IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla istanza di ricusazione proposta addi' 11 giugno 1999 dal sig. Franco Caserta, convenuto nella causa civile iscritta al numero 214 del ruolo generale contenzioso dell'anno 1999, nei confronti del giudice dell'esecuzione dott. Alessandro Rizzieri, giudice di questo stesso tribunale di Vigevano. Ritenuto in fatto Il sig. Franco Caserta, convenuto nella causa civile promossa dal curatore del fallimento della Nutrimax Societa' a responsabilita' limitata dinanzi a questo tribunale di Vigevano, ha proposto istanza di ricusazione nei confronti del giudice istruttore, al quale la causa medesima era stata assegnata, il dott. Alessandro Rizzieri: istanza da esso stesso convenuto sottoscritta e depositata in cancelleria il giorno 11 giugno 1999, dopo la designazione del dott. Rizzieri come giudice istruttore della causa. Con provvedimento del 22 giugno 1999 il Presidente del tribunale di Vigevano ha incaricato questo collegio di decidere su detta istanza di ricusazione. La causa in cui il ricusante e' convenuto riguarda una azione di responsabilita' ai sensi dell'art. 146 secondo comma della legge fallimentare, promossa dal curatore del fallimento della Nutrimax S.r.l. assumendosi, da parte dell'attore, che, sebbene dagli atti sociali risulti che l'amministratore unico della Societa' fallita e' tale Emanuele Milanesi, in realta' il vero amministratore (di fatto) sarebbe proprio esso convenuto Franco Caserta. Fatta questa premessa, il convenuto Caserta ricusa il giudice Rizzieri sostanzialmente per i seguenti motivi: a) nel corso di un dibattimento penale, che vedeva come imputato di bancarotta l'amministratore (tale indicato negli atti sociali) della Societa' fallita, Emanuele Milanesi, dinanzi a questo stesso tribunale di Vigevano, il giudice a latere dott. Rizzieri avrebbe rivolto a Franco Caserta, ivi sentito come testimone, numerose domande in nessun modo pertinenti all'oggetto del procedimento penale, bensi' tendenti unicamente a far conoscere quale attivita' avesse in concreto svolto lo stesso Caserta in seno alla Societa' poi fallita; e cio' con l'ulteriore intento di raccogliere elementi di prova rilevanti per la futura azione di responsabilita' contro lo stesso Caserta: azione che il medesimo dott. Rizzieri, come giudice delegato del fallimento ha poi autorizzato il curatore a promuovere; b) il dott. Rizzieri, come giudice delegato del fallimento della Nutrimax S.r.l., ha autorizzato il curatore sia a promuovere contro Franco Caserta l'azione di responsabilita' di cui si e' detto, sia, in vista di essa e prima ancora che l'atto di citazione venisse notificato, a sequestrare tutti i beni dello stesso Caserta a garanzia del pagamento della somma che, in accoglimento della domanda da proporre con la preannunciata (e autorizzata) citazione, esso stesso Caserta sarebbe stato (cosi' si auspica) condannato a pagare; nonostante che il dott. Rizzieri abbia, con decreto del 2 febbraio 1999, concesso entrambe queste autorizzazioni e abbia poi, con ordinanza del 2 marzo 1999, confermato l'autorizzazione al sequestro (l'altra autorizzazione, ossia quella per promuovere la lite, non abbisogna di alcuna conferma ora lo stesso dott. Rizzieri si trova a istruire la causa in tal modo da lui stesso autorizzata nonche' a far parte del collegio che la decidera'. Questa istanza di ricusazione veniva comunicata, ad opera di questo stesso collegio (chiamato a decidere su di essa), al giudice ricusato dott. Alessandro Rizzieri il quale ha fatto pervenire una memoria scritta. In questa egli chiede che l'istanza di ricusazione sia dichiarata inammissibile, o sia comunque rigettata, in quanto che i fatti esposti nell'istanza medesima (qui sopra riportati) non realizzerebbero alcuna ipotesi di astensione obbligatoria e quindi di ricusazione. Il collegio ha preso visione dell'intero fascicolo della causa civile di cui ora e' investito il giudice ricusato (n. 214 del ruolo generale contenzioso del corrente anno 1999), iniziata con atto di citazione notificato a Franco Caserta il 16 marzo 1999 (per l'udienza del 16 giugno 1999) e che vede convenuti sia lo stesso Caserta sia Emanuele Milanesi; dell'intero fascicolo della procedura fallimentare che, come si e' ora visto, sta a monte di detta causa (Fallimento n. 1282/1994); nonche' dell'intero fascicolo della procedura di reclamo avverso l'ordinanza di sequestro di cui si e' detto del 2 marzo 1999 (n. 105/1999): procedura, quest'ultima, conclusasi con il rigetto del reclamo proposto da Franco Caserta (ordinanza collegiale del 12 aprile 1999; di tale collegio, ovviamente, il dott. Rizzieri non faceva parte). Considerato in diritto Va preliminarmente osservato che l'istanza di ricusazione e' stata tempestivamente proposta da una delle parti in causa, e cioe' piu' di due giorni della prima udienza (art. 52 secondo comma, c.p.c.), e ha determinato la sospensione della causa medesima. L'istanza del curatore del fallimento, indirizzata al giudice delegato dott. Rizzieri depositata in cancelleria il 2 febbraio 1999, volta ad ottenere sia l'autorizzazione a promuovere l'azione di responsabilita' contro Franco Caserta, sia a sequestrargli i beni, si fonda in gran parte sulle dichiarazioni rese poco tempo prima dallo stesso Caserta come testimone al dibattimento penale, dinanzi a questo stesso tribunale di Vigevano, nel procedimento contro Emanuele Milanesi, imputato di bancarotta; e il curatore allega all'istanza il resoconto stenografico della deposizione testimoniale ora detta. Da questo resoconto risulta che, effettivamente, numerose domande al teste Caserta, pur citato dal pubblico ministero, furono poste dal giudice a latere dott. Rizzieri; e proprio dalle risposte date dal teste a queste domande (del giudice) il curatore del fallimento trae argomento a sostegno della propria istanza. Purtuttavia, anche a voler ammettere, come si sostiene nell'istanza di ricusazione, che le domande rivolte al teste dal giudice Rizzieri non fossero pertinenti al processo, ma servissero unicamente a precostituire una prova della responsabilita' dello stesso teste come amministratore di fatto della, societa' poi fallita (responsabilita' qui fatta valere con l'azione autorizzata dallo stesso dott. Rizzieri come giudice delegato del fallimento), da cio' non conseguirebbe mai alcun obbligo di astensione del giudice Rizzieri nella causa di responsabilita' di cui trattasi (e quindi alcuna possibilita', per la parte, di ricusarlo), posto che la situazione ora descritta in ipotesi, ancorche' fosse vera, non e' prevista da alcuna disposizione dell'art. 51 del codice di procedura civile come motivo di astensione obbligatoria; ne' questa mancata previsione legislativa sembra confliggere con alcuna norma della Costituzione. Diverso discorso deve farsi invece, per il secondo motivo di ricusazione proposto, e cioe' avere il giudice Rizzieri autorizzato l'instaurazione di una causa (e autorizzato altresi', in vista di essa, un sequestro) ed essere lui stesso il giudice di questa medesima causa. Non vi e' dubbio che la procedura fallimentare, da una parte, e una qualunque causa civile, originata dal fallimento e autorizzata dal giudice delegato, dall'altra, sono due processi distinti, ancorche' in qualche modo collegati tra loro, e quindi non possono, assolutamente, essere considerati come due gradi di uno stesso processo. Manifestamente inapplicabile alla fattispecie in esame e' dunque la norma di cui all'art. 51 n. 4 c.p.c., nella parte relativa al "magistrato che ha conosciuto della causa in altro grado del processo". Altrettanto estranea alla fattispecie in esame e' l'altra parte della norma citata, la quale fa riferimento al giudice che "ha dato consiglio nella causa". Invero autorizzare il curatore del fallimento a promuovere una causa non e', propriamente "dare consiglio"; e, in ogni caso, la norma si riferisce ai consigli dati dal giudice al di fuori delle ipotesi in cui, per espressa disposizione di legge, egli debba e possa esprimere il suo parere sull'oggetto della controversia, e quindi, in definitiva, ai consigli dati come privato. Ancor meno puo' pensarsi che il giudice delegato possa avere un interesse in una causa da lui stesso autorizzata (interesse che, se esistesse, sarebbe, come e' noto, motivo di astensione obbligatoria ai sensi dell'art. 51 n. 1 c.p.c.). Invero, anche a voler considerare il giudice delegato del fallimento sostanzialmente l'attore della causa da lui stesso autorizzata cosi' riducendo il curatore al rango di longa manus del giudice delegato, si configurerebbe soltanto un interesse dell'ufficio, ma giammai un interesse proprio e personale del giudice (che e' l'interesse preso in considerazione dall'art. 51 n. 1 c.p.c.). Infine, anche a voler ritenere una preconcetta e ingiustificata convinzione del giudice Rizzieri sulla responsabilita' di Franco Caserta nel dissesto che ha portato al fallimento della Nutrimax S.r.l., sarebbe comunque del tutto arbitrario ascrivere questo prematuro e, in ipotesi; temerario giudizio a personale inimicizia (e grave per giunta) del giudice Rizzieri nei confronti del predetto Caserta, anche perche' nell'istanza di ricusazione non si fa cenno (almeno in maniera esplicita) a siffatta inimicizia, e nulla, del resto, risulta dagli atti su questo punto. Percio' anche la norma di cui all'art. 51 n. 3 c.p.c. e' inapplicabile alla fattispecie in esame. E' dunque giocoforza concludere che questa stessa fattispecie non rientra in alcuna previsione di legge come possibile motivo di astensione obbligatoria (e quindi di ricusazione) del giudice. Il compito di questo collegio potrebbe cosi' considerarsi esaurto col rigetto della istanza di ricusazione di cui trattasi. Eppure questo collegio deve porsi responsabilmente la questione se la mancata previsione, nelle norme di legge sulla astensione obbligatoria del giudice, della fattispecie che si e' verificata nel caso ora in esame sia, o meno, conforme alla Costituzione: questione tanto piu' impellente, in quanto che, come a tutti e' noto, in questi ultimi anni la Corte costituzionale, con riferimento al processo penale, ha emesso numerose sentenze (l'ultima addirittura pochi giorni orsono: la numero 241 del 17 giugno 1999, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 23 giugno 1999) le quali hanno, di volta in volta, dichiarato l'illegittimita' costituzionale di una norma di legge (processuale penale) in quanto essa non prevede una determinata causa di incompatibilita' del giudice (e quindi di astensione obbligatoria). Ed e' appena il caso di aggiungere che, in linea generale, sarebbe del tutto irragionevole ammettere che il giudice civile possa essere (o apparire) meno imparziale del giudice penale. La questione di legittimita' costituzionale, che ora qui si prospetta, non e' stata mai sottoposta all'esame della Corte costituzionale; e non e' pregiudicata da alcuna delle tre sentenze di rigetto che la Corte ha emesso su questioni in qualche modo analoghe, ma non identiche. Piu' precisamente la sentenza n. 148 del di 8 maggio 1996 ha ritenuto infondata la questione di legittimita' costituzionale relativa alla norma (art. 146 terzo comma della legge fallimentare) che consente al giudice delegato di disporre d'ufficio il sequestro dei beni dell'amministratore della societa' fallita. In realta' qui ora non viene in considerazione questa norma (prescindendo dal considerare che, comunque, il sequestro di cui trattasi non e' stato disposto di ufficio dal giudice Rizzieri, bensi' da lui autorizzato in accoglimento di una specifica istanza del curatore). Viene invece in considerazione la norma che consente al giudice delegato del fallimento di far parte del collegio che deve giudicare sulla azione di responsabilita' da lui stesso autorizzata (e in vista della quale egli stesso ha autorizzato il sequestro). Dunque questa sentenza della Corte costituzionale non riguarda il caso ora in esame. Con la sentenza n. 326 del 7 novembre 1997 la Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimita' costituzionale relativa alla norma (art. 700 c.p.c.) che consente al giudice che ha emesso un provvedimento cautelare ante causam (al di fuori, peraltro, di ogni fallimento) di giudicare poi nella successiva causa di merito. In realta' qui ora non viene in considerazione soltanto la norma che consente al giudice delegato del fallimento di giudicare in quella causa in vista della quale egli stesso abbia emesso un provvedimento cautelare (sequestro), ma anche e soprattutto la norma che consente al giudice delegato di far parte del collegio che deve giudicare su una causa promossa dal curatore con la sua (di esso giudice) autorizzazione. Dunque neanche questa sentenza della Corte costituzionale riguarda il caso ora in esame. Infine con la sentenza n. 351 del 21 novembre 1997 la Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma (art. 34 c.p.p.) che consente al giudice delegato del fallimento che abbia autorizzato il curatore a costituirsi parte civile in un procedimento penale, di essere poi giudice di questo stesso processo penale. In realta' il giudice Rizzieri non ha autorizzato il curatore ad esercitare una azione civile in un processo penale, bensi' lo ha autorizzato a promuovere autonomamente una azione civile (dinanzi al giudice civile), azione oltre tutto, non dipendente da reato. D'altronde, la sentenza della Corte costituzionale, cui ora ci si riferisce, di infondatezza della questione sollevata, e' motivata con specifico riferimento alla peculiarita' del caso di specie, allora sottoposto all'esame della Corte, ossia, come si e' detto, della azione civile proposta in un processo penale iniziato, come e' ovvio, da una parte pubblica (il pubblico ministero): circostanza, quest'ultima, sottolineata nella motivazione della sentenza. Pertanto quest'ultima sentenza non riguarda il caso del quale ora ci si occupa. Fatte queste opportune precisazioni, il collegio ritiene di dover sollevare di ufficio, siccome non manifestamente infondata e di indiscutibile rilevanza in questo procedimento incidentale di ricusazione, devoluto alla sua competenza funzionale (di esso stesso collegio investito dell'esame della istanza di ricusazione di cui si e' piu' volte fatto cenno), la questione della legittimita' costituzionale dell'articolo 51 del codice di procedura civile nella parte in cui non prevede che il giudice delegato del fallimento, che abbia autorizzato il curatore a promuovere contro gli amministratori della societa' fallita azione di responsabilita' ai sensi dell'articolo 146 secondo comma della legge fallimentare e abbia, nel contempo, autorizzato, o comunque disposto, in vista di detta causa, il sequestro dei beni dei futuri convenuti ai sensi del terzo comma dell'articolo ora in ultimo citato, debba poi obbligatoriamente astenersi dal giudicare nella causa medesima, per il contrasto di questa norma con gli articoli 3 e 24 della Costituzione. E invero, come e' ormai da tutti pacificamente riconosciuto, nonche' affermato in plurime sentenze della Corte costituzionale, dalle ora citate norme della Costituzione discende il cosiddetto principio del "giusto processo", ossia, piu' precisamente, dovere in ogni processo, sia civile che penale, il giudice non solo essere, ma anche apparire, imparziale, cosi' da escludere, nel singolo processo, quel giudice (persona fisica) il cui giudizio si teme possa essere condizionato dalla cosiddetta "forza della prevenzione", cioe' dalla naturale tendenza a mantenere fermo un giudizio gia' espresso. Ora, venendo al caso di specie, il giudice delegato del fallimento, che autorizza il curatore a promuovere l'azione di responsabilita' contro gli amministratori della societa' fallita e nel contempo autorizza, o comunque dispone, il sequestro dei beni degli stessi, esprime necessariamente un ponderato giudizio sul comportamento di detti amministratori, qualificandolo come colposamente illecito nonche' dannoso per la societa' alla stregua di quanto disposto dall'art. 2392 del codice civile. Altrimenti, l'autorizzazione a promuovere l'azione non verrebbe rilasciata ne', tanto meno, verrebbe autorizzato (o disposto) il sequestro dei beni degli amministratori. Si prescinde qui dalla motivazione del decreto del 2 febbraio 1999 del giudice Rizzieri (ricusato) e da quella dell'ordinanza del 2 marzo 1999 dello stesso giudice (la quale ordinanza confermo' il decreto nella parte relativa al sequestro): motivazioni, peraltro, entrambe, ampie ed esaurienti e che manifestano, in termini di assoluta certezza, senza lasciare spazio a margini di dubbio, il convincimento del dott. Rizzieri dell'essere stato il sig. Franco Caserta l'effettivo amministratore della societa' fallita e dell'avere lui stesso, in tale qualita', "distratto danaro e merci della societa'" e "arrecato comunque alla societa' gravi danni economici". Quel che conta ai fini della questione di legittimita' costituzionale non e' la motivazione data dal singolo giudice delegato, nel singolo caso, al provvedimento autorizzativo, quanto piuttosto il tipo di motivazione che, secondo legge, deve essere data a siffatto provvedimento (ancorche' dovesse accadere, ma non e' certo questo il caso attuale, che l'autorizzazione di cui trattasi non fosse motivata affatto o fosse motivata in maniera del tutto superficiale). Ora non vi e' dubbio che la gravita' e importanza del provvedimento da adottare (che coinvolge interessi patrimoniali spesso di rilevante valore economico, sia dei creditori della societa' fallita, sia degli amministratori della stessa, soprattutto se debba decidersi se sequestrare o meno i beni di questi ultimi) impone al giudice delegato del fallimento, in osservanza, tra l'altro, delle prescrizioni degli articoli 24 e 111 della Costituzione (il cui rispetto non puo' essere inteso in senso formalistico, ma tanto piu' attento e rigoroso quanto piu' importanti sono gli interessi di gioco), di esaminare l'istanza del curatore e gli atti della procedura fallimentare con valutazione per cosi' dire "contenutistica" e di esprimere un giudizio, che puo' essere manifestato nel provvedimento con motivazione piu' o meno esplicita, sui danni che il pregresso comportamento degli amministratori puo' aver arrecato al patrimonio della societa' fallita e, in definitiva, sulla loro responsabilita'. Vero e' che questo giudizio e', pur sempre, espresso allo stato degli atti, e che le risultanze della causa, che il curatore viene autorizzato a promuovere, potrebbero essere tali da ribaltarlo e cioe' dal far respingere la domanda dell'attore (ossia del fallimento). Ma gioca, in ogni caso, come si e' gia' notato, contro il principio del "giusto processo" la cosidetta "forza della prevenzione", in quanto il giudice si e' comunque gia' espresso in precedenza sulla fondatezza della domanda dell'attore con una valutazione "di contenuto". D'altra parte a differenza di quanto puo' accadere in molte fattispecie analoghe, ma estranee alla materia fallimentare, il provvedimento del giudice delegato, che autorizza il curatore del fallimento a promuovere azione di responsabilita' contro gli amministratori della societa' fallita e, nel contempo, a sequestrare i beni di questi ultimi, presenta aspetti particolari che accentuano ancor piu' quella "forza della prevenzione" (da contrastare) di cui si e' piu' volte detto. Invero la vigente legge fallimentare italiana (oltre tutto emanata in condizioni storiche e politiche molto diverse dalle attuali, prima della Costituzione, e poi non piu' modificata) delinea la figura del giudice delegato come il vero dominus della procedura, caratterizzata, quest'ultima, da molti elementi officiesi (ossia di provvedimenti che devono o possono essere emessi di ufficio), con conseguente abbassamento della figura del curatore. Ne consegue che il giudice delegato del fallimento, per i poteri di cui dispone e per i modi con cui puo' esercitarli, e' (o appare) un giudice per cosi' dire "meno terzo" rispetto al giudice di altri tipi di processo civile (ad esempio rispetto al giudice dell'esecuzione). In questo contesto il provvedimento del giudice delegato, relativo alla proposizione della azione di responsabilita' contro gli amministratori della societa' fallita e al sequestro dei loro beni, ancorche' adottato formalmente in accoglimento di una istanza del curatore, appare essere, sostanzialmente, frutto dell'iniziativa del giudice medesimo, soprattutto se non vi siano state sellecitazioni da parte dei creditori, tenuto anche conto della importanza capitale che simile provvedimento puo' avere nella procedura concorsuale. Questo provvedimento, a differenza di quello che autorizza il curatore a costituirsi parte civile in un procedimento penale (in relazione al quale provvedimento come si e visto piu' sopra, la Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimita' costituzionale), fa apparire il giudice delegato del fallimento sostanzialmente come attore nella causa di responsabilita' di cui trattasi e come parte sequestrante (ovviamente nell'interesse dei creditori della societa' fallita). Ecco perche', per concludere, in questo caso la cosiddetta "forza della prevenzione" appare piu' pregnante che mai. Per i suesposti motivi la prospettata questione di legittimita' costituzionale appare manifestamente infondata e viene pertanto, di ufficio, rimessa all'esame della Corte costituzionale, con conseguente sospensione dell'attuale procedimento incidentale sulla istanza di ricusazione proposta dal convenuto sig. Franco Caserta nei confronti del giudice dott. Alessandro Rizzieri. Superfluo aggiungere che la causa assegnata al giudice Rizzieri, nella quale il sig. Caserta e' convenuto, gia' sospesa ope legis in virtu' della presentazione dell'istanza di ricusazione, rimarra' sospesa fino a tanto che questo collegio non avra' deciso su tale istanza: il che, attesa la sospensione (anche questa ope legis) del procedimento incidentale di ricusazione, determinata dalla questione di legittimita' costituzionale ora sollevata di ufficio, non potra' avvenire prima che sulla questione medesima la Corte costituzionale si sia pronunciata.