IL TRIBUNALE All'udienza del 20 febbraio 2003 nei procedimenti penali n. 814/A/00 - 505/A/01 - 55/A/01 R.G.N.R. a carico di Federighi Raffaello, nato a Terni il 14 novembre 1956, (atto di nascita n. 1956/1082/1/A) ivi residente in via Goldoni n. 18, elettivamente domiciliato presso l'avv. Renato Archidiacono con studio in Roma - Viale Mazzini n. 131. Capitano CC attualmente nella forza assente della Scuola Allievi Carabinieri in Roma a seguito di provvedimento di sospensione precauzionale dell'impiego. Imputato di: A) «Disobbedienza aggravata continuata» (artt. 81, cpv. c.p.; 47, n. 2, 173 c.p.m.p.) perche' con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso: in data 19 luglio 2000, in Roma, rifiutava di obbedire o comunque non ottemperava all'ordine (attinente al servizio ed alla disciplina militare ed intimatogli, a mezzo del Maresciallo Sorrentino, dal Capo di Stato Maggiore dell'Ispettorato Scuole CC in Roma Colonnello Minchiotti) di presentarsi presso il suddetto ispettorato per la consegna di un plico che lo riguardava e che gli doveva essere consegnato urgentemente nella stessa giornata del 19 luglio; in data 23 agosto 2000, in Roma, non ottemperava all'ordine, impartitogli telefonicamente e successivamente per iscritto dal superiore Col. Minchiotti di presentarsi alla seduta del Consiglio di disciplina davanti al quale il Cap. Federighi era stato deferito; in data 26 agosto 2000 non ottemperava all'ordine, intimatogli sempre dal Colonnello Minchiotti, di consegnare al comandante della compagnia Carabinieri di Montefiascone (Viterbo) gli originali dei certificati medici rilasciati rispettivamente dal dott. Gianluigi Errico, in data 23 agosto 2000, e dal dott. Antonio Naddeo, in data 26 agosto 2000, in data 12 aprile 2001 non ottemperava infine all'ordine di presentarsi alla Commissione medica ospedaliera in Roma - Cecchignola, intimatogli dal Presidente f.f. della predetta commissione, per sottoporsi a visita ortopedica. Con l'aggravante del grado rivestito. B) Concorso in simulazione di infermita' pluriaggravata» (artt. 110, 61, n. 2, c.p. 47, n. 2, 159 c.p.m.p.) perche' a partire dalla fine di luglio 2000 e sino al giugno 2001, in Roma, anche in concorso con estranei alle FF.AA. (in altra sede perseguiti), simulava infermita' inesistenti o comunque non esimenti, in modo da indurre in errore i superiore gerarchici e le autorita' sanitarie militari, anche a mezzo produzione di certificati medici rilasciati da medici privati, per sottrarsi al servizio volontariamente assunto. Con l'aggravante del grado rivestito e della connessione teleologica con i reati di disobbedienza sopra indicati. C) «Disobbedienza aggravata» (artt. 47, n. 2, 173 c.p.m.p.) perche' in data 26 giugno 2001, in Roma rifiutava di obbedire o comunque non ottemperava all'ordine (attinente al servizio ed alla disciplina militare ed intimatogli telefonicamente dal Capo di Stato Maggiore dell'Ispettorato Scuole CC in Roma Colonnello Carlo Minchiotti) di presentarsi a rapporto per la notifica di provvedimento amministrativo di sospensione dal servizio che lo riguardava. Con l'aggravante del grado rivestito. D) Disobbedienza aggravata continuata» (artt. 81 cpv. c.p.; 47 n. 2, 173 c.p.m.p.) perche' con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, tra il 14 febbraio 2001 ed il 5 luglio 2001, in Roma, rifiutava di obbedire o comunque non ottemperava all'ordine (attinente al servizio ed alla disciplina militare ed intimatogli personalmente ed anche per iscritto dal Capo di Stato Maggiore dell'Ispettorato Scuole CC in Roma Colonnello Carlo Minchiotti) di provvedere al rilascio ed allo sgombero da effetti personali di due locali precedentemente assegnati al Federighi, per uso ufficio e foresteria, presso la caserma sede del predetto Ispettorato. Con l'aggravante del grado del rivestito. Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, legge n. 479 del 16 dicembre 1999, n. 479 in relazione agli articoli 3, comma 1, 24, comma 2 della Costituzione. O s s e r v a Nel presente procedimento la difesa dell'imputato ha proposto questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, legge n. 479/1999, nella parte in cui non prevede che i praticanti avvocati dopo il conseguimento dell'abilitazione al patrocinio possano difendere anche dinanzi ai tribunali militari in ordine agli stessi reati per i quali compaiono dinanzi al giudice di pace ed al tribunale in composizione monocratica. Il p.m. si e' associato parzialmente alle osservazioni difensive. Va in primo luogo osservato come oggi gli organi della giustizia militare, anche a seguito dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, operano in un quadro normativo (e culturale), contrassegnato da un inarrestabile avvicinamento del rito militare alle regole della giurisdizione ordinaria. In tale sviluppo, ruolo fondamentale va riconosciuto alla legge 7 maggio 1981 n. 180, recante modifiche all'ordinamento giudiziario militare di pace: in particolare l'art. 16, nel disporre l'abrogazione di varie norme del r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, ha altresi' abrogato l'art. 53 che disciplinava la difesa davanti al tribunali militari (allora definiti) territoriali. Non v'e' dubbio in proposito che la legislazione penale militare era, contrassegnata da talune particolarita': in primo luogo un evidente sfavore rispetto alla partecipazione del difensore in ogni momento processuale, tanto che l'art. 293 c.p.m.p., nella sua originaria formulazione, prevedeva che «durante l'istruzione non sono ammesse l'assistenza e la rappresentanza del difensore». In secondo luogo il processo penale militare conosceva due tipi di difensore: a) il difensore militare (art. 53, comma 1 e 2, ord. giud. mil.), imposto oltre tutto, di regola, davanti ai tribunali militari di bordo (art. 54 ord. giud. mil.) e presso corpi di spedizione o presso Forze armate concentrate (art. 55 ord. giud. mil.); b) il difensore non militare (art. 53, u.c. ord. giud. mil.). Tale alternativita' veniva ulteriormente limitata dall'art. 293 c.p.m.p. (pur nel nuovo testo fornito dall'art. 2 d.lgs. C.p.S. 20 agosto 1947, n. 1103), la quale norma disponeva che «qualora occorre tutelare il segreto politico o militare il giudice istruttore o il presidente, con provvedimento non soggetto ad impugnazione, puo' escludere il difensore non militare». Nel nuovo quadro ordinamentale contrassegnato dalla caduta di tutte tali distinzioni e limitazioni, occorre valutare la coerenza costituzionale dell'art. 7, della legge 16 dicembre 1999, n. 479, che nel disciplinare l'attivita' professionale dei praticanti avvocati dopo il conseguimento dell'abilitazione al patrocinio, dispone che nelle cause di competenza del giudice di pace e dinanzi al tribunale in composizione monocratica essi possano esercitare limitatamente, negli affari penali, alle cause per i reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni ovvero una pena pecuniara sola o congiunta alla predetta pena detentiva (lettera b, n. 1), nonche' alle cause per i reati elencati alla lettera b, n. 2. Nulla si dispone per gli affari penali dinanzi ai tribunali militari. Ad avviso di questo giudice non manifestamente infondato appare il dubbio di costituzionalita' avanzato dalla difesa per quanto attiene in primo luogo al principio di uguaglianza sancito dall'art. 3, comma 1 Cost., poiche' irragionevole sembra escludere l'intervento del praticante avvocato abilitato dinanzi ai tribunali militari per quegli stessi reati per i quali egli e' chiamato a difendere dinanzi al giudice di pace ovvero davanti al tribunale in composizione monocratica. E' vero che la Corte costituzionale (ord. 204/2001) ha dichiarato l'infondatezza della questione di costituzionalita', sollevata da diversi giudici militari, in ordine alla inapplicabilita' anche al processo penale militare del c.d. rito monocratico. Cio' perche' secondo la Corte, l'intervento del giudice d'arma al collegio giudicante «connettendosi alla stessa origine e ratio storica dei tribunali militari, mira ad assicurare una migliore comprensione, utile, ai fini del giudizio, della vita e dell'ambiente militare nei quali i fatti illeciti sono commessi». E' tuttavia dedurre dalla composizione necessariamente collegiale dei tribunali militari l'esclusione della idoneita' professionale del praticante abilitato potrebbe apparire irragionevole, atteso che essa non sarebbe in tal modo fondata sull'esigenza di assicurarne la capacita' tecnica nel rispetto dei limiti generali di competenza sanciti dalla lettera b), dell'art. 7, della legge n. 479/1999, bensi' esclusivamente su quei caratteri di specialita' di cui l'ordinamento giudiziario militare costituisce espressione. Deve oltre tutto notarsi che l'art. 7 della legge n. 479/1999 nel determinare il limite alla capacita' tecnica del praticante abilitato fa riferimento al concetto di «pena detentiva». Orbene in virtu' del disposto dell'art. 23 c.p.m.p. sotto la denominazione di pene detentive o restrittive della liberta' personale e' compresa; oltre alle pene indicate nell' art. 18, comma 1, c.p., anche la reclusione militare. Il che porta a ritenere come, almeno sotto tale profilo, non sia possibile cogliere alcuna diversita' ontologica e funzionale tra la reclusione militare e la reclusione c.d. ordinaria. Tanto e' vero che, laddove debba ancora operarsi la sostituzione ai sensi dell'art. 27 c.p.m.p. della pena della reclusione militare con quella della reclusione (o viceversa), tale sostituzione deve compiersi sempre per ugual durata. E l'uguaglianza della durata tra l'una e l'altra forma detentiva e' talmente ineludibile che, ove debba sostituirsi la reclusione militare alla pena della reclusione inflitta per reati comuni a militari in servizio permanente, l'art. 63, n. 3 C.p.m.p. non solo prevede che la sostituzione operi per ugual durata, ma anche che tale durata resti uguale «ancorche' la reclusione sia inferiore ad un mese», cosi' abbattendo il limite minimo previsto dall'art. 26 C.p.m.p. per la reclusione militare. Sicche' e' indiscutibile che la reclusione militare rientri a pieno titolo, quale species, nell'ampio genus delle pene detentive, come peraltro affermato piu' volte dalla stessa Corte costituzionale (per tutte sent. 503/1989), differenziandosi esclusivamente sul versante delle modalita' di esecuzione di una pena fondamentalmente unitaria. Dubbi di costituzionalita' della legge n. 479/1999 si affacciano inoltre in relazione all'art. 24, comma 2, Cost., che riconosce la difesa «diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo». Orbene precludere all'imputato di un reato militare, punito con pena detentiva non superiore nel massimo ad anni quattro, la possibilita' di farsi assistere da un praticante abilitato, ne potrebbe ingiustificatamente limitare l'esercizio del diritto di difesa. Tanto piu' che proprio la Corte costituzionale (sentenza n. 5/1999) ha riconosciuto al praticante abilitato la capacita' di assicurare una adeguata difesa tecnica, nei limiti degli affari penali che il legislatore ha ritenuto di affidargli. Va inoltre notato che, ad oggi, i praticanti abilitati sono impediti a svolgere la propria attivita' professionale in ordine a qualsivoglia reato militare attribuito alla cognizione dell'Autorita' giudiziaria militare, e quindi non solo dinanzi ai tribunali militari in (irrinunciabile) composizione collegiale, ma anche come nel caso di specie, dinanzi al giudice dell'udienza preliminare di per se' monocratico. Laddove in forza proprio dell'art. 7 della legge n. 479/1999 ben potrebbe avvenire che un praticante abilitato sia chiamato a difendere dinanzi al tribunale in composizione monocratica un imputato per un reato militare connesso ai sensi degli artt. 12 e 13 c.p.p. con un reato comune piu' grave, ma comunque rientrante tra quelli per i quali e' prevista la monocraticita' del giudice. Va infine rilevato che la questione di costituzionalita' e' rilevante nel caso di specie atteso che l'odierno imputato, il quale si e' avvalso della facolta' di nominare tra i propri difensori un praticante abilitato, deve rispondere in ordine a reati militari per i quali e' prevista pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, cosi' come sancito dall'art. 7, lettera b, n. 1, della legge n. 479/1999. Va pertanto richiesto alla Corte costituzionale di esaminare la questione costituzionalita' dell'art. 7 della legge n. 479/1999, in relazione agli artt. 3, comma 1; 24, comma 2, Cost.; nella parte in cui non prevede che i praticanti avvocati dopo il conseguimento dell'abilitazione al patrocinio possono esercitare anche dinanzi agli organi giudiziari militari in ordine a quegli stessi reati per i quali tale capacita' e' gia' loro riconosciuta dinanzi al giudice di pace e al tribunale in composizione monocratica.