IL CONSIGLIO NAZIONALE DEI CHIMICI Ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la valutazione della legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, lettere e), f), g), h) ed i), dell'art. 3, secondo comma, della legge 24 maggio 1967, n. 396, in relazione agli artt. 3 e 33, quinto comma, della Costituzione, in quanto ritenuta rilevante e non di manifesta infondatezza per la decisione in ordine al ricorso presentato dalla dott.ssa Maria Rosaria Pelletti, iscritta nell'albo dei chimici di Roma, avverso il procedimento disciplinare della sospensione dall'esercizio professionale per mesi uno adottato nei suoi confronti dal consiglio dell'ordine dei chimici di Roma con delibera 17 marzo 1989. FATTO E DIRITTO Va in ogni caso premesso che il ricorso oggetto del presente esame viene proposto per la seconda volta a questo Consiglio nazionale dalla dott.ssa Pelletti in quanto gia' in precedenza analogo ricorso era stato presentato avverso altro provvedimento disciplinare, poi revocato per motivi formali dallo stesso consiglio dell'ordine di Roma. Invero nel gennaio 1989 veniva aperto un primo procedimento disciplinare a carico della dott.ssa Maria Rosaria Pelletti per fatti inerenti al suo esercizio professionale in associazione priva dei requisiti previsti dalla legge e dalle norme deontologiche, nonche' per essere l'associazione stessa esercitata anche attraverso l'opera professionale di altro professionista, avente pero' competenza del tutto difforme e senza che venissero operate le necessarie distinzioni tra le due sfere professionali. Il 18 gennaio 1989 il consiglio dell'ordine gia' infliggeva una prima sanzione alla dott.ssa Pelletti, la quale proponeva contro quel provvedimento formale ricorso in data 20 febbraio 1989, inviato anche al consiglio dell'ordine di Roma, il quale nella seduta di poco successiva, il giorno 24 febbraio 1989, dopo aver nuovamente convocato ed ascoltato la dott.ssa Pelletti, accertava la effettiva sussistenza delle carenze procedurali poste a base dei motivi di lagnanza dell'incolpata e ritirava, nella stessa data e con efficacia retroattiva, il provvedimento disciplinare, promuovendo, al tempo stesso, nuovo procedimento contenente le medesime censure poste alla base del primo provvedimento. Successivamente, il 16 giugno 1989, questo consiglio nazionale dichiarava non esservi luogo a provvedere sul primo ricorso introdotto dalla dott.ssa Pelletti, in quanto ormai caducato l'interesse per essere stata ritirata d'ufficio la sanzione disciplinare irrogata. Nel frattempo, a seguito della nuova istruttoria, il consiglio dell'ordine, riteneva confermati gli addebiti contestati e irrogava nuovamente sanzioni disciplinari che la dott.ssa Pelletti ora contesta. Invero i fatti in base ai quali e' stata disposta la sanzione della sospensione dall'esercizio professionale per un mese erano tre. Il primo fatto consisteva nella tardiva e irregolare comunicazione dell'associazione professionale al competente ordine dei chimici; il secondo consisteva nell'uso di una denominazione di fantasia dell'associazione professionale, anziche' nell'utilizzo, come tassativamente previsto dalla legge 23 novembre 1939, n. 1815, della denominazione di "studio professionale associato" seguito dai nomi e cognomi degli associati stessi. Col terzo motivo si contestava, sanzionandola successivamente, l'associazione per l'esercizio professionale tra la dott.ssa Pelletti, chimico, e altro professionista, iscritto pero' in un altro albo professionale, quello dei biologi. La dott.ssa Pelletti, ora col suo ricorso, in primo luogo contesta l'aspetto formale della sanzione disciplinare, sottolineando, secondo la sua interpretazione, la impossibilita' di irrogare una sanzione disciplinare per gli stessi fatti sui quali lo stesso consiglio dell'ordine si era gia' pronunciato, e, in secondo luogo, lamenta in diritto, con dovizia di argomentazioni, una errata applicazione della legge da parte del consiglio dell'ordine di Roma che non avrebbe tenuto adeguatamente conto della mancanza di un espresso divieto legale di esercizio dell'associazione professionale tra appartenenti ad albi professionali diversi. Dal punto di vista formale ritiene questo consiglio nazionale infondato il primo motivo di ricorso, perche' il consiglio dell'ordine di Roma non si e' pronunciato una seconda volta sugli stessi fatti contestati, in quanto il divieto di nuova pronuncia parte dalla considerazione della giuridica esistenza della prima pronuncia che tale non e' nel caso concreto. Avendo il consiglio dell'ordine di Roma ritirata la prima sanzione disciplinare per essere lo stesso Ordine addivenuto a considerare fondate le argomentazioni procedurali gia' proposte dalla dott.ssa Pelletti, ben rimane libero il consiglio dell'ordine di valutare nuovamente gli stessi fatti, con nuova e regolare procedura, tanto piu', come nel caso di specie, quando gli stessi fatti permangono nel tempo e vengono continuativamente compiuti da parte dell'incolpata anche successivamente alla vicenda relativa al primo procedimento disciplinare. Piu' complessa e' invece la questione di diritto relativa al secondo motivo di ricorso, alle argomentazioni cioe' fondate sulla mancanza di un esplicito divieto legale tra professionisti di albi professionali diversi. L'ammissibilita' di un associazione "interdisciplinare" fra professionisti e' questione oltremodo discussa in dottrina e priva peraltro di riscontri certi in giurisprudenza. Detta questione non puo' trovare una valida soluzione alla luce della legge n. 1815/1939, che, se non vieta espressamente tale tipo di associazione, non offre neppure elementi testuali per sancirne la legittimita'. Invero non e' la violazione ad un divieto legale imposto da norma primaria dello Stato che veniva attribuita alla dott.ssa Pelletti, bensi' la violazione delle norme deontologiche che i consigli degli ordini, nell'esercizio della loro funzione di tutela dell'interesse pubblico e della libera professione, hanno piu' volte disposto in ordine al comportamento dei propri iscritti in merito alle "associazioni professionali". Devono richiamarsi le indicazioni gia' chiaramente espresse nelle direttive sulla "associazione tra professionisti" (Giornale di categoria "Noi Chimici", nn. 5, 6, 7, 8 del maggio-agosto 1986, raccolta di norme sulla professione del chimico, consegnato a tutti gli iscritti) dove vengono trattati i punti fondamentali della deontologia professionale relativamente alla associazione tra professionisti. In buona sostanza, secondo le norme deontologiche, l'esercizio associato della professione a carattere "interdisciplinare" non deve essere fonte o occasione di confusione e incertezze in ordine al ruolo, alle funzioni e alle competenze di ciascun professionista associato. Il consiglio dell'ordine di Roma, sostiene che un'associazione fra professionisti appartenenti ad aree professionali, di specifica e differente capacita' professionale (anche se ritenute equipollenti da errate interpretazioni della pubblica amministrazione, atti amministrativi ecc.), pubblicamente accertata e certificata attraverso un curriculum universitario ed un esame di Stato specifici, regolate da leggi e tariffe completamente distinte, non puo' non essere causa di continue confusioni agli occhi degli utenti generando danni ai medesimi i quali ricevono prestazioni da professionisti che non hanno la specifica professionalita', spezzando cosi' quel nesso indissolubile che deve invece esistere, secondo il nostro ordinamento, fra la singola prestazione e la persona del professionista, intesa questa come specifica garanzia di capacita' professionale pubblicamente acclarata e di assunzione di responsabilita'. La dott.ssa Pelletti, come risulta dagli atti, ha pienamente ammesso di aver preso visione delle norme e dei principi deontologici che regolano la professione, in particolare attraverso i documenti di cui si e' fatto cenno, e non poteva quindi ignorare che i consigli degli ordini annettono particolare importanza alla tutela e alla salvaguardia dei confini professionali, ponendo come limite deontologico netto il divieto della costituzione di una associazione con professionisti diversi quando, per la natura dell'albo professionale in cui l'altro professionista e' iscritto, vi e' possibilita' di favorire un esercizio abusivo della professione, o, piu' semplicemente, di rappresentare nei confronti dei consociati una non chiara immagine delle rispettive competenze, tenendo a sviare la nitidezza dell'immagine del professionista nei confronti del pubblico. Questo consiglio nazionale deve pertanto valutare la verificabilita' o meno della ipotesi sopra prospettata in ordine al caso specifico, in ordine, cioe', ad una associazione professionale tra un chimico e un altro professionista appartenente all'albo professionale dei biologi, dovendosi cosi' esaminare la legge 24 maggio 1967, n. 396 "Ordinamento della professione di biologo". Gia' fin qui appare la rilevanza della questione interpretativa in ordine alla citata legge n. 396/1967. Effettivamente l'ordinamento professionale dei Biologi puo' dare adito a profondi sospetti di incostituzionalita' per violazione degli artt. 3 e 33, quinto comma, della Costituzione, quindi a tale aspetto e' dedicata in via prioritaria l'attenzione di questo consiglio. Qualora infatti non vi fossero problemi interpretativi in ordine ai confini delle due professioni ecco allora che la verifica sulla violazione delle norme deontologiche attribuita alla dott.ssa Pelletti conseguirebbe de plano in senso favorevole all'accoglimento del ricorso. Che questa chiarezza manchi la si deduce dalle diverse e contrastanti interpretazioni che vengono date all'art. 3 della legge 24 maggio 1967, n. 396, in ordine all'oggetto della professione di biologo. Basti pensare, a titolo di esempio: a) all'individuazione dell'oggetto della professione del biologo operata all'art. 3, primo comma, alle lett. e), f), g), h) ed i) cosi' come esplicitata nel decreto ministeriale 27 marzo 1976, recante approvazione della tariffa per le prestazioni professionali dei biologi (in Gazzetta Ufficiale s.o. n. 88 del 3 aprile 1976), seguita dalla giurisprudenza amministrativa in questo senso la dec. n. 717/76 della prima sezione del tribunale amministrativo regionale del Lazio, confermata dalla dec. n. 593/78 della quarta sezione del Consiglio di Stato; b) alla sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 842 del 16 aprile 1987 non confermata dal Consiglio di Stato, quarta sezione, sentenza n. 965/91 17 aprile 1990/25 novembre 1991; c) alla sentenza tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 311/89, sezione di Latina, e dal Consiglio di Stato, decisione n. 156/92; d) sentenza istruttoria del pretore di Taranto n. 1285 del 21 dicembre 1984 nella quale il pretore ha ritenuto la non sussistenza del reato di esercizio abusivo della professione di chimico da parte dei biologi; e) alla legge regionale del Lazio n. 70 del 6 settembre 1979 il cui art. 7, modificato dalla legge regionale Lazio n. 82 del 24 giugno 1980, che disciplina gli organici dei laboratori di analisi per la diagnostica medica ritenendo equipollenti le professioni del biologo e del chimico (e addirittura quest'ultima alla professione di medico-chirurgo) nei settori della analisi chimiche-tossicologiche, chimico-cliniche ed analisi chimiche per gli ambienti di lavoro, i) ai numerosi successivi provvedimenti sia della p.a. (concorsi, atti amministrativi, ecc.) che del legislatore statale e regionale nei specifici settori della chimica. Questa mancanza di chiarezza ha portato ad una oggettiva situazione di confusione e ad una sostanziale coincidenza fra l'attivita' professionale del chimico e quella del biologo per una parte significativa dei rispettivi ambiti professionali ed in particolare, rispettivamente, per prestazioni di analisi chimiche (quale risultano dall'art. 16 del regio decreto 1 marzo 1928, n. 842, e dagli artt. 1, 9, 16 e 18 e allegato del tariffario nazionale approvato con la legge 19 luglio 1957, n. 679, e successive modificazioni a norma della legge 20 marzo 1975 n. 56) e le prestazioni del biologo di cui all'art. 3, primo comma, lettere e), f), g), h), ed i), della legge n. 396/1967 e indicate nel tariffario decreto ministeriale del 27 marzo 1976. La stessa legge n. 396/1967, nei successivi art. 6 (che consente l'iscrizione nell'albo dei biologi ai titolari di cattedre universitarie in "discipline con applicazioni professionali di indole biologica", ancorche' privi di abilitazione professionale) e art. 48, cosi' come modificato dall'articolo unico della legge 10 maggio 1970, n. 274 (relativo all'iscrizione, in via transitoria di quei laureati in scienze naturali, medicina, chimica, farmacia, chimica e farmacia, agraria e medicina veterinaria, i quali abbiano effettivamente esercitato per un quinquennio in modo esclusivo o prevalente "l'attivita che forma oggetto della professione del biologo" e' stata ed e' causa di conclusione e motivo di errate interpretazioni estensive che ritengono la professione del biologo equivalente alla professione del chimico. Cio', a giudizio di questo consiglio, contrasta con l'art. 33, quinto comma della Costituzione, perche' attribuisce una equipollenza senza l'esistenza di quel nesso indissolubile che dovrebbe esistere, tra formazione di studi ed esame di Stato. Simili interpretazioni appaiono per piu' versi in contrasto con gli artt. 3 e 33, quinto comma, della Costituzione. Nel regime cui sono sottoposte in Italia le professioni "protette", non dovrebbe essere ammissibile una coincidenza di ambiti di attivita' tra professioni diverse, e cio' non tanto in ossequio ad un malinteso principio di riserva concessa dal legislatore a beneficio di questa o quella "corporazione" di professionisti, quanto invece come necessaria conseguenza della "logica, stessa del sistema, che, nell'interesse della collettivita' prima ancora che dei committenti, esige che, l'esercizio di una determinata professione sia affidato solo a soggetti, i quali abbiano percorso un determinato iter formativo, stabilito dall'autorita' pubblica (in genere un corso universitario, seguito a volte da un tirocinio pratico), e dimostrino, attraverso un esame pubblico rivestito di particolari forme e garanzie (e prescritto a livello costituzionale), di avere acquisito le conoscense professionali specifiche. Ed ancora tali interpretazioni sono senza dubbio corroborate dal tenore del secondo comma dello stesso art. 3 della legge n. 396/1967 (ai termini del quale l'elencazione delle competenze contenuta nel primo comma "non limita l'esercizio di ogni altra attivita' professionale consentita ai biologi iscritti nell'albo, ne' pregiudica quanto puo' formare oggetto dell'attivita' di altre categorie di professionisti), che sembra porsi in contrasto con i principi affermati dall'art. 33, quinto comma, della Costituzione, in quanto esso risulta ispirato al principio opposto dell'intercambiabilita' delle professioni e della irrilevanza della formazione professionale del singolo professionista e del relativo accertamento rispetto all'attivita' poi effettivamente svolta. L'art. 348 del c.p. punisce chi esercita una professione "senza una speciale abilitazione dello Stato", chi non e' iscritto nel rispettivo albo, l'art. 2231 del c.c., sancisce la nullita' assoluta dei contratti di prestazione d'opera intellettuale conclusi con chi non sia iscritto all'albo. Le normative citate dovrebbero pertanto riconoscere al sistema delle professioni intellettuali una esclusivita' che le "protegge" da eventuali ingerenze o abusi. I principi enunciati, in forza dell'art. 33, quinto comma, della Costituzione e dell'interpretazione che ne ha dato la Corte costituzionale, s'impongono nei confronti dello stesso legislatore, cui e' riconosciuta la competenza a determinare il contenuto dell'esame di Stato e le relative condizioni di ammissione, a condizione pero' che le prove siano tali da assicurare un "serio ed oggettivo" accertamento del "concreto possesso" da parte dei candidati, della preparazione, attitudine e capacita' tecnica necessaria perche' "dall'esercizio pubblico dell'attivita' professionale i cittadini" possano giovarsi con fiducia (cfr. Corte costituzionale n. 43/1972 e 174/1980); cosi' che sarebbe certamente incostituzionale una normativa la quale contemplasse esami di Stato non idonei allo scopo ed ammettesse a sostenerli siano soggetti il cui curriculum degli studi formativi non offrisse serie garanzie circa il possesso del bagaglio di conoscenze ed esperienze necessarie allo svolgimento dell'attivita' professionale cui gli esami di Stato abilitino. Di conseguenza l'art. 3, primo comma, lettere e), f), g), h) ed i), della legge n. 396/1967, cosi' come comunemente interpretato, sembra porsi in contrasto, oltre che con l'art. 33, quinto comma, della Costituzione, anche con l'art. 3 della Carta costituzionale, in quanto a livello interpretativo, in sostanza i biologi sono indicati come abilitati anche all'esercizio di una notevole parte della professione del chimico, effettuando cosi' una arbitraria equipollenza fra laurea in chimica e laurea in biologia, tra l'esame di Stato di chimico e l'esame di Stato di biologo, tra la professione di chimico e la professione di biologo, trattando cosi' in modo eguale situazioni giuridicamente diseguali. La disposizione in parola viola quindi l'art. 3 della Costituzione e la violazione diverrebbe addirittura microscopica ove alla legge n. 396/1967 venisse data una interpretazione estensiva, come d'altronde viene data da alcune sentenze richiamate, giacche' questa implicherebbe che la sola laurea in biologia equivalga alla laurea in chimica e alla abilitazione all'esercizio della professione di chimico (art. 6 della legge n. 396/1967) o che siano equipollenti, oltre i due titoli di laurea e anche i due titoli di abilitazione alla professione di chimico e di biologo. Ma non e' compito di questo consiglio valutare i riflessi costituzionali della questione, non potendosi qui disattendere l'esistenza di letture interpretative dell'art. 3 della legge n. 396/1967 che, traendo le mosse da una supposta non chiarezza dei confini tra la professione del chimico e della professione del biologo, ovvero tra la chimica e la biologia, tendono ad espandere la lettura applicativa delle citate norme, dando alle norme stesse quelle caratteristiche che non possono non ridondare sugli aspetti deontologici di cui s'e' detto. In realta', secondo una piana lettura dell'art. 3 della legge 24 maggio 1967, n. 396, il succedersi delle competenze del biologo sarebbe conforme alle necessarie distinzioni professionali, in rapporto alle competenze e agli studi pregressi, nonche' di conseguenza, all'art. 33, quinto comma, della Costituzione e alle stesse norme deontologiche. La lettura dei distinti punti dell'oggetto della professione di biologo, riportati al citato art. 3, insiste infatti continuativamente sull'aspetto "biologico" delle competenze dei biologi. E le analisi, i controlli, le perizie, le identificazioni proprie della professione di biologo sono sempre e costantemente con- siderate solo come "biologiche", ovvero "dal punto di vista biologico", il che e' assolutamente difforme dal significato di "chimico". Ed infatti e' noto che l'analisi e' "un metodo di studio consistente nello scomporre un tutto nelle sue componenti per esaminarle una per una, traendone le debite conclusioni" (Varie Enc.) e che l'aggettivo specifica in quali sue componenti il tutto viene scomposto, e quali siano le debite conclusioni. Per cui non puo' revocarsi in dubbio che per analisi biologica debba intendersi: "Metodo di studio consistente nello scomporre un tutto (materiale) nelle sue componenti biologiche per esaminarle una per una, traendone le debite conclusioni biologiche". In altre parole non e' ne' logico, ne' scientifico, ne' di buon senso pensare che, un laureato in biologia e abilitato all'esercizio della professione e con una preparazione chimica di base inesistente o molto scarsa rispetto a quella del chimico, possa effettuare professionalmente le stesse prestazioni di analisi chimiche (quest'ultime effettuate per stabilire la natura e la percentuale dei componenti chimici della materia in genere cioe' le sostanze o le miscele di sostanze) del laureato e abilitato all'esercizio della professione del chimico, cio' significherebbe che il corso di laurea in chimica e' inutile per apprendere le conoscenze per lo svolgimento ed esecuzione delle prestazioni di analisi chimiche per la identificazione o determinazione di sostanze o miscele di esse in quanto possono essere eseguite sia da persona culturalmente preparata, sia da persona impreparata ovvero da persona in possesso dell'esame di abilitazione all'esercizio della professione di chimico o non in possesso di esso. Da qui la particolare preoccupazione che viene espressa nei confronti dell'associazione professionale con professionisti iscritti in albo diversi, associazione che viene ritenuta d'ostacolo al corretto svolgimento della attivita' professionale stessa sotto il profilo della personalita' della prestazione e dell'intero rapporto committente/professionista e in quello, immediatamente conseguente della responsabilita', nonche' in quello, della misura del compenso stabilito dalle rispettive tariffe professionali. Secondo l'ordine procedente l'esercizio associato "interdisciplinare" non puo' non essere fonte e occasione di confusione nei confronti degli utenti in ordine al ruolo, alle lunzioni ed alle conoscenze specifiche di ciascun professionista associato, quando si tratta - come nel caso di specie - di professionisti (chimici e biologi) appartenenti ad aree professionali che hanno diversa impostazione di studi universitari e preparazione per affrontare l'esercizio professionale, ma che per il committente e addirittura per la p.a. sembrerebbero contigue per le confusioni che sono state generate e continuano a generare atti amministrativi, concorsi ed alcuni interventi della magistratura. Queste sono le motivazioni professionali, al di la' di alcuni fatti che indubbiamente ha attirato l'attenzione e suscitato le maggiori preoccupazioni in seno al consiglio dell'ordine, e che con ogni probabilita' hanno anche indotto l'Autorita' disciplinare ad intervenire con relativa severita'. Le interpretazioni della p.a. e giurisdizionali sembrano aprire agli iscritti all'albo dei biologi settori di attivita' professionale dei chimici, senza che il curric- ulum universitario e le prove previste per il superamento dell'esame di Stato offrano sufficienti garanzie in ordine al "concreto possesso" da parte dei candidati della "preparazione, attitudine e capacita' tecniche necessarie" per un corretto e affidabile esercizio di tale attivita'. D'altronde il vigente tariffario dei biologi d.m. 27 marzo 1976 che riporta un gran numero di prestazioni di analisi chimiche ha creato una netta incertezza e una conseguente interpretazione estensiva della legge n. 396/1967 da parte di alcune sentenze giurisdizionali (gia' richiamate) hanno provocato una notevole confusione. E di cio' si fa carico anche l'emananda tariffa professionale dei biologi. Nel testo in via di approvazione da parte del Ministero di grazia e giustizia dove sono ricompresi anche settori di attivita' dei professionisti chimici e riprendono quasi interamente la legge l9 luglio 1957, n. 679, e successive modificazioni. Certamente, alla luce della corretta interpretazione dell'art. 3 dell'ordinamento dei biologi il provvedimento tariffario, essendo inferiore nella gerarchia delle fonti, non potrebbe in nessun modo comportare equivoci di ruoli. Ma, alla luce delle contrastanti interpretazioni dianzi citate, la eventuale emanazione della tariffa dei biologi comporterebbe una situazione di indubbia incertezza e ulteriore confusione del diritto che non puo' non reclamare l'autorevole intervento di codesto giudice delle leggi. Da tutto cio', dunque, la rilevanza ai fini del presente giudizio e la non manifesta infondatezza della legittimita' costituzionale della norma. Se le interpretazioni estensive delle autorita', anche giurisdizionali, citate, trovassero infatti il loro fondamento nella Costituzione ecco che le norme deontologiche applicate alla dott.ssa Pelletti avrebbero il loro significato e la loro ragion d'essere, mentre, se l'interpretazione dell'art. 3 dell'ordinamento dei biologi distinguesse chiaramente tra la professione del chimico e la professione del biologo ecco che questo Consiglio nazionale non potrebbe che concludere per l'insussistenza delle accuse mosse all'iscritta. E di questa dichiarazione di parziale illegittimita' interpretativa non puo' che farsi carico la Corte costituzionale a cui, con la presente ordinanza questo consiglio nazionale rimette gli atti.