Ricorso  ex  art.  127  della  Costituzione  del  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, presso i cui uffici e'  legalmente  domiciliato
in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro la Regione  Lazio,  in  persona  del  suo  presidente  pro
tempore, per  la  declaratoria  della  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 17 comma 50, lettera i) n. 5 e dell'art. 17, comma 97 della
legge della Regione Lazio n. 9 del 14  agosto  2017,  pubblicata  nel
Bollettino Ufficiale della Regione Lazio n. 65 del  16  agosto  2017,
come da delibera del Consiglio dei ministri in data 13 ottobre  2017,
per contrasto con l'art. 117, comma 2, lettera s) della  Costituzione
- Tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni  culturali  -  con
riferimento all'art. 10 della legge n. 157/1992, nonche'  con  l'art.
117, comma 3, Cost. - coordinamento  della  finanza  pubblica  -  con
riferimento all'art. 9, commi 1 e 17, del decreto-legge n. 78/2010, e
con l'art. 117, comma 2, lettera l), Cost. - Ordinamento civile. 
 
                                Fatto 
 
    In data 16 agosto  2017  e'  stata  pubblicata,  sul  n.  65  del
Bollettino Ufficiale della Regione Lazio, la legge regionale n. 9 del
14  agosto  2017,  recante  «Misure  integrative,  correttive  e   di
coordinamento in materia di finanza pubblica regionale.  Disposizioni
varie». 
    Due delle disposizioni contenute nella detta legge,  come  meglio
si  andra'  a  precisare  in  prosieguo,  eccedono  dalle  competenze
regionali e sono  violative  di  previsioni  costituzionali,  nonche'
illegittimamente invasive  delle  competenze  dello  Stato;  si  deve
pertanto procedere con  il  presente  atto  alla  loro  impugnazione,
affinche' ne sia dichiarata  la  illegittimita'  costituzionale,  con
conseguente annullamento, sulla base delle seguenti considerazioni in
punto di 
 
                               Diritto 
 
    1.1. La legge della Regione  Lazio  n.  9  del  14  agosto  2017,
«Misure integrative, correttive e  di  coordinamento  in  materia  di
finanza pubblica regionale. Disposizioni varie», ha  posto,  all'art.
17, con una ampia norma conclusiva composta di ben 99 commi, numerose
eterogenee norme regolanti materie diverse. 
    Per quanto qui interessa, tra l'altro, il legislatore  regionale,
con il comma 50 dell'art. 17 citato,  ha  devoluto  alla  regione  le
funzioni esercitate dalla Citta' Metropolitana  di  Roma  Capitale  e
dalle province in materia di fauna selvatica, intervenendo con  ampie
modifiche sul testo della legge regionale 2  maggio  1995,  n.  17  -
Norme per la tutela della fauna selvatica e la gestione programmatica
dell'esercizio venatorio. 
    Quella  legge,  nell'ottica  della   detta   ordinata   gestione,
istituiva all'art. 17 le Zone per l'allenamento e l'addestramento dei
cani e per le gare cinofile al fine di «promuovere l'addestramento  e
l'allenamento  dei  cani,  l'educazione  cinofila  e  venatoria   dei
cacciatori, il recupero dei territori marginali e  la  riduzione  dei
prelievi della selvaggina riprodotta allo stato brado», e,  al  comma
9, prevedeva la possibilita' di  istituire  zone  destinate  al  solo
allenamento dei cani. 
    Con la  legge  che  oggi  si  impugna,  alla  lettera  i),  n.  5
(erroneamente indicata, per evidente lapsus calami, come  lettera  h)
dall'allegato alla delibera con la quale il Consiglio dei ministri ha
deliberato la impugnazione della disposizione  in  esame),  e'  stato
modificato l'art. 17, comma 9,  della  legge  regionale  n.  17/1995,
introducendo la previsione che le zone destinate al solo  allenamento
dei cani devono avere natura temporanea, e che la  loro  operativita'
sia prevista «nel periodo 1° giugno-31 agosto» (1) . 
    Le modifiche cosi' introdotte incidono nella  competenza  statale
in materia, con violazione dell'art. 117, comma 2, lettera  s)  della
Costituzione -  Tutela  dell'ambiente,  dell'ecosistema  e  dei  beni
culturali - con riferimento all'art. 10 della legge n. 157/1992. 
    1.2. E' incontestabile, in primo luogo, che  la  materia  de  qua
rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, in quanto
relativa alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (lettera  s)  di
cui all'art. 117, comma 2, della Carta  fondamentale  (cfr.,  tra  le
tante, Corte  costituzionale,  sentenza,  1°  giugno  2016,  n.  124,
secondo la  quale  «la  costituzione  degli  ambiti  territoriali  di
caccia, prevista dall'art. 14 legge n. 157 del  1992,  manifesta  uno
standard inderogabile di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema»). 
    Cio'  vale,   in   particolar   modo,   per   l'addestramento   e
l'allenamento dei cani da caccia, che alla medesima pertiene. 
    1.3. E, invero, legge 11 febbraio 1992, n. 157  -  Norme  per  la
protezione  della  fauna  selvatica  omeoterma  e  per  il   prelievo
venatorio - prevede, ai commi 1 e 2 dell'art. 10 -  intitolato  Piani
faunistico-venatori, che «1. Tutto il territorio agro-silvo-pastorale
nazionale   e'   soggetto   a   pianificazione   faunistico-venatoria
finalizzata,  per  quanto  attiene  alle   specie   carnivore,   alla
conservazione   delle   effettive   capacita'   riproduttive   e   al
contenimento naturale di altre specie e, per quanto riguarda le altre
specie,  al  conseguimento  della  densita'  ottimale  e   alla   sua
conservazione mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e
la regolamentazione del  prelievo  venatorio.  2.  Le  regioni  e  le
province, con le modalita' previste ai commi 7 e  10,  realizzano  la
pianificazione  di  cui  al  comma   1   mediante   la   destinazione
differenziata del territorio». 
    Il comma 7 dispone quindi che, «7. Ai fini  della  pianificazione
generale   del   territorio    agro-silvo-pastorale    le    province
predispongono,  articolandoli   per   comprensori   omogenei,   piani
faunistico-venatori. Le  province  predispongono  altresi'  piani  di
miglioramento ambientale tesi a favorire la riproduzione naturale  di
fauna selvatica nonche' piani di immissione di fauna selvatica  anche
tramite la cattura di selvatici presenti in soprannumero  nei  parchi
nazionali  e  regionali  ed  in  altri   ambiti   faunistici,   salvo
accertamento delle compatibilita' genetiche  da  parte  dell'Istituto
nazionale per la fauna selvatica [confluito  oggi  in  ISPRA-Istituto
superiore per la protezione e la ricerca ambientale: NdR]  e  sentite
le  organizzazioni  professionali  agricole  presenti  nel   Comitato
tecnico faunistico-venatorio  nazionale  tramite  le  loro  strutture
regionali». 
    Il successivo comma 8, lettera e) della legge 11  febbraio  1992,
n. 157, chiarisce poi che i piani faunistico-venatori, di  competenza
provinciale, comprendono l'individuazione delle «zone e i periodi per
l'addestramento, l'allenamento e le  gare  di  cani  anche  su  fauna
selvatica naturale o  con  l'abbattimento  di  fauna  di  allevamento
appartenente  a  specie  cacciabili,  la  cui  gestione  puo'  essere
affidata ad associazioni venatorie e cinofile ovvero ad  imprenditori
agricoli singoli o associati». 
    Infine, i commi 10 e 11 statuiscono che «10. Le  regioni  attuano
la pianificazione faunistico-venatoria mediante il coordinamento  dei
piani provinciali di  cui  al  comma  7  secondo  criteri  dei  quali
l'Istituto nazionale per la fauna selvatica garantisce la omogeneita'
e la congruenza a norma del comma  11,  nonche'  con  l'esercizio  di
poteri sostitutivi nel caso di mancato  adempimento  da  parte  delle
province dopo dodici mesi dalla data di entrata in vigore  della  ...
legge» e che «11. Entro quattro mesi dalla data di entrata in  vigore
della presente legge, l'Istituto nazionale  per  la  fauna  selvatica
trasmette al Ministro dell'agricoltura e delle foreste e al  Ministro
dell'ambiente il primo  documento  orientativo  circa  i  criteri  di
omogeneita'  e  congruenza   che   orienteranno   la   pianificazione
faunistico-venatoria». 
    1.4.  La  disposizione  regionale  oggi  impugnata  e'   pertanto
violativa della norma costituzionale invocata  (l'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost.): 
        tanto con riferimento all'art. 10, comma 1,  della  legge  n.
157 del 1992, che, come visto,  prevede  l'obbligo  delle  regioni  e
delle province, secondo le rispettive competenze, di regolamentare il
prelievo venatorio mediante i piani faunistico-venatori escludendo la
possibilita' del ricorso ad un atto legislativo; 
        quanto in relazione al parere dell'Istituto superiore per  la
protezione e  la  ricerca  ambientale  (ISPRA),  che  nel  «Documento
orientativo  sui  criteri  di  omogeneita'  e   congruenza   per   la
pianificazione  faunistico-venatoria»   indica   il   periodo   utile
all'addestramento dei cani da caccia nelle  apposite  aree  istituite
senza possibilita' di sparo, ritenendo necessaria la  sospensione  di
tale attivita' (anche) nel periodo aprile-luglio. 
    1.5. Tali conclusioni appaiono pienamente  condivise  da  codesta
ecc.ma Corte, che ha anche di recente ribadito (Corte cost., sentenza
20 giugno  2017,  n.  174)  che  «nello  scrutinare  norme  di  leggi
regionali che prevedevano l'arco temporale durante il quale  svolgere
l'addestramento e l'allenamento dei cani da caccia, ha  costantemente
affermato che gli articoli 10 e  18  della  legge  n.  157  del  1992
rimettono  la  definizione  di   tale   arco   temporale   al   piano
faunistico-venatorio.  Tali  norme  statali  assicurano,  cosi',   le
"garanzie  procedimentali  per  un  giusto  equilibrio  tra  i   vari
interessi in gioco, da soddisfare anche attraverso l'acquisizione  di
pareri tecnici", con conseguente divieto per la regione di  ricorrere
ad una legge-provvedimento (sentenza n. 139 del  2017;  nello  stesso
senso, sentenza n. 193 del 2013)». 
    La  disciplina  statale  fissa  pertanto  una  regola  di  tutela
ambientale, violata dalla disposizione regionale oggi  impugnata  che
e', quindi, costituzionalmente illegittima. 
    2.1. Parimenti viziato da incostituzionalita'  e'  il  successivo
comma 97 dell'art. 17 della legge regionale n. 9/2017. 
    Con  tale  norma  la  Regione  Lazio  dispone  che,  «nelle  more
dell'attuazione di quanto previsto dall'art. 9, comma 5, della  legge
7 giugno 2000, n. 150 (Disciplina delle attivita' di  informazione  e
di  comunicazione  delle  pubbliche  amministrazioni)  al   personale
iscritto  all'albo  nazionale  dei  giornalisti  che,  a  seguito  di
specifico  concorso,  presta  servizio  presso  gli   uffici   stampa
istituzionali della giunta e del consiglio regionale, si  applica  il
contratto nazionale di lavoro giornalistico». 
    Orbene, appare evidente come tale previsione si pone in contrasto
con i principi fondamentali posti dalla legislazione statale ai  fini
del coordinamento della finanza pubblica di cui all'art.  117,  comma
3, Cost., cui la legislazione regionale concorrente deve uniformarsi,
con riferimento all'art. 9,  commi  1  e  17,  del  decreto-legge  n.
78/2010, nonche' con l'art. 117, comma  2,  lettera  l),  Cost.,  che
prevede la competenza legislativa statale  esclusiva  in  materia  di
Ordinamento civile,  nella  quale,  per  pacifica  giurisprudenza  di
codesta Corte ecc.ma (cfr., tra le tante,  Corte  costituzionale,  14
luglio 2016, n. 175), pacificamente rientra la  regolamentazione  del
rapporto di lavoro/impiego. 
    2.2. Va  premesso  che  il  recente  atto  di  indirizzo  per  la
riapertura dei tavoli di contrattazione a firma del Ministro  per  la
semplificazione e la pubblica amministrazione trasmesso all'ARAN e ai
Comitati di settore in data 6 luglio 2017 prevede  espressamente  che
il tema del  personale  addetto  alle  attivita'  di  informazione  e
comunicazione delle pubbliche  amministrazioni  -  interessato  dalla
norma che oggi si impugna -  potra'  essere  affrontato  in  sede  di
rivisitazione dei sistemi di classificazione professionale. 
    Orbene, la disposizione regionale in esame - nel prevedere per  i
dipendenti  regionali  in  questione  l'applicazione  del   contratto
nazionale di lavoro giornalistico (CNLG) che, diversamente da  quanto
accaduto per la contrattazione per il pubblico  impiego  nel  periodo
2010-2015, e' stato oggetto di rinnovo - si pone in contrasto con  le
disposizioni di cui ai commi 1 e 17 dell'art. 9 del decreto-legge  n.
78/2010 - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria  e
di competitivita' economica, e successive proroghe, che costituiscono
principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica  e
per il contenimento della spesa pubblica. 
    Tali norme, nel  noto  quadro  di  contenimento  delle  spese  in
materia di impiego pubblico, prevedono infatti che «1. Per  gli  anni
2011, 2012 e 2013 il trattamento economico  complessivo  dei  singoli
dipendenti,  anche  di  qualifica  dirigenziale,  ivi   compreso   il
trattamento accessorio, previsto  dai  rispettivi  ordinamenti  delle
amministrazioni pubbliche inserite nel  conto  economico  consolidato
della  pubblica  amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo  1
della legge 31 dicembre 2009, n. 196,  non  puo'  superare,  in  ogni
caso, il trattamento ordinariamente spettante  per  l'anno  2010,  al
netto degli effetti derivanti da eventi straordinari  della  dinamica
retributiva,  ivi  incluse  le  variazioni  dipendenti  da  eventuali
arretrati, conseguimento di funzioni diverse in corso  d'anno,  fermo
in ogni caso quanto previsto dal comma 21, terzo  e  quarto  periodo,
per le progressioni  di  carriera  comunque  denominate,  maternita',
malattia, missioni svolte all'estero, effettiva presenza in servizio,
fatto  salvo  quanto  previsto  dal  comma  17,  secondo  periodo,  e
dall'art.  8,  comma  14»,  e  che  «17.  Non  si  da'  luogo,  senza
possibilita' di recupero, alle  procedure  contrattuali  e  negoziali
relative al triennio 2010-2012 del personale di cui all'art. 2, comma
2 e art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive
modificazioni. Si da' luogo alle procedure contrattuali  e  negoziali
ricadenti negli anni 2013, 2014 e 2015 del personale dipendente dalle
amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1,  comma  2,  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, per la
sola parte normativa e senza possibilita' di recupero  per  la  parte
economica. E' fatta salva  l'erogazione  dell'indennita'  di  vacanza
contrattuale nelle misure previste  a  decorrere  dall'anno  2010  in
applicazione dell'art. 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008,  n.
203». 
    Tali essendo i principi  fondamentali  posti  dalla  legislazione
statale a salvaguardia della finanza pubblica, la norma regionale  in
esame e' dunque invasiva della potesta' legislativa dello Stato. 
    2.3. Essa contrasta inoltre e comunque con i principi piu'  volte
affermati da codesta ecc.ma Corte,  a  mente  dei  quali  sono  state
dichiarate costituzionalmente  illegittime  le  norme  regionali  che
prevedono  l'applicazione  del  CNLG  ai  dipendenti  regionali   che
svolgano attivita' «giornalistica». 
    Cio' si pone infatti in palese urto  con  il  generale  principio
secondo il quale il trattamento economico dei dipendenti pubblici  il
cui  rapporto  di  lavoro  e'  stato   «privatizzato»   deve   essere
disciplinato dalla  contrattazione  collettiva  (cosi',  ad  esempio,
Corte costituzionale sentenza 5 giugno 2007 n. 189, ove si  ribadisce
che «il rapporto di  impiego  alle  dipendenze  di  Regioni  ed  enti
locali, essendo stato "privatizzato"  in  virtu'  dell'art.  2  della
legge n. 421 del 1992, dell'art. 11, comma 4, della  legge  15  marzo
1997, n. 59 (Delega al Governo per  il  conferimento  di  funzioni  e
compiti alle regioni ed enti locali, per la  riforma  della  pubblica
amministrazione e  per  la  semplificazione  amministrativa),  e  dei
decreti legislativi emanati in attuazione di quelle leggi delega,  e'
retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed
e', percio', soggetto alle regole che garantiscono  l'uniformita'  di
tale tipo di rapporti (sentenza n. 95 del 2007).  Conseguentemente  i
principi fissati dalla legge statale in materia costituiscono  tipici
limiti  di  diritto  privato,  fondati  sull'esigenza,  connessa   al
precetto costituzionale di eguaglianza,  di  garantire  l'uniformita'
nel territorio nazionale delle regole  fondamentali  di  diritto  che
disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono  anche
alle Regioni a statuto speciale (sentenze n. 234 e n. 106  del  2005;
n. 282 del 2004)». 
    Sotto  tale  profilo,  la  norma  in  esame  contrasta   con   le
disposizioni contenute nel titolo III  (Contrattazione  collettiva  e
rappresentativita' sindacale) del decreto legislativo n. 165/2001  e,
conseguentemente, con il gia' menzionato art. 117, lettera l),  della
Costituzione, che  riserva  alla  competenza  esclusiva  dello  Stato
l'ordinamento civile e, quindi rapporti di diritto privato regolabili
dal codice civile (contratti collettivi). 
    Anche  questa  norma,  dunque,  e'  viziata,  e   dovra'   essere
dichiarata incostituzionale. 

(1) Il testo della disposizione e' oggi il seguente: «9.  I  comitati
    di gestione degli ambiti territoriali di caccia  autorizzano,  su
    richiesta  delle  locali  associazioni  venatorie   nazionalmente
    riconosciute, l'istituzione di zone temporanee destinate al  solo
    allenamento dei cani, previo assenso dei proprietari o conduttori
    dei fondi. Tali zone, la cui operativita' e' prevista nel periodo
    dal 1° giugno - 31 agosto, non possono avere superficie superiore
    ai 20 ettari.».