ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 4,
del decreto-legge 1° aprile  2021,  n.  44  (Misure  urgenti  per  il
contenimento dell'epidemia da COVID-19, in  materia  di  vaccinazioni
anti SARS-CoV-2, di giustizia e di  concorsi  pubblici),  convertito,
con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, come modificato
dall'art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 26 novembre 2021,
n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da  COVID-19
e per lo  svolgimento  in  sicurezza  delle  attivita'  economiche  e
sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022,
n.  3,  promosso  dal  Tribunale  amministrativo  regionale  per   la
Lombardia, sezione prima, nel  procedimento  vertente  tra  C.  F.  e
l'Ordine degli psicologi della Lombardia, con ordinanza del 30  marzo
2022, iscritta al n. 42 del  registro  ordinanze  2022  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  18,  prima   serie
speciale, dell'anno 2022. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  C.  F.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  30  novembre  2022  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    uditi l'avvocato Stefano de Bosio per C. F.  e  l'avvocato  dello
Stato Beatrice Gaia Fiduccia per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 1° dicembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 30 marzo 2022 (reg. ord. n. 42  del  2022),
il Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Lombardia,  sezione
prima, ha sollevato, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 32,  primo
comma, 35, primo  comma,  e  36,  primo  comma,  della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4,  comma  4,  del
decreto-legge  1°  aprile  2021,  n.  44  (Misure  urgenti   per   il
contenimento dell'epidemia da COVID-19, in  materia  di  vaccinazioni
anti SARS-CoV-2, di giustizia e di  concorsi  pubblici),  convertito,
con modificazioni, nella legge 28  maggio  2021,  n.  76,  modificato
dall'art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 26 novembre 2021,
n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da  COVID-19
e per lo  svolgimento  in  sicurezza  delle  attivita'  economiche  e
sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022,
n. 3, nella parte in  cui,  in  caso  di  inadempimento  dell'obbligo
vaccinale, non limita la sospensione dall'esercizio della professione
sanitaria alle sole «prestazioni o mansioni  che  implicano  contatti
interpersonali o che comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio
di diffusione del contagio da SAR-CoV-2». 
    2.- Il giudice rimettente espone di essere investito del  ricorso
proposto da C. F. - psicologa  iscritta  all'Ordine  degli  psicologi
della Lombardia ed esercitante la professione  di  psicoterapeuta  in
forma autonoma dal 1993 - per l'annullamento del provvedimento del 22
dicembre  2021,  con  cui  e'  stata  sospesa  dall'esercizio   della
professione a seguito  dell'atto  di  accertamento  dell'inosservanza
dell'obbligo vaccinale, adottato dall'azienda  per  la  tutela  della
salute della Citta' metropolitana di Milano. 
    Alla camera di consiglio fissata per la trattazione della domanda
cautelare, «la causa e' stata discussa e trattenuta in decisione e la
domanda cautelare e' stata decisa con separata ordinanza». 
    3.- Con riferimento alla rilevanza delle  questioni,  il  giudice
rimettente osserva come siano da ritenere non fondate le eccezioni di
difetto  di  giurisdizione  e  di  carenza  di  interesse   sollevate
dall'Ordine  degli  psicologi  della  Lombardia,   costituitosi   nel
giudizio a quo. 
    4.-  Inoltre,  il   TAR   Lombardia   evidenzia   che   l'attuale
formulazione della  norma  censurata  comporterebbe  il  rigetto  del
ricorso proposto nel giudizio principale, in  quanto  la  sospensione
«assoluta»,  ancorche'  temporanea,   dall'esercizio   dell'attivita'
professionale   e'   un    effetto    automatico    dell'accertamento
dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale. 
    Dall'accoglimento delle questioni sollevate deriverebbe,  invece,
l'illegittimita' e  il  conseguente  annullamento  del  provvedimento
impugnato. 
    5.-  Infine,  le   questioni   sollevate   sarebbero   rilevanti,
nonostante la decisione sulla  domanda  cautelare,  in  quanto,  come
statuito dalla  sentenza  n.  200  del  2014  di  questa  Corte,  «la
concessione della misura cautelare  determina  l'instaurazione  della
fase  del  merito  del  giudizio,  senza  necessita'   di   ulteriori
adempimenti processuali». 
    6.- Il giudice rimettente, infine, esclude, a  causa  del  chiaro
tenore  letterale  della  norma  censurata,  la   praticabilita'   di
un'interpretazione costituzionalmente orientata. 
    L'art. 4, comma 6, del d.l. n.  44  del  2021,  come  convertito,
prevedeva,   originariamente,   che   «[l']adozione   dell'atto    di
accertamento da parte  dell'azienda  sanitaria  locale  determina  la
sospensione dal  diritto  di  svolgere  prestazioni  o  mansioni  che
implicano contatti interpersonali o comportano,  in  qualsiasi  altra
forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2». 
    La soppressione dell'inciso «prestazioni o mansioni che implicano
contatti interpersonali o che comportano, in qualsiasi  altra  forma,
il  rischio  di  diffusione  del   contagio   da   SAR-CoV-2»   dalla
formulazione della disposizione normativa in esame, ad opera del d.l.
n. 172 del 2021, come convertito, indicherebbe la chiara  ed  univoca
volonta'  legislativa  di  estendere   la   sospensione   conseguente
all'inadempimento  dell'obbligo   vaccinale   a   tutta   l'attivita'
professionale. 
    7.- Con riferimento alla non manifesta  infondatezza,  ad  avviso
del giudice a quo, la norma censurata si porrebbe in contrasto con «i
principi di ragionevolezza e di proporzionalita', di cui all'articolo
3 della Costituzione, anche con  riferimento  alla  violazione  degli
articoli 1, 2, 4, 32, comma primo,  35,  comma  primo,  e  36,  comma
primo, della Costituzione». 
    In particolare, sarebbe irragionevole  estendere  il  divieto  di
svolgere la professione sanitaria a tutte le attivita' che richiedono
l'iscrizione all'albo, nonostante non  comportino  alcun  rischio  di
diffusione del contagio da SARS-Cov-2, come quelle che,  ad  esempio,
in ambito psicologico, possono essere «svolte senza  contatto  fisico
con il paziente e con modalita' a distanza  mediante  l'utilizzo  dei
comuni strumenti telematici e telefonici». 
    La preclusione automatica  ed  assoluta  allo  svolgimento  della
professione sanitaria, inoltre, andrebbe  oltre  «il  necessario  per
conseguire l'obiettivo di tutela prefigurato dalla  norma,  il  quale
avrebbe potuto essere realizzato, con pari efficacia,  anche  con  il
piu' mite divieto di intrattenere  contatti  di  prossimita'  con  il
paziente  o  dai  quali  derivi  comunque  un  rischio  concreto   di
diffusione del contagio da Sars-Cov-2». La norma  censurata,  quindi,
non  costituirebbe  «il  mezzo  piu'  adeguato   per   garantire   il
contestuale    parziale    soddisfacimento     dell'interesse     del
professionista  a  svolgere  l'attivita'  lavorativa  [...],  nonche'
dell'interesse dei pazienti alla  continuita'  dell'erogazione  delle
prestazioni sanitarie in condizioni di sicurezza». 
    Sarebbe poi "incoerente" non consentire a coloro che hanno scelto
di  esercitare   la   professione   sanitaria   in   forma   autonoma
«un'organizzazione  alternativa  e  temporanea  delle  modalita'   di
esercizio della professione»  stessa,  che  non  comporti  rischi  di
contagio da SARS-CoV-2, a differenza di quanto ammesso, dal  comma  7
del medesimo art. 4, per i lavoratori dipendenti. 
    Infine, applicare al sanitario non vaccinato, che chiede la prima
iscrizione   all'albo   professionale,   il   «medesimo   trattamento
inibitorio» che opera per il sanitario non  vaccinato  gia'  iscritto
all'albo determinerebbe «un'irragionevole parita'  di  trattamento  a
fronte di situazioni francamente disomogenee».  Per  quest'ultimo,  a
differenza che per il primo, «la sospensione  totale  dall'attivita'»
comporterebbe      effetti      pregiudizievoli,      «potenzialmente
irreversibili», sull'avviamento professionale e sulla produzione  del
reddito necessario per il sostentamento personale e familiare. 
    8.- Il 24 maggio 2022, e' intervenuto in giudizio  il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non
fondate. 
    9.-  Ad  avviso  della  difesa  statale,  il  giudice  rimettente
muoverebbe da un'erronea interpretazione della norma censurata,  che,
anche prima delle modifiche introdotte dal d.l. n. 172 del 2021, come
convertito, non contemplava la facolta', per  il  professionista,  di
farsi  sospendere  solo  da  alcune  modalita'  di  esercizio   della
professione sanitaria. 
    Peraltro,  a  fronte  dell'esercizio  in   via   autonoma   della
professione, sarebbe impossibile «verificare se  di  volta  in  volta
l'attivita'  posta  in  essere  [sia]  svolta   da   remoto   e   sia
effettivamente svolta secondo tali modalita'». 
    Il divieto assoluto di  svolgere  l'attivita'  professionale,  in
caso di inadempimento dell'obbligo vaccinale,  non  sarebbe  comunque
irragionevole, perche'  rientra  nella  discrezionalita'  legislativa
scegliere le modalita' con cui fronteggiare la  situazione  pandemica
in atto. Il legislatore ha, infatti, voluto  attribuire  agli  Ordini
professionali un potere del tutto vincolato,  senza  possibilita'  di
modulare l'effetto della sospensione automatica e totale dall'albo  e
dall'esercizio della relativa professione. 
    Ne' alcuna comparazione puo' essere svolta con  riferimento  alle
situazioni disciplinate  dal  comma  2  del  censurato  art.  4,  che
riguardano, infatti, i casi «di accertato pericolo per la salute,  in
relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal
proprio  medico  curante  di  medicina  generale  ovvero  dal  medico
vaccinatore». 
    La difesa dello Stato esclude, poi, che  il  legislatore  avrebbe
dovuto differenziare, come  suggerito  dal  giudice  rimettente,  tra
professionisti gia' iscritti all'albo e coloro che  vi  si  iscrivono
per la prima volta, tenuto conto che il bene tutelato  e'  sempre  la
salute pubblica. 
    Peraltro, i  pregiudizi  economici  derivanti  dalla  sospensione
dall'esercizio della professione, in caso di scelta volontaria di non
sottoporsi  alla  vaccinazione  gratuita,  sarebbero   senza   dubbio
recessivi rispetto al «dovere di  solidarieta'  nei  confronti  della
comunita' e [all']esigenza del richiamo  a  contribuire  alla  tutela
della salute collettiva», soprattutto da  parte  degli  esercenti  la
professione sanitaria. 
    Infine,  nessuna  comparazione  puo'   essere   svolta   con   la
previsione, contenuta nel comma 7 del medesimo art.  4,  dell'obbligo
dei datori  di  lavoro  di  adibire  i  lavoratori  che  non  possono
vaccinarsi per ragioni di salute «a  mansioni  anche  diverse,  senza
decurtazione della retribuzione, in modo da  evitare  il  rischio  di
diffusione del contagio da SARS-CoV-2».  Infatti,  per  i  lavoratori
autonomi, diversamente che per quelli dipendenti,  non  vi  e'  alcun
soggetto che potrebbe  controllare  le  forme  di  svolgimento  delle
relative prestazioni,  assumendone  la  responsabilita'.  Da  qui  la
previsione di un divieto assoluto di esercizio della professione,  in
caso di omessa vaccinazione. 
    10.- Con atto depositato il 24 maggio 2022, si e'  costituita  in
giudizio C. F., ricorrente nel giudizio principale, chiedendo che  le
questioni di legittimita' costituzionale siano dichiarate fondate. 
    Ad avviso della parte, le questioni sarebbero non  manifestamente
infondate, in primo luogo, in riferimento all'art. 3 Cost., «in punto
[di]  identico  trattamento  di  situazioni  totalmente   differenti,
"lavoro in presenza" vs. "lavoro da remoto"». 
    L'art.  3  Cost.  sarebbe  violato   anche   per   il   carattere
sproporzionato   e   discriminatorio   della   sanzione   conseguente
all'inadempimento dell'obbligo vaccinale, sia rispetto ai  lavoratori
dipendenti che, a differenza  dei  liberi  professionisti,  incorrono
nella  mera  sospensione  dello  stipendio,   e   non   anche   nella
«distruzione della posizione professionale», derivante dal divieto di
svolgere attivita' per diversi mesi, sia rispetto a  tutte  le  altre
categorie di cittadini. 
    Inoltre, vietare l'esercizio delle attivita'  terapeutiche  dello
psicologo che non comportano alcun rischio di infezione, come  quelle
svolte da remoto, significherebbe discriminarle rispetto ad attivita'
simili che non sono regolamentate e, quindi, hanno potuto  continuare
ad essere svolte anche in presenza; nonche' rispetto  alle  attivita'
che alcuni psicologi, ancorche' sospesi dall'albo,  hanno  continuato
ad esercitare illegittimamente e alle attivita' dei sanitari iscritti
a ordini  professionali  stranieri  o,  comunque,  non  raggiunti  da
«ingiunzion[i] vaccinal[i]». 
    Le questioni sollevate  sarebbero  non  manifestamente  infondate
anche in riferimento agli artt. 1, 2, 4, 32, primo comma,  35  e  36,
primo comma, Cost., in quanto il divieto del lavoro da remoto  per  i
sanitari non vaccinati integrerebbe una lesione del diritto al lavoro
che  colpisce  particolarmente  i  libero  professionisti,  i   quali
rischiano la perdita irreversibile della clientela. 
    Lo scopo di  questa  sanzione,  quindi,  non  sarebbe  quello  di
tutelare la salute pubblica, ma di coartare, in modo  sproporzionato,
la libera determinazione dei professionisti sanitari in  ordine  alla
vaccinazione, con effetti pregiudizievoli anche per i pazienti  degli
psicologi a cui e' inibita l'attivita' terapeutica. 
    11.- C. F. ha depositato una prima memoria il 5  settembre  2022,
contestando le deduzioni dell'Avvocatura dello Stato e insistendo per
la  fondatezza  delle  questioni   di   legittimita'   costituzionale
sollevate, e una seconda memoria il 10  novembre  2022,  riportandosi
alle precedenti conclusioni e depositando  il  «report  dell'Istituto
Superiore di Sanita' del 4 novembre 2022». 
    12.-  Nell'imminenza  dell'udienza  pubblica,  hanno   depositato
memorie l'Avvocatura generale dello Stato, richiamando l'art.  7  del
decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 (Misure urgenti in  materia  di
divieto di concessione dei benefici penitenziari  nei  confronti  dei
detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonche' in
materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022,
n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di  prevenzione
e contrasto dei raduni illegali), non ancora convertito in legge, che
ha anticipato, al 1° novembre 2022, il termine  finale  di  efficacia
della sospensione dall'esercizio della professione  sanitaria,  e  la
parte,  che  ha  contestato  le  deduzioni  della   difesa   statale,
insistendo  per  la  fondatezza  delle  questioni   di   legittimita'
costituzionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 30 marzo 2022 (reg. ord. n. 42  del  2022),
il Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Lombardia,  sezione
prima, dubita, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 32, primo comma,
35, primo  comma,  e  36,  primo  comma,  Cost.,  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 4, comma 4, del d.l. n. 44  del  2021,  come
convertito, modificato dall'art. 1, comma 1, lettera b), del d.l.  n.
172 del 2021, come  convertito,  nella  parte  in  cui,  in  caso  di
inadempimento  dell'obbligo  vaccinale,  non  limita  la  sospensione
dall'esercizio della professione sanitaria alle sole  «prestazioni  o
mansioni che implicano contatti interpersonali o che  comportano,  in
qualsiasi altra forma, il  rischio  di  diffusione  del  contagio  da
SARS-CoV-2». 
    2.- Ad avviso del  giudice  rimettente,  la  norma  censurata  si
porrebbe  in  contrasto  con  «i  principi  di  ragionevolezza  e  di
proporzionalita', di cui all'articolo 3 della Costituzione, anche con
riferimento alla violazione degli articoli 1, 2, 4, 32, comma  primo,
35, comma primo, e 36, comma primo, della Costituzione». 
    In  particolare,  sarebbe  irragionevole,  in  caso   di   omessa
vaccinazione,  estendere  il  divieto  di  svolgere  la   professione
sanitaria a tutte le attivita' che richiedono l'iscrizione  all'albo,
quando esse non comportino alcun rischio di diffusione del  COVID-19,
potendo essere «svolte senza contatto fisico con il  paziente  e  con
modalita'  a  distanza  mediante  l'utilizzo  dei  comuni   strumenti
telematici e telefonici». 
    La preclusione automatica  ed  assoluta  allo  svolgimento  della
professione sanitaria in forma autonoma, inoltre, andrebbe oltre  «il
necessario per conseguire l'obiettivo  di  tutela  prefigurato  dalla
norma, il quale avrebbe potuto essere realizzato, con pari efficacia,
anche  con  il  piu'  mite  divieto  di  intrattenere   contatti   di
prossimita' con il paziente o dai quali derivi  comunque  un  rischio
concreto di diffusione del contagio da Sars-Cov-2». 
    Sarebbe poi "incoerente" non consentire a coloro che hanno scelto
di  esercitare   la   professione   sanitaria   in   forma   autonoma
«un'organizzazione  alternativa  e  temporanea  delle  modalita'   di
esercizio della professione»  stessa,  che  non  comporti  rischi  di
contagio del COVID-19, a differenza di quanto ammesso,  dal  comma  7
del medesimo art. 4, per i lavoratori dipendenti. 
    Infine,  applicare  al  sanitario  non  vaccinato  gia'  iscritto
all'albo professionale il «medesimo trattamento inibitorio» che opera
per  colui  che  ne  chiede  la   prima   iscrizione   determinerebbe
«un'irragionevole parita'  di  trattamento  a  fronte  di  situazioni
francamente  disomogenee»,   in   quanto   «la   sospensione   totale
dall'attivita'» comporterebbe, per il primo, effetti pregiudizievoli,
«potenzialmente irreversibili», sull'avviamento professionale e sulla
produzione del reddito necessario per il  sostentamento  personale  e
familiare. 
    3.- L'esame nel merito delle questioni  risulta  precluso  da  un
assorbente profilo di  inammissibilita'  delle  medesime,  legato  al
difetto di giurisdizione del giudice rimettente. 
    3.1.-  Secondo  la  costante  giurisprudenza  costituzionale,  il
difetto   di   giurisdizione   del   giudice    a    quo    determina
l'inammissibilita'  delle  questioni,  per  irrilevanza,  quando  sia
palese e rilevabile ictu oculi (ex plurimis, sentenze n. 65 e  n.  57
del 2021, n. 267 e n. 99 del 2020, n. 189 del 2018, n. 106 del 2013 e
n. 179 del 1999). 
    Qualora sussista l'evidenza del vizio, o nel processo a quo siano
state sollevate specifiche eccezioni a riguardo,  come  nel  caso  di
specie, e' richiesta al giudice rimettente una motivazione  esplicita
(sentenze n. 79 del 2022, n. 65 del 2021 e n. 267 e n. 44 del  2020),
rispetto alla quale spetta a questa  Corte  una  verifica  esterna  e
strumentale al riscontro della rilevanza delle questioni (sentenze n.
44 del 2020, n. 52 del 2018 e n. 269 del 2016). 
    3.2.- Il giudice a quo e' il TAR Lombardia, chiamato  a  decidere
il ricorso  proposto  da  una  psicologa  iscritta  all'Ordine  degli
psicologi  di  tale  Regione  ed  esercitante   la   professione   di
psicoterapeuta in forma autonoma, avverso  la  sospensione  dall'albo
professionale per inadempimento dell'obbligo vaccinale. 
    In  punto  di  rilevanza,   il   TAR   riferisce   che   l'Ordine
professionale, parte resistente nel giudizio principale, ha  eccepito
il difetto  di  giurisdizione  del  giudice  adito.  Tale  eccezione,
secondo il rimettente, sarebbe priva di fondamento, perche'  l'Ordine
ha esercitato  un  potere  autoritativo  di  per  se'  sufficiente  a
radicare  la  giurisdizione  del  giudice  amministrativo,  ai  sensi
dell'art. 7 del codice del processo amministrativo. 
    La   motivazione   dell'ordinanza   di   rimessione   in   ordine
all'eccepito difetto di giurisdizione non supera il vaglio della  non
implausibilita', al quale si attiene questa Corte in  relazione  alla
verifica   della   rilevanza   delle   questioni   di    legittimita'
costituzionale sollevate in via incidentale, venendo in rilievo,  nel
giudizio principale, il diritto soggettivo a continuare a  esercitare
la professione sanitaria. 
    Le sezioni unite civili della Corte di cassazione,  infatti,  con
ordinanza  29  settembre  2022,  n.  28429,   hanno   confermato   la
sussistenza  della  giurisdizione  ordinaria  proprio  in   relazione
all'impugnazione,   da   parte   di    un    fisioterapista    libero
professionista, del  provvedimento  con  cui  l'Ordine  professionale
territorialmente  competente  lo  ha  sospeso  dall'esercizio   della
professione   sanitaria,   per   mancata   ottemperanza   all'obbligo
vaccinale. 
    In  tale  pronuncia  la  Corte  di  cassazione  ha  ritenuto  che
appartiene alla cognizione del giudice ordinario la  controversia  in
cui viene in rilievo un diritto soggettivo - nella specie, quello  ad
esercitare la professione sanitaria - non intermediato dall'esercizio
del  potere  amministrativo.  Lo  svolgimento  dell'attivita'  libero
professionale, infatti, «viene sospeso temporaneamente [...] in forza
delle previsioni dettagliatamente recate dalla fonte legislativa, che
pone  un  requisito  [la  vaccinazione  contro  il  SARS-CoV-2]   per
l'esercizio [della stessa]». 
    E' evidente, pertanto, la carenza di giurisdizione del rimettente
sulla controversia relativa  alla  sospensione  dall'esercizio  della
professione sanitaria,  che  -  come  sottolineato  dalla  richiamata
ordinanza delle sezioni unite della Corte di cassazione -  «discende,
in modo automatico» dall'accertamento dell'inadempimento dell'obbligo
vaccinale, configurato  come  «requisito  essenziale»  imposto  dalla
legge a tutela della salute pubblica e della sicurezza delle cure. 
    4.-   Per   tale   ragione,   le   questioni   vanno   dichiarate
inammissibili.