ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  420-bis,
commi 2 e 3, del codice di procedura penale, promosso dal Giudice per
le indagini preliminari [recte: Giudice dell'udienza preliminare] del
Tribunale ordinario di Roma nel procedimento penale a carico di S. T.
e altri, con ordinanza del 31 maggio 2023,  iscritta  al  n.  89  del
registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 2023. 
    Udito nella camera di consiglio del 20 settembre 2023 il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 27 settembre 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 31 maggio  2023,  iscritta  al  n.  89  del
registro ordinanze 2023,  il  Giudice  per  le  indagini  preliminari
[recte: Giudice dell'udienza preliminare] del Tribunale ordinario  di
Roma ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.
420-bis, comma 2, del codice di procedura penale, «nella parte in cui
non prevede che il giudice procede in  assenza  dell'imputato,  anche
quando ritiene altrimenti  provato  che  l'assenza  dall'udienza  sia
dovuta  alla  mancata  assistenza  giudiziaria  o   al   rifiuto   di
cooperazione da parte dello Stato  di  appartenenza  o  di  residenza
dell'imputato», nonche' dell'art. 420-bis, comma 3, cod. proc.  pen.,
«nella parte in cui non prevede che il  giudice  procede  in  assenza
dell'imputato anche fuori dei casi di cui ai  commi  1  e  2,  quando
ritiene  provato  che  la  mancata  conoscenza  della  pendenza   del
procedimento[,] dipende dalla mancata assistenza  giudiziaria  o  dal
rifiuto di cooperazione da parte dello Stato  di  appartenenza  o  di
residenza dell'imputato». 
    Il giudice a quo evoca i parametri di cui agli artt.  2,  3,  24,
111, 112 e 117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in
relazione  alla  Convenzione  contro  la  tortura  ed  altre  pene  o
trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata a New York il  10
dicembre 1984, ratificata e resa esecutiva con legge 3 novembre 1988,
n. 498. 
    Tali  parametri  sarebbero  violati  dalle  denunciate  omissioni
normative, che renderebbero impossibile  anche  solo  incardinare  il
processo per l'accertamento dei fatti di reato commessi in  danno  di
Giulio Regeni, cittadino italiano,  dottorando  presso  la  Cambridge
University, trovato senza vita il 3 febbraio 2016, in  Egitto,  lungo
la Desert Road Cairo-Alessandria. 
    2.-  L'ordinanza  di  rimessione  espone   lo   svolgimento   del
procedimento nei termini seguenti. 
    2.1.- In data 20 gennaio 2021, il  Procuratore  della  Repubblica
presso il Tribunale di Roma chiedeva il rinvio a giudizio di  S.  T.,
I. M. A. K., H. U. e S. A.  M.  I.,  cittadini  egiziani,  dichiarati
irreperibili con decreti del 28 gennaio 2020. 
    A costoro, tutti  graduati  del  servizio  di  sicurezza  interno
egiziano (National Security Agency), era  ascritta  l'imputazione  di
sequestro di persona pluriaggravato, per avere, in concorso tra  loro
e  con  altri  soggetti  non  identificati,  bloccato  Giulio  Regeni
all'interno della metropolitana del Cairo e quindi privato lo  stesso
della liberta' personale  per  nove  giorni,  dal  25  gennaio  al  2
febbraio 2016. 
    Il solo S. A. M. I. era altresi' imputato dei delitti di  lesioni
personali e omicidio pluriaggravati, per avere, in concorso con altri
soggetti non identificati, cagionato a Giulio Regeni lesioni severe e
diffuse, a  distanza  di  piu'  giorni,  con  atti  crudeli  e  mezzi
violenti, fino a provocarne la morte. 
    2.2.- In data 25 maggio 2021, il Giudice dell'udienza preliminare
del Tribunale di Roma,  verificata  la  regolarita'  delle  notifiche
eseguite ai sensi dell'art. 159 cod. proc.  pen.,  con  ordinanza  ex
art. 420-bis dello stesso  codice  disponeva  procedersi  in  assenza
degli imputati, rinviandoli a giudizio dinanzi alla Corte  di  assise
di Roma per l'udienza del 14 ottobre 2021. 
    Con riferimento alla dichiarazione di assenza,  il  GUP  riteneva
che gli imputati avessero avuto piena  consapevolezza  dell'esistenza
del procedimento a  loro  carico  e  che  quindi  volontariamente  si
fossero sottratti alla conoscenza  formale  dei  relativi  atti,  non
rendendone possibile la notificazione; cio' non soltanto  per  essere
stati  essi  piu'  volte  sentiti  dalla  magistratura  egiziana   in
rogatoria e piu' volte invitati a eleggere domicilio  in  Italia,  ma
anche in ragione della loro appartenenza  all'apparato  di  sicurezza
locale e per la vasta diffusione mediatica della notizia. 
    2.3.- All'udienza dibattimentale del 14 ottobre 2021, la Corte di
assise di Roma dichiarava la nullita' della declaratoria di assenza e
del  conseguente  decreto  di  rinvio  a   giudizio,   ordinando   la
restituzione degli atti al Giudice dell'udienza preliminare. 
    La Corte di assise reputava infatti che  non  vi  fossero  indici
fattuali sufficienti a garantire che gli  imputati,  pur  edotti  del
procedimento, avessero effettiva conoscenza della vocatio in iudicium
e che fosse quindi impossibile concludere che essi stessero  tentando
di  sottrarsi  al  giudizio  o  avessero  rinunciato  al  diritto  di
parteciparvi; ne', ad avviso del Collegio, vi era  evidenza  che  gli
imputati medesimi  avessero  avuto  un  ruolo  nella  pur  comprovata
determinazione delle autorita' egiziane di non collaborare con quelle
italiane. 
    2.4.- In data  10  gennaio  2022,  nell'udienza  successiva  alla
restituzione degli atti, il GUP riteneva di non poter  accogliere  la
richiesta del pubblico ministero e delle costituende parti civili  di
dichiarare l'assenza degli imputati e disponeva quindi, previe  nuove
ricerche, la notifica personale ai medesimi per  l'ulteriore  udienza
dell'11 aprile 2022. 
    A tale  udienza,  considerata  la  perdurante  impossibilita'  di
rintracciare gli imputati, il giudice  ordinava  la  sospensione  del
processo, a norma dell'art. 420-quater, comma  2,  cod.  proc.  pen.,
testo pro tempore vigente. 
    2.5.- Avverso questa ordinanza il  Procuratore  della  Repubblica
presso il Tribunale di Roma ricorreva per  cassazione,  denunciandola
come atto abnorme, per induzione di una stasi processuale. 
    Il  ricorso  era  dichiarato   inammissibile   dalla   Corte   di
cassazione, prima sezione penale, con sentenza resa nella  camera  di
consiglio del 15 luglio 2022, la cui motivazione  era  depositata  in
data 9 febbraio 2023 (sentenza n. 5675 del 2023). 
    2.6.- In attesa del deposito della motivazione di tale  sentenza,
si svolgeva innanzi al GUP del Tribunale di  Roma  l'udienza  del  10
ottobre 2022, inerente alle ulteriori ricerche di polizia giudiziaria
per il rintraccio degli imputati e all'interlocuzione  del  Ministero
della giustizia  con  la  Procura  generale  della  Repubblica  Araba
d'Egitto. 
    Dal complesso di questa attivita' emergeva  la  mancanza  di  una
reale volonta' collaborativa delle autorita' egiziane, manifestata in
particolare con l'opposizione del principio del ne bis in idem  sulla
base di un semplice provvedimento di archiviazione (memorandum del 26
dicembre 2020), adottato, a discarico  dei  quattro  ufficiali  della
National Security Agency, non da un giudice terzo  e  imparziale,  ma
dallo  stesso  organo  inquirente,  non  autonomo,   nell'ordinamento
egiziano, rispetto all'autorita' di Governo. 
    2.7.- Come detto, in data 9  febbraio  2023,  era  depositata  la
motivazione della sentenza con  la  quale  la  Corte  di  cassazione,
dichiarando inammissibile  il  ricorso  del  pubblico  ministero,  ha
ritenuto non affetta da abnormita'  l'ordinanza  di  sospensione  del
processo assunta dal GUP del Tribunale di  Roma  in  data  11  aprile
2022, al pari di quella emanata in data 14 ottobre 2021  dalla  Corte
di assise di Roma, con la quale era stata a sua  volta  annullata  la
precedente declaratoria di assenza degli imputati. 
    Tale motivazione ha esposto le  ragioni  per  le  quali  dovrebbe
ritenersi immune da vizi logici e giuridici la valutazione sottesa ad
entrambi quei provvedimenti, in ordine all'insufficienza degli indizi
addotti per comprovare la conoscenza della  vocatio  in  iudicium  da
parte  dei  quattro  cittadini  egiziani   cui   sono   ascritte   le
imputazioni. 
    2.8.- Alla conseguente udienza tenuta dal GUP  del  Tribunale  di
Roma in data 3  aprile  2023,  il  Procuratore  della  Repubblica  ha
chiesto sollevarsi questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
420-bis cod. proc. pen., come nel frattempo sostituito dall'art.  23,
comma l, lettera c), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n.  150
(Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega  al
Governo per l'efficienza del processo penale, nonche' in  materia  di
giustizia riparativa e disposizioni per  la  celere  definizione  dei
procedimenti giudiziari), nella parte in cui non prevede che si possa
procedere in assenza dell'accusato nei casi in cui la formale mancata
conoscenza  del  procedimento  dipenda   dalla   mancata   assistenza
giudiziaria da parte dello  Stato  di  appartenenza  o  di  residenza
dell'accusato stesso. 
    Il GUP si e' riservato di decidere fino all'udienza del 31 maggio
2023, all'esito della quale ha pronunciato l'ordinanza di rimessione. 
    3.-  In  ordine  alla  rilevanza  delle  sollevate  questioni  di
legittimita' costituzionale, il giudice a quo  rappresenta  che,  per
effetto della gia' disposta sospensione del  processo,  deve  trovare
applicazione la disciplina transitoria di cui all'art. 89,  comma  2,
del  d.lgs.  n.  150  del  2022,  secondo  la  quale,   ove   perduri
l'impossibilita' di rintracciare gli  imputati,  deve  essere  emessa
sentenza di  non  doversi  procedere  per  mancata  conoscenza  della
pendenza del processo, ai sensi del novellato  art.  420-quater  cod.
proc. pen. 
    Osserva infatti il rimettente che, per  quanto  possa  «ritenersi
ragionevole e verosimile presumere che gli imputati,  i  quali  hanno
anche partecipato alle indagini egiziane e sono  stati  sentiti  come
persone informate dei fatti dal pubblico ministero italiano, siano  a
conoscenza del procedimento a loro carico in Italia per il  sequestro
di persona, la tortura e l'omicidio di Giulio Regeni», tuttavia «cio'
non basta, perche' la normativa vigente sul processo in assenza[,] e'
stata  introdotta  allo  scopo  di  escludere  ogni  presunzione   di
conoscenza e di procedere in assenza dell'imputato  solamente  quando
e' effettiva la conoscenza del processo a suo carico, sia  in  ordine
alle imputazioni sia in ordine alla "vocatio in iudicium"  ovvero  e'
positivamente provata la sua volonta' di sottrarsi al processo». 
    3.1.-  Non  sarebbe  d'altronde  praticabile   un'interpretazione
alternativa della norma censurata,  poiche'  l'unica  interpretazione
consentita dalla lettera e dalla ratio della stessa  e'  «quella  che
esclude di ritenere "presunta" la effettiva conoscenza della pendenza
del processo e/o  la  volonta'  dell'imputato  di  non  comparire  in
udienza  preliminare,  ovvero  di  ritenere  "presunta"  la  volonta'
dell'imputato di sottrarsi alla conoscenza del processo». 
    Da  qui  la  rilevanza  delle  questioni,  poiche'  soltanto   la
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  420-bis,
commi 2 e 3,  cod.  proc.  pen.,  nella  parte  in  cui  non  prevede
l'ipotesi  che  la  mancata  conoscenza  del  processo   sia   dovuta
all'accertato rifiuto di assistenza giudiziaria da parte dello  Stato
estero di appartenenza o di residenza dell'imputato, consentirebbe di
procedere in assenza dei quattro imputati, essendo stato accertato il
rifiuto delle autorita' egiziane  di  prestare  assistenza  a  quelle
italiane  per  la  notifica  degli  atti  di  vocatio  agli  imputati
medesimi, come gia' detto tutti ufficiali in servizio, all'epoca  dei
fatti, presso la National Security Agency. 
    3.2.-  La  rilevanza  delle   questioni   non   sarebbe   esclusa
dall'argomento, speso dalla difesa d'ufficio degli imputati, per  cui
l'effettiva conoscenza del processo  da  parte  di  costoro  verrebbe
sacrificata per la condotta altrui, cioe' delle autorita' dello Stato
di appartenenza. 
    Secondo il rimettente infatti, «diversamente che per  le  vittime
del reato e per i prossimi  congiunti  che  non  possono  costituirsi
parti civili e  subiscono  un  indubbio  pregiudizio  dalla  condotta
ostruzionistica dello Stato estero di  appartenenza  degli  imputati,
questi ultimi al contrario beneficiano di una  sostanziale  immunita'
penale». 
    4.- Circa la  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni,  il
rimettente premette  l'enunciazione  dei  «fattori  certi»  del  caso
sottoposto al suo giudizio: la volonta' delle autorita'  egiziane  di
non prestare assistenza a quelle italiane per consentire  la  vocatio
in iudicium degli imputati  stranieri;  la  conoscenza  da  parte  di
questi ultimi del procedimento che si svolge in Italia a loro carico;
l'impossibilita' di notificare gli  atti  processuali  agli  imputati
quale  conseguenza  del  rifiuto  di  cooperazione  delle   autorita'
egiziane; il sacrificio del diritto dei familiari di Giulio Regeni ad
un  giusto  processo  nel  quale  potersi  costituire  parte  civile,
affinche' siano accertate le responsabilita' inerenti  al  sequestro,
la tortura e  l'omicidio  del  loro  caro;  l'impossibilita'  per  il
giudice dell'udienza preliminare di verificare  se  gli  imputati  si
stiano sottraendo volontariamente al processo in Italia o  se  stiano
invece anch'essi subendo la condotta delle autorita' del loro Paese. 
    4.1.- La norma censurata violerebbe anzitutto gli  artt.  2  e  3
Cost., consentendo allo Stato estero di  erigere  «una  inammissibile
"zona franca" di impunita' per i cittadini-funzionari», in  ordine  a
delitti lesivi dei diritti inviolabili della persona. 
    Risulterebbe violato anche il  principio  di  ragionevolezza,  in
quanto il giudice italiano sarebbe gravato di una probatio  diabolica
a  fronte  dell'ostruzionismo  dello  Stato  di  appartenenza   degli
imputati. 
    Vi sarebbe poi un difetto di bilanciamento, giacche',  mentre  in
favore dell'imputato processato in assenza sono previsti  rimedi  ove
provi di non aver potuto partecipare al giudizio per forza  maggiore,
caso fortuito o  altro  legittimo  impedimento,  ai  familiari  della
vittima non e' dato alcun rimedio per superare l'ostacolo processuale
determinato   dalla   condotta   ostruzionistica   dello   Stato   di
appartenenza dell'imputato. 
    4.2.- Sarebbe violato anche l'art. 24 Cost., in correlazione  con
gli artt. 2 e 3 Cost. 
    L'impossibilita' di  agire  in  giudizio  a  tutela  dei  diritti
fondamentali della  persona,  derivante  dalla  mancata  cooperazione
dello Stato di appartenenza degli imputati, si  risolverebbe  in  una
violazione dei diritti medesimi, come gia' stabilito da questa  Corte
(si richiama  la  sentenza  n.  238  del  2014,  in  tema  di  azioni
risarcitorie per crimini di guerra del Terzo  Reich)  e  dalla  Corte
europea dei diritti dell'uomo a proposito delle indagini per  tortura
e altre gravi violazioni dei diritti umani. 
    Alla lesione del diritto di azione dei  familiari  della  vittima
corrisponderebbe quella del diritto di difesa degli imputati, il  cui
esercizio sarebbe del pari impedito  dalla  condotta  ostruzionistica
dello Stato estero. 
    Ad avviso del giudice a quo, la disciplina italiana sul  processo
in assenza «entra dunque in crisi sistemica, proprio perche'  non  vi
e' una norma che preveda  un  rimedio  in  casi  di  questo  genere»,
mancanza  che   finirebbe   anche   per   incentivare   condotte   di
ostruzionismo, altrimenti inutili. 
    Il «contrappeso» che verrebbe dalla richiesta pronuncia  additiva
di questa Corte individuerebbe  un  razionale  punto  di  equilibrio,
poiche' l'ordinamento italiano garantisce all'imputato processato  in
assenza mezzi restitutori nel  caso  in  cui  egli  non  abbia  avuto
conoscenza del processo o non  abbia  potuto  parteciparvi  per  caso
fortuito, forza maggiore o altro legittimo  impedimento,  e  comunque
non per sua colpa. 
    Viceversa, la norma censurata «fa gravare sulle vittime del reato
e costituende parti civili, il rischio del fatto  del  terzo»,  cioe'
della condotta ostruzionistica dell'autorita' estera. 
    4.3.- Sarebbe altresi' violato l'art. 111 Cost., in uno  all'art.
3 Cost. 
    Invero, consentendo allo  Stato  estero  di  impedire  a  propria
volonta' lo svolgimento del giudizio, la norma censurata lederebbe  i
principi del giusto processo e, insieme ad essi, anche  il  principio
di uguaglianza, considerato che per fatti analoghi, nei confronti  di
stranieri appartenenti a Stati collaborativi, il processo puo' essere
celebrato. 
    D'altronde, «in  mancanza  di  una  disciplina  che  consenta  di
procedere  in  assenza  dell'imputato,  quando  il   suo   Stato   di
appartenenza o di residenza non  cooperi  con  il  giudice  terzo  ed
imparziale, tutte le norme sul  "giusto  processo"  sono  rese  vane,
svuotate di  contenuto»,  atteso  che  «[n]on  vi  e'  processo  piu'
"ingiusto" di quello che non si puo' instaurare per volonta'  di  una
[a]utorita' di Governo». 
    4.4.-  E'  poi   dedotta   la   violazione   del   principio   di
obbligatorieta' dell'azione  penale,  sancito  dall'art.  112  Cost.,
«precipitato processuale» del principio di uguaglianza. 
    La mancanza di una norma che consenta  di  procedere  in  assenza
quando vi e'  il  rifiuto  di  cooperazione  dello  Stato  estero  di
appartenenza dell'imputato implicherebbe che  l'azione  penale  resti
«subordinata al potere esecutivo dello Stato straniero». 
    4.5.- Infine, sarebbe violato l'art. 117, primo comma, Cost.,  in
relazione alla Convenzione di New York contro la tortura,  ratificata
sia dall'Italia che dall'Egitto. 
    Rammentato che i fatti oggetto delle imputazioni rientrano  nella
nozione di  tortura  enunciata  dall'art.  l  della  Convenzione,  il
giudice a quo sostiene che la norma censurata, dove non  consente  di
procedere in assenza contro  gli  imputati  del  delitto  di  tortura
quando lo Stato estero di appartenenza non  cooperi  con  l'autorita'
giudiziaria italiana, violi l'obbligo, sancito  dagli  artt.  6  e  7
della Convenzione medesima, di instaurare  un  processo  nello  Stato
della vittima, anche qualora  non  sia  concessa  l'estradizione  dei
presunti autori; la violazione da parte dello  Stato  egiziano  degli
obblighi  di  assistenza  giudiziaria  stabiliti  dall'art.  9  della
Convenzione farebbe dunque emergere una  lacuna  normativa  che  pone
l'ordinamento italiano nelle condizioni  di  non  poter  esso  stesso
osservare gli obblighi convenzionali. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe (reg.  ord.  n.  89  del
2023),  il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  [recte:  Giudice
dell'udienza  preliminare]  del  Tribunale  ordinario  di   Roma   ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 420-bis,
comma 2, cod. proc. pen., «nella parte in  cui  non  prevede  che  il
giudice  procede  in  assenza  dell'imputato,  anche  quando  ritiene
altrimenti provato che l'assenza dall'udienza sia dovuta alla mancata
assistenza giudiziaria o al rifiuto di cooperazione  da  parte  dello
Stato  di  appartenenza  o  di  residenza   dell'imputato»,   nonche'
dell'art. 420-bis, comma 3, dello stesso codice, «nella parte in  cui
non prevede che il giudice procede  in  assenza  dell'imputato  anche
fuori dei casi di cui ai commi 1 e 2, quando ritiene provato  che  la
mancata conoscenza della pendenza  del  procedimento,  dipende  dalla
mancata assistenza giudiziaria o dal rifiuto di cooperazione da parte
dello Stato di appartenenza o di residenza dell'imputato». 
    Impedendo di instaurare il processo per l'accertamento dei  fatti
di reato commessi in danno  di  Giulio  Regeni,  cittadino  italiano,
dottorando presso la Cambridge University, trovato senza  vita  il  3
febbraio 2016, in Egitto, lungo la Desert Road Cairo-Alessandria,  le
denunciate lacune normative violerebbero gli artt. 2, 3, 24, 111, 112
e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione alla Convenzione
di New York contro la tortura. 
    2.-  Il  giudice  a  quo  riferisce  che  il  Procuratore   della
Repubblica presso il  Tribunale  di  Roma  ha  chiesto  il  rinvio  a
giudizio  di  quattro  ufficiali  della  National   Security   Agency
egiziana, ai quali e' stata ascritta l'imputazione  di  sequestro  di
persona pluriaggravato, per avere, in concorso tra loro e  con  altri
soggetti non identificati, bloccato Giulio Regeni  all'interno  della
metropolitana del Cairo e quindi privato  lo  stesso  della  liberta'
personale per nove giorni, dal 25 gennaio al 2 febbraio 2016; ad  uno
di  loro,  inoltre,  e'  stata  ascritta  l'imputazione  di   lesioni
personali e omicidio pluriaggravati, per avere, in concorso con altri
soggetti non identificati, cagionato a Giulio Regeni, a  distanza  di
piu' giorni, lesioni severe e diffuse, con sevizie e crudelta',  fino
a provocarne la morte. 
    Il rimettente aggiunge che il  Giudice  dell'udienza  preliminare
del Tribunale di Roma, in data 25 maggio 2021, ha disposto procedersi
in assenza degli imputati  e  li  ha  pertanto  rinviati  a  giudizio
dinanzi alla Corte di assise di Roma, la quale tuttavia,  all'udienza
dibattimentale del 14 ottobre 2021, ha annullato la  declaratoria  di
assenza e il conseguente rinvio a giudizio, ordinando la restituzione
degli atti al GUP. 
    2.1.- Per quanto  ancora  riferisce  l'ordinanza  di  rimessione,
all'esito negativo di ulteriori ricerche, il medesimo GUP, in data 11
aprile 2022,  ha  disposto  la  sospensione  del  processo,  a  norma
dell'art. 420-quater, comma 2, cod. proc.  pen.,  testo  pro  tempore
vigente. 
    Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale  di  Roma  ha
impugnato tale provvedimento deducendone il carattere abnorme, ma  la
Corte di cassazione, prima sezione penale, ha dichiarato  il  ricorso
inammissibile, con sentenza 15 luglio 2022-9 febbraio 2023, n. 5675. 
    2.2.- All'esito di successivi e vani  tentativi  di  rintracciare
gli imputati per le notifiche di rito, acquisite inoltre le  negative
risultanze dell'interlocuzione del Ministero della giustizia  con  la
Procura generale della Repubblica Araba d'Egitto, il giudice  a  quo,
su  eccezione  del  pubblico  ministero,  ha  sollevato  le  riferite
questioni di legittimita' costituzionale. 
    2.3.- In ordine  alla  rilevanza  delle  questioni  medesime,  il
rimettente deduce che, per effetto della  gia'  disposta  sospensione
del processo, deve trovare applicazione la disciplina transitoria  di
cui all'art. 89, comma 2, del d.lgs. n. 150 del 2022, per cui, attesa
la persistente impossibilita' di rintracciare gli imputati,  dovrebbe
essere emessa  sentenza  di  non  doversi  procedere,  ai  sensi  del
novellato art. 420-quater cod. proc.  pen.,  esito  che,  considerata
l'univocita' testuale e  logica  della  norma,  non  potrebbe  essere
evitato mediante un'interpretazione costituzionalmente orientata. 
    2.4.- Ne scaturirebbe la violazione degli artt. 2, 3 e 24  Cost.,
poiche'  allo  Stato  estero  sarebbe   consentito   istituire   «una
inammissibile "zona franca" di impunita' per i cittadini-funzionari»,
che ridonderebbe in un'irreparabile lesione dei  diritti  inviolabili
delle vittime, tra i quali il diritto di accedere al giudice. 
    Sarebbe violato poi  l'art.  111  Cost.,  perche'  «[n]on  vi  e'
processo piu' "ingiusto" di quello che non  si  puo'  instaurare  per
volonta' di una [a]utorita' di Governo». 
    Sarebbe  compromesso  anche  il  principio   di   obbligatorieta'
dell'azione penale, sancito dall'art. 112 Cost., poiche'  la  pretesa
punitiva risulterebbe nei  fatti  «subordinata  al  potere  esecutivo
dello Stato straniero». 
    Considerata  la  natura  dei  fatti  oggetto  delle  imputazioni,
sarebbe infine violato l'art. 117, primo comma, Cost.,  in  relazione
alla Convenzione di  New  York  contro  la  tortura,  ratificata  sia
dall'Italia che dall'Egitto, quest'ultima radicando la  giurisdizione
penale del giudice  italiano  circa  gli  atti  di  tortura  commessi
all'estero ai danni del cittadino italiano, e nel contempo impegnando
gli Stati parte a prestarsi reciproca e  massima  assistenza  per  la
persecuzione degli atti proibiti dal testo pattizio. 
    3.- Questa Corte e' chiamata a pronunciarsi  su  una  fattispecie
segnata  dall'irrisolta  tensione   tra   il   diritto   fondamentale
dell'imputato a presenziare al processo, l'obbligo per  lo  Stato  di
perseguire crimini che consistano in atti di tortura e il  diritto  -
non solo della vittima e dei suoi familiari, ma dell'intero consorzio
umano   -   all'accertamento   della   verita'   processuale    sulla
perpetrazione di tali crimini. 
    Il punto di caduta di questa tensione attinge la  disciplina  del
processo in absentia, che  regola  le  ipotesi  e  le  condizioni  in
costanza delle quali soltanto l'imputato puo' essere giudicato  senza
essere presente. 
    Su tale disciplina il  rimettente  chiede  di  incidere  per  via
additiva,  sicche'  appare  opportuno   ripercorrerne   l'evoluzione,
peraltro orientata da ripetuti interventi  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo. 
    4.- Fino alla legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo  in
materia di pene detentive non carcerarie e  di  riforma  del  sistema
sanzionatorio.   Disposizioni   in   materia   di   sospensione   del
procedimento  con  messa   alla   prova   e   nei   confronti   degli
irreperibili), la disciplina  della  non  presenza  dell'imputato  ha
ruotato attorno all'istituto della contumacia, retaggio del codice di
procedura penale del 1930. 
    Con il nuovo codice di procedura penale del 1988  e,  gia'  prima
della sua entrata in vigore, con la legge  23  gennaio  1989,  n.  22
(Nuova disciplina della contumacia),  il  legislatore  ha  introdotto
modifiche  improntate  a  una  maggiore  attenzione   alle   esigenze
partecipative dell'imputato, estendendo  le  cosiddette  garanzie  ex
post, cioe' i rimedi che  consentono  all'imputato  non  presente  di
recuperare  le   facolta'   processuali   delle   quali   sia   stato
ingiustamente privato o dalle quali sia incolpevolmente decaduto. 
    In particolare, sulla scelta del legislatore  aveva  influito  la
decisione della Corte EDU nella quale si sottolineava  la  necessita'
di assicurare al  contumace  inconsapevole  il  diritto  a  un  nuovo
processo, e quindi una nuova valutazione del merito  dell'accusa  («a
fresh determination of  the  merits  of  the  charge»)  (sentenza  12
febbraio 1985, Colozza contro Italia). 
    4.1.- La principale disposizione funzionale a questa garanzia  ex
post, cioe' l'art. 175 cod. proc. pen. sulla restituzione nel termine
di impugnazione  della  sentenza  contumaciale,  era  stata  tuttavia
giudicata  insufficiente  dalla  sentenza  della  Corte  EDU,  grande
camera, 1°  marzo  2006,  Sejdovic  contro  Italia,  soprattutto  per
l'onere probatorio fatto gravare sull'imputato, giacche' questi,  per
poter essere reintegrato nella facolta' impugnatoria, doveva  provare
di non aver avuto effettiva conoscenza del  provvedimento  senza  sua
colpa, il che metteva  in  dubbio  l'effettivita'  dell'accesso  alla
«fresh determination». 
    Nel frattempo, gia' prima di tale pronuncia, il decreto-legge  21
febbraio 2005, n. 17 (Disposizioni urgenti in materia di impugnazione
delle sentenze contumaciali e dei decreti di  condanna),  convertito,
con modificazioni, nella legge 22 aprile  2005,  n.  60,  aveva,  tra
l'altro,  invertito  l'onere  della  prova  a  favore  dell'imputato,
disponendo che questi fosse restituito nel termine di impugnazione «a
sua richiesta», salvo l'autorita' giudiziaria avesse  verificato  che
egli aveva  avuto  effettiva  conoscenza  del  «procedimento»  o  del
«provvedimento»  e  volontariamente  avesse  rinunciato  a  comparire
nell'uno o ad impugnare l'altro. 
    Inoltre, era  eliminata  la  preclusione  alla  restituzione  nel
termine per l'imputato in caso  di  impugnazione  gia'  proposta  dal
difensore. Successivamente, questa Corte (sentenza n. 317  del  2009)
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 175, comma 2,
cod. proc. pen., nella parte in cui non  consentiva  la  restituzione
dell'imputato,  che  non  avesse  avuto  effettiva   conoscenza   del
procedimento  o  del  provvedimento,   nel   termine   per   proporre
impugnazione  contro  la  sentenza   contumaciale,   quando   analoga
impugnazione fosse stata proposta in precedenza dal  difensore  dello
stesso imputato. 
    4.2.-  Pur  in  questo  contesto  di  accresciute  garanzie   per
l'imputato, il fatto stesso che il processo contumaciale generasse un
vasto contenzioso inerente al profilo della restituzione nel  termine
di impugnazione evidenziava la crisi irreversibile del modello  e  la
necessita' di una riforma ab imis. 
    D'altronde, come questa Corte ha osservato nella sentenza n.  102
del 2019,  ben  poteva  il  legislatore,  «nell'esercizio  della  sua
discrezionalita',  disciplinare  diversamente  la   fattispecie   del
giudizio celebrato non in presenza dell'imputato ed e'  cio'  che  ha
fatto con la legge n. 67 del 2014, operando una  scelta  radicalmente
diversa:  non  piu'  un  rimedio  restitutorio  ex  post   a   tutela
dell'imputato giudicato in contumacia, ma garanzie ex ante  a  tutela
dell'imputato giudicato in sua assenza». 
    4.3.- Con la riforma del 2014, all'istituto della  contumacia  e'
stato  sostituito  quello  dell'assenza,  in   una   prospettiva   di
accentuazione delle garanzie ex ante, pur mantenendo i rimedi ex post
un'importante funzione di chiusura del sistema. 
    In particolare, la novella  ha  modificato  l'art.  420-bis  cod.
proc. pen., qual era stato introdotto dall'art. 19,  comma  2,  della
legge 16 dicembre 1999,  n.  479  (Modifiche  alle  disposizioni  sul
procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre
modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e
all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia  di  contenzioso
civile pendente, di indennita' spettanti al  giudice  di  pace  e  di
esercizio della professione forense). 
    Sostituito dall'art. 9, comma 2, della  legge  n.  67  del  2014,
l'art. 420-bis cod. proc. pen. stabiliva che, se  l'imputato  non  e'
presente all'udienza e ha espressamente rinunciato ad assistervi,  il
giudice procede in sua assenza (comma  1);  che  il  giudice  procede
altresi' in assenza dell'imputato il quale nel corso del procedimento
abbia dichiarato o  eletto  domicilio  ovvero  sia  stato  arrestato,
fermato o sottoposto a misura  cautelare  ovvero  abbia  nominato  un
difensore di fiducia, nonche' nel  caso  in  cui  l'imputato  assente
abbia   ricevuto   personalmente   la    notificazione    dell'avviso
dell'udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso e'  a
conoscenza del «procedimento» o si e' volontariamente sottratto  alla
conoscenza «del procedimento o di atti del medesimo» (comma 2);  che,
quando  si  procede  in  assenza,  l'imputato  e'  rappresentato  dal
difensore, cosi' come nel caso in cui egli, dopo essere comparso,  si
allontani dall'aula di udienza ovvero, presente a  una  udienza,  non
compaia alle successive (comma 3). 
    Nel sistema riformato, le  garanzie  ex  post  erano  distribuite
lungo tutto il corso processuale, e coprivano sia  l'ipotesi  in  cui
l'assenza fosse stata dichiarata fuori dei casi di legge, sia  quella
in cui fosse stata correttamente  dichiarata  e  tuttavia  l'imputato
potesse provare di essere incolpevolmente decaduto  da  una  facolta'
processuale (artt. 420-bis, comma 4, 489, comma 2, 604, comma  5-bis,
e 623, comma 1, lettera b, cod. proc. pen.). 
    Era inoltre prevista un'ulteriore garanzia  di  chiusura:  quella
per cui il condannato,  nei  cui  confronti  si  fosse  proceduto  in
assenza  per  tutta  la  durata  del  processo,  poteva  chiedere  la
rescissione del giudicato ove avesse provato che l'assenza era  stata
dovuta a una «incolpevole mancata conoscenza della  celebrazione  del
processo», ossia proprio alla mancata  conoscenza  della  vocatio  in
iudicium, al di la' della (eventualmente pur avvenuta) conoscenza del
«procedimento», con l'effetto radicale della revoca della sentenza di
condanna e della trasmissione degli atti al giudice  di  primo  grado
per la rinnovazione del giudizio (art. 625-ter cod. proc. pen.). 
    Il presupposto e l'effetto della rescissione del  giudicato  sono
rimasti analoghi anche quando, in un piu' ampio contesto riformatore,
l'istituto e' stato riformulato nell'art. 629-bis cod. proc. pen. (ex
art. 1, comma 71,  della  legge  23  giugno  2017,  n.  103,  recante
«Modifiche  al  codice  penale,  al  codice  di  procedura  penale  e
all'ordinamento penitenziario»). La riforma del 2014  si  completava,
poi, con la  previsione  della  sospensione  del  processo.  Infatti,
sostituiti rispettivamente dai commi 3 e 4 dell'art. 9 della legge n.
67 del 2014, l'art. 420-quater cod. proc. pen. stabiliva che, ove non
potesse  procedersi  nell'assenza  dell'imputato,  ne'   notificargli
personalmente l'avviso di udienza, il  giudice  dovesse  ordinare  la
sospensione del processo, mentre  il  successivo  art.  420-quinquies
prescriveva in regime di sospensione nuove ricerche  dell'imputato  a
cadenza tendenzialmente annuale, per l'eventuale notifica dell'avviso
di udienza e la conseguente ripresa del procedimento. 
    4.4.- Piu' recentemente, un'ulteriore  riforma  del  processo  in
assenza e' stata operata dal d.lgs. n. 150 del 2022. 
    4.4.1.- Sostituito dall'art. 23, comma 1,  lettera  c),  di  tale
decreto, l'art. 420-bis cod. proc. pen. dispone  oggi,  al  comma  1,
che, se l'imputato non e' presente all'udienza, il giudice procede in
assenza: a) quando l'imputato e' stato citato a comparire a mezzo  di
notificazione  dell'atto  in  mani  proprie  o  di  persona  da   lui
espressamente delegata al ritiro dell'atto; b) quando  l'imputato  ha
espressamente rinunciato a  comparire  o,  sussistendo  un  legittimo
impedimento, ha rinunciato espressamente a farlo valere. 
    Per il successivo comma 2, il giudice procede  in  assenza  anche
quando  ritiene  altrimenti  provato  che  l'imputato  ha   effettiva
conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza e' dovuta
a una scelta volontaria e consapevole, tenuto conto  delle  modalita'
della  notificazione,  degli  atti   compiuti   dall'imputato   prima
dell'udienza, della nomina di un difensore di fiducia e di ogni altra
circostanza rilevante. 
    Per il comma 3 dello stesso art. 420-bis, il giudice  procede  in
assenza anche fuori dai casi di cui ai commi 1 e 2, quando l'imputato
e' stato dichiarato latitante o si e' in altro  modo  volontariamente
sottratto alla conoscenza della pendenza del processo. 
    Nei casi previsti dai  commi  1,  2  e  3,  il  giudice  dichiara
l'imputato assente,  come  tale  rappresentato  dal  difensore  (art.
420-bis, comma 4); viceversa, fuori dai casi previsti dai commi 1,  2
e 3, il giudice, prima di procedere ai  sensi  dell'art.  420-quater,
rinvia l'udienza e dispone che l'avviso  relativo,  la  richiesta  di
rinvio  a  giudizio  e  il  verbale  di  udienza   siano   notificati
all'imputato personalmente ad opera della polizia  giudiziaria  (art.
420-bis, comma 5). 
    4.4.2.- Le ipotesi di assenza che non osta alla celebrazione  del
processo (cosiddetta assenza non impeditiva) hanno  dunque  carattere
tassativo, essendo unicamente quelle distinte  dai  primi  tre  commi
dell'art. 420-bis cod. proc. pen., al di fuori delle quali,  ove  non
abbiano  esito  le  ulteriori  ricerche  per  la  notifica  personale
all'imputato, si attiva il meccanismo di improcedibilita' predisposto
dal nuovo art. 420-quater. 
    Per grandi linee, appunto in base  alla  scansione  dei  riferiti
commi dell'art. 420-bis, possono individuarsi tre ipotesi di  assenza
non  impeditiva:  quella  nella  quale  l'imputato  ha  ricevuto   la
notificazione dell'avviso di udienza a mani  proprie  o  di  apposito
delegato, ovvero ha espressamente rinunciato  a  comparire  o  a  far
valere un legittimo impedimento; quella in  cui  il  giudice,  tenuto
conto delle modalita'  della  notificazione  dell'avviso  di  udienza
(evidentemente non avvenuta a  mani  proprie),  degli  atti  compiuti
dall'imputato prima dell'udienza, della nomina  di  un  difensore  di
fiducia e di  ogni  altra  circostanza  rilevante,  ritenga  comunque
provata  la  conoscenza  della  pendenza  del   processo   da   parte
dell'imputato; quella in cui l'imputato si e' reso latitante o si  e'
in  altro  modo  volontariamente  sottratto  alla  conoscenza   della
pendenza del processo, il che evoca l'immagine  corrente  del  "finto
inconsapevole", cioe' di colui il  quale  non  sa  perche'  non  vuol
sapere, e quindi, in un certo senso, finge di ignorare. 
    4.4.3.- Sostituito dall'art. 23, comma 1, lettera e), del  d.lgs.
n. 150 del 2022, l'art. 420-quater cod. proc.  pen.  stabilisce  che,
quando  non  ricorre  un'ipotesi  di  assenza  procedibile,  ne'   un
legittimo impedimento a comparire, se l'imputato non e' presente,  il
giudice pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere per
mancata conoscenza della pendenza del processo. 
    La trasformazione dell'assenza impeditiva da causa di sospensione
del processo  a  fattispecie  di  improcedibilita'  si  allinea  alla
soluzione adottata per gli  infermi  "eterni  giudicabili"  dall'art.
72-bis cod. proc. pen., inserito dalla legge n. 103  del  2017,  come
osservato da questa Corte nella sentenza  n.  65  del  2023,  che  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale del medesimo art.  72-bis,
comma 1, nella parte in cui  si  riferiva  al  solo  stato  «mentale»
dell'imputato, anziche' al suo stato «psicofisico». 
    Attesa  la  forma-contenuto  della  sentenza  di   cui   all'art.
420-quater  cod.  proc.  pen.,   recante   sia   una   pronuncia   di
improcedibilita' virtualmente conclusiva, sia una vocatio in iudicium
a udienza predefinita per il caso di rintraccio dell'imputato, se  ne
sottolinea la "natura bifronte";  ambivalenza  destinata  tuttavia  a
sciogliersi con il decorso del tempo, in quanto, ai sensi dei commi 3
e 6 dello stesso art. 420-quater, nel momento  in  cui  per  tutti  i
reati  oggetto  di  imputazione  sia  superato  il  termine  previsto
dall'art. 159, ultimo comma, del codice penale (cioe' il  doppio  del
tempo necessario a prescrivere il reato), senza che  la  persona  nei
cui confronti e' stata emessa sia stata rintracciata, la sentenza  di
non doversi procedere diviene irrevocabile. 
    Pertanto, ove non si tratti  di  un  reato  imprescrittibile,  la
sentenza  di  improcedibilita'  per  mancata  conoscenza   da   parte
dell'imputato e' idonea a definire il processo in modo irreversibile. 
    4.4.4.- Oltre a rimodellare le condizioni per la dichiarazione di
assenza, e quindi il sistema delle garanzie ex ante, il d.lgs. n. 150
del 2022 ha anche  modificato  il  quadro  delle  garanzie  ex  post,
seguendo una logica binaria, rapportata al tipo di evento oggetto del
rimedio. 
    In termini generali, nell'ipotesi in cui l'assenza sia stata "mal
dichiarata", ove la dichiarazione non  corrisponda  cioe'  ad  alcuna
ipotesi legale di assenza procedibile, il rimedio e' incondizionato e
regressivo, con sicura retrocessione del processo al momento  in  cui
si e' verificata la nullita';  se  invece  l'assenza  e'  stata  "ben
dichiarata", quindi in conformita' ad un'ipotesi  legale  di  assenza
non impeditiva, il rimedio e' condizionato e restitutorio, nel  senso
che  l'imputato  puo'  ottenere  la  reintegrazione  nella   facolta'
processuale dalla quale sia eventualmente decaduto qualora  provi  il
carattere incolpevole della decadenza (cosi' gli artt. 489, 604 e 623
cod. proc. pen., rispettivamente per il primo grado, l'appello  e  la
cassazione,  e  ancor  prima  l'art.  420-bis,  comma   6,   per   la
comparizione dell'imputato gia' in udienza preliminare). 
    Sempre sul versante delle garanzie  ex  post,  con  un  movimento
inverso rispetto a quello compiuto dalla legge n.  67  del  2014,  il
d.lgs. n. 150 del 2022 ha ristretto i margini della  rescissione  del
giudicato, ma ha specularmente ampliato quelli della restituzione nel
termine delle impugnazioni ordinarie, in  particolare  trasferendo  a
quest'ultimo  istituto  l'ipotesi  della  mancata  conoscenza   della
vocatio  in  iudicium:  invero,  l'art.  629-bis  cod.  proc.   pen.,
modificato dall'art. 37, comma 1, del suddetto decreto, condiziona il
mezzo straordinario post iudicatum alla prova da parte del condannato
che l'assenza e' stata dichiarata in mancanza dei presupposti di  cui
all'art. 420-bis cod. proc. pen., e che quindi  essa  e'  stata  "mal
dichiarata"; nel contempo, l'art. 11, comma 1, lettera b), del d.lgs.
n. 150 del 2022 ha inserito nell'art. 175 cod. proc.  pen.  il  comma
2.1., per cui l'imputato giudicato in assenza e'  restituito,  a  sua
richiesta, nel  termine  per  proporre  impugnazione,  se,  nei  casi
previsti dall'art. 420-bis, commi 2 e 3, fornisce  la  prova  di  non
aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di  non
aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa, il che
prescinde  dalla  sussistenza  di  un  errore   del   giudice   nella
dichiarazione di assenza. 
    5.-  Poste  le  coordinate  della  disciplina  dell'assenza,   e'
possibile innanzitutto, sotto il  profilo  dell'ammissibilita'  delle
questioni, definirne  l'oggetto  e  verificare,  in  particolare,  se
l'indicazione  delle  disposizioni  censurate   sia   aderente   alla
fattispecie. 
    5.1.- Il giudice a quo ha invero denunciato l'art.  420-bis  cod.
proc. pen., segnatamente i commi 2 e  3,  nel  testo  modificato  dal
d.lgs. n. 150 del 2022, anziche' nel testo  vigente  al  tempo  della
dichiarazione di assenza, nonostante questa sia avvenuta in  data  25
maggio 2021, quindi prima dell'entrata in vigore di tale decreto. 
    L'ordinanza  di  rimessione  segnala  che,  per   effetto   della
disposizione intertemporale di cui all'art. 89, comma 2, del medesimo
d.lgs. n. 150 del 2022, essendo stata  ordinata  la  sospensione  del
processo ai sensi del testo anteriore dell'art. 420-quater cod. proc.
pen. e non essendosi ancora rintracciati gli  imputati,  occorrerebbe
provvedere all'emanazione della sentenza di non doversi procedere, in
base al nuovo testo del medesimo art. 420-quater. 
    La richiamata norma transitoria stabilisce  infatti  che  qualora
prima dell'entrata in vigore del  decreto  legislativo,  nell'udienza
preliminare o nel giudizio di primo  grado,  sia  stata  ordinata  la
sospensione del processo  ai  sensi  del  testo  anteriore  dell'art.
420-quater cod.  proc.  pen.,  e  l'imputato  non  sia  stato  ancora
rintracciato, in luogo di disporre nuove ricerche il giudice provvede
ai sensi del testo modificato dello stesso art. 420-quater. 
    Quest'ultimo, d'altra parte, dispone che il giudice pronuncia  la
sentenza di  non  doversi  procedere  per  mancata  conoscenza  della
pendenza del processo da parte dell'imputato solo «[f]uori  dei  casi
previsti dagli articoli 420-bis e 420-ter». 
    Deve quindi ritenersi che, denunciando l'art. 420-bis cod.  proc.
pen. cosi' come sostituito dal d.lgs. n. 150 del 2022, il  rimettente
abbia inteso promuoverne il vaglio di legittimita' costituzionale  in
funzione di una nuova  dichiarazione  di  assenza,  alternativa  alla
pronuncia della sentenza di non doversi procedere. 
    5.2.- Ne' al  giudice  rimettente  puo'  rimproverarsi  di  avere
omesso un tentativo di interpretazione adeguatrice. 
    Il giudice a quo ha infatti  argomentato  che  un'interpretazione
finalizzata a consentire la presunzione della conoscenza del processo
da parte degli imputati o  la  presunzione  della  loro  volonta'  di
sottrarsi  alla  conoscenza   medesima,   quale   premessa   per   la
dichiarazione di  assenza,  non  e'  praticabile  al  cospetto  della
lettera e della ratio della disposizione censurata. 
    Tutt'altro che implausibile, e anzi riscontrata  dalla  Corte  di
cassazione  con  la  rammentata  sentenza  n.  5675  del  2023,  tale
argomentazione e' sufficiente ad escludere l'inosservanza  dell'onere
di interpretazione conforme. 
    Infatti, per  costante  orientamento  di  questa  Corte,  l'onere
interpretativo  viene  meno,  lasciando  il  passo  all'incidente  di
costituzionalita',   allorche'   il    giudice    rimettente    abbia
consapevolmente   escluso   la   possibilita'    dell'interpretazione
adeguatrice  in  ragione  del  tenore  letterale  della  disposizione
censurata (tra tante, da ultimo, sentenze n. 104 e n. 25 del 2023, n.
193 e n. 96 del 2022). 
    5.3.- Non incide sulla rilevanza delle odierne questioni  neppure
l'intervenuta modifica dell'art. 169 cod. proc. pen., concernente  le
notifiche all'imputato all'estero. 
    Sostituendo il comma 1 dell'art. 169 cod. proc. pen., l'art.  10,
comma 1, lettera v), del d.lgs. n. 150  del  2022  ha  consentito  di
indirizzare tali notifiche non soltanto presso il luogo di  residenza
o dimora della persona nei cui confronti si procede, ma anche  presso
il  «luogo  in  cui  all'estero  la  stessa   esercita   abitualmente
l'attivita' lavorativa». 
    Non si tratta  tuttavia  di  una  facolta'  idonea  ad  assorbire
l'oggetto dell'odierno petitum, ne' quindi capace di determinare  una
mancanza di  rilevanza  delle  questioni,  poiche'  -  come  rilevato
(supra, punti 4.4.1. e 4.4.2.) - per il novellato art.  420-bis  cod.
proc. pen. la  ritualita'  della  notificazione  e'  sufficiente  per
procedere in assenza solo se la notifica stessa e'  avvenuta  a  mani
proprie dell'imputato o di persona  da  lui  espressamente  delegata,
mentre, negli altri casi, le modalita' di notificazione  sono  appena
un indice di valutazione dell'effettiva conoscenza della pendenza del
processo. 
    5.4.- Infine, sempre in ordine  alla  rilevanza  delle  sollevate
questioni, occorre considerare che l'ordinanza di rimessione descrive
la fattispecie dedotta nell'incidente di legittimita'  costituzionale
come «mancata assistenza giudiziaria» o «rifiuto di  cooperazione  da
parte dello Stato di  appartenenza  o  di  residenza  dell'imputato»,
condotte  che  l'ordinanza  stessa  ascrive  alla  Repubblica   Araba
d'Egitto,  sulla  base  di  una  serie  circostanziata  di   elementi
fattuali. 
    Per  costante  giurisprudenza,  questa   Corte   esercita   sulla
motivazione dell'ordinanza di rimessione in punto di rilevanza  delle
questioni  un  controllo  esterno,  basato  sul  criterio  della  non
implausibilita' (da ultimo, tra molte, sentenze n. 164,  n.  151,  n.
145 e n. 113 del 2023). 
    Il   rimettente   indica   quale   chiara    manifestazione    di
indisponibilita' a collaborare delle autorita' egiziane il fatto  che
queste - come risulta  dal  carteggio  ministeriale  -  oppongano  il
principio del ne bis in  idem  sulla  base  di  un  mero  decreto  di
archiviazione, adottato dallo  stesso  organo  inquirente,  senza  il
vaglio di un giudice terzo. 
    L'ordinanza di rimessione sottolinea  che  l'assunto  della  gia'
avvenuta e  irrevocabile  chiusura  delle  indagini  da  parte  della
Procura generale egiziana nei  confronti  dei  quattro  agenti  della
National  Security  Agency  e'   stato   opposto   alla   delegazione
ministeriale italiana - come questa stessa ha riferito - finanche per
negare il rilascio degli indirizzi dei  funzionari,  dove  notificare
gli atti di avvio del processo penale in Italia. 
    Sono elementi idonei  a  corroborare  come  non  implausibile  la
prospettazione  del  rimettente  circa  un  difetto  di  cooperazione
interstatuale, anche alla luce degli altri profili  illustrati  nella
relazione del Dipartimento per gli affari di  giustizia,  alla  quale
testualmente si richiama l'ordinanza di rimessione. 
    Un ulteriore elemento viene dalla  Risoluzione  del  24  novembre
2022 sulla situazione dei diritti umani in  Egitto,  nella  quale  il
Parlamento europeo «esorta l'Egitto a  cooperare  pienamente  con  le
indagini  delle  autorita'  italiane  sull'omicidio  del   dottorando
italiano Giulio Regeni, torturato a morte da funzionari di  sicurezza
nel 2016», in particolare reiterando «il suo invito a  notificare  al
generale [S. T.], al colonnello [I. M. A. K.], al colonnello [H.  U.]
e al Major [S. A. M. I.] il procedimento giudiziario a loro carico in
Italia» (punto 6). 
    6.- Nulla osta quindi all'esame  di  merito  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate dal GUP del Tribunale di Roma. 
    Circoscritte in rapporto alla fattispecie concreta e all'esigenza
di contemperamento degli interessi ad essa  sottesi,  tali  questioni
sono fondate, in riferimento agli artt. 2,  3  e  117,  primo  comma,
Cost., quest'ultimo in relazione alla Convenzione di New York  contro
la tortura. 
    7.- La tortura e' un delitto  contro  la  persona  e  un  crimine
contro l'umanita'. 
    Essa e' infatti proibita sia dal diritto  internazionale  penale,
sia dalle norme internazionali sui diritti umani, con tale costanza e
univocita'  da  attribuire   al   divieto   carattere   inderogabile,
ascrivendolo allo ius cogens di formazione consuetudinaria. 
    La  Dichiarazione  universale   dei   diritti   umani,   adottata
dall'Assemblea generale delle Nazioni  Unite  il  10  dicembre  1948,
proclama,  all'art.  5,  che  «[n]essun   individuo   potra'   essere
sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani e
degradanti». 
    Il Patto internazionale sui diritti civili e  politici,  adottato
dall'Assemblea generale delle Nazioni  Unite  il  16  dicembre  1966,
stabilisce, all'art. 7, che «[n]essuno puo'  essere  sottoposto  alla
tortura ne' a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti,
in particolare, nessuno puo' essere sottoposto, senza il  suo  libero
consenso, ad un esperimento medico o scientifico». 
    L'art. 3 CEDU afferma che «[n]essuno  puo'  essere  sottoposto  a
tortura ne' a pene o trattamenti inumani o degradanti». 
    Lo Statuto della Corte penale internazionale, o Statuto di  Roma,
firmato il 17 luglio 1998, indica la tortura  tra  i  crimini  contro
l'umanita' (art.  7,  paragrafo  1,  lettera  f),  e,  nonostante  la
dimensione collettiva che a  questi  crimini  si  addice,  in  quanto
commessi nell'ambito  di  un  esteso  o  sistematico  attacco  contro
popolazioni civili, prevede la consumazione della  tortura  anche  ai
danni di una  sola  persona  («severe  physical  or  mental  pain  or
suffering upon one or more persons»: Elements of Crimes, art.  7.1.f,
punto 1). 
    7.1.- L'odierno rimettente richiama  come  parametro  interposto,
tramite l'art. 117, primo comma,  Cost.,  la  Convenzione  contro  la
tortura ed altre pene o trattamenti crudeli,  inumani  o  degradanti,
adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il  10  dicembre
1984 (da ora in poi, anche: CAT, Convention Against Torture). 
    Ratificata sia dall'Italia, con la legge n.  498  del  1988,  sia
dall'Egitto, in data 25  giugno  1986,  essa  fornisce,  al  comma  1
dell'art. 1, la definizione di tortura:  «[a]i  fini  della  presente
Convenzione, il termine "tortura" indica qualsiasi atto  mediante  il
quale  sono  intenzionalmente  inflitti  ad  una  persona  dolore   o
sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere
da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla
per un atto che essa o una terza persona ha commesso o e'  sospettata
aver commesso, di intimorirla o di far  pressione  su  di  lei  o  di
intimorire o di far pressione su una terza persona, o  per  qualsiasi
altro motivo fondato su qualsiasi forma di  discriminazione,  qualora
tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente  della  funzione
pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o  su
sua istigazione, o con  il  suo  consenso  espresso  o  tacito.  Tale
termine non  si  estende  al  dolore  o  alle  sofferenze  risultanti
unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da  esse
cagionate». 
    Dal comma 2 dello stesso art. 1 si evince trattarsi di un minimum
standard,  che  «non   reca   pregiudizio   a   qualsiasi   strumento
internazionale o a qualsiasi legge nazionale  che  contenga  o  possa
contenere disposizioni di piu' vasta portata». 
    7.1.1.- Con l'indicazione quale soggetto  attivo  di  «un  agente
della funzione pubblica» (cui e' equiparata «ogni altra  persona  che
agisca a titolo ufficiale,  o  su  sua  istigazione,  o  con  il  suo
consenso espresso o tacito»), l'art. 1 CAT delimita la propria  sfera
applicativa alla cosiddetta tortura di Stato,  verticale  o  propria,
conformemente alla  tradizione  internazionalistica  che  reprime  la
tortura come abuso del potere pubblico. 
    Gli altri  elementi  costitutivi  del  crimine  di  tortura  sono
convenzionalmente  specificati  nella   gravita'   delle   sofferenze
inflitte   («forti»)    e    nell'intenzionalita'    dell'inflizione,
quest'ultima connotata nei  termini  del  dolo  specifico  («al  fine
segnatamente  di»),  corrispondente  alla  nozione  quadripartita  di
tortura     "giudiziaria",     "punitiva",     "intimidatoria"      e
"discriminatoria". 
    7.1.2.- Nell'ordinamento italiano il delitto  di  tortura,  quale
distinto titolo di reato, e' stato introdotto dalla legge  14  luglio
2017, n. 110 (Introduzione del delitto  di  tortura  nell'ordinamento
italiano), il cui art. 1, comma 1, ha inserito gli  artt.  613-bis  e
613-ter cod. pen., rispettivamente per la tortura e l'istigazione del
pubblico ufficiale a commettere tortura. 
    Il legislatore nazionale ha inteso superare il  minimum  standard
di cui all'art. 1 CAT, poiche' l'art. 613-bis cod. pen. punisce anche
la cosiddetta tortura privata, orizzontale o impropria (primo comma),
stabilendo comunque un piu' severo trattamento sanzionatorio  per  la
tortura commessa dal  pubblico  ufficiale  (secondo  comma),  pur  se
quest'ultima non e' rispetto all'altra reato circostanziato, ma reato
autonomo (Corte di cassazione,  sezione  terza  penale,  sentenza  25
maggio-31 agosto 2021, n. 32380). 
    La posteriorita' della legge n. 110 del 2017 rispetto al tempo di
commissione dei fatti oggetto delle imputazioni di che  trattasi  non
solleva un problema  di  retroattivita'  in  peius,  in  quanto  tali
imputazioni risultano formulate senza alcun richiamo alla fattispecie
legale  sopravvenuta,  bensi'  -  come  non  implausibilmente  deduce
l'ordinanza di rimessione - con la descrizione di «fatti  sussumibili
nella nozione di tortura data dall'art. l della Convenzione», i quali
«erano  punibili  gia'  nel  febbraio  2016  in   base   alle   norme
incriminatrici specificate nella  richiesta  di  rinvio  a  giudizio»
(sequestro di persona, lesioni personali  e  omicidio,  aggravati  da
sevizie, crudelta' e abuso di pubblico potere). 
    7.1.3.- Per evitare aree di impunita', l'art. 5  CAT  ammette  la
doppia o tripla giurisdizione nazionale sui  reati  di  tortura,  che
devono essere perseguiti sia dallo Stato  territoriale  del  commesso
delitto (comma 1, lettera a), sia dallo  Stato  del  presunto  autore
(comma 1, lettera b), mentre e' rimesso allo  Stato  di  appartenenza
della vittima stabilire se esercitare o meno la propria giurisdizione
(comma 1, lettera c). 
    Tale opzione discrezionale e' stata esercitata dalla legge n. 498
del 1988, il cui art. 3, comma  1,  lettera  b),  stabilisce  che  e'
punito secondo la legge italiana,  a  richiesta  del  Ministro  della
giustizia, lo straniero  che  commette  all'estero  in  danno  di  un
cittadino italiano un fatto costituente reato qualificabile come atto
di tortura ex art. 1 CAT. 
    Risulta cosi' integrata la previsione dell'art. 7,  primo  comma,
numero 5), cod. pen., per cui e' punito secondo la legge italiana  lo
straniero che commette in territorio estero un reato per il quale una
speciale disposizione  di  legge  o  una  convenzione  internazionale
stabilisca l'applicabilita' della legge italiana. 
    Per l'accertamento in Italia degli atti di  tortura  inflitti  al
cittadino Giulio Regeni, la richiesta del Ministro della giustizia e'
intervenuta in data in data 23 marzo 2016, come riferisce l'ordinanza
di rimessione. 
    7.1.4.- Ai sensi dell'art. 9, comma 1, CAT, gli  Stati  parte  si
«prestano l'assistenza giudiziaria  piu'  vasta  possibile»  in  ogni
procedimento  penale  inerente  ai  reati  di  tortura,  inclusa  «la
comunicazione di tutti gli elementi di prova di cui dispongono e  che
sono necessari ai fini della procedura». 
    La comunicazione degli indirizzi degli indagati, funzionale  alla
notifica degli atti processuali, rientra evidentemente nel  perimetro
dell'assistenza «piu' vasta possibile». 
    8.- Nella giurisprudenza sull'art. 3 CEDU, la Corte di Strasburgo
ha piu' volte distinto un aspetto procedurale  («procedural  aspect»)
del  divieto  di  tortura  e  un  aspetto  sostanziale  («substantive
aspect»), potendo tale divieto  essere  violato  non  soltanto  dalla
materiale inflizione di sevizie e  crudelta',  ma  anche  dall'omesso
svolgimento di un'indagine effettiva e  completa  sulla  denuncia  di
tortura,  giacche',  quando  l'indagine  riguarda  accuse  di   gravi
violazioni dei diritti umani, il "diritto alla verita'"  («the  right
to the truth») sulle circostanze rilevanti del  caso  non  appartiene
esclusivamente alla vittima del reato e alla sua famiglia,  ma  anche
alle altre vittime di violazioni simili e al  pubblico  in  generale,
che hanno il "diritto di sapere cosa e' accaduto" (Corte europea  dei
diritti dellʼuomo, grande camera, sentenza 13 dicembre 2012, El-Masri
contro ex Repubblica jugoslava di Macedonia; poi Corte EDU,  sentenze
31 maggio 2018, Abu Zubaydah contro Lituania, e 24  luglio  2014,  Al
Nashiri contro Polonia). 
    In altri termini, l'art. 3 CEDU esige una «efficient criminal-law
response», senza la quale esso  e'  violato  nel  «procedural  limb»,
ancor prima che nell'aspetto  sostanziale  (Corte  EDU,  sentenza  16
febbraio 2023, Ochigava contro Georgia). 
    9.- L'aporia processuale denunciata  dal  rimettente  rivela  una
lacuna ordinamentale, che non tarda a manifestare i tratti del vulnus
costituzionale, non  appena  la  si  relazioni  con  la  peculiarita'
giuridica del crimine di tortura. 
    Ferma la presunzione di non colpevolezza che  assiste  i  quattro
funzionari egiziani,  non  puo'  negarsi  che  si  siano  determinate
obiettivamente le condizioni di una fattuale immunita' extra ordinem,
incompatibile con  il  diritto  all'accertamento  processuale,  quale
primaria  espressione  del  divieto  sovranazionale  di   tortura   e
dell'obbligo per gli Stati di perseguirla. 
    9.1.- A  prescindere  dalle  ragioni  che  l'hanno  ispirata,  la
mancata comunicazione da parte dello Stato egiziano  degli  indirizzi
dei propri dipendenti ha impedito finora, ed e' destinata a  impedire
sine die, la celebrazione di  un  processo  viceversa  imposto  dalla
Convenzione di New York contro la tortura, in linea  con  il  diritto
internazionale generale. 
    L'impossibilita'  di  notificare  personalmente   agli   imputati
l'avviso di udienza preliminare e la richiesta di rinvio a  giudizio,
quindi di portare a loro conoscenza l'apertura del processo, comporta
infatti,  sulla  base  dell'attuale  quadro  normativo  interno,   la
necessita'  di  emettere  nei  confronti  degli  stessi  la  sentenza
inappellabile di improcedibilita', che, a sua volta, non  potra'  mai
verosimilmente assolvere  alla  funzione  secondaria  di  vocatio  in
iudicium, pure ad essa istituzionalmente spettante,  e  che  anzi  e'
destinata a divenire, con il trascorrere del tempo, irrevocabile  per
tre dei quattro imputati, giacche' chiamati a rispondere di un  reato
prescrittibile, qual e' il sequestro di persona. 
    9.2.- Lo statuto universale del crimine  di  tortura  -  poc'anzi
illustrato  sulla  base  delle  dichiarazioni  sovranazionali  e  dei
trattati - e' connaturato alla radicale  incidenza  di  tale  crimine
sulla dignita' della persona umana, messa  al  centro  del  preambolo
della Convenzione di New York contro la tortura. 
    La  denunciata  lacuna  normativa,   precludendo   l'accertamento
giudiziale della commissione dei reati di tortura, offende quindi  la
dignita' della persona, e ne comprime il diritto fondamentale  a  non
essere vittima di tali atti; con la precisazione che, a  sensi  della
direttiva (UE) 2012/29 del Parlamento europeo e del Consiglio del  25
ottobre 2012, che istituisce norme  minime  in  materia  di  diritti,
assistenza e protezione delle vittime di reato e che  sostituisce  la
decisione quadro 2001/220/GAI, «vittima» e' anche il familiare  della
persona la cui morte sia stata dal reato stesso direttamente  causata
(art. 2, paragrafo 1, lettera a, punto ii). 
    9.3.- Pertanto, la lacuna  normativa  denunciata  dal  rimettente
viola l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione  alla  Convenzione
di New York contro la tortura; ma viola  anche  l'art.  2  Cost.,  in
quanto,  impedendo  sine  die  la  celebrazione  del   processo   per
l'accertamento del reato di tortura, annulla un  diritto  inviolabile
della persona che di tale  reato  e'  stata  vittima.  Invero,  nello
statuto  eccezionale   del   crimine   in   questione,   il   diritto
all'accertamento giudiziale e' il volto  processuale  del  dovere  di
salvaguardia della dignita'. 
    9.4.- E ancora, la  lacuna  normativa  censurata  dal  rimettente
viola il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. 
    Tale  lacuna  apre  infatti  irragionevolmente  uno   spazio   di
immunita' penale, quale si  riscontra  in  un  quadro  normativo  che
impedisce di compiere quegli stessi accertamenti giudiziali che  sono
stati previsti in sede pattizia; accertamenti tanto piu' necessari in
quanto lo Stato italiano, in sede di ratifica della  CAT,  ha  optato
per l'esercizio della  giurisdizione  penale  sui  reati  di  tortura
commessi all'estero in danno dei propri cittadini. 
    10.- Il diritto  dell'imputato  di  presenziare  al  processo  ha
natura di diritto fondamentale, garantito dagli artt. 111 Cost.  e  6
CEDU, innanzitutto attraverso la pienezza del contraddittorio. 
    In particolare, il terzo comma dell'art. 111 Cost.,  in  sintonia
con il paragrafo 3 dell'art. 6 CEDU, stabilisce che  «[n]el  processo
penale, la legge assicura che la persona accusata di  un  reato  sia,
nel piu' breve tempo possibile, informata riservatamente della natura
e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del  tempo  e
delle condizioni necessari per preparare  la  sua  difesa;  abbia  la
facolta', davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare  le
persone che rendono  dichiarazioni  a  suo  carico,  di  ottenere  la
convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle  stesse
condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di  prova
a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende  o  non
parla la lingua impiegata nel processo». 
    Come da questa Corte ricordato nella sentenza n. 65 del 2023,  il
diritto  partecipativo   dell'imputato   e'   d'altronde   funzionale
all'esercizio  della  cosiddetta  autodifesa,  che  e'   distinta   e
ulteriore rispetto alla difesa tecnica. 
    Il vulnus  costituzionale  prodotto  dalla  lacuna  normativa  in
questione deve essere dunque ridotto a legittimita' per linee interne
al   sistema   delle   garanzie,   senza   alcun   sacrificio,    ne'
condizionamento,  delle  facolta'  partecipative  dell'imputato,   ma
unicamente con una diversa scansione temporale del loro esercizio. 
    Non si tratta d'altronde di una prospettiva estranea allo statuto
europeo dell'assenza processuale. 
    11.- La direttiva (UE) 2016/343  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio del 9 marzo 2016 sul rafforzamento di alcuni aspetti  della
presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei
procedimenti penali stabilisce che «[g]li Stati  membri  garantiscono
che gli indagati e imputati abbiano  il  diritto  di  presenziare  al
proprio processo» (art. 8, paragrafo 1). 
    Gli Stati membri - aggiunge la direttiva - «possono prevedere che
un processo che puo' concludersi con una decisione di colpevolezza  o
innocenza dell'indagato o imputato  possa  svolgersi  in  assenza  di
quest'ultimo, a condizione che: a) l'indagato o  imputato  sia  stato
informato in un tempo adeguato del processo e delle conseguenze della
mancata comparizione; oppure b) l'indagato o imputato, informato  del
processo, sia rappresentato  da  un  difensore  incaricato,  nominato
dall'indagato o imputato oppure dallo Stato» (art. 8, paragrafo 2). 
    Inoltre, «[q]ualora gli Stati membri prevedano la possibilita' di
svolgimento di processi in assenza dell'indagato o imputato,  ma  non
sia possibile soddisfare le condizioni di  cui  al  paragrafo  2  del
presente articolo perche'  l'indagato  o  imputato  non  puo'  essere
rintracciato nonostante  i  ragionevoli  sforzi  profusi,  gli  Stati
membri possono consentire comunque  l'adozione  di  una  decisione  e
l'esecuzione della stessa»,  e  «[i]n  tal  caso,  gli  Stati  membri
garantiscono che gli indagati o imputati, una volta  informati  della
decisione, in particolare quando  siano  arrestati,  siano  informati
anche della possibilita' di impugnare la decisione e del diritto a un
nuovo processo o a un altro  mezzo  di  ricorso  giurisdizionale,  in
conformita' dell'articolo 9» (art. 8, paragrafo 4). 
    Vi e' infatti,  nell'economia  della  direttiva  2016/343/UE,  un
nesso teleologico tra il «diritto di presenziare al processo», di cui
all'art. 8, e il «diritto a un nuovo processo», di cui all'art. 9, il
cui coordinato obiettivo e' che - ex ante  o  ex  post  -  l'imputato
abbia a disposizione tutte le facolta' partecipative. 
    Per l'art. 9, invero, «[g]li Stati membri assicurano che, laddove
gli indagati o imputati non siano stati presenti al  processo  e  non
siano  state  soddisfatte  le  condizioni  di  cui  all'articolo   8,
paragrafo 2, questi abbiano il diritto a un nuovo  processo  o  a  un
altro mezzo di ricorso giurisdizionale, che consenta  di  riesaminare
il merito della causa,  incluso  l'esame  di  nuove  prove,  e  possa
condurre alla riforma  della  decisione  originaria»,  e  «[i]n  tale
contesto, gli Stati membri assicurano che tali  indagati  o  imputati
abbiano il diritto di presenziare, di partecipare in  modo  efficace,
in conformita' delle procedure previste dal diritto  nazionale  e  di
esercitare i diritti della difesa». 
    11.1.- La decisione quadro  2002/584/GAI  del  Consiglio  del  13
giugno 2002 relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di
consegna tra  Stati  membri  prevede  l'esecuzione  del  mandato  per
condanna in absentia ove l'imputato sia informato del «diritto  a  un
nuovo processo», che consenta di «riesaminare il merito della  causa»
e possa «condurre alla  riforma  della  decisione  originaria»  (art.
4-bis, paragrafo 1, lettera d, punto i). 
    11.2.- La Corte di giustizia  dell'Unione  europea  ha  precisato
ratio e condizioni della procedibilita' in assenza, nella  dialettica
con il diritto dell'imputato a un nuovo processo di merito. 
    Ha quindi chiarito che la ripetizione in  presenza  di  attivita'
processuali, quale un'assunzione testimoniale anteriormente svolta in
assenza, ha carattere ripristinatorio, nella  prospettiva  del  nuovo
processo garantito dalla direttiva 2016/343/UE (sentenza 13  febbraio
2020, in causa C-688/18, TX e altro). 
    Nell'interpretazione  dell'art.  4-bis  della  decisione   quadro
2002/584/GAI, la Corte di giustizia  ha  inoltre  escluso  che  possa
essere addotta, quale motivo di rifiuto dell'esecuzione di un mandato
d'arresto europeo per una condanna emessa in  absentia,  l'incertezza
sul fatto che lo Stato consegnatario garantira' il diritto  al  nuovo
processo ex artt. 8 e 9 della direttiva 2016/343/UE, potendo in  ogni
caso l'imputato esigere  l'attuazione  di  quest'ultima  presso  quel
medesimo Stato (sentenza 17 dicembre 2020, in causa C-416/20, TR). 
    Di notevole importanza, in termini generali e per la  fattispecie
ora in scrutinio, e' la sentenza della medesima Corte 19 maggio 2022,
in causa C-569/20, IR, a tenore della quale gli artt.  8  e  9  della
direttiva 2016/343/UE vanno interpretati nel senso che  «un  imputato
che le autorita' nazionali competenti, nonostante i loro  ragionevoli
sforzi, non riescono a rintracciare e al quale  dette  autorita'  non
sono riuscite, per tale motivo,  a  comunicare  le  informazioni  sul
processo svolto  nei  suoi  confronti,  puo'  essere  oggetto  di  un
processo e, se del caso, di una condanna in contumacia,  ma  deve  in
tale caso, in linea di principio, avere la  possibilita',  a  seguito
della notifica di  tale  condanna,  di  far  valere  direttamente  il
diritto, riconosciuto da tale direttiva, di  ottenere  la  riapertura
del processo o  l'accesso  a  un  mezzo  di  ricorso  giurisdizionale
equivalente che conduca ad un nuovo esame del merito della  causa  in
sua presenza»; tale diritto  puo'  essere  negato  all'imputato  solo
«qualora da indizi precisi e oggettivi risulti  che  quest'ultimo  ha
ricevuto informazioni sufficienti per essere a conoscenza  del  fatto
che si sarebbe svolto un processo nei  suoi  confronti  e,  con  atti
deliberati e al fine di  sottrarsi  all'azione  della  giustizia,  ha
impedito alle autorita' di informarlo ufficialmente di tale processo»
(punto 59). 
    Premesso quindi che il giudizio puo' celebrarsi in  assenza  solo
se  preceduto  da   «ragionevoli   sforzi»   delle   autorita'   onde
rintracciare l'imputato per le notifiche, tale decisione,  invertendo
l'onere della prova rispetto alla logica  contumaciale,  rimarca  che
l'imputato giudicato in assenza per impossibilita' di rintraccio deve
poter esercitare  senza  condizioni  («in  linea  di  principio»)  il
diritto a un nuovo processo di merito, spettando alle autorita',  che
tale diritto intendano negare, addurre «indizi precisi  e  oggettivi»
da cui risulti che l'imputato ha  ricevuto  sufficienti  informazioni
del processo. 
    E' ben visibile la convergenza rispetto  alla  giurisprudenza  di
Strasburgo sul diritto dell'imputato alla «fresh determination of the
merits of the charge», alla quale invero la sentenza della  Corte  di
Lussemburgo fa esplicito riferimento (punti 51-53). 
    12.- In  conclusione  il  vulnus  costituzionale  denunciato  dal
rimettente puo' e deve essere  sanato  mediante  un  riassetto  delle
garanzie partecipative dell'imputato, riassetto non qualitativo,  ne'
quantitativo, ma esclusivamente temporale, pur sempre all'interno del
binario  tracciato  dalla   disciplina   dell'assenza,   come   sopra
ricordata. 
    La fattispecie addizionale di assenza  non  impeditiva,  che  sia
tale  da  evitare  una  paralisi  processuale  costituzionalmente   e
convenzionalmente intollerabile, deve essere comunque rispettosa  del
principio del giusto processo. 
    12.1.- Il rimettente censura i commi 2 e 3 dell'art. 420-bis cod.
proc. pen., nel testo modificato dal d.lgs. n. 150 del  2022,  ma  la
sede propria dell'addizione che egli richiede, e che la  Costituzione
impone, va individuata specificamente nel  comma  3,  poiche'  questo
disciplina, in funzione di chiusura del  sistema  («anche  fuori  dai
casi di cui ai commi 1  e  2»),  le  ipotesi  nelle  quali  l'assenza
dell'imputato non e' impeditiva pur in difetto  di  prova  della  sua
«conoscenza della pendenza del processo». 
    Come gia' detto, le ipotesi  attualmente  indicate  dal  comma  3
dell'art. 420-bis riguardano la latitanza  e  ogni  «altro  modo»  di
volontaria sottrazione dell'imputato alla «conoscenza della  pendenza
del processo». 
    Si tratta di situazioni nelle quali l'ordinamento  non  considera
impeditiva l'assenza malgrado la mancata «conoscenza  della  pendenza
del  processo»,  e  che  tuttavia   postulano   la   conoscenza   del
procedimento, cioe' dell'assunzione della  qualita'  di  indagato  ex
art. 335 cod. proc. pen. 
    Infatti, per sottrarsi «volontariamente»  alla  conoscenza  della
pendenza  del  «processo»,  e  quindi  alla  notifica  dell'atto   di
esercizio dell'azione penale,  l'indagato  sa  di  essere  tale,  pur
ponendosi nelle condizioni di ignorare la vocatio in iudicium. 
    12.2.- Dalla vigente trama normativa emerge dunque che,  in  casi
eccezionali, puo' procedersi nell'assenza di un imputato pur  se  non
e' provata la conoscenza da parte sua della  pendenza  del  processo,
ove sia certo che egli abbia conoscenza del procedimento. 
    Tra questi casi eccezionali deve trovare posto l'ipotesi  oggetto
delle questioni in scrutinio, perpetuandosi altrimenti, insieme  alla
lacuna normativa, il vulnus che essa infligge ai richiamati parametri
costituzionali. 
    13.- Muovendo per linee interne al sistema,  come  preannunciato,
la fattispecie addizionale di assenza non impeditiva  deve  replicare
questa duplicita' di piani, non potendo prescindere dalla  conoscenza
che l'imputato abbia del procedimento, e limitandosi a  incidere  sul
piano ulteriore della conoscenza della chiamata a giudizio. 
    La fattispecie  astratta  si  attaglia  al  caso  concreto,  come
risulta dalla verifica esterna sulla  motivazione  dell'ordinanza  di
rimessione in punto di rilevanza. 
    L'ordinanza riferisce infatti che il provvedimento con  il  quale
la Corte di assise di Roma ha annullato la dichiarazione  di  assenza
dei  quattro  funzionari  egiziani  ha  riconosciuto   «la   generica
conoscenza,  da  parte   degli   imputati,   dell'esistenza   di   un
procedimento penale nei loro confronti per gravi reati in  danno  del
ricercatore  Giulio  Regeni»,  pur  «senza   la   dimostrazione   con
ragionevole  grado  di  certezza  di   una   conoscenza   sufficiente
dell'azione penale e delle accuse». 
    Tale valutazione della Corte di assise, in uno  alla  conseguente
ordinanza di sospensione del GUP del  Tribunale  di  Roma,  e'  stata
ritenuta immune da vizi  nella  ricordata  sentenza  della  Corte  di
cassazione n. 5675 del 2023, la quale, essa pure, ha messo a tema  la
conoscenza non del procedimento, ma della  vocatio  in  iudicium,  in
particolare enfatizzando che alcuni indizi  di  consapevolezza  degli
imputati fossero  «precedenti  all'esercizio  dell'azione  penale  in
Italia»,  quindi  inidonei  a  garantire  loro  la  conoscenza  delle
«precise cadenze del processo». 
    13.1.- E' ben chiaro che l'ordinamento italiano ha registrato  un
progressivo spostamento del fuoco degli accertamenti di assenza dalla
conoscenza del «procedimento» alla conoscenza del «processo». 
    Gia' con  una  prima  sentenza,  la  Corte  di  cassazione  aveva
stabilito che non ostasse alla rimessione nel termine di impugnazione
della sentenza contumaciale ex art. 175, comma 2, cod. proc. pen.  la
conoscenza dell'accusa evincibile dall'avviso  di  conclusione  delle
indagini preliminari, viceversa esigendosi la conoscenza del processo
tratta da un atto formale  di  vocatio  in  iudicium  (sezioni  unite
penali, sentenza 28 febbraio-3 luglio 2019, n. 28912). 
    Ancora piu' incisivamente, una successiva pronuncia, relativa  al
valore indiziario dell'elezione di domicilio presso il  difensore  di
ufficio ai fini della dichiarazione di assenza ex art.  420-bis  cod.
proc.  pen.,  vecchio  testo,  ha  escluso  la  configurabilita'   di
presunzioni di conoscenza del processo, giacche' «[i]l fondamento del
sistema e' che la parte sia  personalmente  informata  del  contenuto
dell'accusa e del giorno e luogo della udienza», ed e' infatti questa
- proseguiva la Corte riguardo alla modifica dell'art. 175 cod. proc.
pen. - «la ragione per la quale il sistema, introducendo la regola di
certezza  della  conoscenza  del  processo,  ha  escluso  il  diritto
"incondizionato" al nuovo giudizio di merito in favore  del  soggetto
giudicato in assenza» (Corte di  cassazione,  sezioni  unite  penali,
sentenza 28 novembre 2019-17 agosto 2020, n. 23948). 
    Infine, dal raffronto tra il testo dell'art. 420-bis  cod.  proc.
pen. anteriore al d.lgs. n. 150 del 2022 e quello dal decreto  stesso
modificato  risulta  evidente  la  traslazione  del  parametro  della
dichiarazione di assenza dalla  «conoscenza  del  procedimento»  alla
«conoscenza della pendenza del processo». 
    13.2.- E' tuttavia palese che l'estensione  di  tale  avanzamento
dei  requisiti  di  procedibilita'  anche  alla  fattispecie  ora  in
scrutinio  determina  la  paralisi  del  processo  fin  dall'esordio,
poiche'  la  mancata   assistenza   dello   Stato   di   appartenenza
dell'imputato rende impossibile notificare personalmente all'imputato
stesso  gli  atti  formali  della  vocatio  in  iudicium,   lasciando
all'irrilevanza che egli sia a conoscenza del procedimento penale. 
    Tale  epilogo  di  radicale  frustrazione  del  processo  non  e'
accettabile,  per   diritto   costituzionale   interno,   europeo   e
internazionale, quando si risolve nella creazione di un'immunita'  de
facto ostativa all'accertamento dei crimini di tortura. 
    Una simile immunita' - come si e' gia' detto -  sarebbe  infatti,
ad un  sol  tempo,  lesiva  dei  diritti  inviolabili  della  vittima
rispetto a un crimine estremo contro la dignita' della persona  (art.
2 Cost.); irragionevole a fronte  del  diritto-dovere  rivendicato  e
assunto dalla Repubblica di perseguire tali misfatti (art. 3  Cost.);
inosservante degli standard  internazionali  di  tutela  dei  diritti
umani, recepiti e promossi dalla CAT (art. 117, primo comma, Cost.). 
    14.- L'ordinanza di rimessione sollecita una  pronuncia  additiva
non circoscritta per il titolo di reato. 
    La decisione di accoglimento va tuttavia delimitata  in  coerenza
sia con  i  presupposti  di  rilevanza  delle  questioni  come  sopra
individuati, sia con gli obblighi internazionali, che per il  crimine
di tortura giustificano una composizione delle garanzie partecipative
nei termini di seguito precisati. 
    L'illegittimita'   costituzionale   della    denunciata    lacuna
normativa,  e  la  necessita'  di  emendarla  tramite  la   richiesta
pronuncia additiva, non concerne quindi  ogni  ipotetica  fattispecie
nella quale la notifica personale della vocatio all'imputato sia resa
impossibile dalla mancata assistenza dello Stato di appartenenza,  ma
inerisce esclusivamente alle imputazioni di  tortura,  rispetto  alle
quali soltanto  l'improcedibilita',  nelle  riferite  condizioni,  si
traduce nella violazione degli artt. 2, 3 e 117, primo comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione alla Convenzione  di  New  York  contro  la
tortura. 
    La fattispecie addizionale costituzionalmente adeguata e'  dunque
limitata al processo per i delitti  commessi  mediante  gli  atti  di
tortura definiti dall'art. 1, comma 1, CAT. 
    14.1.- Alla  delimitazione  oggettiva  per  il  titolo  di  reato
corrisponde una delimitazione soggettiva per la qualita' dell'autore,
che, ai sensi dell'art. 1, comma 1, CAT, e' soltanto l'«agente  della
funzione pubblica», cui viene  equiparata  «ogni  altra  persona  che
agisca a titolo ufficiale,  o  su  sua  istigazione,  o  con  il  suo
consenso espresso o tacito». 
    Tale  delimitazione  soggettiva  assume  una   speciale   valenza
rispetto all'ipotesi in questione -  cioe'  alla  mancata  assistenza
dello Stato di appartenenza dell'imputato -, atteso  il  vincolo  che
lega l'apparato pubblico ai propri funzionari. 
    15.- Come  anticipato  (supra,  punto  12),  il  rilevato  vulnus
costituzionale puo' e deve essere sanato mediante un riassetto  delle
garanzie partecipative che risulti comunque  rispettoso  dei  diritti
fondamentali protetti dagli artt. 111 Cost. e 6 CEDU. 
    Con la formula sintetica enunciata dall'art.  9  della  direttiva
2016/343/UE, occorre  dunque  fare  salvo  il  «diritto  a  un  nuovo
processo»,  che,  svolgendosi  in  presenza  dell'imputato  e  a  sua
richiesta, «consenta di riesaminare il merito  della  causa,  incluso
l'esame di nuove prove, e possa condurre alla riforma della decisione
originaria» (supra, punto 11). 
    Nei termini stabiliti dalla giurisprudenza  di  Strasburgo,  deve
essere garantito all'imputato l'accesso incondizionato a  «una  nuova
valutazione del merito  dell'accusa»  (punto  4  del  Considerato  in
diritto). 
    Questo risultato, che sara' compito del  giudice  comune  attuare
nella concretezza dei singoli  casi,  e'  raggiungibile  per  effetto
della riapertura del processo, cui l'imputato, nell'ipotesi in esame,
ha diritto di pervenire in ragione dei presupposti stessi  della  sua
assenza. 
    15.1.- La fattispecie addizionale di procedibilita'  in  assenza,
oggetto della presente decisione, consente  infatti  all'imputato  di
accedere  senza  limiti,  ne'  condizioni,   al   sistema   rimediale
congegnato dal d.lgs. n. 150 del 2022. 
    Si e' evidenziato che questo  ha  una  connotazione  binaria,  in
quanto all'assenza erroneamente dichiarata dal giudice corrisponde un
rimedio incondizionato di retrocessione del processo  al  momento  in
cui si e' verificata la nullita', mentre all'assenza "ben dichiarata"
e' associato  un  rimedio  condizionato  per  la  restituzione  nelle
facolta'  processuali  la  decadenza  dalle  quali  l'imputato  possa
provare essere a lui non imputabile (supra, punto 4.4.4.). 
    Orbene, quella che viene qui in rilievo, che cioe' non sia  stata
possibile  la  notificazione  personale  degli  atti  di  vocatio  in
iudicium  a   causa   dell'inerzia   cooperativa   dello   Stato   di
appartenenza,  e'  un'ipotesi  in  cui  la  prova  di  incolpevolezza
dell'imputato deve ritenersi in  re  ipsa,  risultando  dagli  stessi
elementi costitutivi della fattispecie di assenza procedibile. 
    Tenuto  all'oscuro  della  vicenda  processuale  da   un   factum
principis  (la  condotta  non  cooperativa  del  proprio   Stato   di
appartenenza), l'imputato, pur a conoscenza  del  procedimento,  deve
presumersi senza sua colpa ignaro delle cadenze del  processo,  e  ha
quindi libero accesso alla reintegrazione nelle facolta'  processuali
che ritenga di esercitare. 
    In altri termini, egli, conformemente ai canoni  stabiliti  dalla
sentenza IR (supra,  punto  11.2.),  poiche'  irrintracciabile  dalle
autorita' procedenti nonostante i  loro  «ragionevoli  sforzi»,  puo'
essere oggetto  di  un  processo  in  assenza,  ma  puo'  far  valere
«direttamente» il diritto a un nuovo processo che conduca al  riesame
del merito della causa in presenza, mentre e' onere  delle  autorita'
stesse, che intendano negare la  riapertura  del  processo,  allegare
«indizi precisi  e  oggettivi»  dai  quali  risulti  che  l'imputato,
nonostante l'atteggiamento  non  cooperativo  del  proprio  Stato  di
appartenenza, «ha ricevuto  informazioni  sufficienti  per  essere  a
conoscenza del fatto che si  sarebbe  svolto  un  processo  nei  suoi
confronti e, con atti deliberati e al fine  di  sottrarsi  all'azione
della  giustizia,  ha   impedito   alle   autorita'   di   informarlo
ufficialmente di tale processo». 
    15.2.- Pertanto, anche  qualora  l'assenza  oggetto  dell'odierna
additiva sia stata "ben  dichiarata",  l'imputato  puo'  ottenere  la
restituzione nelle facolta' processuali,  e  cio'  in  ogni  momento,
semplicemente comparendo, anche prima della pronuncia di un'eventuale
condanna, e quindi anche senza ricorrere a un'impugnazione. 
    Tale conclusione e' comprovata dall'applicabilita',  nell'ipotesi
in esame, dei rimedi  restitutori  previsti  dalle  disposizioni  del
codice di procedura penale, le  quali,  con  riferimento  ai  diversi
stati e gradi  del  processo,  implicano  variamente  che  l'imputato
dimostri di non aver avuto conoscenza del processo e  di  non  essere
potuto  intervenire  senza  sua  colpa  per  esercitare  le  relative
facolta'. 
    Il richiamo va, in particolare, all'art.  420-bis,  comma  6,  in
relazione alla possibilita'  di  revoca  dell'ordinanza  dichiarativa
dell'assenza; all'art. 489, comma 2-bis,  lettera  b),  in  relazione
allo svolgimento dell'udienza preliminare; all'art. 604, comma 5-ter,
lettera b), per il giudizio di appello; nonche' all'art.  623,  comma
1, lettera b-bis), con riguardo al giudizio di cassazione. 
    Ai medesimi presupposti, inoltre, e' subordinata  dall'art.  175,
comma  2.1.,  cod.  proc.  pen.  la  restituzione  nel   termine   di
impugnazione della sentenza pronunciata in assenza,  con  l'ulteriore
precisazione che, ai sensi del comma 2-bis del medesimo articolo,  il
termine di presentazione della relativa istanza dell'imputato decorre
soltanto dalla  conoscenza  personale  che  egli  abbia  avuto  della
sentenza («effettiva conoscenza del provvedimento») ovvero,  in  caso
di estradizione dall'estero,  «dalla  consegna  del  condannato»  (la
quale a sua volta presuppone la conoscenza personale  della  sentenza
in esecuzione). 
    16.- La fattispecie di assenza in questione non  comporta  dunque
alcun intervento sul quadro delle garanzie delineato  dal  d.lgs.  n.
150 del 2022, viceversa ad essa applicabile tal quale, se non per  la
relevatio ab onere probandi  di  cui  l'imputato  si  avvantaggia  in
ragione dell'oggettiva conformazione della fattispecie medesima. 
    D'altronde,  attesa  la  manifesta  violazione  che  ai  principi
costituzionali e sovranazionali viene da un'immunita' per crimini  di
tortura, non puo' dirsi ostativa la riserva di  discrezionalita'  del
legislatore in ambito processuale, che pure  questa  Corte  ha  avuto
modo di affermare anche riguardo  ai  meccanismi  di  notifica  della
vocatio e di svolgimento del processo in absentia (sentenza n. 31 del
2017). 
    17.- L'amplissima possibilita' di riapertura e  rinnovazione  del
processo  spettante  agli  imputati  nella  fattispecie   in   esame,
necessaria per la conformita' alle prescrizioni degli artt. 111 Cost.
e 6 CEDU, non riduce tuttavia il processo stesso a un simulacro. 
    L'accertamento dei crimini di tortura nelle forme  pubbliche  del
dibattimento  penale  corrisponde  a  un  obbligo  costituzionale   e
sovranazionale, e gia' solo per questo non e' mai inutile, ove  anche
circostanze esterne lo privino del contraddittorio dell'imputato. 
    All'imputato stesso, d'altronde, resta garantita ogni facolta' di
far sentire la sua voce. 
    18.- Per tutto quanto esposto, deve dichiararsi  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 420-bis,  comma  3,  cod.  proc.  pen.,  per
violazione degli artt. 2, 3 e 117, primo comma,  Cost.,  quest'ultimo
in relazione alla Convenzione di New York contro  la  tortura,  nella
parte in cui non prevede che il giudice  procede  in  assenza  per  i
delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti  dall'art.  1,
comma 1, della Convenzione medesima, quando, a  causa  della  mancata
assistenza dello Stato di appartenenza dell'imputato, e'  impossibile
avere la prova che quest'ultimo, pur  consapevole  del  procedimento,
sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo
il diritto dell'imputato stesso a un nuovo processo in  presenza  per
il riesame del merito della causa. 
    Restano assorbite le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate in riferimento agli artt. 24, 111 e 112 Cost.