IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1020/1993 proposto da Rasia Ivana, Morucchio Giorgio, Ravagnan Lucio, Casarin Meri, Carlucci Osvaldo, Vidale Angela, Pezzin Luciano, Curreri Giuseppe, Maso Cristina, Soffiato Massimo, Marcato Francesca, Scalise Anna, Iannotta Antonio, Alessandrini Emanuela, Garda Ermenegildo, Bisotto Patrizia, Chiarato Adriana, Gaggio Manuele, Maggi Silvana, Altieri Elisa, Dall'Acqua Assunta, Scarso Alessandra e Venuti Loredana, rappresentati e difesi dall'avv. Francesco Curato, con elezione di domicilio presso lo studio del medesimo in Venezia, Piazzale Roma 461; contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge; il Consiglio di Stato, in persona del Presidente pro-tempore, non costituito in giudizio; per l'annullamento del provvedimento 27 gennaio 1993 n. 101/T.E. del Presidente del Consiglio di Stato, nonche' per l'accertamento del diritto all'adeguamento dell'indennita' di cui alla legge 15 febbraio 1989 n. 51, secondo le variazioni percentuali di cui all'art. 3 della legge 19 febbraio 1981 n. 27; Visto il ricorso, notificato il 23 marzo 1993 e depositato presso la segreteria il 5 aprile 1993 con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, depositato il 31 marzo 1994; Viste le memorie prodotte dalle parti; Visti gli atti tutti della causa; Uditi alla pubblica udienza del 12 maggio 194 (relatore il consigliere Calderoni) l'avv. Curato per i ricorrenti e l'avv. dello Stato Cosentino per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato quanto segue; F A T T O I ricorrenti, tutti appartenenti con varie qualifiche al personale amministrativo del tribunale amministrativo regionale per il Veneto, impugnano il provvedimento in data 27 gennaio 1993 con cui il Presidente del consiglio di Stato ha comunicato - in esito ad atto di diffida da medesimi notificato - di adeguarsi a quanto ritenuto dal Ministero del tesoro - ragioneria generale dello Stato, che ha escluso, per tutto il personale di cancelleria ed amministrativo interessato al godimento dell'indennita' prevista dall'art. 1 della legge 15 febbraio 1989, n. 51, la possibilita' di far luogo all'adeguamento previsto dall'art. 3 della legge n. 27/1981. A sostegno del ricorso vengono dedotte le censure di violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della legge n. 51/1989, dell'art. 1 della legge n. 221/1988 e dell'art. 3 della legge n. 27/1981: si sostiene che il tenore letterale dell'art. 1 della legge n. 51/1989 sarebbe tale da non lasciare dubbi sull'intenzione del legislatore di attribuire al personale dell'amministrazione giudiziaria la medesima indennita' goduta dal personale della magistratura, e cio' in ogni suo aspetto strutturale ed economico, ivi compreso l'incremento percentuale determinato in conformita' all'art. 3 della leggge n. 27/1981. In tal senso sarebbe tra l'altro anche il recente orientamento dei giudici amministrativi, con riferimento sia al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie (T.A.R. Lazio, sez. prima, 11 luglio 1992 n. 1001) che al personale amministrativo del consiglio di Stato e dei TT.AA.RR. (idem, 25 gennaio 1993, n. 107). I ricorrenti chiedono pertanto, oltre all'annullamento del menzionato provvedimento, il riconoscimento del diritto alla percezione dell'indennita' di cui alla legge n. 51/1989 con le variazioni percentuali di cui all'art. 3 della legge n. 27/1981, nonche' alla corresponsione delle differenze loro dovute, maggiorate degli interessi legali e della rivalutazione monetaria. Con successiva memoria del 15 marzo 1994 i ricorrenti si soffermano in particolare sulla normativa nel frattempo intervenuta - art. 3, sessantunesimo comma della legge 24 dicembre 1993, n. 537 - secondo cui "l'art. 1 della legge 22 giugno 1988, n. 221 si interpreta nel senso che il riferimento all'indennita' di cui all'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, e' da considerare relativo alle misure vigenti alla data del 1 gennaio 1988, espressamente richiamata dalla disposizione stessa". Dopo aver menzionato le ulteriori conferme alla propria tesi manifestatesi in sede giurisprudenziale (Cons. Stato, sez. quarta 22 ottobre 1993, n. 923) immediatamente prima dell'avvento di tale nuova normativa, i ricorrenti passano ad evidenziarne i seguenti profili di incostituzionalita': 1. - Violazione del diritto di difesa e degli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, in quanto il giudice investito della causa sarebbe retroattivamente espropriato delle proprie prerogative. 2. - Violazione del principio di irretroattivita' della legge nonche' di parita' di trattamento tra quanti hanno visto definito il proprio gravame prima dell'entrata in vigore della legge 537/1993 e coloro la cui controversia e' ancora pendente. 3. - Violazione del principio di uguaglianza, sotto il profilo della disparita' di trattamento tra personale c.d. "togato" e "non togato". 4. - Violazione del diritto alla retribuzione ex art. 36 della Costituzione, stante la natura reddituale dell'indennita' in questione. 5. - Violazione del principio di ragionevolezza, per irrazionalita' intrinseca delle disposizioni censurate e per eccesso di potere legislativo, ponendosi la norma de qua in conflitto con le precedenti norme che hanno introdotto l'indennita' in questione. Resiste al ricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri che con memoria del 26 marzo 1994 contesta la fondatezza del gravame, richiamandosi tra l'altro al menzionato art. 3, sessantunesimo comma della legge n. 537/1993. D I R I T T O 1. - Il collegio rileva preliminarmente che di una controversia assolutamente identica alla presente (ricorso coevo di dipendenti del T.A.R. Toscana; impugnativa di nota in pari data del Presidente del Consiglio di Stato antecedente di un solo numero di protocollo; analogia delle censure dedotte e prospettazione della questione di costituzionalita' dell'art. 1 - recte 3 - sessantunesimo comma della legge n. 537/1993) ha avuto modo di occuparsi recentemente il T.A.R. Toscana (udienza dell'8 febbraio 1994). In quella circostanza il giudice amministrativo e' giunto alla conclusione (cfr. ordinanza n. 243/1994): a) che la prospettata questione di costituzionalita' fosse rilevante per la decisione del ricorso, in quanto dal contenuto precettivo della norma de qua per un arco temporale coincidente con la vicenda contenziosa all'esame deriverebbe la reiezione del ricorso, avendo il legislatore imposto d'autorita' un'interpretazione autentica contraria all'orientamento giurisprudenziale favorevole invece ai ricorrenti; b) che la medesima questione fosse altresi' non manifestamente infondata sotto diversi profili e precisamente: violazione dei principi costituzionali posti dagli artt. 24, 102, 103, primo comma, 104, 108 e 113, in quanto mediante la norma interpretativa in peius il legislatore avrebbe inteso interrompere la giurisprudenza concorde in senso contrario "usando delle sue prerogative di interprete d'autorita' del diritto" (cfr. Corte costituzionale 10 aprile 1987, n. 123), con conseguente interferenza sull'indipendenza ed autonomia della giurisdizione amministrativa; illegittimita' dell'effetto retroattivo della norma, vertendosi in matera di diritti di natura economica connessi al rapporto di pubblico impiego (richiamo alla sentenza Corte costituzionale n. 6/1994); contrasto con il principio di buon andamento ex art. 97, risultando vanificato lo scopo originario dell'attribuzione dell'indennita' al personale "non togato" e consistente nel riconoscimento di un contributo alla realizzazione del servizio giustizia analogo a quello reso dal personale "togato"; violazione dei principi di uguaglianza ex art. 3 e di proporzionalita' della retribuzione ex art. 36, in ragione della natura sostanzialmente retributiva dell'indennita'. 2. - Ulteriori argomenti per dubitare della costituzionalita' della norma de qua sono stati altresi' offerti sempre di recente da una pronuncia dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato (21 febbraio 1994 n. 4) concernente altra norma legislativa di interpretazione autentica sempre in materia di pubblico impiego (art. 13 della legge 23 dicembre 1992, n. 498): in tale circostanza l'adunanza plenaria ha infatti riaffermato - pur con riferimento a sentenza amministrativa passata in giudicato - che tale funzione di c.d. interpretazione legislativa autentica incontra limiti nelle singole disposizioni costituzionali e nei fondamentali principi dell'ordinamento, quali la garanzia costituzionale della tutela giurisprudenziale dei diritti e degli interessi (artt. 24 e 113 della Costituzione) e l'autonomia e l'indipendenza della magistratura da ogni altro potere (101 e 104 della Costituzione). 3. - Stante la condivisibilita' di tali considerazioni generali e di quelle piu' specificamente pertinenti alla presente controversia formulate dal T.A.R. Toscana nella citata ordinanza n. 243/1994, il collegio ritiene che l'art. 3, sessantunesimo comma della legge 24 dicembre 1993, n. 537 vada sottoposto al giudizio della Corte costituzionale sotto i profili indicati al precedente numero 1 bub b), essendo in tali termini la questione rilevante ai fini della decisione del presente giudizio ed altresi' non manifestamente infondata. In attesa della relativa pronuncia il processo deve essere sospeso.