalla  res  iudicata»;  il  che
comporterebbe «un concettuale superamento del "dogma" del  giudicato,
richiedendo una sua flessibilizzazione  (o  cedevolezza)  rispetto  a
violazioni sostanziali e procedurali  che  attingono  i  fondamentali
diritti dell'imputato». 
    Cionondimeno, nel caso di specie l'art. 670 cod. proc.  pen.  non
consentirebbe di rilevare la nullita' assoluta pur  verificatasi  nel
giudizio   di   merito,   stante   l'attuale    orientamento    della
giurisprudenza che esclude la conoscibilita'  da  parte  del  giudice
dell'esecuzione   delle   nullita'   verificatesi   nel   corso   del
procedimento. 
    1.3.- Tale soluzione, tuttavia, appare al giudice a quo di dubbia
tenuta costituzionale. 
    Dopo  aver  evidenziato  le  peculiarita'  della  disciplina  del
processo minorile  di  cui  al  d.P.R.  22  settembre  1988,  n.  448
(Approvazione delle disposizioni sul  processo  penale  a  carico  di
imputati minorenni), il  rimettente  sottolinea  come  la  competenza
funzionale del tribunale per i minorenni costituisca un indefettibile
presidio a garanzia delle specifiche esigenze di tutela  del  minore,
aventi caratura tanto costituzionale - come riconosciuto  da  plurime
sentenze di questa Corte - quanto sovranazionale, come  attestato  in
particolare da varie fonti internazionali. A presidio delle  esigenze
di tutela del minore, inoltre, l'ordinamento prevede che, in caso  di
dubbio sull'eta' effettiva dell'indagato anche dopo gli  accertamenti
di rito, la minore eta' debba essere presunta (art. 8 d.P.R.  n.  448
del 1988). 
    Ancora, il rimettente sottolinea come la competenza del tribunale
per i minorenni sia assolutamente  inderogabile,  anche  in  caso  di
connessione di procedimenti relativi a coimputati maggiorenni  (artt.
12 e 14 cod. proc. pen.), ovvero di reati di competenza  del  giudice
di pace, o di reati continuati commessi  prima  e  dopo  la  maggiore
eta'. Cio' in relazione alla  specificita'  del  sistema  processuale
previsto per i minorenni, «caratterizzato da  istituti  propri  e  da
finalita'  diverse  rispetto  a  quello  previsto  per  gli  imputati
maggiorenni». Da un lato, infatti, l'interesse superiore  del  minore
assurgerebbe qui a canone ermeneutico primario cui informare l'intera
disciplina  processuale;  e,  dall'altro,  sarebbero   ivi   previste
possibilita' di  definizione  alternativa  del  procedimento  -  come
l'irrilevanza penale del fatto, la sospensione del processo  e  messa
alla prova, le sanzioni  alternative  -  in  termini  sconosciuti  al
processo ordinario, o comunque entro limiti assai piu' ampi di quanto
non valga  per  gli  imputati  maggiorenni,  restando  in  ogni  caso
preclusa  all'imputato  minorenne  la  possibilita'  di  accedere  al
patteggiamento. 
    Lo spartiacque tra i due sistemi, tanto diversi  nelle  finalita'
ispiratrici e nella loro concreta struttura, sarebbe identificato dal
legislatore dalla minore o maggiore eta' dell'imputato al momento del
fatto di reato. 
    Nel  caso  di  specie,  l'accertamento  della  violazione   della
competenza funzionale del tribunale per i  minorenni  sarebbe  invero
rilevabile ictu oculi anche solo dall'esame  del  certificato  penale
dell'imputato, oltre che del suo permesso di soggiorno, dai quali  si
evince che egli sarebbe  nato  nel  dicembre  1979.  Tali  risultanze
documentali sarebbero, d'altronde, assai piu' affidabili  rispetto  a
quelle della perizia sullo sviluppo osseo  a  suo  tempo  effettuata,
come attestato dalla letteratura  scientifica  in  argomento  nonche'
dalla circolare del Ministero dell'interno  del  9  luglio  2007,  n.
17272/7. 
    Da tutto cio' deriverebbero plurimi  profili  di  illegittimita',
processuali e sostanziali, della sentenza oggetto del procedimento di
esecuzione, emessa da un  giudice  radicalmente  incompetente  e  nel
quadro di un  procedimento  -  il  patteggiamento  -  in  radice  non
previsto nel procedimento  penale  minorile,  nell'ambito  del  quale
l'imputato non sarebbe stato  legalmente  in  grado  di  prestare  un
valido consenso all'applicazione della pena, e che lo ha sottratto al
complessivo sistema processuale di favore previsto per i minorenni. 
    1.4.-  In  punto  di  rilevanza,  il  rimettente   osserva   che,
dall'eventuale accoglimento della questione, discenderebbe il  potere
dello stesso giudice a quo di rilevare  la  nullita'  per  violazione
della competenza  funzionale  di  cui  sopra,  con  esito  favorevole
all'interessato, sia sotto il profilo della non  eseguibilita'  della
sentenza e  della  conseguente  riduzione  del  quantum  di  pena  da
eseguire in ragione del provvedimento di cumulo, sia sotto il profilo
della  possibile  riapertura  del   processo   dinanzi   al   giudice
competente, con la connessa  possibilita'  di  accedere  a  tutto  il
compendio di istituti di favore previsti nel rito minorile. 
    Ne', in senso contrario, potrebbe essere fatto  valere  il  fatto
che il vizio di incompetenza funzionale in  oggetto  sia  gia'  stato
(inutilmente) dedotto  con  ricorso  per  cassazione,  posto  che  il
pronunciamento del giudice di legittimita' «non pare  costituire  una
preclusione processuale rispetto al giudizio in sede di  esecuzione».
La    Corte    di    cassazione,    infatti,    pronunciandosi    per
l'inammissibilita' del  ricorso,  non  sarebbe  entrata  nel  merito,
«limitandosi  a  sostenere  che   la   scelta   del   rito   contenga
implicitamente una rinuncia a far valere il vizio  di  incompetenza».
Da un lato, infatti, l'imputato non avrebbe potuto  esprimere  valido
consenso al rito alternativo  del  patteggiamento;  dall'altro  lato,
perdurerebbe   l'interesse   dell'istante   all'accertamento    della
nullita'; infine, l'interessato avrebbe offerto materiale  probatorio
ulteriore  rispetto  ai  documenti  prodotti  con  il   ricorso   per
cassazione, attestante la sua reale data di nascita. 
    Ne' sarebbe possibile esaminare la doglianza dell'interessato con
una domanda di revisione, dal momento che la situazione in esame  non
corrisponderebbe ad alcuna delle ipotesi previste dagli artt.  629  e
seguenti cod. proc. pen., e che comunque la  revisione  mirerebbe  ad
accertare la sussistenza di sopravvenuti elementi tali da condurre al
proscioglimento dell'interessato, diversamente dal caso  odierno,  in
cui non e' prevedibile l'esito del  giudizio  dinanzi  al  competente
tribunale per i minorenni. Sarebbe, invece, il giudizio di esecuzione
quello piu' confacente alla situazione dedotta,  in  cui  si  discute
della radicale nullita' del titolo esecutivo. 
    1.5.-  La  questione  sarebbe,   altresi',   non   manifestamente
infondata. 
    1.5.1.- A essere violato, in primo luogo, sarebbe l'art. 3 Cost.,
in  ragione  dell'assoggettamento   alla   medesima   disciplina   di
situazioni  non  assimilabili,  quali  le  ipotesi  di  nullita'  per
violazione di norme sulla competenza  maturate  nel  giudizio  per  i
maggiorenni  e  la  nullita'  sulla   violazione   della   competenza
funzionale stabilita per i minorenni dall'art. 3 del  d.P.R.  n.  448
del 1988. 
    D'altra parte, il  principio  di  intangibilita'  del  giudicato,
funzionale alla tutela della ragionevole durata del  processo  e  del
divieto del ne bis in idem a garanzia dell'imputato, si  atteggerebbe
diversamente a seconda che ci si trovi in presenza  di  irregolarita'
formali legate all'incompetenza del giudice maturate  all'interno  di
procedimenti "ordinari", o di irregolarita' che sottraggano il minore
alla competenza del tribunale per i minorenni. In tale  secondo  caso
l'incompetenza si riverbererebbe sull'intero impianto  processuale  e
sostanziale della decisione resa. Cio'  perche'  l'aggiramento  della
procedura propria del minore lederebbe i diritti costituzionalmente e
convenzionalmente  riconosciuti  all'imputato  minorenne,  alla   cui
tutela il processo minorile e' preposto; e perche' verrebbe  precluso
al  minore  l'accesso  a  istituti  quali  il  perdono  giudiziale  e
l'applicazione della specifica circostanza  attenuante  della  minore
eta' prevista all'art. 98 cod.  pen.,  cosi'  da  far  sospettare  di
illegalita' manifesta anche il trattamento sanzionatorio. 
    Alla luce anche della rilevata non omogeneita'  delle  situazioni
sostanziali sottese e degli interessi costituzionali in gioco,  quali
la tutela del minore (art. 31, secondo comma, Cost.)  e  la  funzione
rieducativa  della  pena  (art.   27,   terzo   comma,   Cost.),   la
parificazione della nullita' in esame alle altre, operata dalla norma
censurata, esprimerebbe  dunque  una  inadeguata  ponderazione  della
scelta   legislativa,    risultando    intrinsecamente    arbitraria,
sproporzionata e manifestamente irragionevole. 
    1.5.2.-  Un  secondo  motivo  di  censura  e'  incentrato   sulla
violazione dell'art. 10 Cost.,  «laddove  prevede  che  l'ordinamento
giuridico  italiano  si  debba  conformare  alle  norme  di   diritto
internazionale generalmente riconosciute», espressive  del  principio
della tutela del minore. Il che  sarebbe  dimostrato  dalle  numerose
fonti in materia, quali la  Dichiarazione  dei  diritti  del  bambino
adottata nel  1924,  la  Dichiarazione  universale  dei  diritti  del
fanciullo adottata  dalle  Nazioni  Unite  nel  1959,  le  cosiddette
"Regole di Pechino" del  1985  e  la  Raccomandazione  del  Consiglio
d'Europa n. R (87) 20,  i  cui  principi  hanno  orientato  anche  il
legislatore statale, la Convenzione internazionale  sui  diritti  del
fanciullo, adottata a New York dall'Assemblea generale delle  Nazioni
Unite il 20 novembre 1989 e ratificata con legge 27 maggio  1991,  n.
176, le Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio  d'Europa
per una giustizia a misura  di  minore,  adottate  dal  Comitato  dei
ministri del Consiglio d'Europa il 17 novembre 2010. 
    Tali   fonti   internazionali   non   farebbero   che   attestare
l'esistenza, nel diritto internazionale consuetudinario, di una serie
di principi generali sulla tutela del minore,  quali  «la  necessita'
che  il  minore  sia   giudicato   da   un'autorita'   competente   e
specializzata»,  secondo  un  rito  funzionale   al   suo   interesse
superiore, e che tenga conto della  sua  condizione,  con  il  minimo
ricorso alla carcerazione e con strumenti di fuoriuscita dal processo
per evitarne  l'effetto  stigmatizzante.  La  disposizione  censurata
consentirebbe  invece  l'aggiramento  delle   tutele   ivi   previste
«attraverso  lo  "scudo"  del  giudicato»,  cosi'   che   autorizzare
l'esecuzione della pena pronunciata  da  un  giudice  incompetente  a
giudicare chi all'epoca dei fatti era  minorenne  contrasterebbe  con
l'effettivita' delle tutele del diritto internazionale. 
    1.5.3.- Sarebbero inoltre violati  gli  artt.  13  e  117,  primo
comma, Cost., quest'ultimo in riferimento all'art. 5  CEDU,  «laddove
le citate  norme  affermano  il  principio  di  inviolabilita'  della
liberta'  personale  e  individuano  criteri   di   legalita'   della
detenzione a livello costituzionale e convenzionale». 
    L'art. 13 Cost.,  nella  parte  in  cui  stabilisce  che  non  e'
consentita alcuna forma  di  detenzione  se  non  per  atto  motivato
dell'autorita' giudiziaria e nei soli  casi  e  modi  previsti  dalla
legge, affermerebbe implicitamente che la legalita' della  detenzione
vada valutata anche sotto il profilo della legalita' della  pronuncia
di   condanna,   in   modo   che   l'illegalita'   di    quest'ultima
necessariamente  si  riverberi  sulla  legalita'  della   detenzione.
Sebbene  una  certa   dose   di   fallibilita'   del   giudizio   sia
ineliminabile, l'inviolabilita' della liberta' personale non dovrebbe
poter consentire l'esecuzione di un provvedimento ictu oculi  affetto
da nullita' radicale. 
    Nel  medesimo  senso  sarebbe  orientato  anche  l'art.  5  CEDU,
allorche' stabilisce che la privazione della liberta'  personale  non
possa considerarsi conforme alla Convenzione se non nei modi previsti
dalla legge e nei casi ivi testualmente indicati.  Tra  questi,  alla
lettera a)  del  paragrafo  1,  e'  prevista  la  condizione  che  il
condannato sia «detenuto regolarmente in seguito a condanna da  parte
di  un  tribunale  competente».  Nel  caso  Yefimenko  contro  Russia
(sentenza 12 febbraio  2013),  la  Corte  EDU  avrebbe  accertato  la
violazione della disposizione convenzionale  in  esame  per  via  del
fatto che l'organo giudicante che aveva emesso  la  condanna  a  pena
detentiva, pur avendo in  astratto  la  competenza  sul  caso,  aveva
seduto in una composizione diversa da quella prevista per  legge.  Si
tratterebbe  di  un'incompetenza  che,   nell'ordinamento   italiano,
rappresenterebbe un vizio attinente alle condizioni di capacita'  del
giudice e alla composizione dei  collegi,  ai  sensi  dell'art.  178,
comma 1, lettera a), cod. proc.  pen.,  ossia  una  nullita'  che  si
realizza anche in caso di violazione della competenza funzionale  del
tribunale per i minorenni. 
    Lo stesso art. 5 CEDU, al suo paragrafo  4,  statuisce  anche  il
diritto del soggetto privato della liberta' personale di fare ricorso
a  un  tribunale  che  possa  decidere  sulla  «legalita'  della  sua
detenzione  e  ne  ordini  la  scarcerazione  se  la  detenzione   e'
illegale». L'art. 670 cod. proc. pen., nel limitare il sindacato  del
giudice dell'esecuzione alla mera verifica dell'esistenza del  titolo
o alla sua definitivita',  opererebbe,  secondo  il  rimettente,  una
scelta che pare sacrificare sull'altare  del  giudicato  la  liberta'
personale del  condannato  e  il  suo  diritto  a  far  accertare  la
legalita' della propria detenzione. Cio', anche  in  ipotesi  in  cui
l'illegalita' per incompetenza  del  giudice  sia  talmente  grave  e
manifesta da minare  alla  radice  l'atto  della  cui  esecuzione  si
tratta. 
    1.5.4.- Sarebbe infine violato l'art.  25,  primo  comma,  Cost.,
posto che l'art. 670 cod. proc. pen. consentirebbe l'eseguibilita' di
una  pena  fondata  su  una  sentenza  emessa  in  violazione   della
competenza funzionale del tribunale per i minorenni, ossia  del  solo
giudice naturale del minore. 
    1.6.- I dubbi di legittimita' costituzionale cosi' formulati  non
sarebbero     superabili     ricorrendo     a      un'interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 670 cod. proc. pen., il  quale
circoscrive in modo  preciso  i  limiti  del  sindacato  del  giudice
dell'esecuzione, abilitato  a  valutare  anche  nel  merito  la  sola
osservanza  delle  norme  sull'irreperibilita',  con  previsione   di
carattere eccezionale. Ne' il rimettente ritiene di poter  ricondurre
la fattispecie della nullita' rilevante nel caso a quo  alla  ipotesi
di «mancanza» del titolo, con un'assimilazione tra nullita'  radicale
e inesistenza della pronuncia. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni vengano  dichiarate  manifestamente
inammissibili o, comunque, non fondate. 
    Osserva l'Avvocatura generale dello Stato che, come  riconosciuto
in  plurime  pronunce  della  Corte   di   cassazione,   il   giudice
dell'esecuzione puo'  solo  dichiarare  ineseguibile  la  sentenza  o
revocarla ai sensi degli artt. 669 e  673  cod.  proc.  pen.,  mentre
l'annullamento  sarebbe  riservato  al  giudice  dell'impugnazione  e
rimarrebbe cosi' precluso dalla formazione del giudicato. 
    Solo nelle eccezionali evenienze  della  mancanza  dei  requisiti
essenziali  della  sentenza,  quali  «la  provenienza  da  un  organo
investito del potere giurisdizionale penale, l'esternazione in  forma
scritta,  l'adozione  nei  confronti  di  una  persona  in   vita   e
assoggettabile alla giurisdizione penale», o dell'applicazione di una
pena illegale perche' piu' grave di quella  prevista  per  legge,  il
giudice  dell'esecuzione  sarebbe  tenuto  a  rilevare  l'inesistenza
giuridica della sentenza, nonostante la formazione del giudicato  (e'
citata Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 4 febbraio
2009, n. 5998). 
    Tra  i  casi  di  inesistenza  rientrerebbe,  sempre  secondo  la
giurisprudenza di legittimita', la sentenza emessa nei  confronti  di
un minore infraquattordicenne, non imputabile ai sensi  dell'art.  97
del codice penale, in ragione dell'impossibilita'  di  costituire  ab
initio un valido rapporto processuale. Tale ipotesi  di  inesistenza,
tuttavia, sarebbe rilevabile dal giudice dell'esecuzione a condizione
che   la   circostanza   della   non   imputabilita'    del    minore
infraquattordicenne risulti accertata  o,  comunque,  evidente  dagli
atti del giudizio di  cognizione  (e'  citata  Corte  di  cassazione,
sezione prima penale, sentenza 4 dicembre 2018-2 gennaio 2019, n. 35;
sezione prima penale, sentenza 20 maggio 2014,  n.  31652).  Qualora,
invece, gli elementi idonei a comprovare  l'eta'  del  condannato  al
momento dei fatti siano sopraggiunti al  giudicato,  l'unico  rimedio
disponibile sarebbe la revisione del processo ex  art.  630,  lettera
c), cod. proc. pen., in combinato disposto con gli artt.  631  e  529
cod. proc. pen.  (e'  citata  Corte  di  cassazione,  sezione  quinta
penale, sentenza 14 marzo 2017, n. 28627). 
    Nel diverso caso della condanna pronunciata nei confronti  di  un
minore di eta' compresa tra i quattordici e i  diciotto  anni  da  un
tribunale ordinario anziche' dal tribunale per i minorenni, il  vizio
non sarebbe comparabile, per gravita', a quello  che  si  produce  in
caso di minore non  imputabile  e  non  giustificherebbe  un  analogo
trattamento  in  punto  di  rilevabilita'  da   parte   del   giudice
dell'esecuzione,  specie   laddove   la   minore   eta'   sia   stata
rappresentata in corso  di  giudizio  ed  abbia  formato  oggetto  di
verifica, come nel caso a quo. Cio' anche alla luce del fatto che non
sarebbe scontata la fruizione da parte dell'imputato  degli  istituti
favorevoli del  processo  minorile,  come  il  perdono  giudiziale  o
l'improcedibilita' per l'irrilevanza del fatto, e che il  ricorso  al
patteggiamento, possibile solo nel processo per gli adulti,  comporta
comunque l'effetto favorevole della riduzione di pena, come  avvenuto
nel caso in esame. 
    Dal  momento  che  l'ordinamento  e'  gia'  ricco   di   garanzie
procedurali volte a soddisfare le  esigenze  di  tutela  del  minore,
eventuali episodi patologici, sempre possibili in casi marginali, non
potrebbero indurre a sovvertire principi fondamentali  del  processo,
come quello dell'intangibilita' del giudicato. 
    Tali  assunti  non  sarebbero  smentiti,   secondo   l'Avvocatura
generale dello Stato,  dalla  pronuncia  della  Corte  EDU  Yefimenko
contro Russia segnalata dal rimettente,  in  cui  alla  gravita'  del
vizio di composizione del tribunale, integrato da due  giudici  laici
che non avevano titolo a  comporre  il  collegio,  si  aggiungeva  la
gravita' della condanna a  una  pesante  pena  detentiva  pronunciata
dall'organo illegittimamente formato. Si  tratterebbe  dunque  di  un
vizio non comparabile a quello lamentato dal giudice a  quo,  la  cui
gravita' non consentirebbe invece il superamento del giudicato. 
    3.- Si e' costituito in giudizio tramite il proprio difensore  il
ricorrente nel  procedimento  a  quo,  concludendo  nel  senso  della
fondatezza  delle  questioni  sulla  base  di  un'argomentazione  che
ripercorre, adesivamente, le ragioni di censura gia'  poste  in  luce
dall'ordinanza di rimessione. 
    Con la successiva memoria illustrativa depositata in  prossimita'
dell'udienza, il difensore della  parte  ha  contestato  gli  assunti
dell'Avvocatura generale dello Stato, ribadendo la gravita' dei  vizi
che  hanno  inficiato  il  processo  conclusosi   con   la   sentenza
irrevocabile nei confronti  del  proprio  assistito.  Tali  vizi  non
sarebbero rimediabili mediante  lo  strumento  della  revisione,  che
presuppone la sopravvenienza di elementi sconosciuti al  momento  del
giudizio, e che sarebbe invece inidoneo a eliminare vizi che  abbiano
inficiato lo  stesso  giudizio  di  merito.  Ne'  i  vizi  in  parola
sarebbero sanabili mediante il rimedio  della  inesistenza  giuridica
della sentenza, che la giurisprudenza considera applicabile  soltanto
nell'ipotesi di minore  infraquattordicenne.  L'unica  sede  per  far
valere   tali   vizi   sarebbe,   dunque,    rappresentata    proprio
dall'incidente di esecuzione, previo accoglimento delle questioni  di
legittimita' costituzionale nei termini prospettati  dal  rimettente,
accoglimento che si renderebbe necessario stante la  impraticabilita'
di un'interpretazione conforme  a  Costituzione  dell'art.  670  cod.
proc. pen. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale  ordinario
di  Bologna,  sezione  seconda  penale,  in   funzione   di   giudice
dell'esecuzione,   ha    sollevato    questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art.  670  del  codice  di  procedura  penale  in
riferimento agli artt. 3, 13, 10,  25,  primo  comma,  e  117,  primo
comma, della Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  5,
paragrafi 1, lettera a), e 4, della Convenzione europea  dei  diritti
dell'uomo (CEDU),  «nella  parte  in  cui  non  consente  al  giudice
dell'esecuzione di rilevare la  nullita'  della  sentenza  di  merito
passata in giudicato  derivante  dalla  violazione  della  competenza
funzionale del Tribunale per i Minorenni». 
    In sostanza, il giudice a quo ritiene che, sulla base del diritto
vivente, l'attuale disciplina delle questioni sul titolo esecutivo di
cui  all'art.  670  cod.  proc.  pen.   non   consenta   al   giudice
dell'esecuzione di rilevare la nullita' di una  sentenza  passata  in
giudicato e pronunciata dal tribunale ordinario nei confronti  di  un
imputato minorenne all'epoca di commissione del  reato,  dal  momento
che tale nullita' sarebbe  rilevabile  in  ogni  stato  e  grado  del
giudizio ai sensi dell'art. 178, comma 1, lettera a), cod. proc. pen.
ma non, appunto, dopo  il  passaggio  in  giudicato  della  sentenza.
Tuttavia, il rimettente dubita della compatibilita' di tale soluzione
con i parametri costituzionali evocati, dai quali si  evincerebbe  il
principio   secondo   cui   l'imputato   minorenne    debba    essere
necessariamente  giudicato  da  un   tribunale   specializzato,   con
conseguente radicale illegittimita' non solo della  sua  condanna  da
parte di un giudice  penale  ordinario,  ma  anche  della  successiva
esecuzione della pena irrogata da quest'ultimo. 
    In difetto  di  altri  rimedi  disponibili  nell'ordinamento  per
sanare una tale illegittimita' costituzionale, il rimettente  chiede,
dunque, a questa Corte di estendere l'ambito  dei  rimedi  adottabili
dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 670 cod.  proc.  pen.,
in modo da consentire, anche dopo il  passaggio  in  giudicato  della
sentenza, la dichiarazione di nullita' della  sentenza  medesima,  da
cui discenderebbe la sua ineseguibilita'. 
    2.- L'Avvocatura generale dello Stato ha  eccepito  la  manifesta
inammissibilita' delle questioni  prospettate,  senza  -  tuttavia  -
apportare alcun argomento conferente a sostegno di tale eccezione. 
    Le questioni appaiono, invero,  rilevanti  nel  giudizio  a  quo,
dovendo il rimettente necessariamente fare applicazione  della  norma
della  cui  legittimita'  costituzionale  dubita,  per  decidere  sul
ricorso proposto dal  condannato.  Plausibili  appaiono  altresi'  le
premesse interpretative su cui le questioni  si  fondano,  alla  luce
della  giurisprudenza  puntualmente  ricostruita  nell'ordinanza   di
rimessione. E particolarmente ampia appare la motivazione  sulla  non
manifesta  infondatezza  dei  dubbi  di  legittimita'  costituzionale
prospettati. 
    L'eccezione deve, pertanto, essere rigettata. 
    3.- Ai fini dell'esame del merito delle questioni,  e'  opportuna
una preliminare ricognizione del significato che assume, dal punto di
vista del  diritto  costituzionale,  l'attribuzione  a  un  tribunale
specializzato della competenza per i procedimenti penali  concernenti
reati commessi da minorenni. 
    3.1.- Ai sensi dell'art. 3, comma  1,  del  d.P.R.  22  settembre
1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo  penale  a
carico di imputati minorenni), tutti i reati commessi dai  minori  di
diciotto anni ricadono  entro  la  competenza  del  tribunale  per  i
minorenni: giudice specializzato che, ai sensi dell'art. 50 del regio
decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), e' composto
da  un  magistrato  di  corte  d'appello,  che  lo  presiede,  da  un
magistrato di tribunale ordinario e da due esperti, tra loro di sesso
diverso. Tale competenza si applica a qualsiasi reato commesso da  un
minorenne, e opera anche  in  presenza  di  connessione  oggettiva  o
soggettiva con altri reati. 
    Tra le peculiari garanzie previste dalla legislazione vigente  in
materia di processo penale avanti  il  giudice  specializzato  per  i
minori viene anzitutto in considerazione il combinato disposto  degli
artt. 98, primo comma, del codice penale e 9 del d.P.R.  n.  448  del
1988, a tenore dei  quali  l'imputabilita'  del  soggetto  che  abbia
commesso il fatto nella fascia di eta' compresa tra i quattordici e i
diciotto anni non puo' presumersi, ma deve essere sempre  oggetto  di
un'apposita valutazione  da  parte  del  tribunale,  calibrata  sulla
peculiare situazione esistenziale  del  minore.  Inoltre,  l'imputato
minorenne gode tra l'altro di uno  speciale  regime  cautelare,  meno
gravoso di quello previsto per gli adulti (articoli da 19  a  24  del
d.P.R. n. 448 del 1988); puo' ottenere il beneficio della sospensione
del processo con contestuale messa alla prova (art. 28 del d.P.R.  n.
448 del 1988), che  e'  caratterizzato  da  modalita'  applicative  e
finalita' distinte rispetto a quelle assegnate  all'omonimo  istituto
previsto per gli adulti (sentenza n. 68 del 2019) e non  e'  soggetto
ai  medesimi  limiti  edittali  che  vigono  per  quest'ultimo;  puo'
ottenere una sentenza di non luogo a procedere  per  irrilevanza  del
fatto (art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988), anch'essa sulla  base  di
presupposti diversi e piu' ampi di quelli che vigono per gli  adulti;
puo' ottenere il perdono giudiziale per i reati punibili con una pena
detentiva non superiore nel massimo ai  due  anni  o  pecuniaria  non
superiore a 1.549 euro (art. 169 cod. pen. in combinato disposto  con
l'art. 112 della legge 24 novembre 1981, n. 689,  recante  «Modifiche
al sistema penale»). 
    3.2.- La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato che
«[l]a  competenza  del  Tribunale  per  i  minorenni  e  la  speciale
disciplina del processo minorile sono  dirette  al  conseguimento  di
finalita'  di  tutela  del  minore»,   queste   ultime   direttamente
riconducibili al dettato dell'art.  31  Cost.  (sentenza  n.  17  del
1981). 
    La sentenza n. 222 del 1983, sulla scorta  dell'osservazione  che
«il tribunale per i  minorenni,  considerato  nelle  sue  complessive
attribuzioni, oltre che penali, civili ed  amministrative,  ben  puo'
essere annoverato tra quegli "istituti" dei quali la Repubblica  deve
favorire  lo  sviluppo  ed  il  funzionamento,  cosi'  adempiendo  al
precetto  costituzionale  che  la  impegna  alla  "protezione   della
gioventu'"»,  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  della
previgente disciplina processuale che sottraeva, in caso di  concorso
con imputati maggiorenni, l'imputato minorenne  al  tribunale  per  i
minorenni,  escludendo  che   potesse   invocarsi   «l'esigenza   del
simultaneus processus, per giustificare la deroga alla competenza del
giudice specializzato». 
    Nella sentenza  n.  135  del  1995  e'  stata  poi  ritenuta  non
irragionevole l'esclusione  del  patteggiamento  nel  rito  minorile,
rilevandosi tra l'altro come tale rito,  come  attualmente  delineato
per il processo per gli adulti, sarebbe in contrasto con la  funzione
del giudice minorile,  il  quale  «e'  dotato  di  amplissimi  poteri
caratterizzati dall'esigenza primaria del  recupero  del  minore,  un
soggetto dalla  personalita'  ancora  in  formazione  (v.  da  ultimo
sentenza n. 168/1994) per cui sono previste misure che, in  vista  di
tale esigenza, possono portare a far concludere il processo in modi e
con  contenuti  diversi  da  quelli  propri   del   processo   penale
ordinario». 
    Nella sentenza n. 272  del  2000,  che  nuovamente  ha  rigettato
questioni concernenti la mancata  estensione  del  patteggiamento  al
rito minorile, si e' ancora evidenziato come tale esclusione sia  del
tutto conforme alla peculiare natura del processo  minorile,  che  e'
«sorretto dalla prevalente finalita' di recupero del minorenne  e  di
tutela    della    sua    personalita',    nonche'    da    obiettivi
pedagogico-rieducativi piuttosto che retributivo-punitivi». 
    Piu' recentemente, la sentenza n. 1 del 2015,  in  linea  con  la
soluzione cui erano nel frattempo gia' giunte le sezioni unite  della
Corte di cassazione, ha ritenuto costituzionalmente illegittima,  per
violazione dell'art. 31, secondo comma, Cost.,  la  disposizione  che
affidava il giudizio abbreviato minorile, a  seguito  di  decreto  di
giudizio immediato, al giudice per le indagini preliminari presso  il
tribunale per i minorenni  anziche'  al  collegio,  sottolineando  la
necessita', per l'imputato minorenne, di una «valutazione del giudice
collegiale e degli esperti che lo compongono, perche' e' proprio  per
garantire decisioni attente alla personalita' del minore e  alle  sue
esigenze formative ed educative che il tribunale per i  minorenni  e'
stato  strutturato»;  e  ha  evidenziato  come  la  composizione  del
tribunale  per  i  minorenni  rispecchi  la  peculiare  funzione  del
processo minorile, in cui le logiche retributive e special-preventive
del processo penale debbono contemperarsi con il «principio di minima
offensivita',   che   impone   di   evitare,   nell'esercizio   della
giurisdizione  penale,  ogni   pregiudizio   al   corretto   sviluppo
psicofisico del  minore  e  di  adottare  le  opportune  cautele  per
salvaguardare le correlate esigenze educative». 
    Un compendio di ulteriori  precedenti  della  Corte  e',  infine,
contenuto nella recente sentenza n. 139 del 2020, secondo cui  «nella
prospettiva dell'adeguata protezione della gioventu' di cui  all'art.
31, secondo comma, Cost.,  la  preminente  funzione  rieducativa  del
procedimento penale minorile  trov[a]  una  fondamentale  rispondenza
nella particolare composizione  "mista"  del  giudice  specializzato,
arricchita dalla dialettica interna tra la componente togata e quella
esperta: "[e'], infatti,  grazie  alle  competenze  scientifiche  dei
soggetti che compongono il collegio giudicante che viene  svolta  una
corretta valutazione delle particolari situazioni dei minori, la  cui
evoluzione psicologica, non ancora  giunta  a  maturazione,  richiede
l'adozione di particolari trattamenti penali che consentano  il  loro
completo recupero, ponendosi, quest'ultimo, quale obiettivo primario,
cui tende l'intero sistema penale  minorile"  (sentenza  n.  310  del
2008). Invero, "la specializzazione del giudice minorile, finalizzata
alla  protezione  della  gioventu'  sancita  dalla  Costituzione,  e'
assicurata dalla struttura complessiva di  tale  organo  giudiziario,
qualificato dall'apporto degli esperti laici" (ordinanza n.  330  del
2003). [...] Oltre alla conformazione interdisciplinare  dell'organo,
la Corte ne ha illustrato  la  diversificazione  di  genere,  poiche'
l'art. 50-bis, comma 2, del r.d. n.  12  del  1941,  esigendo  che  i
componenti onorari siano "un uomo e una donna", garantisce che "nelle
sue decisioni  il  collegio  possa  sempre  avvalersi  del  peculiare
contributo di esperienza e  di  sensibilita'  proprie  del  sesso  di
appartenenza" (ordinanza n. 172 del 2001)». 
    3.3.- Questa Corte ha, altresi',  frequentemente  valorizzato,  a
fini interpretativi dei parametri costituzionali di  volta  in  volta
evocati, le fonti internazionali  sulle  speciali  tutele  dovute  ai
minori che vengono a contatto con la  giustizia  penale  (ex  multis,
sentenze n. 139 del 2020, n. 109 del 1997, n. 168 del 1994 e  n.  222
del 1983). 
    Tra tali fonti, meritano speciale menzione le Regole minime delle
Nazioni   Unite   sull'amministrazione   della   giustizia   minorile
(cosiddette "Regole di Pechino"),  adottate  dall'Assemblea  generale
con la risoluzione 40/33 del 29 novembre 1985, le quali al  numero  6
prevedono che,  «[i]n  considerazione  delle  speciali  esigenze  del
minore», sia «previsto un potere discrezionale appropriato a  diversi
livelli   dell'amministrazione   della   giustizia   minorile,    sia
nell'istruttoria  che  nel  processo   e   nella   fase   esecutiva»,
precisandosi che «[l]e persone che esercitano il potere discrezionale
dovranno  essere  particolarmente  qualificate  o  specializzate  per
esercitarlo responsabilmente e secondo le rispettive funzioni». 
    La Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il  20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con  la  legge  27  maggio
1991, n. 176, impegna dal canto suo gli  Stati  parti,  tra  l'altro,
alla  «costituzione  di  autorita'   e   di   istituzioni   destinate
specificamente  ai  fanciulli  sospettati,  accusati  o  riconosciuti
colpevoli di aver commesso reato», in particolare stabilendo  un'eta'
minima sotto la quale il fanciullo debba presumersi non imputabile  e
adottando  provvedimenti  «per  trattare   questi   fanciulli   senza
ricorrere a procedure giudiziarie» (art. 40, comma  3).  Il  Comitato
ONU per i diritti del fanciullo, nel General  Comment  n.  10  (2007)
sulla giustizia minorile, ha chiarito,  in  riferimento  specifico  a
tali disposizioni, che un  sistema  organico  di  giustizia  minorile
dovrebbe comportare  l'istituzione  di  sezioni  specializzate  nella
polizia e nel sistema giudiziario e delle procure, raccomandando agli
Stati parti di istituire autorita' giudiziarie  per  i  minori,  vuoi
come  unita'  separate  o  come  sezioni  degli   organi   giudiziari
esistenti, e, qualora cio' non sia  immediatamente  realizzabile,  di
assicurare la presenza di giudici o  magistrati  specializzati  nella
giustizia minorile (paragrafi 92 e 93). 
    Analoga  raccomandazione  e'  formulata  dalle  Linee  guida  del
Comitato dei ministri del Consiglio  d'Europa  su  una  "giustizia  a
misura di minore", adottata il 17 novembre 2010, in  cui  si  afferma
l'esigenza  di  istituire  dei  «tribunali  (o   sezioni)   speciali,
procedure e istituzioni per i minori in conflitto con la  legge»  (n.
63). 
    Per  quanto  riguarda  infine  l'Unione  europea,  la   direttiva
2016/800/UE del Parlamento europeo e del  Consiglio,  dell'11  maggio
2016, sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei
procedimenti penali, stabilisce tra l'altro che «il minore indagato o
imputato  in  procedimenti  penali  e'   sottoposto   a   valutazione
individuale.   Tale   valutazione   individuale   tiene   conto,   in
particolare, della personalita' e maturita'  del  minore,  della  sua
situazione economica,  sociale  e  familiare,  nonche'  di  eventuali
vulnerabilita'  specifiche  del  minore»  (art.  7,   paragrafo   2);
chiarendo altresi' che la  valutazione  in  parola  «e'  condotta  da
personale  qualificato,  con  un  approccio  per   quanto   possibile
multidisciplinare» (art.  7,  paragrafo  7).  Agli  Stati  membri  si
impone,  inoltre,  l'obbligo  di  adottare  «misure  appropriate  per
garantire che i giudici e i magistrati inquirenti che si occupano  di
procedimenti  penali  riguardanti  minori  abbiano   una   competenza
specifica in tale settore e/o abbiano effettivamente  accesso  a  una
formazione specifica» (art. 20, paragrafo 2). 
    3.4.- Dal complesso delle pertinenti norme  costituzionali,  come
interpretate da questa Corte, e  dalle  fonti  internazionali  appena
menzionate - produttive o meno che siano di  obblighi  internazionali
vincolanti ai sensi dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  ma  tutte
certamente rilevanti  ai  fini  dell'interpretazione  delle  garanzie
costituzionali - si evince dunque il principio secondo cui il  minore
autore  di  reato  deve  essere  giudicato   da   una   giurisdizione
specializzata, i cui operatori siano  selezionati  anche  sulla  base
della specifica competenza professionale in materia di minori, e  che
operi secondo finalita' e sulla base di regole differenti  da  quelle
che caratterizzano la giurisdizione penale ordinaria. Di  talche'  la
scelta, compiuta dal  legislatore  italiano,  di  attribuire  a  tale
giurisdizione specializzata la competenza per  i  reati  compiuti  da
minorenni deve ritenersi costituzionalmente vincolata. 
    4.- Le  questioni  ora  sottoposte  al  vaglio  di  questa  Corte
concernono  l'ipotesi  patologica  di  un  processo   penale,   ormai
conclusosi con sentenza definitiva,  che  si  sia  svolto  avanti  al
giudice   penale   ordinario   in   conseguenza    di    un    errore
nell'attribuzione dell'eta' dell'imputato al momento del fatto. E  il
tema di fondo ora in discussione  e'  se,  in  tal  caso,  la  natura
costituzionalmente  vincolata   della   competenza   funzionale   del
tribunale per i minorenni necessariamente  imponga  il  travolgimento
del giudicato in sede di incidente di esecuzione. 
    4.1.- Il caso oggetto  del  giudizio  a  quo  evidenzia  in  modo
emblematico  le  gravi  conseguenze  di  un  errore  siffatto,   come
esattamente sottolinea il rimettente. Assumendo che effettivamente il
ricorrente fosse minorenne al momento del fatto - dato,  questo,  che
il giudice a quo considera pacifico, sulla base di quanto risulta dal
suo certificato penale e dallo stesso permesso di soggiorno, entrambi
formati dalle autorita' italiane -, egli risulterebbe: 
    -  essere  stato  giudicato  da  un  giudice  diverso  da  quello
funzionalmente  competente  a  giudicarlo,  in  violazione  non  solo
dell'art. 3 del d.P.R.  n.  448  del  1988,  ma  anche  dei  principi
costituzionali poc'anzi richiamati; 
    - essere stato sottoposto  a  un  rito  (il  patteggiamento)  non
consentito per gli imputati minorenni all'epoca  del  fatto,  per  le
ragioni ampiamente illustrate dalle menzionate sentenze  n.  135  del
1995 e n. 272 del 2000; 
    - non essere stato sottoposto alla  valutazione  individualizzata
della propria imputabilita', prescritta dall'art. 9 del d.P.R. n. 448
del 1988; 
    -  non  avere  avuto  accesso  a  tutta  la  serie  di  possibili
definizioni alternative del procedimento previste specificamente  per
i minori  (su  cui  supra,  punto  3.1.),  tra  cui  segnatamente  la
sospensione  del  processo  con  messa  alla  prova   e   contestuale
affidamento ai servizi minorili, che avrebbero potuto  impostare  nei
suoi confronti un programma  di  trattamento  individualizzato  dalla
spiccata connotazione (ri)educativa; 
    - essere stato condannato a  una  pena  detentiva  verosimilmente
piu' severa di quella consentita, non essendogli  stata  riconosciuta
(neppure ai limitati  fini  del  bilanciamento  con  eventuali  altre
circostanti aggravanti) la circostanza attenuante obbligatoria  della
minore eta' di cui all'art. 98, primo comma, cod. pen. 
    4.2.-  Il  giudice  rimettente  esclude  anzitutto  che,  in  una
situazione come quella sottoposta al suo esame,  la  revisione  della
sentenza costituisca un rimedio idoneo. Osserva, in proposito, che il
caso non rientra in alcuna delle ipotesi espressamente  previste  dal
codice  di  procedura  penale,  e  che  comunque  tale   rimedio   e'
normalmente    funzionale    a    ottenere     il     proscioglimento
dell'interessato, mentre nella situazione  all'esame  si  tratterebbe
soltanto di dichiarare nullo il titolo esecutivo, per  poi  procedere
ad un nuovo giudizio innanzi al competente tribunale per i minorenni. 
    Ancorche'  il  giudice  a  quo  argomenti,  in  altro   passaggio
dell'ordinanza di rimessione, nel senso della  novita',  rispetto  al
momento  della  formazione   del   giudicato,   dei   documenti   che
attesterebbero in modo inoppugnabile la reale eta' del ricorrente, il
presupposto interpretativo relativo alla inesperibilita' del  rimedio
della revisione nel  caso  in  esame  appare  motivato  in  modo  non
implausibile dal rimettente.  Pertanto,  questa  Corte  non  puo'  in
questa sede che prendere atto di tale presupposto  interpretativo;  e
cio' anche perche' la valutazione se nel caso in esame  sussistano  i
presupposti di una revisione della sentenza di  condanna  sulla  base
della relativa disciplina - ed eventualmente se tale  disciplina  sia
essa stessa conforme alla Costituzione - spetterebbe  comunque  a  un
giudice diverso  da  quello  a  quo,  e  in  particolare  alla  corte
d'appello  competente  ai  fini  di  un  eventuale  procedimento   di
revisione. 
    4.3.- Il giudice rimettente esclude altresi', succintamente,  che
il  vizio  dedotto  possa   essere   ricondotto   all'ipotesi,   pure
contemplata dall'art. 670, comma 1, cod. proc. pen., della "mancanza"
del titolo esecutivo, e dunque alla categoria della "inesistenza" del
titolo    stesso    -    categoria,    quest'ultima,    di    origine
giurisprudenziale, funzionale  a  consentire  la  rilevazione,  anche
oltre lo sbarramento del  giudicato,  dei  vizi  procedimentali  piu'
macroscopici  da   parte   dello   stesso   giudice   dell'esecuzione
(recentemente, sul punto, Corte di cassazione, sezioni unite  penali,
sentenza 26 novembre 2020-23 aprile 2021, n. 15498,  punto  3.3.  dei
motivi della decisione); e insiste, invece, nel qualificare il  vizio
a suo avviso verificatosi nei confronti del ricorrente  come  ipotesi
di "nullita' assoluta", in quanto tale soggetta  alla  disciplina  di
cui all'art. 179 cod. proc. pen. 
    Anche di tale presupposto ermeneutico -  fatto  proprio,  e  anzi
argomentato  estesamente  dalla   parte   costituita   in   giudizio,
ricorrente nel procedimento a quo, nella propria memoria illustrativa
-  questa  Corte  non  puo'  che  prendere  atto;  e  cio'  anche  in
considerazione   dell'attuale   stato   della    giurisprudenza    di
legittimita', che il rimettente non  intende  porre  in  discussione,
neppure sotto il profilo della sua  compatibilita'  con  i  parametri
costituzionali evocati. Tale  giurisprudenza  riconosce,  invero,  la
radicale inesistenza della sentenza pronunciata nei confronti  di  un
imputato che risulti avere commesso il reato  in  eta'  inferiore  ai
quattordici anni (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza
4 dicembre 2018-2 gennaio 2019, n. 35; sezione prima penale, sentenza
20 maggio 2014, n.  31652);  ma  ritiene  invece  affetta  da  (mera)
nullita'  assoluta  la  sentenza  pronunciata  dal  tribunale  penale
ordinario nei confronti di un imputato che risulti di  eta'  compresa
tra  i  quattordici  e  diciotto  anni  al  momento  del  fatto:  con
conseguente impossibilita' di dedurre il relativo  vizio,  una  volta
formatosi il giudicato, in sede di incidente di esecuzione (Corte  di
cassazione, sezione quinta penale, sentenza 14 marzo 2017, n.  28627;
sezione terza penale, sentenza 19 ottobre 2016, n. 54996). 
    4.4.- Il giudice a  quo  sollecita,  piuttosto,  questa  Corte  a
intervenire con una pronuncia additiva sul testo dell'art. 670, comma
1, cod. proc. pen., la quale consenta al giudice  dell'esecuzione  di
dichiarare (non gia' la  "mancanza"  o  l'"inesistenza",  bensi')  la
nullita' del titolo esecutivo, sulla base di un vizio -  verificatosi
nel processo ormai conclusosi con sentenza definitiva -  esso  stesso
qualificato dal rimettente in termini di "nullita'". 
    5.- Nei termini cosi' precisati,  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate dal rimettente non sono fondate. 
    5.1.- Un primo nucleo di censure, sollevate in  riferimento  agli
artt. 3 e 10 Cost., ruota attorno  all'asserita  impossibilita',  per
effetto dei limiti dell'incidente di esecuzione imposti dall'art. 670
cod. proc. pen., di assicurare la tutela costituzionalmente  doverosa
agli interessi preminenti del minore, attraverso una  pronuncia  che,
dichiarando la nullita' della sentenza del giudice penale  ordinario,
consenta eventualmente alla competente procura  per  i  minorenni  di
esercitare l'azione penale davanti alla giurisdizione specializzata. 
    In effetti, la  censura  ex  art.  3  Cost.  -  arricchita  dalla
concorrente evocazione,  nel  relativo  impianto  motivazionale,  del
riferimento al dovere di tutela degli interessi  del  minore  di  cui
all'art. 31, secondo comma, Cost., nonche' alla finalita' rieducativa
della pena di  cui  all'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,  che  assume
speciale  pregnanza  nei  riguardi  del  minore  -  si  fonda,  nella
prospettiva del rimettente, sull'allegata manifesta  irragionevolezza
della  parificazione  tra  le  ipotesi  di  nullita'   derivanti   da
violazioni delle norme  sulla  competenza  in  relazione  a  imputati
maggiorenni e quella derivante dalla violazione della competenza  del
tribunale per i minorenni: una competenza, quest'ultima, funzionale e
inderogabile, e alla quale  soggiacciono  ragioni  costituzionalmente
rilevanti di tutela degli interessi preminenti del minore. Per  altro
verso, la censura formulata in riferimento all'art. 10, primo  comma,
Cost. e, mediatamente, alle fonti di diritto  internazionale  che  il
rimettente ritiene espressive di  norme  del  diritto  internazionale
generalmente  riconosciute,  si  basa  essenzialmente  sul  principio
secondo  cui  il  minore  debba  essere  giudicato  da   un'autorita'
competente e specializzata; principio la cui inderogabilita' dovrebbe
essere salvaguardata, nella prospettiva del rimettente,  anche  oltre
la formazione della cosa giudicata. 
    5.1.1.-  Questa  Corte  ritiene,  tuttavia,  che  il  rimedio   -
auspicato dal giudice a quo - della dichiarazione di  nullita'  della
sentenza nel quadro di un incidente di esecuzione ai sensi  dell'art.
670 cod. proc. pen. non  sia  costituzionalmente  imposto;  e  stima,
anzi, che l'introduzione di  tale  rimedio  risulterebbe  foriero  di
gravi squilibri nel sistema della rilevazione delle  nullita',  cosi'
come disegnato dal codice di procedura penale. 
    Tale sistema e' imperniato attorno al principio  di  tassativita'
delle nullita' (art. 177 cod. proc. pen.): un principio che e',  esso
stesso, il frutto di un delicato  bilanciamento  che  coinvolge,  tra
l'altro, la necessita' di tutelare in  maniera  effettiva  i  diritti
processuali dell'imputato e l'esigenza di assicurare la capacita' del
processo medesimo di pervenire,  entro  un  termine  ragionevole,  ad
accertamenti in linea di principio  definitivi,  anche  relativamente
alla sussistenza di eventuali errores  in  procedendo  nelle  fasi  e
gradi precedenti. Nel compiere tale bilanciamento, il legislatore  ha
distinto tra nullita' assolute (art. 179 cod. proc.  pen.),  nullita'
cosiddette a regime intermedio (art. 180 cod. proc. pen.) e  nullita'
relative (art. 181 cod. proc. pen.), stabilendo  precise  regole  sui
limiti anche temporali per la loro deducibilita', nonche' sulle  loro
eventuali sanatorie nel corso del processo; tenendo  pero'  ferma  la
regola - implicita, ma operante a  chiusura  del  sistema  -  che  la
formazione  della  cosa  giudicata   preclude   qualsiasi   ulteriore
rilevazione delle nullita', anche di  quelle  definite  «assolute»  e
«insanabili»: le quali debbono si' essere rilevate, anche  d'ufficio,
«in ogni stato e grado del procedimento», ma non oltre - appunto - la
sua definiva conclusione (sentenza n. 224 del 1996, che  richiama  la
sentenza n. 294 del 1995). 
    D'altra parte, e' vero che il codice di procedura penale  prevede
vari rimedi che consentono di superare il giudicato penale, e che  la
recente  giurisprudenza  di  legittimita'  ne  ha  significativamente
esteso  in  via  pretoria  l'ambito  di  applicazione:   ad   esempio
ammettendo la revoca di una condanna pronunciata sulla  base  di  una
disposizione  penale   giudicata   incompatibile   con   il   diritto
dell'Unione europea dalla Corte di giustizia  (Corte  di  cassazione,
sezione prima penale, sentenza 12 aprile 2012, n.  14276)  ovvero  di
una condanna fondata su una norma  incriminatrice  gia'  abrogata  al
momento della pronuncia della sentenza passata in giudicato (Corte di
cassazione, sezioni unite penali, sentenza 29 ottobre 2015-23  giugno
2016, n. 26259), nonche' la rideterminazione della pena nel  caso  di
sopravvenienza di  una  sentenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo dichiarativa di una violazione  convenzionale  relativa  al
quantum della pena  inflitta  (Corte  di  cassazione,  sezioni  unite
penali, sentenza 24 ottobre 2013-7 maggio 2014, n. 18821) ovvero  nel
caso di sopravvenuta dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale
della comminatoria  edittale  (Corte  di  cassazione,  sezioni  unite
penali, sentenza 29 maggio 2014, n. 42858). Tuttavia, nessuno di tali
rimedi e' funzionale  a  rilevare,  in  sede  esecutiva,  errores  in
procedendo e relative  nullita'  verificatesi  durante  il  processo:
siano state esse allegate e discusse dalle parti durante il  processo
stesso, ovvero rilevate per la prima volta  dopo  la  formazione  del
giudicato. 
    La pronuncia additiva auspicata dal rimettente finirebbe,  cosi',
per introdurre nel sistema un'ipotesi del tutto anomala di  nullita',
resistente alla formazione del giudicato, e derogatoria rispetto alla
regola implicita di chiusura del sistema di cui si e' detto.  Il  che
spalancherebbe inevitabilmente la strada al riconoscimento di  sempre
nuove ipotesi di nullita' "resistenti al giudicato", con le quali chi
sia  stato  condannato  in  via  definitiva  potrebbe  rimettere   in
discussione  accertamenti  gia'  compiuti  nei  successivi  gradi  di
giudizio sulla sussistenza di vizi procedimentali. 
    Ad  arginare  tale  rischio  non  varrebbe,  d'altra  parte,   il
tentativo - pure compiuto dall'ordinanza di rimessione - di confinare
l'eventuale rilevabilita' di errores in procedendo in sede  esecutiva
a quelle sole violazioni di regole procedimentali  che  ridondino  in
altrettante lesioni  dei  diritti  fondamentali  dell'imputato,  come
quelle che in questa sede vengono indubitabilmente in considerazione,
giacche' della gran parte  delle  nullita'  previste  dal  codice  di
procedura  penale  potrebbe  parimenti  predicarsi  l'incidenza   sul
diritto alla difesa di cui all'art. 24 Cost., o comunque sui principi
(e diritti fondamentali) inerenti al giusto processo di cui  all'art.
111 Cost. 
    Un  simile  scenario  rischierebbe  di  pregiudicare   gravemente
l'interesse,   di   respiro   costituzionale,    all'efficiente,    e
ragionevolmente  spedito,  funzionamento  della   giustizia   penale:
interesse che esige di essere contemperato con le ragioni  di  tutela
effettiva  dei   diritti   fondamentali   dell'imputato,   assicurata
quest'ultima  dalla  presenza,  nell'ordinamento  italiano,   di   un
articolato regime delle impugnazioni,  comprensivo  del  ricorso  per
cassazione, nonche', per i reati piu' gravi, del filtro  dell'udienza
preliminare. Della necessita' di un tale ragionevole bilanciamento  -
di cui  si  fa  carico  il  sistema  di  rilevazione  delle  nullita'
disegnato  dal  codice  di  rito,  con  il  correlativo   sbarramento
rappresentato dalla res iudicata - questa Corte non puo'  non  tenere
conto, nell'assicurare una tutela «sistemica e  non  frazionata»  dei
diritti e dei principi costituzionali (sentenza n. 317 del 2009). 
    Da cio' consegue la non fondatezza delle censure in esame. 
    5.2.- Un secondo gruppo  di  censure,  formulate  in  riferimento
all'art. 13 Cost. e all'art. 117, primo  comma,  Cost.  in  relazione
all'art.  5,  paragrafi  1,  lettera  a),  e  4,  CEDU,  lamenta  che
l'impossibilita' di rimuovere il titolo esecutivo attraverso  la  sua
dichiarazione  di  nullita'  in  sede  esecutiva   comporterebbe   la
necessita' di dare concreta attuazione a una pena detentiva illegale,
in   quanto   inflitta   non   solo   da   un'autorita'   giudiziaria
funzionalmente  incompetente,  ma  anche  sulla  base  di  un  quadro
normativo che non contemplava tutte le  possibilita'  di  definizioni
alternative del  procedimento  applicabili  agli  imputati  minorenni
(supra,  punto  3.1.),  oltre  che  commisurata  senza  tenere  conto
dell'obbligatoria applicazione  della  circostanza  attenuante  della
minore eta' di cui all'art. 98, primo comma, cod. pen. Un tale  esito
determinerebbe, secondo il rimettente, l'illegittima compressione del
diritto fondamentale alla  liberta'  personale  del  ricorrente,  che
tanto l'art. 13 Cost. quanto l'art. 5, paragrafo 1,  CEDU  pretendono
si attui in  conformita'  alla  legge;  nonche'  una  violazione  del
diritto, previsto dall'art. 5,  paragrafo  4,  CEDU,  ad  un  ricorso
effettivo contro le detenzioni illegittime, a  sua  volta  funzionale
alla scarcerazione dell'interessato nel caso  in  cui  la  privazione
della liberta' personale risulti illegittima. 
    5.2.1.- Neppure tali censure possono essere accolte. 
    E' vero che, come giustamente  rileva  il  rimettente,  tanto  la
giurisprudenza della Corte di cassazione poc'anzi rammentata  (supra,
punto  5.1.1.),  quanto  la  giurisprudenza  di  questa  Corte  hanno
ridimensionato   significativamente   il    tradizionale    principio
dell'intangibilita' del  giudicato  penale  rispetto  a  sentenze  di
condanna che abbiano irrogato pene illegali, essendosi in particolare
affermato - in consonanza con analoghi approdi  delle  sezioni  unite
della Corte di cassazione  (in  particolare,  Sezioni  unite  penali,
sentenza n.  18821  del  2014)  -  che  «il  principio  di  legalita'
costituzionale della pena [...] prevale sulle esigenze di certezza  e
stabilita' dei rapporti giuridici, a presidio delle  quali  e'  posto
l'istituto del giudicato» (sentenza n. 147 del 2021,  punto  13.  del
Considerato in diritto; in senso analogo, sentenze n.  68  del  2021,
punto 2.2. del Considerato in diritto, e n. 210 del 2013, punto  7.3.
del Considerato in diritto). 
    Tuttavia, proprio la giurisprudenza appena menzionata  di  questa
Corte ha avuto cura di confinare la necessita'  di  rideterminare  la
pena  in  sede   esecutiva   all'ipotesi   di   una   «sopravvenienza
costituzionalmente rilevante» - come una sentenza della Corte EDU che
attivi l'obbligo conformativo di cui all'art. 46 CEDU, o  a  fortiori
una pronuncia di illegittimita' costituzionale che abbia colpito  una
comminatoria edittale. In difetto di una tale sopravvenienza,  si  e'
affermato, «l'intervento "a ritroso" del giudice dell'esecuzione  non
avrebbe giustificazione alcuna» (sentenza n. 147 del 2021, punto  13.
del Considerato in diritto). 
    Anche la necessita' di tutela della legalita' della  pena  -  nel
senso della sua conformita' alle norme processuali e sostanziali  che
ne regolano l'irrogazione - trova dunque un fisiologico argine  nella
irrevocabilita' della res iudicata, che segna normalmente  il  limite
estremo alla possibilita' di  interventi  correttivi,  da  parte  dei
giudici delle successive impugnazioni, rispetto  a  eventuali  errori
compiuti nel giudizio di cognizione: e  cio'  salva,  per  l'appunto,
l'ipotesi di sopravvenienze costituzionalmente  rilevanti  successive
al giudicato, che proiettino retrospettivamente  una  valutazione  di
illegittimita' costituzionale sulla pena  inflitta  nel  giudizio  di
cognizione. 
    Mai, d'altra parte, la giurisprudenza di questa  Corte  e  quella
della Corte EDU hanno dedotto dalle disposizioni della Costituzione e
della CEDU che ammettono una compressione  della  liberta'  personale
soltanto nei «casi e modi previsti dalla  legge»  (art.  13,  secondo
comma, Cost.), ovvero  «nei  modi  previsti  dalla  legge»  (art.  5,
paragrafo 1, CEDU), la possibilita' di rimettere in  discussione  una
sentenza di condanna che abbia  applicato  una  pena  detentiva,  una
volta   esauriti   gli   ordinari   mezzi   di    gravame    previsti
dall'ordinamento. 
    Ne'  tale  possibilita'  potrebbe  essere  dedotta  dall'art.  5,
paragrafo 4, CEDU, che garantisce il diritto di presentare un ricorso
a un tribunale perche' verifichi la legalita' degli arresti  o  delle
detenzioni compiute o  ordinate  da  autorita'  non  giurisdizionali:
diritto che non puo' essere inteso come passe-partout  per  rimettere
in discussione  la  legittimita'  di  sentenze  di  condanna  a  pene
detentive passate in giudicato. Come ritenuto infatti dalla  costante
giurisprudenza di Strasburgo, il controllo giudiziale  imposto  dalla
disposizione convenzionale sulla  legittimita'  della  privazione  di
liberta' e', di regola, gia' incorporato  nella  stessa  sentenza  di
condanna, in assenza almeno di «questioni nuove» che non  siano  gia'
state affrontate nel giudizio di cognizione (ex  multis,  Corte  EDU,
sentenza 19 gennaio 2017, Ivan Todorov contro Bulgaria, paragrafo 59;
sentenza 14 gennaio 2014, Sâncrăian  contro  Romania,  paragrafo  84;
sentenza 6 novembre 2008, Gavril Yossifov contro Bulgaria,  paragrafo
57; sentenza 24 marzo 2005, Stoichkov contro Bulgaria, paragrafo 65). 
    Ne', infine, persuade il richiamo  operato  dal  rimettente  alla
sentenza della Corte EDU 12 febbraio 2013, Yefimenko  contro  Russia,
nella quale - come giustamente  rileva  l'Avvocatura  generale  dello
Stato  -  i  giudici  di  Strasburgo  hanno  bensi'  riscontrato  una
violazione dell'art. 5, paragrafo 1, lettera a), CEDU, in presenza di
una sentenza di condanna a pena detentiva inflitta da un tribunale di
per se' competente a giudicare del reato in questione, ma composto in
modo macroscopicamente difforme dalle previsioni della legge;  mentre
la questione che in questa sede si agita concerne la diversa  ipotesi
di un difetto di competenza funzionale del giudice che ha pronunciato
la sentenza. 
    5.3.- Infine, il rimettente ritiene che la disciplina censurata -
nel non prevedere la possibilita' di  dichiarare  nulla  la  sentenza
pronunciata erroneamente da un giudice penale ordinario nei confronti
di  un  imputato  minorenne  all'epoca  del  fatto  -  determini  una
violazione del principio del giudice naturale, sancito dall'art.  25,
primo comma, Cost. 
    5.3.1.-  Nemmeno  questa  censura,  peraltro  solo  succintamente
motivata, merita accoglimento. 
    La giurisprudenza costituzionale e' costante  nell'affermare  che
tale principio e' rispettato «tutte le volte che l'organo  giudicante
risulti istituito sulla base di criteri generali prefissati per legge
(ordinanza n.  159  del  2000),  essendo  sufficiente  che  la  legge
determini criteri oggettivi  e  generali,  capaci  di  costituire  un
discrimen della competenza o  della  giurisdizione  di  ogni  giudice
(ordinanza n. 176 del 1998; v. anche sentenza n. 419 del 1998, n. 217
del 1993 e n. 269 del 1992; ordinanza n. 257 del 1995)» (ordinanza n.
343 del 2001). 
    Ora, i criteri in base ai quali e' predeterminata  la  competenza
penale del tribunale per i minorenni  sono  fissati  in  modo  chiaro
dall'art. 3 del d.P.R. n. 448 del 1988  (nonche'  dall'art.  14  cod.
proc. pen., e dall'art. 4, comma 4, del decreto legislativo 28 agosto
2000, n. 274,  recante  «Disposizioni  sulla  competenza  penale  del
giudice di pace, a norma dell'articolo 14  della  legge  24  novembre
1999,  n.  468»),  senza  che  residuino  spazi   per   un'arbitraria
applicazione di  tali  disposizioni:  il  che  basta  per  dimostrare
l'infondatezza della censura. Contro la possibilita' di errori, nella
pratica giudiziaria, circa l'individuazione  del  giudice  competente
nei singoli casi concreti l'ordinamento appresta specifici rimedi,  e
in particolare le nullita' processuali disciplinate dagli artt. 177 e
seguenti  cod.  proc.  pen.;  ma  sarebbe  certamente  incongruo  far
derivare dall'esigenza di precostituzione per legge  del  giudice  di
cui all'art. 25 Cost. la necessita' di prevedere  un  meccanismo  che
consenta di rimettere in discussione le statuizioni sulla  competenza
del giudice, la cui conformita' alla legge  sia  stata  verificata  e
confermata nei  gradi  successivi  del  processo.  Ove  cosi'  fosse,
infatti, risulterebbe impossibile pervenire a statuizioni  definitive
non solo sulla competenza, ma  anche  sulla  stessa  legittimita'  di
tutti i provvedimenti assunti dai giudici che di volta  in  volta  si
siano pronunciati sul caso.