IL TRIBUNALE
   A scioglimento della riserva dispone quanto segue:
                             O s s e r v a
   La norma di cui all'art. 68, secondo comma, del  d.P.R.  5  gennaio
 1950,  n.  180  (testo  unico  del sequestro, pignoramento e cessione
 degli stipendi, salari e  pensioni  dei  dipendenti  dalle  pubbliche
 amministrazioni)   prevede  che,  qualora  all'eseguito  pignoramento
 preesista una cessione del credito da parte del  debitore  esecutato,
 si  possa  pignorare  soltanto  la  differenza  tra  la  meta'  dello
 stipendio del debitore sottoposto ad esecuzione e la quota ceduta.
   L'indicazione da parte del legislatore  del  predetto  limite  alla
 pignorabilita'  dello  stipendio  denota  ed  esplicita  la possibile
 coesistenza tra la cessione del credito del dipendente sottoposto  ad
 esecuzione   e   l'attribuzione   al   creditore  pignorante  di  una
 determinata quota dello stipendio del proprio debitore (a condizione,
 ovviamente, che non venga superato il predetto limite di cui all'art.
 68, secondo comma, del d.P.R. n. 180/1950).
   La predetta coesistenza, espressamente prevista dal legislatore per
 il settore della dipendenza pubblica, non pare ricavarsi nel medesimo
 campo del lavoro dipendente  privato:  sussistono,  infatti,  precisi
 elementi  testuali  per  ritenere  inammissibile  la  coesistenza tra
 cessione  dello  stipendio  e  la  attribuzione di parte del medesimo
 stipendio al creditore in executivis.
   Il limite  del  quinto  dello  stipendio  cioe'  (previsto  in  via
 generale  per  l'impiego  privato  dall'art.  545,  comma  4, c.p.c.)
 costituisce la percentuale  massima  di  retribuzione  che  puo'  non
 essere  attribuita  al  lavoratore, per essere distratta in favore di
 altro soggetto (creditore esecutante nel  caso  di  preesistenza  del
 pignoramento; soggetto  cessionario nell'eventualita' di preesistenza
 della cessione del credito).
   Depongono   per   tale   conclusione  (opponibilita'  al  creditore
 esecutante  di  una  cessione  del  credito  preesistente  all'inizio
 dell'esecuzione   e,   quindi,   inammissibilita'  di  una  possibile
 coesistenza tra i predetti istituti - pignorarnento  e  cessione  del
 credito  -  ove venga superata la richiamata percentuale di un quinto
 dello stipendio) gli artt.  547, comma 2 c.p.c. e 2914, n. 2 c.c.
   Opinare diversamente, infatti, costringerebbe l'interprete  a  vani
 sforzi  per  attribuire  un  senso compiuto alla norma che prevede in
 capo  al  terzo  pignorato  l'obbligo  di   specificare   l'eventuale
 sussistenza di cessioni del credito notificategli (art. 547, comma 2,
 c.p.c.)    e a quella che sancisce l'inefficacia - in pregiudizio del
 creditore pignorante  -  delle  cessioni  di  crediti  notificate  od
 accettate  successivamente  al  pignoramento  (art. 2914, n. 2, c.c.,
 norma dalla quale si evince ", a  contrario",  l'efficacia  e  quindi
 l'opponibilita'    al    pignorante   delle   cessioni   perfezionate
 antecedentemente al pignoramento).
   L'alternativa, quindi, nel campo  dell'impiego  privato  (art.  545
 c.p.c.)  e' in termini di prevalenza dell'una (cessione) o dell'altro
 (pignoramento), limitandosi la possibile coesistenza tra  i  predetti
 istituti ai casi, non  frequenti, di non superamento della misura del
 quinto dello stipendio.
   Per  contro,  come  ricordato, nel settore dell'impiego pubblico il
 legislatore  (art.  68,  secondo  comma,  del  d.P.R.  n.   180/1950)
 espressamente  ammette  la  coesistenza  di  cessione e pignoramento,
 indicando un limite (la  meta')  sensibilmente  maggiore  rispetto  a
 quello  previsto  per  i  dipendenti privati (un quinto, in base alle
 considerazioni che precedono).
   L'indubbio deteriore trattamento  per  i  dipendenti  pubblici  non
 appare  ragionevole,  prestandosi  a censure di costituzionalita' con
 riferimento  all'art.  3  della  Carta  costituzionale,  sancente  la
 parita' di tutti i cittadini di fronte alla legge.
   Identico  sospetto  di illegittimita' costituzionale del richiamato
 art. 68 del d.P.R. n. 180/1950 andrebbe ravvisato (questa volta pero'
 nel  senso  opposto  di  ritenere   irragionevolmente   preferiti   i
 dipendenti pubblici rispetto a quelli privati) qualora si ritenessero
 non  opponibili  al  creditore pignorante le cessioni volontariamente
 perfezionate  dal  debitore  esecutato  pur   in   data   antecedente
 all'esecuzione  del  pignoramento  (si veda, in tal senso, pretura di
 Modena 15 luglio 1991 e 25 luglio 1991): in  tal  caso,  infatti,  il
 dipendente pubblico profitterebbe di un limite massimo corrispondente
 alla  meta'  dello  stipendio  (art.  68  del d.P.R. n. 180/1950) non
 riscontrabile nel campo  dell'impiego privato.
   Tale  indubbia  differenza  di trattamento tra lavoratore privato e
 lavoratore  pubblico   appare   incomprensibile   anche   alla   luce
 dell'orientamento  della  Corte  costituzionale  la  quale,  in  piu'
 pronunce - sentenze 25 marzo 1987, n. 89, 26 luglio 1988, n. 878,  19
 marzo 1993, n. 99 - ha svolto la propria opera nel senso di eliminare
 le  differenze  di  trattamento  tra il settore del lavoro pubblico e
 quello dell'impiego privato.
   Le svolte considerazioni portano  questo  giudice  a  ritenere  non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 68, secondo comma, del d.P.R. n. 180/1950  nella  parte  in
 cui  stabilisce il limite della meta' dello stipendio o salario quale
 dato onde effettuare la operazione di sottrazione.
   La rilevanza della medesima questione  concerne  la  posizione  del
 debitore  sottoposto alla procedura esecutiva, dipendente pubblico il
 cui stipendio risulta essere gia' gravato da precedente cessione  del
 credito:   l'eventuale   accoglimento  della  prospettata  eccezione,
 facendo  venir  meno  la  possibile  coesistenza   tra   cessione   e
 pignoramento,  riconducendola  entro  il  campo  di  applicazione del
 settore  lavorativo  privato  (contemplante,  secondo  la   superiore
 interpretazione il limite massimo del quinto dello stipendio anche in
 caso  di  coesistenza tra cessioni e pignoramento), determinerebbe la
 aspirazione del debitore esecutato a vedere  detratta,  dalla  misura
 del  quinto  del  proprio  stipendio  attribuibile  al  creditore  in
 executis, la quota oggetto della cessione volontaria gia' in essere.