IL TRIBUNALE Letto il ricorso iscritto al n. 414/1998, avente ad oggetto il reclamo avvero il provvedimento del giudice delegato al fallimento di Cuccaro Vincenzo e Salzarulo Caterina (n. 25/1993 R.F.) emesso in data 8 giugno 1998; Sentito il giudice incaricato di riferire; Premesso in fatto Che, con decreto del 10 marzo 1998 il giudice delegato preposto al fallimento dei coniugi Cuccaro Vincenzo e Salzarulo Caterina (n. 25/1993 R.F.) autorizzava il curatore, avv. Carmela Pandolfo, a proporre, a mezzo dell'avv. Vito Laraia nominato difensore della curatela con lo stesso decreto, azione revocatoria per il recupero, a favore della massa attiva fallimentare, di un appartamento venduto dai falliti; che il nominato difensore procedeva alla notifica dell'atto di citazione ed alla iscrizione a ruolo della causa e chiedeva il rimborso delle spese anticipate oltre alla somma necessaria per la trascrizione della domanda, il tutto per un importo di L. 800.000; che la curatrice, con istanza dell'8 giugno 1998 chiedeva al giudice delegato l'emissione di un ordine di pagamento per la somma di L. 800.000 a carico dell'ufficio del registro di Potenza; che con provvedimento deIl'8 giugno 1998, comunicato al curatore il 12 giugno 1998, il giudice delegato respingeva la richiesta, sostenendo che le spese della citazione, dell'iscrizione a ruolo della causa e di trascrizione non erano tra quelle di cui tratta 1'art. 91 della legge fallimentare; che avverso tale decreto del giudice delegato emesso in data 8 giugno 1998, il curatore proponeva reclamo con ricorso depositato il 12 giugno 1998; che con tale reclamo venivano dal curatore sostanzialmente riproposte le ragioni gia' alla base della richiesta avanzata al giudice delegato ed altresi' sollevata eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 91 r.d. 16 marzo 1942 n. 267 nei termini di seguito meglio specificati; Considerato in diritto Con il presente reclamo si sottopone all'esame del tribunale la questione dell'anticipazione da parte dell'erario delle spese per gli "atti richiesti dalla legge, dalla sentenza dichiarativa di fallimento alla chiusura della procedura" ai sensi dell'art. 91 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267. E', in realta' discusso, se per "atti richiesti dalla legge" debbano essere intesi solo gli atti c.d. interni al fallimento (es. apposizione di sigilli, inventari etc.) ovvero tutti gli atti che si appalesino utili per l'attuazione del procedimento (es. revocatorie) e, quindi, se l'anticipazione di cui all'art. 91 legge fallimentare sia utilizzabile per procedere al rimborso delle spese strettamente inerenti alla procedura fallimentare ("spese giudiziali" in senso stretto) ovvero anche per rimborsare spese ed onorari di procedure occasionate dal fallimento. La giurisprudenza e' per la maggior parte propensa ad una lettura restrittiva dell'articolo citato. Si sostiene, infatti, che e' a carico dell'erario solo quanto necessario ed indispensabile per pervenire dalla sentenza dichiarativa di fallimento al decreto di chiusura del fallimento stesso. Chi aderisce alla lettura restrittiva dell'art. 91 legge fallimentare sostiene che quando nel fallimento non vi sia liquidita' il curatore debba domandare ed ottenere dalla competente commissione l'ammissione al gratuito patrocinio cosi' come disciplinato dal r.d. 30 dicembre 1923 n. 3282 e successive modifiche. Tale interpretazione e' del resto stata confermata, anche di recente, dalla Corte costituzionale che, ribadendo l'infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 91 legge fallimentare, con riferimento agli articoli 3, 35 e 36 Costituzione (perche' il rapporto professionale da instaurarsi non viene imposto autoritativamente e neanche puo' parlarsi di sacrificio economico subito dal cittadino attraverso l'espletamento di un'attivita' lavorativa senza retribuzione) ha anche precisato non esservi alcuna lesione del principio di buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Costituzione) nella previsione di incarichi del tutto gratuiti (che sono anzi ben noti all'ordinamento giuridico) e, a maggior ragione di incarichi, di per se' non gratuiti che presentino un' alea di mancato realizzo, in concreto, del compenso. Un avvocato presta la sua opera in favore del fallimento ed il rapporto e' un rapporto professionale e privato, accettato liberamente. La suprema corte ha affermato che ci si trova di fronte ad una ipotesi di locatio operis professionale alla quale non si estendono le tutele di cui agli articoli 35 e 36 della Costituzione che riguardano i rapporti di lavoro subordinato. Procedendo ad una attenta esegesi dell'art. 91 legge fallimentare occorre rilevare che esso disciplina due diverse ipotesi: una e' quella del pagamento diretto ai terzi creditori da parte dell'erario delle spese da questi sostenute per le procedure fallimentari; l'altra e' quella della prenotazione a debito per cui lo Stato che dovrebbe riscuotere determinate imposte attende che il fallimento presenti una sua liquidita'. Il caso di specie prende in considerazione l'opportunita' che le spese che si riferiscono ad un'azione revocatoria occasionata dal fallimento siano rese oggetto di anticipazione da parte dell'erario. Malgrado i precedenti giurisprudenziali, comunque, non bisogna negare che la materia necessita di un intervento della Corte costituzionale che chiarisca una volta per tutte ed in maniera inconfutabile il disposto di cui all'art. 91 legge fallimentare; il reclamante ha, invero, evidenziato nuovi aspetti in ordine alla suddetta problematica. Il reclamo, infatti, precisa che la Corte suprema ha gia' statuito su tale materia nel lontano 1976 e si fa rilevare come da quella data gli oneri in bolli e diritti siano enormemente lievitati. Si fa rilevare, tra l'altro, che agli avvocati e' fatto divieto ai sensi e per gli effetti della legge 13 giugno 1992 n. 794 di svolgere la propria attivita' gratuitamente. Del resto, se e' vero che gli avvocati svolgono un servizio di pubblica necessita' non si puo' certo continuare ad affermare il carattere privatistico della loro prestazione (che se tale va necessariamente retribuita) quando essa sia effettuata per un procedimento occasionato da un fallimento. Va, in ogni caso, evidenziata la ratio che sottende all'art. 91 legge fallimentare. Il legislatore che ha costruito, infatti, il processo fallimentare come un processo nel quale l'interesse pubblico e' preminente tanto da voler togliere dal mercato quelle imprese che si trovino in uno stato di decozione, non puo', evidentemente, aver inteso ragionevolmente pensare che tale istanza pubblicistica venga meno per quegli atti che siano ritenuti necessari dagli organi fallimentari affinche' il processo del fallimento sia completo. L'interpretazione teleologica porta a dover affermare che una volta che gli organi fallimentari abbiano deciso sulla necessita' di un atto, viene meno il carattere della discrezionalita' e ad esso si sostituisce quello della necessita' per cui l'atto diventa necessario per legge rientrando, quindi, nella espressione di cui all'art. 91 r.d. n. 267/1942. La valutazione del giudice delegato e', dunque, in ogni caso una attivita' dovuta per finalita' di interesse generale e, di conseguenza, tutti i soggetti chiamati a collaborare per il perseguimento di tale interesse professionale perdono i connotati di prestatori d'opera professionale di tipo meramente privatistico (si pensi alle modalita' della nomina, al tipo di responsabilita', ad una certa doverosita' dell'accettazione). La stessa azione revocatoria intrapresa dal curatore non puo', del resto, essere ridotta ad un mero interesse "privato" dei creditori dovendo essere piuttosto inquadrata nell'ambito delle attivita' dirette ad una ricostituzione del patrimonio del fallito. Cio' appare di tutta evidenza se si fa' riferimento alle azioni revocatorie fallimentare che si differenziano, sul piano processuale, dalle revocatorie ordinaria per la maggiore facilita' di prova e la maggiore ampiezza delle conseguenze legali della pronuncia di revoca. Del resto secondo la norma dell' art. 52 legge fallimentale "il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito" il che significa che scopo della procedura e' quello di consentire che tutti i creditori in modo paritario siano chiamati a soddisfarsi nel contesto di un procedimento unitario, sul patrimonio - destinato alla liquidazione - del debitore, e quindi non solo su quello rinvenuto all'atto della dichiarazione del fallimento ma anche su quello recuperato alla massa attiva dal curatore con i mezzi legali all'uopo predisposti. Nell'ottica, dunque, del pieno soddisfacimento delle ragioni creditorie ed in adesione al principio cui il r.d. n. 267/1942 e' ispirato e cioe' alla necessita' di espellere dal mercato anche l'imprenditore "onesto ma sfortunato" in quanto capace di attentare alla salute dell'economia nazionale, senza che tale espulsione possa essere intralciata da interessi privatistici del debitore ovvero di alcuno dei creditori (cfr. relazione alla legge fallimentare, n. 1) va sottolineato che nel fallimento ad una situazione commutativa, tipica del processo esecutivo individuale, si sostituisce una situazione distributiva perche' al senso dell'individuale subentra il senso del collettivo nel quale, peraltro, si accentua la responsabilizzazione dei vari organi preposti all'attuazione delle finalita' concorsuali. L'accertamento pubblico dello stato di insolvenza, l'esecuzione forzata sull'intero patrimonio del debitore (con i mezzi legali previsti per la piena ricostituzione dello stesso di cui agli articoli 25 e 64 e ss. della legge fallimentare), l'estensione degli effetti patrimoniali del dissesto ai parenti prossimi ed ai soci del fallito, il principio concorsuale della par condicio contribuiscono insieme a designare la tipicita' dell'istituto. Ed invero proprio in attuazione dei suddetti principi il finanziamento di una revocatoria o anche di una causa di recupero deve essere posto a carico dell'erario cosi' come ad esso dovrebbero far capo il rimborso delle spese, il pagamento di avvocati e periti. Lo stesso art. 133 legge fallimentare e', a ben guardare, una coerente applicazione di tali principi. Esso non rappresenta affatto una deroga al criterio indicato dall'art. 91 legge fallimentare cosi' come interpretato dalla giurisprudenza prevalente; rappresentando al contrario una dichiarazione esplicita in cui si afferma il potere del giudice delegato di ordinare la prenotazione a debito delle spese di omologazione di un concordato e di disporre il rimborso delle spese anticipate con pagamento da effettuarsi a carico dell'erario. Tale disciplina non rientra in effetti, tra gli atti strettamente fallimentari eppure il giudice puo' usufruire dell'art. 91 per spese che non sono da intendersi "stricto sensu" proprie della procedura fallimentare. Bisogna anche considerare che se si vuole continuare a leggere restrittivamente l'art. 91 legge fallimentare si avra' inevitabilmente una situazione assurda per cui il professionista, il quale teme di non vedersi pagata la parcella, iniziera' a non accettare piu' incarichi quando gli stessi gli vengano conferiti per un fallimento. In conclusione, non e' detto che l'espressione "spese giudiziarie per atti richiesti dalla legge" debba per forza leggersi come "spese giudiziarie strettamente occorrenti all'espletamento della procedura fallimentare", piu' correttamente bisogna risalire alla ratio dell'art. 91 legge fallimentare ed e' cosi' che si coglie l'aspetto pubblicistico dell'attivita' prestata. Tale interesse e' insito nel fallimento atteso che esso, come sopra evidenziato, persegue l'eliminazione o il risanamento di imprese che versino in uno stato di insolvenza e non e' certo "privato" l'interesse dei creditori (tra i quali vi e' quasi sempre lo stesso Stato) al recupero di beni o di somme. Proprio sulla questione del carattere privatistico o pubblicistico di queste azioni revocatorie occasionate da un fallimento si sottolinea da parte del reclamante come prevalga il secondo aspetto rispetto al primo, atteso che lo Stato interviene nelle procedure fallimentari con i suoi organi i quali chiedono il pagamento di crediti fiscali e/o previdenziali. La natura pubblicistica di tali crediti non puo' essere negata e la loro importanza e' sottolineata dalla circostanza che per essi il legislatore ha previsto un regime di privilegio. Sembra equo, pertanto, consentire almeno un anticipo a carico dell`erario per queste spese atteso che non si vede la ragione di un regime differenziato tra il professionista nominato dalla commissione per il gratuito patrocinio e quello indicato dal giudice delegato anche in considerazione del fatto che svolgono la stessa attivita'. Venendo in particolare al problema dell'anticipazione da parte dell'erario delle spese relative all'iscrizione della causa a ruolo e della trascrizione dell'atto di citazione, accogliendo l'interpretazione prevalente dell'art. 91 del r.d. n. 267 del 1942 il ricorso all'istituto del gratuito patrocinio, richiamato in altre pronunce di merito per supportare l'adesione al suddetto orientamento, incontrerebbe ugualmente un ostacolo nella formulazione dell'art. 42 del r.d. n. 3282 del 1923 che, nel richiamare l'art. 914 del codice di commercio, sostanzialmente rimanda alla norma de quo che ne ha preso il posto, con la conseguente creazione di un sostanziale vuoto di tutela. D'altra parte, posto che la limitazione introdotta dall'interpretazione dell'articolo 91 del r.d. n. 267 del 1942 generalmente accolta dalla giurisprudenza ha assunto i caratteri del diritto vivente, questo giudice ritiene di non discostarsene, rilevandone, pero', l'incompatibilita' con alcuni principi fondamentali recepiti nella Costituzione. La questione del contrasto della suddetta interpretazione con i principi costituzionali, peraltro sollevata in via subordinata dal reclamante, appare rilevante nel caso de quo posto che, dovendo la norma di diritto vivente sospettata di illegittimita' costituzionale - preclusiva della anticipazione delle spese relative all'azione revocatoria - essere applicata nella fattispecie rimessa alla decisione di questo collegio (con la conseguenza del potenziale rigetto del reclamo), la risoluzione della suddetta questione appare pregiudiziale rispetto al relativo giudizio. Sul piano della sommaria delibazione della non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, occorre rilevare che l'art. 91 del r.d. n. 267/1942, cosi' come interpretato dalla giurisprudenza prevalente, sembra violare sotto molteplici aspetti la costituzione. Da quanto detto, infatti, discende che la lettura restrittiva dell'art. 91 del r.d. n. 247/1942 lo pone in aperta violazione degli articoli 3, 23, 35 e 36 della Costituzione atteso che comporta una disparita' tra i professionisti che svolgono la loro attivita' in favore di un fallimento che ha liquidita' e quei professionisti che svolgono la loro attivita' per una procedura fallimentare incapiente. Ne' vale a superare la disparita' la possibilita' di usufruire del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3282 che disciplina il gratuito patrocinio perche' la diversita' di trattamento persiste atteso che il professionista che ha svolto il proprio incarico a favore del fallimento che presenta una situazione di liquidita' e' sicuro di ottenere il pagamento della sua parcella, mentre il professionista che e' stato nominato dalla commissione del gratuito patrocinio prestera' la sua opera gratuitamente. Inoltre la limitazione dell'ambito di applicazione del beneficio previsto dall'art. 91 del r.d. n. 267/1942 alle spese relative agli atti interni alla procedura fallimentare, con conseguente necessita' del ricorso al patrocinio gratuito per l'esperimento delle azioni che il giudice delegato dovesse ritenere necessarie nell'interesse della massa dei creditori, si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza formale determinata da discriminazione per ragioni economiche: la possibilita' di scelta di un difensore di fiducia, fornito di competenza specifica e la certezza, da parte del difensore nominato, del conseguimento del corrispettivo indipendentemente dall'esito della lite (che potrebbe scoraggiare la rinuncia all' incarico) - elementi che verrebbero meno se il fallimento sprovvisto di liquidita' fosse costretto, come sostiene la giurisprudenza prevalente, a ricorrere al gratuito patrocinio, caratterizzato dalla nomina d'ufficio del difensore e dalla gratuita' dell'incarico - determinano una disparita' di trattamento fra un fallimento sprovvisto di attivo, la cui curatela, per intraprendere azioni potenzialmente utili per i creditori, sarebbe costretta a richiedere l'accesso al gratuito patrocinio, e un fallimento che puo' fare affidamento su una certa consistenza patrimoniale per la tutela giudiziaria delle ragioni dei creditori. L'interpretazione dell'istituto dell'anticipazione delle spese a carico dell'erario privilegiata dalla giurisprudenza, infine, risulta in contrasto con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza delle leggi, elaborato dalla Corte costituzionale come limite al potere discrezionale del legislatore per un duplice aspetto: da un lato, infatti, la legge attribuisce al giudice delegato il potere di autorizzare il curatore ad esercitare azioni strumentali al recupero dell'attivo uscito dalla massa fallimentare, sul presupposto del previo riconoscimento della loro utilita' e della preventiva delibazione della loro fondatezza, dall'altro la disciplina generale sul gratuito patrocinio subordina l'ammissione allo stesso alla valutazione, da parte di un'apposita commissione, della probabilita' dell'esito favorevole della causa (art. 15 del r.d. n. 3282/1923), laddove in presenza di un fallimento in attivo, la valutazione dell'utilita' delle azioni occasionate dal fallimento e' affidata esclusivamente al giudice delegato. Inoltre, tale interpretazione fatta propria dal diritto vivente determina un insanabile contrasto fra la norma che attribuisce al giudice delegato il compito di autorizzare le azioni strumentali al soddisfacimento dei creditori e di nominare il difensore che rappresenti la curatela nel relativo giudizio (art. 25 primo comma n. 6 del r.d. n. 267 del 1942), applicabile quando la massa fallimentare presenta un attivo, e la norma che, in caso di accesso al gratuito patrocinio per mancanza di fondi, attribuisce il potere di nomina del difensore d'ufficio ad un'apposita commissione.