ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel   giudizio   di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 221-bis,
secondo comma, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione
del   testo  unico  delle  leggi  di  pubblica  sicurezza),  aggiunto
dall'art. 7  del  decreto legislativo 13 luglio 1994, n. 480 (Riforma
della  disciplina sanzionatoria contenuta nel testo unico delle leggi
di  pubblica  sicurezza,  approvato con regio decreto 18 giugno 1931,
n. 773),  promosso  con  ordinanza  del 26 agosto 2004 dalla Corte di
cassazione sul ricorso proposto da Gianluca Colagiovanni, iscritta al
n. 1001  del  registro  ordinanze  2004  e  pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 1, 1ª serie speciale, dell'anno 2005;
    Udito  nella camera di consiglio del 28 settembre 2005 il giudice
relatore Franco Bile;
    Ritenuto  che,  nel  giudizio  a  quo,  la Corte di cassazione e'
chiamata  a  decidere  sulla  impugnazione  della sentenza con cui il
ricorrente  e'  stato  dichiarato  colpevole  del  reato  di cui agli
artt. 16  del  regio  decreto 6 maggio 1940, n. 635 (Approvazione del
regolamento  per l'esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773,
delle  leggi  di  pubblica  sicurezza)  e  221  del  regio decreto 18
giugno 1931,  n. 773  (Approvazione  del  testo  unico delle leggi di
pubblica  sicurezza) e condannato alla pena di Euro 70,00 di ammenda,
«perche',  quale  esercente  di attivita' di compravendita di vetture
usate,  non teneva il prescritto registro vidimato dalle autorita' di
p.s. con attestazione del numero di pagine»;
        che, con ordinanza emessa il 26 agosto 2004, la rimettente ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  27, terzo comma, della
Costituzione  (e  «in  relazione  anche alle disposizioni di cui agli
artt. 17-bis,  126  e  128  del  testo  unico delle leggi di pubblica
sicurezza»),     questione     di     legittimita'     costituzionale
dell'art. 221-bis,  secondo  comma,  del menzionato testo unico delle
leggi   di  pubblica  sicurezza,  inserito  dall'art. 7  del  decreto
legislativo   13 luglio   1994,   n. 480  (Riforma  della  disciplina
sanzionatoria  contenuta  nel  testo  unico  delle  leggi di pubblica
sicurezza,  approvato  con  regio  decreto  18  giugno 1931, n. 773),
«nella parte in cui non prevede tra le violazioni depenalizzate anche
quella  di  cui  al  citato  art. 16 del regio decreto 6 maggio 1940,
n. 635»;
        che  la  Corte  rileva come - in virtu' dell'estensione della
depenalizzazione   operata   dall'art. 37,   comma 1,   della   legge
23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale  e  pluriennale  dello  Stato.  Legge  finanziaria 2001) - la
violazione  dell'obbligo  di  tenuta del registro di cui all'art. 128
del  testo  unico costituisce ormai, anche per i commercianti di cose
antiche  o  usate,  un  semplice  illecito  amministrativo, mentre la
violazione  dell'obbligo  di  bollatura  o  vidimazione  del medesimo
registro,   previsto   dall'art. 16   del   relativo  regolamento  di
esecuzione, continua ad essere reato;
        che  -  affermata  la  rilevanza  della  questione  e dedotta
l'impossibilita' di pervenire ad un'interpretazione adeguatrice degli
artt. 221 e 221-bis del testo unico, potendosi ritenere depenalizzate
esclusivamente  le  violazioni  espressamente indicate dall'impugnato
art. 221-bis,  fra le quali non e' compreso l'art. 16 del regolamento
di esecuzione - la Corte rimettente (pur osservando che rientra nella
discrezionalita'  del  legislatore  stabilire, secondo valutazioni di
politica criminale, quali comportamenti debbano essere puniti e quali
debbano  essere  la  qualita' e la misura della pena, col solo limite
della   razionalita)   ritiene   quantomeno  dubbia  la  legittimita'
costituzionale della norma impugnata;
        che,  infatti,  secondo  la  Cassazione, non sono ravvisabili
ragioni  giustificatrici  del  fatto  che  la  piu'  grave violazione
dell'obbligo  principale  della  tenuta dei registri delle operazioni
giornalmente   compiute,   per  effetto  delle  successive  norme  di
depenalizzazione  intervenute  nella  materia, sia oggi configurata e
punita come un semplice illecito amministrativo, mentre la meno grave
violazione  della  previsione  di  una condotta meramente strumentale
all'adempimento di tale obbligo principale (quale la necessita' che i
registri  siano  bollati  e vidimati in ogni pagina dall'autorita' di
pubblica  sicurezza) continui invece ad essere qualificata come reato
e punita con l'arresto o l'ammenda.
    Considerato  che  la  Corte di cassazione muove dalla premessa di
non    potere    risolvere    la    questione   sollevata   «mediante
un'interpretazione   adeguatrice   degli   artt. 221  e  221-bis  del
t.u.l.p.s., essendo indiscutibile che possono ritenersi depenalizzate
esclusivamente le violazioni espressamente indicate dall'art. 221-bis
t.u.l.p.s.  -  fra  le  quali  non  e'  compreso  e  non puo', in via
interpretativa,  ritenersi  compreso  l'art. 16  del  regolamento  di
esecuzione   al   t.u.l.p.s.  -  mentre  le  violazioni  delle  altre
disposizioni  del  medesimo  regolamento,  tra cui appunto l'art. 16,
sono  previste  come  reato  e  punite  con l'arresto o con l'ammenda
dall'art. 221, secondo comma, t.u.l.p.s.»;
        che  a  tale  conclusione  la Corte rimettente perviene dando
esclusivo rilievo al (pur significativo) dato letterale della mancata
esplicita  inclusione  nella  norma  impugnata della violazione delle
modalita'  di  tenuta  del  registro,  e  fonda unicamente su di esso
l'affermazione   dell'impossibilita'   di  giungere  ad  una  diversa
interpretazione  che  sottragga  la  norma  ai  denunciati  dubbi  di
incostituzionalita';
        che,  pertanto,  il  giudice  rimettente non ha ulteriormente
proseguito   l'operazione   ermeneutica,   con   la  ricerca  di  una
valutazione  sistematica  della  normativa  in  esame (avuto riguardo
anche  alla correlata previsione dell'art. 247 del regolamento) volta
all'eventuale  individuazione  di  una  ricaduta  degli effetti della
depenalizzazione  della violazione dell'obbligo sancito dall'art. 128
del  testo unico (qualificato dall'ordinanza «principale») sul regime
sanzionatorio  dell'accessoria norma del regolamento che (come ancora
ivi   sottolineato)   «prevede  una  condotta  meramente  strumentale
all'adempimento dell'obbligo principale»;
        che   il   mancato   integrale   esperimento   del   percorso
interpretativo  (salvo  l'esito  di  esso, evidentemente rimesso alla
decisione  del  giudice  a  quo) si risolve in un vizio di inadeguata
motivazione  circa  l'impossibilita'  di  dare  della norma impugnata
un'interpretazione conforme a Costituzione;
        che,  peraltro,  la formulata richiesta di pronuncia additiva
incidente   sul  secondo  comma  dell'art. 221-bis  del  testo  unico
comporterebbe  che  - in ragione della differente quantificazione del
regime  sanzionatorio  rispetto al primo comma - questa Corte sarebbe
chiamata  ad operare, in ordine alla quantificazione della pena della
nuova  ipotesi  depenalizzata,  una  scelta  (non  costituzionalmente
vincolata) che viceversa, come tale, e' rimessa alla discrezionalita'
del  legislatore  (da  ultimo,  sentenza  n. 144 del 2005 e ordinanza
n. 262 del 2005);
        che,  pertanto, la sollevata questione deve essere dichiarata
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.