IL TRIBUNALE MILITARE

    Ha  pronunciato  in  pubblica  udienza  la seguente ordinanza nel
  procedimento  a carico di: Ardito Giuseppe, nato il 13 ottobre 1938
  a  Chieti,  atto di nascita n. 680 P.I, residente a Roma, via Siria
  n. 20;  Tenente  Generale  E.I.,  eletto domicilio legale presso il
  difensore  di  fiducia avv. prof. Carlo Taormina, del foro di Roma,
  via Federico Cesi n. 21, libero, presente, imputato del reato di:
        1)  "minaccia  ad  inferiore"  (art. 196, comma 1, c.p.m.p.),
  perche',  tenente  generale comandante delle forze terresti alleate
  del  sud  europa (F.T.A.S.E.), il pomeriggio del 22 settembre 1997,
  nel suo ufficio in Verona, alla presenza del capo di stato maggiore
  delle  F.T.A.S.E.,  dissentendo  dal modo in cui il ten. col. Piero
  Inzolia,  facente  funzioni  di  direttore  dell'ufficio bilancio e
  finanze,  stava  trattando una pratica di ufficio relativa a lavori
  di   ristrutturazione   della   caserma  "Passalacqua"  di  Verona,
  minacciava  un ingiusto danno all'Inzolia dicendogli "Inzolia io ti
  butto fuori dal comando a calci nel culo!";
        2) "ingiuria ad inferiore aggravata" (artt. 196, comma 2 e 47
  n. 4 c.p.m.p.), perche' il 30 ottobre 1997 nell'ufficio del capo di
  stato  maggiore  delle F.T.A.S.E. in Verona, facendo riferimento ad
  una condotta di servizio del ten. col. Piero Inzolia a lui ritenuta
  irregolare,   offendeva   il   prestigio,  l'onore  e  la  dignita'
  dell'Inzolia  medesimo  dicendogli  che la sua condotta era sleale,
  disonesta  e motivata da interessi privati; avendo quindi l'Inzolia
  tentato  di  fornire  spiegazioni sul proprio operato, l'Ardito gli
  impediva  di  parlare, intimandogli di tacere con le parole inglesi
  "Shut  up!". Con l'aggravante di aver commesso il fatto in presenza
  di  oltre tre militari riuniti per servizio (maggiore generale Vito
  Carlucci,  maggiore  generale Maurizio Cicolin, colonnello Vincenzo
  Lorusso e Generale U.S.A. William J. Leszczynski).
        3) "diffamazione continuata e pluriaggravata" (artt. 81 comma
  2  c.p.,  227  comma 1 e 2, 47 n. 2 c.p.m.p.), perche', commettendo
  con  piu'  azioni  esecutive  del  medesimo  disegno criminoso piu'
  violazioni  della  medesima  disposizione di legge, comunicando con
  piu'  persone  offendeva ripetutamente la reputazione del ten. col.
  Inzolia.  In particolare, il 30 ottobre 1997, nell'ufficio del capo
  di  stato maggiore delle F.T.A.S.E. in Verona, subito dopo il fatto
  di  cui  al  capo  che  precede, essendosi allontanati dal predetto
  ufficio  il gen. Leszczynski e il ten. col. Inzolia, il gen. Ardito
  comunicando con il maggiore generale Vito Carlucci, con il maggiore
  generale  Maurizio  Cicolin  e  con  il colonnello Vincenzo Lorusso
  rimasti    nell'ufficio,    affermava    che   la   ragione   della
  personalizzazione  del  rapporto  fra l'Inzolia ed il dott. Bouchat
  era  motivata da interessi privati dell'Inzolia, il quale intendeva
  partecipare  al  concorso  per  il  posto di dirigente dell'ufficio
  bilancio  e  finanza  del  comando F.T.A.S.E. della cui commissione
  avrebbe   dovuto   far   parte  il  Bouchat.  Indi  reiterava  tale
  affermazione, sia pure con piu' generico riferimento, nell'allegato
  "A"  di  una lettera spedita il 31 ottobre 1997 al 1o Reparto dello
  stato  maggiore  della  difesa,  alla  direzione  generale  per gli
  ufficiali   dell'esercito   al  1o  reparto  dello  stato  maggiore
  dell'esercito,  ove,  esponendo i "motivi per i quali la permanenza
  del  ten.  col. Piero Inzolia presso il comando F.T.A.S.E. si (era)
  resa  incompatibile  con  la  funzionalita'  del  comando  stesso",
  testualmente  scriveva  al  punto  2: "dal suo comportamento sembra
  evincersi  che  egli  non si consideri parte integrante del comando
  F.T.A.S.E. e tenda ad agire con la massima indipendenza, sottraendo
  spesso il controllo dei suoi atti ai suoi superiori gerarchici. Per
  contro  ritiene  assolutamente  preminente  il rapporto tecnico con
  l'organo  NATO superiore (funzionario civile), che privilegia anche
  per  finalita'  personali".  Con  le aggravanti: di essere militare
  rivestito di un grado, di aver attribuito un fatto determinato e di
  aver  arrecato  l'offesa  anche  mediante  un atto pubblico (citata
  missiva diretta agli organi centrali della difesa).
                        M o t i v a z i o n e
    Premesso:
        a) che all'odierna pubblica udienza nei confronti del tenente
  generale E.I. Ardito Giuseppe, accusato come in atti di minaccia ad
  inferiore  (art. 196,  comma  1,  c.p.m.p.),  ingiuria ad inferiore
  aggravata  (artt. 196,  comma  2,  47 n. 4 c.p.m.p.) e diffamazione
  continuata  e  pluriaggravata  (artt. 227,  commi  1  e  2, 47 n. 2
  c.p.m.p.,  81,  cpv., c.p.), il difensore dell'imputato ha eccepito
  preliminarmente  l'illegittimita'  della  composizione del collegio
  giudicante in relazione alla presenza in esso del giudice "d'arma",
  in  persona  del  generale  di squadra aerea Riccardo Tonini, cosi'
  come  individuato  a seguito dell'ordinanza presidenziale datata 24
  settembre 1999;
        b) che, in particolare, il difensore ha lamentato:
          b1)  violazione  dell'art. 2, comma 2, n. 3), della legge 7
  maggio 1981, n. 180 (recante "modifiche all'ordinamento giudiziario
  militare  di pace"), e dunque degli artt. 178, comma 1, lett. g), e
  179,  comma 1, c.p.p., non risultando l'ufficiale generale estratto
  come  membro  del  collegio  in  possesso della cosi' detta "quarta
  stella"  funzionale  di  cui  e'  investito  il generale, Ardito, e
  dunque  difettando  nella  fattispecie  il  requisito  legale della
  parita' del grado;
          b2)  violazione  della regola stabilita dall'art. 43, comma
  1,  c.p.p.  nonche'  della regola sussidiaria stabilita dal comma 2
  dello   stesso  articolo,  che  rinvia  al  precedente  art. 11,  e
  conseguentemente  degli artt. 178, comma 1, lett. a), e 179 c.p.p.,
  essendo  state  tali  disposizioni, benche' applicabili anche nella
  fattispecie, disattese dalla citata ordinanza presidenziale;
        c)  che,  pertanto,  il  difensore  ha  chiesto  pronunciarsi
  declaratoria   di   nullita'   della   composizione   del  collegio
  giudicante,  con assunzione degli atti conseguenti, ivi compresa la
  trasmissione degli atti processuali ad altro tribunale militare;
        d)  che  il  pubblico ministero ha chiesto la reiezione delle
  eccezioni  difensive,  evideziando quale prevalente esigenza quella
  di  dare attuazione al principio del giudice naturale precostituito
  per legge (nel caso di specie, il tribunale militare di Verona), di
  cui all'art. 25, comma 1, Cost:
        e)   che   il  difensore  della  parte  civile  ha  concluso,
  sostanzialmente,  come  il rappresentante della pubblica accusa, il
  tribunale:

                            O s s e r v a

    1.  -  Ai sensi dell'art. 2 della legge n. 180/1981, il tribunale
  militare   giudica  con  l'intervento  di  tre  membri,  ossia  due
  magistrati   "togati"   (presidente   e  giudice  a  latere)  e  un
  appartenente   alle   forze   armate,   "di  grado  pari  a  quello
  dell'imputato  e  comunque  non  inferiore  al  grado di ufficiale,
  estratto a sorte, con funzioni di giudice" (comma 2, n. 3).
    La  medesima  norma  stabilisce  poi che l'estrazione a sorte del
  componente  giudice militare "si effettua tra gli ufficiali, aventi
  il  grado richiesto, che prestano servizio nella circoscrizione del
  tribunale militare" (comma 3).
    In applicazione di quest'ultima disposizione, il giudice militare
  destinato  a comporre il collegio giudicante del tribunale militare
  di  Verona  puo'  essere  estratto  soltanto  tra  gli ufficiali in
  servizio  nelle  province  su  cui  lo stesso tribunale esercita la
  giurisdizione,  vale  a  dire  nelle  province di Belluno, Bolzano,
  Brescia, Mantova, Trento e Verona (cfr. tabella allegata al decreto
  del Presidente della Repubblica 14 febbraio 1964, n. 199).
    Per  il  giudice  non togato, similmente a quel che avviene per i
  giudici  togati,  possono  darsi, in relazione al singolo processo,
  situazioni  di  incompatibilita' che ne comportano, a seguito della
  sua  astensione  o della sua ricusazione, l'esclusione dal collegio
  giudicante del tribunale militare.
    Le   principali   di  queste  situazioni  sono  tuttora  elencate
  dall'art. 289  del  codice  militare  di  pace;  ed e' una di esse,
  appunto,  che si e' verificata nel procedimento penale a carico del
  generale    Ardito,   essendo   risultato   il   giudice   "d'arma"
  originariamente  estratto,  tenente  generale  Pasquale  De Salvia,
  incompatibile  siccome dipendente, nella sua qualita' di comandante
  delle truppe alpine, dal comandante delle forze operative terrestri
  (F.T.A.S.E.),  e  dunque  dall'odierno imputato (art. 289, comma 1,
  n. 3, c.p.m.p.).
    I  meccanismi  giuridici  per  superare  l'ostacolo rappresentato
  dalla  incompatibilita'  differiscono, tuttavia, a seconda che essa
  riguardi  il  giudice  militare,  ovvero  i  giudici  (uno  solo od
  entrambi) magistrati militari.
    Per questi ultimi, le norme da applicare sono, nell'ordine:
        anzitutto,  quella  ex  art. 43, comma 1, c.p.p., secondo cui
  "il  giudice astenuto o ricusato e' sostituito con altro magistrato
  dello  stesso  ufficio  designato  secondo  le leggi di ordinamento
  giudiziario";
        quindi,  quella  ex  art. 5-bis  del decreto-legge 23 ottobre
  1996,   n. 553   (convertito,   con   modificazioni,   nella  legge
  23 dicembre  1996,  n. 652),  secondo  cui,  ove  non sia possibile
  procedere  alla  sostituzione nei modi indicati dall'art. 43, comma
  1,  c.p.p., e prevista la rimessione del procedimento "al tribunale
  militare  piu'  vicino,  determinato  tenendo  conto della distanza
  chilometrica ferroviaria e, se del caso, marittima".
    La  seconda delle disposizioni sopra citate (la quale, per i casi
  in   essa  contemplati,  tiene  il  posto,  in  ambito  giudiziario
  militare,  del  combinato  disposto  degli  artt. 43, comma 2, e 11
  c.p.p.) ha evidentemente carattere sussidiario, nel senso che vi si
  puo'  ricorrere, per espressa volonta' della legge, solo se non sia
  possibile  sostituire  il giudice (incompatibile perche' astenuto o
  ricusato)  con altro magistrato dello stesso ufficio, attraverso il
  meccanismo della supplenza o dell'applicazione.
    Per  il  giudice  "d'arma",  invece,  l'eventuale  situazione  di
  incompatibilita'   non  puo'  essere  risolta  applicando,  sic  et
  simpliciter  le  norme  degli artt. 43, comma 1, del codice di rito
  penale  e  5-bis  del  decreto-legge n. 553/1996: cio' in quanto il
  giudice  de  quo  non  partecipa  al  collegio  in virtu' della sua
  appartenenza  organica  al tribunale militare, bensi' in virtu' del
  meccanismo   dell'estrazione   di   cui   all'art. 2   della  legge
  n. 180/1981,  ossia di un meccanismo che ne affida l'individuazione
  concreta  al  caso, secondo la procedura indicata dal comma 4 della
  medesima  disposizione  normativa  ("le  estrazioni a sorte, previo
  avviso  affisso  in  apposito  albo,  sono  effettuate nell'aula di
  udienza  aperta  al  pubblico,  dal  presidente,  alla presenza del
  pubblico   ministero,   con  l'assistenza  del  cancelliere  o  del
  segretario giudiziario, che redige verbale").
    Di  regola,  peraltro, non sussistono particolari difficolta' per
  la   sostituzione   del   giudice   militare  astenuto  o  ricusato
  nell'osservanza  degli  artt. 43,  comma  1, c.p.p. e 2 della legge
  n. 180/1981.
    Infatti,  quest'ultimo,  proprio al fine di ovviare a problemi di
  questo  tipo,  prevede  -  in chiusura - che "vengono estratti, per
  ogni  giudice,  due  supplenti"  (comma  5,  ultima parte); il che,
  normalmente,  si  palesa  sufficiente a consentire una sostituzione
  dell'ufficiale giudice scevra da lungaggini e pienamente rispettosa
  del dettato normativo.
    2.  -  Lo  stato  delle cose sopra delineato e' pero' destinato a
  subire un'innegabile complicazione allorquando si tratti di formare
  il  collegio giudicante per un processo penale militare a carico di
  un  ufficiale  rivestito  del  grado  apicale  delle  forze  armate
  (tenente generale o grado equiparato).
    Il  bacino  spaziale da cui, ai sensi dell'art. 2, comma 3, della
  legge    n. 180/1981,    attingere   per   l'estrazione   a   sorte
  (circoscrizione  del  tribunale  militare)  potrebbe,  invero, gia'
  risultare  di  per  se'  non idoneo a "fornire" il numero minimo di
  ufficiali  aventi  grado  pari  a  quello  dell'imputato, giacche',
  dovendosi  per  legge  estrarre  due  supplenti per ciascun giudice
  (art. 2,  comma 5, stesso art. ), i soggetti tra i quali effettuare
  il sorteggio non potrebbero essere meno di quattro.
    Nel  qual  caso,  si  ritiene che anche per il tribunale militare
  possa  essere invocato il principio ad impossibilia nemo tenetur, e
  dunque  possa  procedersi  (nel rispetto sostanziale se non proprio
  formale  della  legge)  ad  estrazione a sorte del generale giudice
  attingendo  da un numero inferiore a quello sopra indicato e magari
  rinunciando a un supplente.
    Ma  quid  iuris  allorche'  - come nella ipotesi verificatasi nel
  processo  a  carico  del  generale  Ardito  -  sia stato chiamato a
  comporre  il  collegio giudicante l'unico ufficiale avente il grado
  richiesto  in  servizio nella circoscrizione del tribunale militare
  di  Verona  e  questi,  per aggiunta, sia risultato impossibilitato
  all'esercizio  delle  specifiche  funzioni  giudicanti  per uno dei
  motivi di incompatibilita' di cui all'art. 289 c.p.m.p.
    La   soluzione  adottata  dal  presidente  di  questo,  tribunale
  militare  con ordinanza in data 24 settembre 1999 - anche a seguito
  di  indicazione  data  dall'organo giudicante centrale (cfr. nota 7
  settembre  1999,  n. CA/GIUD/3689  del  sig. presidente della Corte
  militare  di  appello)  -  e' stata nel senso di provvedere a nuova
  estrazione    "sulla    piu'   estesa   base   territoriale   della
  circoscrizione  della Corte militare di appello, sezione di Verona"
  e  dunque  prendendo in considerazione tutti i tenenti generali e i
  corrispondenti gradi in servizio nelle circoscrizioni dei tribunali
  militari  di  Torino,  Verona  e  Padova,  rientranti  nel predetto
  sub-distretto (cfr. art. 3, comma 2, della legge n. 180/1981).
    Peraltro,  v'e'  gia', a monte della determinazione in questione,
  uno  "strappo"  alla  normativa vigente in materia di designazione,
  mediante  sorteggio,  del  giudice  militare: l'estrazione a sorte,
  invero,  non  si  accorda  con  la  presenza di un candidato unico,
  poiche'  quest'ultima circostanza sostituisce al caso la necessita'
  (del  resto,  la  presidenza  della  corte  militare  di appello ha
  opportunamente evidenziato, nella menzionata nota, di ritenere "che
  l'estrazione  effettuata  con  conseguente  individuazione del ten.
  gen. De Salvia sia da considerare nulla").
    Ma   anche   il   criterio  seguito  (estrazione  fatta  su  base
  distrettuale, o meglio subdistrettuale) presta il fianco a critiche
  sul piano della legittimita'.
    L'art. 2,   comma   3,   della  legge  n. 180/1981  si  riferisce
  esclusivamente  alla  circoscrizione  del  tribunale militare e non
  lascia  aperta  la via ad ampliamenti di sorta, sia pure ispirati a
  ragionevolezza   e   al  buon  fine  di  consentire,  comunque,  lo
  svolgimento  del  processo  avanti  aI  giudice del luogo in cui e'
  stato commesso il presunto reato.
    Quando  si tratti di disposizioni la cui osservanza e' prescritta
  a  pena  di  nullita'  (e quelle, che qui rilevano, concernendo "le
  condizioni  di  capacita'  del  giudice  e  il  numero  dei giudici
  necessario  per  costituire  i  collegi  stabilito  dalle  leggi di
  ordinamento  giudiziario",  sono presidiate da nullita' assoluta ai
  sensi  degli  artt. 178,  comma  1, lett. a, 179, comma 1, c.p.p.),
  qualsivoglia  soluzione  empirica  adottata, per ottime che possano
  essere le ragioni ad essa sottese, e' destinata a cadere.
    Con  tutto  cio',  il  tribunale  non  ritiene  di  accedere alla
  soluzione prospettata dalla difesa dell'imputato, che ha chiesto di
  dichiarare  l'illegittima  composizione  del collegio e trasmettere
  gli  atti  aI  tribunale  viciniore, secondo le norme del codice di
  rito penale.
    Infatti,   non   sembra   in   ogni   caso   possibile  sottrarsi
  all'applicazione  della  norma  ex  art. 2,  comma  3,  della legge
  n. 180/1981:
        sia  per  quanto  si  e' osservato circa la partecipazione al
  collegio del giudice militare esclusivamente attraverso il congegno
  dell'estrazione  a  sorte  e  non,  com'e'  invece  per  i  giudici
  magistrati,   in   virtu'   dell'appartenenza  organica  all'organo
  giudiziario;
        sia  perche',  prescindendo  dall'estrazione  a sorte, nessun
  collegio  giudicante  di  tribunale  militare  potrebbe  mai essere
  formato, neppure l'odierno collegio.
    In conclusione, si ritiene, da un lato, che debba necessariamente
  farsi  applicazione  dell'art. 2,  comma 3, della legge richiamata;
  dall'altro, che tale disposizione, palesandosi del tutto inadeguata
  ad  affrontare  una  situazione come quella nel concreto prodottasi
  nel processo a carico del generale Ardito, possa confliggere con la
  Costituzione  repubblicana, e precisamente con i principi affermati
  dagli  artt. 3,  primo comma (eguaglianza davanti alla legge) e 25,
  primo comma (giudice naturale precostituito per legge).
    3. - Il tribunale ritiene di affrontare la questione partendo dal
  secondo  dei parametri costituzionali invocati, ossia dall'art. 25,
  primo  comma,  Cost., secondo cui "nessuno puo' essere distolto dal
  giudice naturale precostituito per legge".
    Nell'interpretazione della Corte costituzionale, il principio del
  "giudice  naturale"  esige che l'organo giudicante sia istituito in
  base  a  criteri generali fissati in precedenza (Corte cost., sent.
  n. 29/1958,  1/1965)  e  non  in rapporto: a una determinata causa;
  dunque,  in  relazione  a  fattispecie  astratte, con esclusione di
  qualsivoglia   potere   del   giudice   di   creare   egli  stesso,
  discrezionalmente,  ipotesi  di spostamento della competenza (Corte
  cost., sent. n. 122/1963).
    Quest'ultimo   concetto  e'  stato  altresi'  ribadito  in  altra
  fondamentale  pronuncia,  in  cui si e' affermato che "il principio
  sancito dall'art. 25 della Costituzione (...) tutela essenzialmente
  l'esigenza  che  la  competenza degli organi giudiziari, al fine di
  una  garanzia rigorosa della loro imparzialita', venga sottratta ad
  ogni  possibilita'  di  arbitrio, attraverso la precostituzione per
  legge  del giudice in base a criteri generali fissati in anticipo e
  non   in   vista  di  singole  controversie"  (Corte  cost.,  sent.
  n. 77/1977).
    Cio'  detto,  appare evidente, a parere di questo collegio che il
  meccanismo di selezione del giudice militare, previsto dall'art. 2,
  terzo  comma,  della  legge n. 180/1981, non garantisce il rispetto
  del  richiamato principio costituzionale: esso, infatti, impone che
  l'estrazione  a  sorte  avvenga "tra gli ufficiali, aventi il grado
  richiesto, che prestano servizio nella circoscrizione del tribunale
  militare"; ma nulla dice per l'ipotesi in cui si debba celebrare il
  giudizio  a carico di un ufficiale con il grado di tenente generale
  (o con grado corrispondente).
    La  questione non e' meramente teorica, tant'e' che, nel caso che
  qui occupa, si e' verificata; e neppure puo' essere considerata un'
  evenienza  del tutto particolare, di quelle, insomma, che la legge,
  per  sua  natura  generale  e  astratta,  non  puo' ragionevolmente
  contemplare in anticipo.
    E' invero intuitivo che il numero degli ufficiali con il grado di
  tenente generale (gia' denominati, nell'esercito, generali di corpo
  d'armata) sia, sul piano. nazionale, ristretto.
    Detto  grado,  infatti,  puo'  essere senz'altro considerato come
  grado  apicale  delle  forze  armate  italiane,  giacche' e' quello
  rivestito dagli stessi capi di stato maggiore delle varie armi e da
  pochissimi  altri  ufficiali  (tra cui l'odierno imputato nella sua
  qualita'   di  comandante  delle  forze  operative  terrestri),  in
  possesso della cosi' detta "quarta stella") funzionale.
    Una posizione a se' ricopre, dopo la ristrutturazione dei vertici
  delle  forze  armate  di cui alla legge 18 febbraio 1997, n. 25, il
  capo  di stato maggiore della difesa, posto alle dirette dipendenze
  del  Ministro  della difesa e gerarchicamente sopraordinato ai capi
  di  stato  maggiore di forza armata e agli altri pari grado, che da
  lui  dipendono  (art. 3,  comma  2, legge ult. cit.). Anzi, si puo'
  osservare  in proposito (sia pure incidenter tantum) che, stante la
  regola secondo cui non puo' rivestire l'ufficio di giudice militare
  l'ufficiale    che   si   trovava   "immediatamente   agli   ordini
  dell'imputato  al  tempo  in cui fu commesso il reato o iniziato il
  procedimento penale" (art. 289, comma 1, n. 3, c.p.m.p.), la figura
  del  capo  di  stato  maggiore  della  difesa sembra sottrarsi alla
  pratica  possibilita'  di  venire  sottoposta  a giudizio penale da
  parte  di  un  collegio  legalmente  costituito, nel rispetto delle
  disposizioni disciplinanti le situazioni di incompatibilita'.
    Il   rispetto   delle   regole,   automatiche   e  precostituite,
  dell'art. 2,  terzo e quinto comma, della legge n. 180/1981 diviene
  pressoche'  impossibile quando l'imputato abbia il grado di tenente
  generale:  invero,  se  si  esclude la circoscrizione del tribunale
  militare  di  Roma  (nella  quale  hanno sede i vertici delle forze
  armate) e' ben difficile - se non addirittura difficilissimo - che,
  nella  circoscrizione  del  singoIo  tribunale  militare,  si possa
  rinvenire  un  numero  di tenenti generali (o gradi corrispondenti)
  sufficiente  a  garantire  l'estrazione  di  un  titolare  e di due
  supplenti.
    Alla  situazione di stallo, inevitabile quando, come nel presente
  procedimento,   l'unico  giudice  del  grado  richiesto  -  neppure
  estratto a sorte, per mancanza "fisiologica" di candidati - risulti
  incompatibile,  si  puo'  ovviare  solamente  forzando  il  dettato
  normativo; e, dunque, ampliando la base territoriale da cui trarre,
  per sorteggio, il giudice o i giudici.
    Questa  soluzione,  corrispondente a quella di fatto adottata con
  la  menzionata  ordinanza  presidenziale,  introduce  tuttavia, nel
  procedimento di selezione del giudice militare, indubbi elementi di
  discrezionalita' al limite della arbitrarieta'.
    Infatti,  non v'e' chi non vede come, in tal caso, si finisca con
  il  lasciare  alla  scelta  dell'interprete  (tribunale militare, o
  meglio presidente del tribunale militare):
        creazione di una regola, per quanto ragionevole, non prevista
  dalla  legge  (estrazione  a  sorte  tra  gli  ufficiali  del grado
  richiesto,   che   prestano   servizio  anche  ai  di  fuori  della
  circoscrizione del tribunale militare);
        l'individuazione di un sub-criterio ancora piu' discrezionale
  (sorteggio  tra  gli  ufficiali che prestano servizio nel distretto
  della   sezione   della  corte  militare  di  appello,  ovvero  nel
  distretto, nazionale, della corte militare di appello).
    Ma  il  principio del "giudice naturale precostituito per legge",
  di  cui  all'art. 25,  primo  comma,  della  Costituzione,  esclude
  proprio  ogni  potere  discrezionale  in  ordine  alla  scelta  del
  giudice,   anche   quando   questa  riguardi  l'individuazione  del
  componente   di   un  organo  collegiale:  posto  che  il  collegio
  giudicante  del  tribunale militare, come collegio "perfetto", puo'
  funzionare   solo   nella  sua  piena  composizione,  altrimenti  -
  semplicemente  -  non esiste; e considerato altresi' che il giudice
  militare partecipa al giudizio in posizione di assoluta parita' con
  i  giudici  togati,  a nulla rilevando che il suo apporto culturale
  alla  valutazione  della regiudicanda sia, essenzialmente, limitato
  agli aspetti "di fatto".
    La  mancanza, nella previsione normativa, di un meccanismo ad hoc
  per  la  formazione  dei collegi giudicanti dei tribunali militari,
  quando  l'imputato abbia il grado di tenente generale o equiparato,
  sembra  altresi'  violare  anche  il  principio  costituzionale  di
  eguaglianza   davanti  alla  legge  (art. 3,  primo  comma,  Cost.,
  giacche'  introduce  una  irrazionale disparita' di trattamento tra
  situazioni  perfettamente  omogenee (Corte cost., sent. nn. 3/1957,
  28/1957,  85/1979,  111/1981),  discriminando  tra  imputati con il
  grado  di  tenente  generale,  a  seconda che questi debbano essere
  giudicati  da un tribunale militare nella cui circoscrizione presti
  servizio  un  adeguato  numero di ufficiali pari grado (ad esempio,
  Roma), ovvero da un tribunale militare che non abbia, nella propria
  circoscrizione,  un  sufficiente  numero  di  ufficiali  del  grado
  richiesto,  tra  cui  effettuare il sorteggio in applicazione delle
  regole ex art. 2 della legge n. 180/1981 (ad esempio, Verona).
    4.  - Considerato quanto sopra, questo tribunale ritiene di dover
  sollevare  d'ufficio,  cosi'  come  consentitogli  (art. 23,  terzo
  comma,  della  legge  11  marzo  1953,  n. 87)  la  questione della
  legittimita'  costituzionale  dell'art  2, terzo comma, della legge
  n. 180/1981, in relazione ai parametri rappresentati dagli artt. 3,
  primo  comma  e 25, primo comma, della Costituzione, nella parte in
  cui  non  prevede che, in ipotesi di giudizio a carico di ufficiale
  con  il  grado  di  tenente generale o equiparato, l'estrazione del
  giudice  "d'arma" non possa essere effettuata tra gli ufficiali, in
  possesso  del  grado  richiesto,  che prestano servizio al di fuori
  della  circoscrizione  del tribunale militare, se nell'ambito della
  stessa  non  vi  siano  ufficiali  aventi  un  grado  pari a quello
  dell'imputato.
    La  questione,  nei  termini suindicati, appare invero rilevante,
  siccome  relativa  a  una  disposizione  di  legge da applicare nel
  procedimento,  e  non  manifestamente  infondata,  per  le  ragioni
  specificate.
    Di   talche'   essa   va   sottoposta  al  giudizio  della  Corte
  costituzionale,  a  norma degli artt. 134 della Costituzione e 23 e
  ss. legge n. 87/1953.