IL GIUDICE DI PACE

    Nel  procedimento  penale pendente nei confronti di Loro Domenico
nato  a  Susegana  (TV)  il  17 gennaio  1927,  «per  il reato di cui
all'art. 81  - 726 c.p.» accertato in Conegliano, il 30 marzo 2000, e
8 gennaio 2002;

                            O s s e r v a

    L'art. 2,  d.lgs. 28.8.2000, n. 274 fissa i principi generali del
procedimento penale avanti il giudice di pace penale. La collocazione
della  norma, aderendo alle osservazioni del parere della Commissione
giustizia  del  Senato  e'  stata anticipata nella parte iniziale del
provvedimento,  dedicato  alle  disposizioni  di  carattere generale.
Viene   espressamente   esclusa  l'applicabilita'  di  una  serie  di
istituti,  ritenuti  incompatibili  con  il  processo  avanti  questo
giudice.  Istituti,  la  cui  esclusione  e'  desumibile  dalla legge
delega,  in quanto estranei alla natura del processo penale avanti il
g.d.p.  Il  criterio  della massima semplificazione del processo e la
vocazione  conciliativa  del  giudice di pace rendono inapplicabili i
riti  alternativi e l'udienza preliminare. L'esclusione dell'istituto
del patteggiamento (art. 444 c.p.p.), sembra imposta dalla necessita'
di  assicurare,  comunque,  una  adeguata  tutela delle ragioni della
persona offesa (soprattutto nel ricorso immediato al giudice), tutela
ritenuta  incompatibile  con  la  natura  del patteggiamento (che non
produce effetti nel giudizio civile).
    Secondo  tale  impostazione, il cd. patteggiamento avrebbe potuto
determinare  un  aumento  del contenzioso civile, per la duplicazione
dei  giudizi. E' pur vero che il compito primario affidato al giudice
di  pace  e'  quello  (deflattivo)  di  conciliare  le  parti (con la
remissione  di  querela),  nonche' quello, in caso di condanna, della
c.d.  effettiva  della  pena  (sia  essa pecuniaria, multa o ammenda;
ovvero  paradetentiva,  permanenza  domiciliare,  con possibilita' di
conversione in lavoro di p.u.).
    Ma   cio'   non   toglie   che  ad  attenta  disamina  dei  reati
(contravvenzioni)  alla cognizione del giudice di pace, si evince che
diverso  e' il trattamento penale previsto se il reo e' giudicato dal
giudice  togato  monocratico,  ovvero dal giudice di pace. Ebbene, in
buona  sostanza, se il procedimento e' avanti il giudice di pace, per
violazione  ex  art. 186 n.c.s., ante 12 agosto 2003, il giudice puo'
applicare  l'oblazione  (pari  ad euro 1.291, piu' spese); ovvero, la
condanna  all'ammenda  (minimo,  euro  775,00;  massimo, euro 2.582);
infine,  per  i recidivi, etc. la cd. permanenza domiciliare, sabato,
domenica,  e  con  la  possibilita' di conversione nei lavori di p.u.
Invece,  il  giudice  monocratico, per la stessa violazione (commessa
fino  al  12  agosto  2003),  oltre  alle  pene del g.d.p. (oblazione
compresa),  puo'  applicare,  a  richiesta,  i  riti alternativi (dal
decreto  penale;  al  patteggiamento,  etc.;  con  il  rischio  della
prescrizione).  Quindi, il prevenuto avanti il tribunale, ha maggiore
scelta  e  puo'  optare  per  la  pena  piu'  mite, con disparita' di
trattamento,  nei  confronti  degli  stessi imputati, meno fortunati,
atteso  che la scelta del giudice e' dipesa soltanto dal caso; da una
circostanza  accidentale,  (avere,  cioe',  contravvenuto alla norma,
prima  o  dopo  una  certa  data).  Ancora.  Nel  caso  in questione,
(art. 726  c.p.)  questo giudice dubita della costituzionalita' della
norma, escludente d'imperio il c.d. patteggiamento (art. 444 c.p.p.),
per  un  reato  minore;  mentre,  per reati ben piu' gravi, avanti il
tribunale, e' prevista una diversa pena alternativa.
    E'  da sottolineare che tra le due fattispecie (art. 527 cp e 726
cp) intercorre un rapporto di species a genus. Nel senso che il reato
di  atti  osceni  in  se' contiene un elemento in piu', l'offesa alla
pubblica  sfera  della  sessualita',  oltre alla offesa alla pubblica
decenza.  I  due  reati  non  possono  concorrere,  perche'  l'uno e'
elemento   costitutivo  dell'altro  ed  il  delitto  (art. 527  c.p.)
costituisce  titolo  specifico  rispetto alla contravvenzione p. e p.
dall'art. 726  c.p. Ergo, il delitto ex 527 offende piu' intensamente
ed in modo piu' grave il pudore sessuale ed il sentimento di pubblica
costumatezza,  rispetto  alla  fattispecie contravvenzionale. In base
all'art. 44  d.lgs.  30 dicembre 1999, c.d. legge finanziaria, n. 507
ha  depenalizzato  l'ipotesi  colposa  prevista dal capoverso del 527
c.p.  mentre permane la punibilita', ancorche' solo colposa, prevista
e  punita dall'art. 726 c.p. Orbene, a sommesso avviso del giudice di
pace,  l'art. 726  viola  l'art. 3  Cost., sia sotto il profilo della
irragionevolezza e sia sotto quello della disparita' di trattamento.
    E'  cio' perche' se un soggetto commette atti indecenti (colposi)
e' punto con sanzione penale; altro soggetto che commette atti osceni
(colposi)  va  esente  da  pena.  E  si  pensi,  poi,  a  quanto gia'
sottolineato.  E  cioe',  se  un  soggetto  e' imputato per la citata
contravvenzione  avanti  il  giudice di pace e' comunque condannato a
pena  afilittiva,  immediata  (effettivita'  della  pena).  Se  altro
soggetto,  oltre  alla  contravvenzione,  de  qua, compie altro reato
viene giudicato dal giudice togato monocratico, con tutti i possibili
riti   alternativi,   sospensione   condizionale  della  pena,  etc.;
contravvenendo  al  principio  sancito  dall'art. 3 Cost. Amplius. La
stessa  norma  citata viola altresi' l'art. 27 Cost. sotto il profilo
del principio di colpevolezza, per gli stessi motivi enunciati sopra,
venendo meno alla finalita' della pena, tendenzialmente rieducativa.
    Tutto  questo,  ritiene  il giudicante manifestamente fondato, in
quanto  emerge  dall'applicazione  al solo in esame, del principio di
ragionevolezza,  per i motivi indicati. Percio', solleva questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 726   c.p.,   in  relazione
all'art. 44  d.lgs.  n. 507  in data 30 dicembre 1999, nella parte in
cui nel prevedere la depenalizzazione del capoverso dell'art. 527 cp.
esclude  la  depenalizzazione della contravvenzione, sotto il profilo
della colpa.
    E,  per  gli  stessi  motivi,  solleva  questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 726 c.p. in relazione agli artt. 1, 7, primo
comma  lett.  c)  l. 25 giugno 1999, n. 205, nella parte in cui nella
legge delega al Governo per la depenalizzazione, esclude dalla stessa
la  contravvenzione p.e p. dall'art. 726 c.p., sotto il profilo della
colpa.
    In  relazione all'art. 3, nella considerazione che viene alterata
la  pari  dignita'  del  cittadino,  essendo  piu'  favorevole essere
giudicato dal tribunale, anziche' dal giudice di pace. L'art. 3 Cost.
uno   dei  piu'  importanti,  per  il  suo  contenuto  essenzialmente
programmatico  e  finalistico,  parla di cittadino, con pari dignita'
sociale  e  tutti uguali avanti alla legge, senza distinzione alcuna.
Accanto  al  principio  di  uguaglianza di diritto pone quello' della
uguaglianza  di fatto, si' che il presidente Meuccio Ruini, nella sua
relazione  scriveva,  «il  principio  dell'uguaglianza di fronte alla
legge,  conquista  delle antiche Carte costituzionali, e' riaffermato
con  piu'  concreta  espressione...  e  trova oggi nuovo e piu' ampio
sviluppo  con  l'uguaglianza  piena,  anche  in  campo  politico, dei
cittadini  indipendentemente  dal  loro  sesso» (M. Ruini, Presidente
della Commissione dei 75).
    In  base,  ancora,  all'art. 27  Cost., sotto il citato principio
della  colpevolezza,  per  gli  stessi  motivi  elencati, tradendo la
finalita' della pena, che deve tendere alla rieducazione del reo.
    Dagli  atti  della  citata  commissione  dei  75,  si  rileva che
«compito  della  Costituzione  e' di segnare una direttiva precisa al
legislatore,  al  quale  spettera'  di  adeguare  le leggi alla norma
fondamentale»,  assicurando  che la formula «tiene conto degli abusi,
delle  incertezze  e delle deficienze che hanno vulnerato nel passato
l'istituto   della   difesa,  specie  per  quanto  attiene  alla  sua
esclusione  da  vari stati e gradi del giudizio e davanti a qualsiasi
magistratura. Questa esigenza e' espressa in termini cosi' lapidari e
perentori  che  nessuna  legge  potra'  mai  e  per  nessuna  ragione
violarla» (on. U. Tupini).
    E  sotto il profilo della irragionevolezza, questo giudice dubita
della costituzionalita' dell'art. 2 d.lgs. 274/2000. Non si comprende
perche'   per   reati   anche   piu'  gravi,  vi  e'  il  ricorso  al
patteggiamento,  mentre  per  i  reati  minori l'istituto e' escluso,
ponendo  una  disparita'  di trattamento tra i cittadini, soprattutto
nel caso in esame, che in caso di condanna (anche mite) e' pur sempre
una  condanna  penale,  come  detto.  Il  legislatore, secondo questo
giudice  avrebbe  dovuto  prevedere,  (in  extrema  ratio)  con  ogni
possibile  cautela,  il  c.d.  patteggiamento  per  quei reati, anche
minori,  che  in  caso  di condanna (concreta) avrebbero creato grave
pregiudizio,  e  disparita'  di trattamento, con gli altri cittadini.
Appare,  studiando  gli atti preparatori della nostra Cost. del 1948,
all'art. 3  e  27,  che  i nostri Costituenti avevano ben precisa una
parita'   uguale   avanti   ogni   giudice,   sia  sotto  il  profilo
dell'uguaglianza   sostanziale  e  sia  sotto  il  profilo  della  cd
ragionevolezza (come gia' detto).
    E'  pur vero che vi e' differenza tra giurisdizione ordinaria, di
natura repressiva, basata essenzialmente sul binomio: responsabilita'
accertata/sanzione,  e  la  giurisdizione  del  giudice  di pace, che
ignorando le forme alternative premiali, e' diretta a comporre in via
principale  il  conflitto  sotteso  al reato, e solo in extrema ratio
sfocia  nell'applicazione  della  sanzione.  E'  chiaro che la scelta
legislativa di non rendere praticabili nel processo avanti il giudice
onorario   i   riti  speciali  deflattivi,  oltre  alle  esigenze  di
semplicita',  e'  supportata  da altri motivi, (quali, in presenza di
decreto  penale,  non  si  favorisce  il  contatto delle parti con il
giudice;  e  la  sentenza  che applica la pena su richiesta, puo' non
offrire adeguate garanzie di tutela della persona offesa). Nonostante
cio',  e  di  questo il decidente e' fortemente dubbioso, l'indirizzo
legislativo   suscita   perplessita'.  Si  pensi  ai  reati  previsti
dall'art. 4,  primo e secondo comma d.lgs., n. 274/2000 conosciuti, a
causa  di  connessione eterogenea (v. art. 6, cpv. e 7 lett. b) legge
cit.), non dal g.d.p. ma dal tribunale: tornano ad essere praticabili
il  c.d. patteggiamento, il giudizio abbreviato, il decreto penale di
condanna,  con  tutti  i  relativi  benefici per l'imputato sul piano
sanzionatorio.
    Vi   e'  chi  non  veda  l'effetto  discriminatorio,  lesivo  del
principio  di  uguaglianza  (art. 3 Cost.), posto che le probabilita'
per  imputati diversi, nelle stesse condizioni di fruire di sconto di
pena,   collegato   alla  scelta  del  rito,  viene  a  dipendere  da
circostanza   accidentale,  quale  la  possibilita'  di  disporre  la
riunione  tra  procedimenti  connessi, con lo spostamento conseguente
della  competenza  Infine, un'ultima considerazione. Se al giudice di
pace  e' demandata, ex art. 34 d.lgs. n. 274/2000, l'esclusione della
procedibilita'  nei  casi  di  particolare  tenuita'  del fatto, e la
seguente  estinzione  del  reato  conseguente  a condotte riparatorie
(art. 35 d.lgs, cit.), il legislatore non ha previsto anche per detto
giudice  onorario  il  c.d. patteggiamento (ancorche' non allargato),
bensi'  limitato  a  casi  ben  enumerati  o lasciati all'elencazione
(rigorosa)  del giudice stesso, quando non si puo' «assolvere» ovvero
la  «condanna»  appare  non  proporzionata ? Cosi', in definitiva, si
premia  colui  che  commette  piu'  reati  (di competenza del giudice
monocratico togato), rispetto a colui che e' giudicato dal giudice di
pace penale.