IL PRETORE Alla pubblica udienza del 22 gennaio 1994 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente ordinanza nei confronti di Mega Vincenzo, nato in Leverano il 18 dicembre 1957, ivi residente in via Giordano, 61, imputato della contravvenzione p.e.p. dell'art. 718 del c.p. per avere, quale gestore del circolo "club Juventus", tenuto un giuoco d'azzardo, consentendo all'interno dello stesso circolo, di svolgere il giuoco della "stoppa". Acc. in Leverano il 3 dicembre 1991. F A T T O Con decreto in data 9 novembre 1993, il sost. procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Lecce disponeva il rinvio a giudizio, dinanzi a questa sezione distaccata di pretura, di Mega Vincenzo da Leverano per rispondere del reato di cui in epigrafe. Al dibattimento del 22 gennaio 1994 veniva escusso il teste verbalizzante, appuntato dei carabinieri di Leverano, il quale confermava i fatti e, richiesto sulle caratteristiche del giuoco praticato nel "club Juventus", nel mese di dicembre 1991, dichiarava di non essere in grado di stabilire le modalita' del giuoco ("stoppa") e, quindi, neppure se somigliasse al "poker" e, tantomeno, sulla base dell'art. 721 cod. pen., se avesse gli elementi essenziali del giuoco d'azzardo e cioe' il ricorrere del fine di lucro, con la vincita o la perdita interamente o quasi aleatoria; comunque, non era incluso nella tabella dei giuochi proibiti ex art. 110 legge p.s. Ritirandosi in camera di consiglio, questo pretore, con ordinanza il cui dispositivo veniva letto in udienza, sollevava di ufficio questione di costituzionalita' dell'art. 721 del c.p., nella parte in cui prescrive che gli elementi essenziali del giuoco d'azzardo e, particolarmente, il fine di lucro e la vincita o la perdita interamente o quasi interamente aleatoria debbano essere valutati e determinati dal giudice penale competente e non preventivamente stabiliti dal legislatore o da autorita' da lui delegata con inserimento, nella tabella di cui all'art. 110 testo unico della legge di P.S., di tutti i giuochi che sono da ritenersi di azzardo, con criteri di politica penale stabiliti dallo stesso legislatore, limitandosi il giudice penale ad accertare la commissione del fatto- reato per la violazione dell'art. 110 suddetto, con riferimento agli artt. 101 secondo comma, 3, 24 e 25 secondo comma della Costituzione italiana. Sollevava, altresi', di ufficio, questione di costituzionalita' degli artt. 718 e segg. c.p. con riferimento agli artt. 3 e 24, della Costituzione italiana per quanto concerne la deroga delle norme penali anzidette, con possibilita' di istituire casino', e autorizzare giuochi varii, come quello del lotto, le varie lotterie ecc., ove si pratica anche il giuoco d'azzardo, per i seguenti motivi in: D I R I T T O Per quanto concerne la prima questione, il giudicante, oltre che tener presente quanto disposto dall'art. 721, relativamente ai "requisiti essenziali del giuoco d'azzardo", ritiene necessario evidenziare che la Corte di Cassazione, proprio con riferimento al giuoco della "stoppa" per cui e' procedimento, - anche se con sentenza non molto recente - ebbe a statuire che: "detto giuoco che non e' incluso nell'elenco dei giuochi di azzardo e di quelli proibiti prescritti dall'art. 110 t.u. leggi di p.s. - valutato nel suo complesso, nell'economia cioe' totale del giuoco, e non limitatamente alla prima fase di esso nella quale potrebbe ritenersi prevalente l'alea in quanto il punteggio viene determinato dalla pura e semplice distribuzione delle tre carte di volta in volta ricevute - non e' giuoco di azzardo perche' all'esito di esso partecipa in maniera predominante e determinante l'abilita' del giocatore" (sez. IV, 7 marzo 1970, n. 580, Rosati, in cass. pen. mass. amm. 1971, 1034). Molto piu' recentemente, la stessa Corte di cassazione, a sezioni unite penali, ha stabilito che "il giuoco delle tre carte e gli altri giuochi similari (tre tavolette, tre piastrelle e tre campanelli) non costituiscono giuochi d'azzardo, ma di abilita', in quanto la vincita e la perdita non sono determinati dal caso ma dalla capacita' dei giocatori". Conseguentemente ha annullato, senza rinvio e su difforme conclusione del Procuratore generale, la sentenza 28 maggio 1990, con la quale il pretore di Roma applicava, su richiesta delle parti, la pena di un mese e dieci giorni di arresto e L. 400.000 di ammenda a Gloria Adriano, imputato del reato di cui all'art. 718 cod. pen., per aver, in Roma, il 14 dicembre 1889, tenuto in luogo pubblico il giuoco d'azzardo denominato delle "tre carte", con la seguente motivazione che, per compiutezza d'indagine, si ritiene necessario riportare integralmente: "omissis .. questa Corte, riunita a sezione unite, e' chiamata a risolvere un duplice problema: 1) se il giuoco delle tre carte debba ricomprendersi tra quelli d'azzardo; 2) se nell'esercizio di tale giuoco sia da ravvisarsi, invece, il delitto di truffa. In ordine alla prima questione, va premesso che la nozione del giuoco d'azzardo e' data dall'art. 721 del c.p., il quale stabilisce che sono tali quelli in cui ricorre il fine di lucro e la vincita o la perdita e' interamente o quasi interamente aleatoria. Per aversi giuoco d'azzardo e' quindi necessario il concorso di due requisiti, l'uno di carattere oggettivo e cioe' l'intera o quasi intera aleatorieta' della vincita o della perdita, inerenti al giuoco stesso, l'altro di carattere soggettivo e cioe' il fine di lucro delle persone partecipanti ed interessate. Pertanto, in relazione all'elemento oggettivo - che e' quello che qui interessa - per la sussistenza del giuoco d'azzardo non e' necessaria l'aleatorieta' assoluta ma e' sufficiente che la vincita o la perdita dipenda quasi interamente dalla sorte. Per lungo tempo le sezioni semplici di questa Corte hanno uniformemente ritenuto che il giuoco delle tre carte (come quelli similari delle tre tavolette, delle tre piastrelle e dei tre campanelli) fosse da inquadrarsi tra i giuochi d'azzardo. In tali decisioni e' stato, in sostanza, posto in rilievo che l'abilita' di chi partecipa al giuoco riveste un ruolo minimo rispetto alla fortuna, soprattutto per la destrezza di chi tiene il giuoco, il quale, mediante l'abile manipolazione delle carte, rende quasi del tutto aleatoria la vincita del partecipante al giuoco medesimo (vedansi, tra le altre, Cass. 12 maggio 1958, Palmisano, Foro it. rep. 1958, voce Giuoco proibito, n. 4; 26 gennaio 1961, Ciccarelli, id., Rep. 1961, voce cit., nn. 3, 17; 20 febbraio 1973, Podda, id., rep. 1973, voce cit., n. 5; 6 dicembre 1976, Doria, id., rep. 1977, voce cit., n. 3; 27 febbraio 1980, Laurino, id., rep. 1981, voce cit., n. 1; 21 marzo 1984, Capello, id., rep. 1985, voce cit., n. 4; 16 gennaio 1985, Torre, id., rep. 1986, voce cit., n. 27; 18 febbraio 1985, Melillo, ibid., n. 23; 5 marzo 1985, (Gloria, ibid., n. 28; 3 aprile 1985, Arena, ibid., n. 21; 22 aprile 1985, Pellegrino, ibid., n. 26; 18 novembre 1985, Torte, ibid., n. 24; 19 novembre 1985, Cavaliere, ibid., n. 22; 20 novembre 1985, Ruffino, id., rep. 1987, voce cit., n. l6; 13 ottobre 1986, Aloi, ibid., n. 17). A tale orientamento si e' recentemente contrapposto quello secondo il quale il giuoco in questione non e' da considerarsi d'azzardo, essendo la vincita o la perdita determinata non dall'alea, ma, da un lato, dall'abilita' e dalla destrezza del conduttore e, dall'altro, dallo spirito di osservazione e dalla prontezza di riflessi del giocatore (vedansi Cass. 12 novembre 1985, Civita, id., rep. 1987, voce cit., n. 18; 18 giugno 1985, Li Calzi, id., 1986, II, 274; 13 novembre 1985, Melillo, id., rep. 1986, voce cit., n. 29). Dell'esame della questione furono gia' investite queste sezioni unite, le quali, pero', essendo sopravvenuta l'amnistia, si limitarono, con la sentenza n. 3 del 23 maggio 1987, a pronunciare la relativa declaratoria osservando che non era applicabile l'art. 152, cpv., c.p.p. del 1930, in quanto la proposta questione comportava l'approfondimento non soltanto dei punti delle decisioni di questa Corte che di recente, escludendo che il giuoco possa essere considerato d'azzardo, hanno modificato la giurisprudenza di gran lunga prevalente, ma anche delle manifestazioni del comportamento di colui che tiene il giuoco. Cio' premesso, queste sezioni unite, valutate le opposte argomentazioni, ritengono di condividere, con le opportune precisazioni l'orientamento piu' recente. E' nozione comune che alcuni giuochi possono senz'altro definirsi di azzardo oppure di abilita'. Trattasi di quei giuochi nei quali, ai fini del risultato, e' assolutamente preponderante il caso fortuito ed insignificante la perizia del giocatore (es. lotteria) oppure e' assolutamente preponderante l'abilita' del giocatore ed insignificante la fortuna (es. scacchi). In altri giuochi, invece, l'esito e' dovuto tanto al fortuito quanto all'abilita' dei giocatore. Per stabilire allora se la vincita o la perdita siano affidate quasi interamente alla sorte, devesi in tali casi valutare il reciproco rapporto dei detti elementi. Al riguardo puo' affermarsi che se la perizia del giocatore concorre con l'alea in misura uguale o quasi uguale, il giuoco non puo' considerarsi di azzardo; il giuoco deve invece considerarsi tale tutte le volte in cui l'abilita' dei partecipanti al giuoco ha una importanza minima. Orbene, la sola considerazione che, secondo la giurisprudenza prevalente, il giuoco e' fortemente caratterizzato dall'abilita' del tenitore (la quale, pertanto, riveste un ruolo di notevole importanza) gia' scredita la tesi sostenuta. Perche', infatti, un giuoco possa considerarsi d'azzardo la vincita o la perdita deve essere aleatoria o quasi aleatoria per tutti coloro che vi partecipano (conduttore compreso) e non solo per alcuni dei giocatori; pertanto, per tutti e non solo per alcuni il concorso dell'abilita' deve essere minimo. Quanto sopra consente di anticipare che il giuoco delle tre carte (e quelli analoghi di cui si e' detto in precedenza) non rientra nella categoria dei giuochi d'azzardo; esso e' soprattutto un giuoco di abilita' e l'incidenza della sorte riveste un ruolo di minino rilievo. Ed invero, posto che il caso fortuito da cui dipende il vincere o il perdere costituisce il requisito oggettivo del giuoco d'azzardo, l'aleatorieta' dei giuochi vietati dall'art. 718 c.p. deve essere valutata oggettivamente sulla base della natura e delle regole del giuoco e non gia' in relazione alla perizia e all'esperienza delle persone che vi partecipano. E' noto che, da un lato, il conduttore esegue, con abilita' e destrezza che sfiorano la vera e propria prestidigitazione, una serie continua e rapida di spostamenti ed inversioni delle carte, mentre, dall'altro, il giocatore segue con estrema attenzione il movimento delle carte al fine di individuare quella vincente; in sostanza quest'ultimo, nel momento in cui punta, non si affida alla sorte, ma ritiene di essere riuscito a seguire i vari movimenti effettuati dall'avversario. La vincita o la perdita non dipendono quindi ne' esclusivamente ne' prevalentemente dal fortuito, ma sono direttamente ed essenzialmente collegate alle capacita' prestidigitatorie di chi esegue il giuoco, frutto di abilita' e destrezza, ed allo spirito di osservazione e alla prontezza percettiva di chi effettua la puntata. Trattasi, in sostanza, di uno scontro tra opposte attivita', nel quale, cioe', risulta vincitore non il piu' fortunato ma il piu' abile, anche se la vittoria non e' esente da un ristretto margine di fortuito. Va, poi, osservato che, nei casi in cui la vincita o la perdita dipende esclusivamente o prevalentemente dall'abilita' individuale, il giuoco non diviene d'azzardo soltanto perche' ad esso partecipi una persona inesperta e costretta percio' ad affidarsi al caso oppure una persona dotata di eccezionale perizia. Come sopra si e' detto, l'elemento del fortuito deve essere considerato obiettivamente; esso va, pertanto, desunto dalle regole che governano il giuoco e non dal concreto grado di abilita' dei giocatori. Deve quindi sul punto concludersi che il giuoco delle tre carte (come quelli similari delle tre tavolette, delle tre piastrelle e dei tre campanelli) non costituisce giuoco d'azzardo. Per quanto attiene alla seconda questione, questa Corte ha gia' avuto occasione di affermare che il giuoco delle tre carte e quelli similari non realizzano, di per se', il reato di truffa (cass. 23 settembre 1985, Galante, id., 1986, Il, 273) e che tale figura criminosa puo' ricorrere qualora il tenitore del giuoco ponga in essere un attivita' ulteriore, di carattere fraudolento, nel qual caso un siffatto comportamento integra il delitto di cui all'art. 640 c.p. (cass. 27 febbraio 1985, Vecchiola, id., rep. 1986, voce cit., n. 31; 12 novembre 1985, Civita, cit.). Non ritengono queste sezioni unite di doversi discostare dalla soluzione che al problema hanno dato le sezioni semplici. Ed invero, l'esercizio del giuoco nei sensi sopra precisati non raggiunge le connotazioni del comportamento fraudolento. A diversa conclusione deve, invece, pervenirsi allorquando, all'abilita' e alla destrezza di chi esegue il giuoco, si aggiunga una fraudolenta attivita' del medesimo. Come nel caso in cui egli faccia vincere il giocatore una prima volta per indurlo a raddoppiare la posta ed ingannarlo nei successivi turni di giuoco oppure si avvalgano di "compari" che, distraendo il giocatore, consentono al tenitore di spostare all'ultimo momento le carte o che, fingendosi accaniti giocatori, puntano con alterne vicende, in modo da ingenerare nello spettatore la convinzione di trovarsi di fronte ad un giuoco al quale si puo' facilmente vincere. In questi casi e in tutti gli altri in cui vengono posti in essere trucchi ed artifici per volgere a proprio profitto l'esito del giuoco, le manovre ingannevoli si aggiungono al normale esercizio del giuoco e danno luogo ad una attivita' criminosa che realizza gli estremi del delitto previsto e punito dall'art. 640 c.p.. Pertanto, poiche' dalla contestazione di accusa non risulta che, nella specie siano stati posti in essere atti truffaldini, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio. Va precisato, infine, che l'esercizio del giuoco in questione configura l'ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 723 c.p., qualora il giuoco stesso sia stato incluso dalla competente autorita' di polizia tra i giuochi non d'azzardo vietati (sentenza 18 giugno 1991). Pur al cospetto di tale autorevole orientamento giurisdizionale proveniente da una recente sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite penali, il giudicante non puo' sottrarsi al suo compito istituzionale di cui all'art. 101 della Costituzione, nonche' all'art. l della legge costituzionale, 9 febbraio 1948, n. 1 ed all'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, essendo, a suo parere, doveroso (anche se, in un certo senso, piu' "oneroso"), "qualora il giudizio non possa esser definito indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimita' costituzionale" (come nel caso di specie, per quanto si dira' appresso) e non ritenga che la questione sia manifestamente infondata, sollevarla di ufficio, ex art. 23 primo, secondo e terzo comma della gia' citata legge n. 87 del 1953. Orbene, gia' i notevoli e forse esasperati contrasti giurisprudenziali, sia pure, relativamente ad alcuni giuochi piu' frequenti e, quindi, piu' conosciuti - sino al punto da dover far intervenire le sezioni unite, penali con la sentenza gia' riportata, - induce il giudicante ad una necessaria riflessione, che, pero', non e' determinata soltanto da detti contrasti, rinvenibili anche per altre situazioni, normalmente, di maggior importanza e di notevole spessore in ogni senso. Cio' che, invece, lo lascia davvero perplesso, proprio sulla base delle affermazioni contenute nelle motivazioni sopra riportate, e' che, a prescindere dal condividere o meno le varie conclusioni cui la giurisprudenza e' pervenuta in relazione ad alcuni giuochi, si pronuncia una sentenza o di condanna o di assoluzione per il reato di giuoco d'azzardo sulla base di una presumibile conoscenza del giuoco da parte del giudice, al quale l'art. 721 del cod. pen. devolve il compito di accertare gli "elementi essenziali del giuoco d'azzardo", gia' indicati. Naturalmente, per alcuni del notevole numero dei giuochi eseguiti con le carte, e' sufficiente il "notorio" per addentrarsi nella pur sempre delicata e difficoltosa indagine in ordine sia "al fine di lucro" e sia alla "vincita o alla perdita interamente o quasi interamente aleatoria". Per altri di detti giuochi sopperisce, in un certo modo, l'indicazione nella tabella da esporre nei pubblici locali ex artt. 110 t.u.p.s. e 195 del regolamento dello stesso testo; anche se, secondo quanto affermato dalla Corte di cassazione (Sez. 111, del 10 novembre 1985, n. 10832) - che si ritiene di condividere perche' aderente alla lettera ed alla ratio legis: "l'art. 721 cod. pen. deferisce al giudice la qualificazione del giuoco d'azzardo nei suoi elementi essenziali - gia' piu' volte indicati - a nulla rilevando che il giuoco non sia inserito negli elenchi formati dall'autorita' ai sensi dell'art. 10 del t.u.p.s., concernenti la tabella da esporre nei locali pubblici, in cui sono indicati i giuochi d'azzardo e quelli che l'autorita' ritenga da vietare. Solo per questi ultimi, per quelli cioe' non d'azzardo e proibiti dell'autorita', puniti ai sensi dell'art. 732 del cod. pen. la determinazione della autorita' e' vincolante per il giudice". Rimane, conseguentemente, una notevole quantita' di giuochi, che anche se frequenti, non sono conosciuti e, quindi, comportano un'indagine caso per caso devoluta al giudice per stabilire, non solo il tipo di giuoco, ma anche se trattasi o meno di giuoco d'azzardo con le caratteristiche delineate dall'art. 721 del c.p. Per detti ultimi giuochi, sembra evidente l'assoluta necessita' che il giudice conosca. le precise modalita' di svolgimento degli stessi ed, all'uopo, si e' del parere che non rilevi se egli ne sia edotto o meno a livello personale (tra l'altro, presumendosi che, se il giuoco da esaminare risultasse d'azzardo, potrebbe trovarsi in profonda imbarazzo nel descriverlo se vi avesse addirittura partecipato; e non soltanto se vi avesse assistito, integrando, magari, con eventuali pubblicazioni specifiche, tale sua conoscenza. Ritiene il giudicante, invece, che in questi ultimi casi, l'unica corretta soluzione ai fini probatori non potrebbe che essere una perizia tecnica - o chiarimenti di un esperto in materia - al fine di una precisa e puntuale descrizione del giuoco per porre il giudice in condizioni di valutare adeguata mente e pronunciarsi sulla esistenza dei presupposti essenziali di cui si e' fatto molte volte cenno, con riferimento all'art. 721 del c.p. Orbene, anche per il caso in esame, il giudicante, (specie in considerazione del precedente specifico esaminato dalla Corte di cassazione con la gia' richiamata sentenza del 7 marzo n. 580, nella cui motivazione, pero', non emerge in che modo, in quell'occasione, erano state accertate le modalita' del giuoco della "stoppa" per giungere ad un risultato negativo sulle caratteristiche di giuoco d'azzardo ha avuto, ad onor del vero, notevoli perplessita', ma, anche, altrettanto difficolta' per il mezzo istruttorio sopra indicato, in quanto, non essendo lui assolutamente esperto in materia, non riusci', nonostante numerosi tentativi a rinvenire periti o esperti per illustrare adeguatamente le caratteristiche del giuoco in esame: ne' sembro' serio ricorrere ad un esperimento giudiziale in udienza ex artt. 218 e 219 del c.p.p.; anche perche', stante la mancata conoscenza del giuoco da parte di esso giudicante, dei difensori e del p.m. d'udienza, a ben poco sarebbe servito tale espediente, per evidenti ragioni. Ecco perche' il medesimo giudicante ritiene che l'esasperato contrasto giurisprudenziale in tema (come puo' chiaramente desumersi dalle decisioni della Corte di legittimita', non a caso riportata integralmente, per consentire all'interprete di rendersi conto di quanto - forse piu' teoricamente che concretamente - gli elementi essenziali di cui all'art. 721 del c.p. siano stati riconosciuti o disconosciuti; in particolare, vedansi le differenti conclusioni sulle caratteristiche della aleatorieta' del giuoco delle "tre carte"), abbia le sue radici nella scelta del legislatore di devolvere al giudice (senza, peraltro, la possibilita' di un ausilio di esperti, per quanto si e' detto, in ordine alla conoscenza di una buona parte di giuochi a carte, non molto noti o, comunque, tali, per la loro complessita', da sfuggire al notorio, la qualificazione del giuoco d'azzardo nei suoi elementi essenziali, con formule, oggettivamente, troppo ampie. Mentre, a parere di questo pretore, leggendo con attenzione quanto stabilito dall'art. 721 c.p. - piu' volte richiamato - e tenuto adeguatamente conto dei mutati costumi dell'odierna societa' e delle sue evoluzioni (o involuzioni anche in questo settore (e cio' difficilmente puo' disconoscersi, per quanto concerne il "fine di lucro" e la "vincita o la perdita interamente o quasi interamente aleatoria", onde evitare anche vero e proprio spreco di giurisdizione (per un reato il cui bene giuridico e', senza dubbio, da tutelare, ma che non assurge certamente alla collocazione nell'ambito di delitti, sicuramente molto piu' aggressivi dell'incolumita' fisica e del patrimonio - specie nella nostra epoca) lo stesso legislatore dovrebbe essere tenuto a stabilire, con criteri di insindacabile politica penale e con una piu' agevole attivita' nella sua sede, quali giuochi a carte o similari debbano, in quest'epoca, considerarsi d'azzardo, inserendoli, con adeguate descrizioni nelle tabelle di cui agli artt. 110 del t.u.p.s. e 195 del regolamento; vincolando, con tale indicazione, il giudice (cosi' come avviene per i giuochi non d'azzardo, ma proibiti dall'autorita': ved. sent. 10 novembre 1985 gia' richiamato, limitandolo all'accertamento in concreto del reato ed all'applicazione della pena per violazione dell'art. 110 t.u.p.s. Cio', a parere del giudicante, non esprime soltanto un sommesso suggerimento - peraltro non molto ortodosso in questa sede - ma lo induce a ritenere che sic stantibus rebus la persistenza della disciplina vigente in tema possa determinare conseguenzialmente questione di legittimita' costituzionale non manifestamente infondata dell'art. 721 cod. pen. per violazione degli artt. 101 secondo comma (soggezione del giudice soltanto alla legge), 3 (disparita' di trattamento pur al cospetto di analoghe situazioni), 24 (pregiudizio della tutela dei propri diritti e del diritto di difesa), 25 secondo comma (principio di tassativita') della Costituzione italiana, sulla base di quanto sopra evidenziato. Anche se non connessa - ma non priva di collegamenti - appare al giudicante l'altra questione di legittimita' costituzionale che puo' desumersi dall'esame del dispositivo di questa ordinanza, letto in udienza. All'uopo, occorre rammentare quanto deciso da questa Corte costituzionale che, giri con sentenza del 4 maggio 1972, n. 122, dichiaro' infondata la questione di costituzionalita' degli artt. 718, primo comma e 720 primo comma del cod. pen., che incriminano l'esercizio dei giuochi d'azzardo e la partecipazione ai medesimi sebbene tali attivita' siano consentite in alcune localita' italiane, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, affermando, nella motivazione della sentenza, che "nel rapporto tra norme generali e norme derogatorie, questioni di legittimita' costituzionale per violazione del principio di eguaglianza, sotto l'uno o l'altro degli aspetti cui fanno riferimento il primo e secondo comma dell'art. 3 della Costituzione, possono eventualmente sorgere soltanto in ordine a queste ultime, e non alle prime, che dettano la disciplina comune a tutti i cittadini". Con successiva ordinanza del 19 giugno 1973, n. 90, la stessa Corte, decidendo sull'ordinanza proposta dal pretore di Sanpierdarena il 20 giugno 1972, dichiarava: "E' inammissibile, perche' non rilevante rispetto alla definizione di un processo penale a carico di persone imputate dei reati previsti dagli artt. 718 e 720 cod. pen., la questione di costituzionalita' del r.d.l. 22 dicembre 1927 n. 2448, convertito in legge 27 dicembre 1928 n. 3125, del r.d.l. 2 marzo 1933 n. 201, convertito in legge 8 marzo 1933 n. 505, e del r.d.l. 16 luglio 1936 n. 1404, convertito in legge 14 gennaio 1937 n. 62, che consentono l'organizzazione e la partecipazione al giuoco d'azzardo nelle case da giuoco di Sanremo, Campione d'Italia e Venezia, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 76 della Costituzione; e manifestamente infondata la questione di costituzionalita' degli artt. 718 e 720 cod. pen., che incriminano l'esercizio dei giuochi d'azzardo e la partecipazione ai medesimi, sebbene tali attivita' siano consentite in alcune localita' italiane (gia' dichiarata infondata con la sentenza n. 80 del 1972), in riferimento all'art. 3 della Costituzione". Ancor dopo, con sentenza del 23 maggio 1985 n. 152, il giudice delle leggi dichiarava: "inammissibili, per difetto di motivazione sulla rilevanza, le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, primo comma, r.d.l. 22 dicembre 1927 n. 2448 e relativa legge di conversione 27 dicembre 1928 n. 3125, nella parte in cui concede al Ministro dell'interno la facolta' di autorizzare il comune di Sanremo, in deroga alle leggi vigenti, ad adottare tutte le misure necessarie per sanare il proprio bilancio e provvedere all'esecuzione di opere pubbliche indilazionabili, mediante l'istituzione di una casa da giuoco, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, secondo comma, 70 e 76 della Costituzione, e in fondata - per l'esistenza di numerose ragioni giustificatrici la deroga all'applicazione delle disposizioni penali sul giuoco d'azzardo (quali l'esigenza di disincentivare il flusso di cittadini italiani verso case da giuoco aperte in Stati confinanti, nonche' di sovvenire alle finanze di comuni particolarmente qualificati dal punto di vista turistico e caratterizzati da situazioni di dissesto finanziario) - la questione di legittimita' costituzionale delle legge 3 novembre 1954 n. 1042, 29 novembre 1955 n. 1179, 18 febbraio 1963 n. 67, 6 dicembre 1971 n. 1065 e 26 novembre 1981 n. 690, nella parte in cui consentono la gestione in forma organizzata del giuoco d'azzardo nel casino' di St. Vincent, in riferimento all'art. 3 della Costituzione. Nella motivazione di quest'ultima sentenza, leggesi, tra l'altro: "omissis .. in realta' non mancano per ciascuna deroga disposta dal legislatore ragioni giustificative della sottrazione di ipotesi di specie alla disciplina delle ipotesi di genere: accanto a quella piu' generale di disincentivazionedell'afflusso di cittadini italiani a case da giuoco aperte in Stati confinanti nelle zone prossime alla frontiera, si pone quella piu' particolare di sovvenire alle finanze di comuni o regioni ritenute dal legislatore particolarmente qualificate dal punto di vista turistico e dalla situazione di dissesto finanziario. La circostanza che altri comuni o regioni si trovino o potrebbero trovarsi in condizioni analoghe a quelle dei comuni o della regione a statuto speciale finora considerati dal legislatore non concreta di per se' sola e hic et nunc lesione dell'art. 3 della Costituzione. E cio' tanto piu' in quanto dalla lamentata circostanza (cioe' dalla censurata omissione del legislatore) non possono trarsi conseguenze di automatica estensione. Orbene, il giudicante non puo' che prendere atto di quanto fatto rilevare dal giudice delle leggi, permettendosi soltanto di segnalare allo stesso la necessita' di valutare una piu' moderna ottica legislativa tendente a riconsiderare la giustificazione delle varie lotterie, casino' o case da giuoco autorizzate - sia pure per le esigenze indicate dalla stessa Corte nella sentenza n. 152 del 1985 - e, di converso, le ben note gravissime conseguenze derivanti dagli stessi, nelle cui sedi si svolgono buona parte dei giuochi d'azzardo e proibiti previsti dalla tabella ex art. 110 legge di p.s. ("cammino di ferro", "roulette", "slot-machine", ecc.), non venendo meno, in tali casi, le ragioni che la medesima Corte, nella sentenza n. 12/1970, ebbe a evidenziare in relazione agli apparecchi o congegni da giuoco, e, cioe', la necessita' di scoraggiare i cittadini ed, in particolare, i giovani a dar vita a situazioni o comportamenti (perdita di tempo e di denaro, dedizione all'ozio, vita in comune con persone disponibili anche per attivita' moralmente e socialmente riprovevoli, ecc.), non del tutto compatibili con il rispetto della stessa dignita' umana. E se e' vero, come ha detto la Corte costituzionale, che la norma generale in sede penale, estesa a tutti i cittadini, puo' essere derogata dal legislatore, anche implicitamente, a parere del giudicante, tutta la normativa relativa alle istituzioni di casino', case da giuoco, lotterie e simili, in considerazione di quanto sopra si e' evidenziato, merita una rivisitazione, laddove, (anche in coerenza con le motivazioni espresse per l'altra questione di costituzionalita', sollevata con questa stessa ordinanza) finisca, sostanzialmente col tradursi in un'evidente diseguaglianza dei cittadini davanti alla legge in sede penale, con palese violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione italiana, oltreche' in una "irragionevolezza" contrastante con il buon senso e la coscienza comune. In definitiva, dovrebbe evitarsi una notevole disparita' di trattamento tra coloro i quali gestiscono le suddette case da giuoco, nonche' lotterie o scommesse autorizzate - anche in numerose trasmissioni televisive pubbliche e private, con attivita' identica ai giuochi d'azzardo e, comunque proibiti, tutti esenti da pena, nei confronti di cittadini i quali, invece, pur esplicando la stessa attivita', sono sottoposti a sanzioni penali di notevole spessore. Nonostante le. mutate caratteristiche e i differenti costumi dell'attuale societa' (purtroppo eccessivamente consumista), anche nell'ambito dei giuochi, che, ormai, pur se d'azzardo o proibiti, si svolgono normalmente in case private o in circoli dopolavoristici e pseudoculturali (realta' sociale, non facilmente condivisibile, ma di cui, sia pure a malincuore, occorre prendere atto, specie allorquando trattasi di sanzioni penali). Pertanto, il giudicante solleva di ufficio, perche' non manifestamente infondata, la questione di costituzionalita' degli artt. 718 e segg. correlati a tutta la normativa che consente l'istituzione di casino' ecc. autorizzati, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione italiana per quanto concerne la deroga delle norme penali anzidette, con possibilita' di istituire casino', e autorizzare giuochi varii come quello del lotto, varie lotterie ecc., ove si pratica anche il giuoco d'azzardo. La rilevanza delle questioni sollevate. a parere del giudicante e' in re ipsa, in quanto, l'eventuale accoglimento delle stesse da parte dell'on. Corte, comporterebbe effetti incidenti sulla sussistenza o meno del reato contestato all'imputato.