Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza) ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 3171 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Anzalone gessi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; Siciliana gessi Chianetta s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; F.lli Dolce s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; Siculiana cave di Drago Francesco e Drago Giuseppe s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore; C.F.B. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; Sicil sabbie di Morreale Giuseppe s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore; Trasporti Vella di Vella Giuseppe & c. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore; Santa Lucia societa' cooperativa a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; Sogeca s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; C.O.I.S. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; Pruiti Ciarello Sebastiana; Impremar s.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore; Eredi Ferrigno s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempor; Terlati L.C.F. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; Societa' cooperativa Fornaci Virgilio, in persona del legale rappresentante pro tempore; Baglio Giovanni Luca; Falcone s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; C.A.I.S. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore; Miracav s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; Aleo Paolo; Giaimi Marco; Naso Giuseppe; Gangi Vincenzo; Manno Salvatore Bartolomeo; Screpis Giuseppe; Asaresi Snc di Asaresi Salvatore & c., in persona del legale rappresentante pro tempore; Correnti Daniele; Profeta Calogero; Bellomo e Valenti Snc, in persona del legale rappresentante pro tempore; S.A.P.I.C.C., in persona del legale rappresentante pro tempore; Sicilcava s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore¸Tolentino s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; Laterlite s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore; Barbagiobanni Giuseppe & C. di Barbagiovanni Giuseppe s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore; Ines soc. coop. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; New ecology costruzioni s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; Edil Pepi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi, in parte per procura in calce al ricorso e in parte per procura con autentica notarile allegata allo stesso, dall'avv. Ester Daina, C.F. DNASTR69D70A089J, e dall'avv. Venerando Bellomo C.F. BLLVRN62C31A089I, elettivamente domiciliati presso lo studio della prima in Palermo, via Notarbartolo, n. 5, nonche' Cava sabbia d'oro s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e Liotta Leonardo, rappresentati e difesi, per procure in calce al ricorso e alla memoria di costituzione del nuovo difensore, oltre che dai predetti avvocati anche, sia congiuntamente che disgiuntamente, dall'avv. Girolamo Rubino, presso il cui studio in Palermo, via Guglielmo Oberdan, n. 5, sono elettivamente domiciliati; contro Assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita', in persona dell'Assessore pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici in via Alcide De Gasperi, n. 81, e' domiciliato per legge; e con l'intervento di ad adiuvandum: CA.VE. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; Corbetto Calogero; Puzzillo Costruzioni s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore; Tosto Gioacchino; Industria lapidea prizzese s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi, per procure in calce all'atto di intervento, dagli avvocati Giuseppe Ribaudo, C.F. RBDGPP68P01G273N, e Francesco Carita', C.F. CRTFNC86B01A089O, elettivamente domiciliati presso lo studio del primo in Palermo, via Mariano Stabile, n. 241; - Consorzio siciliano cavatori, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, per procura a margine del ricorso, dall'avv. Girolamo Rubino, C.F. RBNGLM58P02A089G, presso il cui studio in Palermo, via Guglielmo Oberdan, n. 5, e' elettivamente domiciliato; per l'annullamento quanto al ricorso introduttivo: - del decreto dell'Assessore regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' del 12 agosto 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della regione siciliana, parte I, n. 34 del 21 agosto 2015, avente ad oggetto «Modalita' applicative e di controllo del pagamento dei canoni dovuti per le attivita' di estrazione dei giacimenti minerari di cava (ex art. 83 della l.r. 7 maggio 2015, n. 9); - di ogni ulteriore atto, ancorche' non conosciuto, connesso, presupposto o conseguente a quello impugnato in via principale; quanto al ricorso per motivi aggiunti: - note del Distretto minerario di Caltanissetta, aventi ad oggetto la rideterminazione del canone di produzione 2004 in esecuzione del decreto dell'Assessore regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' del 12 agosto 2015: prot. n. 37262 del 4 novembre 2015; prot. n. 37263 del 4 novembre 2015; prot. n. 37275 del 4 novembre 2015; prot. n. 37277 del 4 novembre 2015; prot. n. 37290 del 4 novembre 2015; prot. n. 37323 del 5 novembre 2015; prot. n. 37371 del 5 novembre 2015; prot. n. 37542 del 6 novembre 2015; prot. n. 37546 del 6 novembre 2015; prot. n. 37573 del 6 novembre 2015; prot. n. 37575 del 6 novembre 2015; prot. n. 37914 del 10 novembre 2015; prot. n. 37920 del 10 novembre 2015; prot. n. 37924 del 10 novembre 2015; prot. n. 37938 del 10 novembre 2015; prot. n. 37946 del 10 novembre 2015; prot. n. 38112 del 10 novembre 2015; - nota del Distretto minerario di Palermo, aventi ad oggetto la rideterminazione del canone di produzione 2004 in esecuzione del decreto dell'Assessore regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' del 12 agosto 2015, prot. n. 35406 del 21 ottobre 2015; - nota del Distretto minerario di Catania, avente ad oggetto la rideterminazione del canone di produzione 2004 in esecuzione del decreto dell'Assessore regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' del 12 agosto 2015, prot. n. 41470 del 2 dicembre 2015. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura dello Stato per l'Assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita'; Visti l'atto di intervento ad adiuvandum e la memoria di C.A.VE. s.r.l., Corbetto Calogero, Puzzillo Costruzioni s.r.l., Tosto Gioacchino e Industria lapidea prizzese s.r.l.; Vista l'ordinanza cautelare n. 1456 del 21 dicembre 2015; Vista l'ordinanza del CGA n. 167 del 26 febbraio 2016; Visti l'atto di intervento ad adiuvandum e la memoria del Consorzio siciliano cavatori; Vista la memoria dei ricorrenti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del 26 ottobre 2016 il consigliere Aurora Lento e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale. Con gravame, notificato il 22 ottobre 2015 e depositato il giorno 30 successivo, i ricorrenti in epigrafe esponevano che l'art. 12 della legge regionale siciliana n. 9 del 15 maggio 2013 aveva innovato la disciplina di settore relativa all'attivita' di estrazione di giacimenti minerari di cave, prevedendo il pagamento di un canone di produzione. Tale canone era stato commisurato «alla quantita' di minerale», ovverosia alla c.d. «resa della cava», che si otteneva sottraendo il volume inutilizzabile dalla quantita' di «materiale» estratto. A distanza di appena due anni era, pero', intervenuta la legge regionale siciliana n. 9 del 7 maggio 2015, contenente disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2015, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana, parte I, n. 20 del 15 maggio 2015, il cui art. 83 aveva interamente riformulato tale disposizione nei termini di seguito riportati relativamente alle parti di interesse: «1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e' dovuto un canone di produzione annuo che e' commisurato alla superficie dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati della cava. Esso e' ottenuto sommando gli importi corrispondenti agli scaglioni di superfici e di volumi autorizzati riportati nelle seguenti tabelle (...). 3. L'Assessore regionale per l'energia ed i servizi di pubblica utilita', sentita la Conferenza permanente Regione - autonomie locali, definisce, con proprio decreto, le modalita' applicative e di controllo del pagamento dei canoni entro 90 giorni dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale della regione siciliana. 4. I canoni di produzione sono destinati per il 50 per cento al comune in cui ricade l'area di cava e per il 50 per cento sono versati in entrata nel bilancio regionale. Qualora siano interessati piu' comuni, la quota del 50 per cento e' ripartita sulla base della superficie dell'area di cava ricadente in ciascun comune. 5. I comuni destinatari delle quote di canone di cui al comma 4 impiegano le somme esclusivamente per interventi infrastrutturali di recupero, riqualificazione e valorizzazione del territorio, del tessuto urbano e degli edifici scolastici e ad uso istituzionale. Una quota non inferiore al 50% delle suddette risorse e' riservata agli interventi di manutenzione e valorizzazione ambientale ed infrastrutturale connessi all'attivita' estrattiva o su beni immobili confiscati alla mafia ed alle organizzazioni criminali. 6. In caso di sospensione dei lavori di coltivazione ai sensi dell'art. 24 della legge regionale 9 dicembre 1980, n. 127 e successive modifiche ed integrazioni, la quota dei canoni relativa al periodo di sospensione non e' dovuta. Eventuali periodi di attivita' estrattiva inferiori all'anno solare sono calcolati per dodicesimi. 7. Il ritardato pagamento delle somme dovute comporta l'applicazione degli interessi legali. 8. Le presenti disposizioni si applicano anche per il calcolo del pagamento dei canoni relativi all'anno 2014». L'art. 83 aveva, pertanto, modificato, con effetto retroattivo, i criteri di misurazione della base imponibile che, nell'originaria formulazione della norma, erano identificati nella quantita' di minerale estratto, mentre, in quella successiva, nella superficie dell'area coltivabile e nei volumi autorizzati della cava. In applicazione di tale disposizione, l'Assessore regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' aveva adottato il decreto del 12 agosto 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana, parte I, n. 34 del 21 agosto 2015, avente ad oggetto: «Modalita' applicative e di controllo del pagamento dei canoni dovuti per le attivita' di estrazione dei giacimenti minerari di cava (ex art. 83 della l.r. 7 maggio 2015, n. 9)». L'art. 1 di tale decreto prevedeva che: «I canoni di produzione per le attivita' di estrazione di giacimenti minerari di cava, dovuti dagli esercenti l'attivita' di cava, devono essere corrisposti secondo le modalita' previste all'art. 83 della legge regionale 7 maggio 2015, n. 9, pubblicata nel supplemento ordinario n. 1 alla Gazzetta ufficiale della regione siciliana n. 20, parte I, del 15 maggio 2015; il canone di produzione e' commisurato alla superficie dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati della cava ed e' ottenuto sommando gli importi corrispondenti agli scaglioni di superfici e di volumi come risultanti dalle autorizzazioni secondo le tabelle di cui al comma 1 dell'art. 83 della legge regionale». Il successivo art. 8 disponeva che: «Il pagamento per l'annualita' 2014 deve essere effettuato nel termine di trenta giorni dalla data di ricevimento della comunicazione da parte dei servizi - Distretti minerari competenti per territorio». Precisato che la novella dell'art. 12 aveva determinato una notevolissima maggiorazione del canone (da 7 a 17 volte di quello precedente) dagli stessi dovuto, i ricorrenti hanno chiesto l'annullamento, previa sospensiva e vinte le spese, di tale decreto per i seguenti motivi: 1) Violazione e falsa applicazione: degli articoli 53, 3, 23, 41, 97 e 117, comma 1, della Costituzione; degli articoli 14, 20 e 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Eccesso di potere sotto i profili: del difetto di presupposto; dell'irragionevolezza; dell'illogicita'. Violazione dei principi in materia di certezza del diritto, della buona fede e dell'affidamento. 1.1 Precisato che il canone dovuto dagli esercenti giacimenti minerari di cave era una prestazione patrimoniale imposta rientrante nell'alveo dell'art. 23 della Costituzione, l'individuazione della base imponibile nella superficie dell'area coltivabile e nei volumi autorizzati comporterebbe una violazione del principio della capacita' contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione. Mentre, infatti, la quantita' di materiale estratto, alla quale si faceva riferimento nella previgente formulazione, esprimeva la resa annuale della cava, la superficie e i volumi non sarebbero stati espressivi del potenziale economico della stessa, tanto piu' che si trattava di un canone dovuto non una tantum, ma annualmente. Sotto tale profilo, non si sarebbe tenuto conto del fatto che la capacita' produttiva della cava era massima all'inizio dell'attivita' estrattiva, ma andava diminuendo nel corso del tempo, cosicche' non si giustificava la sua costante quantificazione rapportata a un profilo statico. 1.2 La previsione dell'applicazione del nuovo criterio di quantificazione anche per il 2014 contrasterebbe con il divieto di retroattivita' della legge e sarebbe irragionevole anche in considerazione della lesione dell'affidamento riposto sull'applicazione del precedente. 1.3. Sussisterebbe irragionevole disparita' di trattamento e conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione, considerato che gli esercenti giacimenti minerari di cave di materiale pregiato (ad esempio marmo), aventi superfici e volumi estraibili ridotti, pagherebbero un canone notevolmente inferiore a quello dovuto per i giacimenti di materiale povero (es. inerti), aventi ampie superfici e volumi estraibili, pur conseguendo un reddito notevolmente superiore. 1.4 Sussisterebbe, altresi', violazione dell'art. 41 della Costituzione considerata la vanificazione retroattiva di assetti economici gia' cristallizzati. 1.5 Sarebbe stato violato l'art. 117, comma 1 della Costituzione in relazione all'art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione europea per i diritti dell'uomo in quanto sarebbero stati ingiustamente vessati gli esercenti le cave al fine di riequilibrare i conti pubblici regionali. 2) Violazione dell'art. 12 dello statuto della Regione siciliana approvato con R.d.lgs.vo n. 455 del 15 maggio 1946, convertito con legge costituzionale n. 2 del 26 febbraio 1948. Violazione e falsa applicazione: dell'art. 13 del d.lgs.vo del capo provvisorio dello Stato n. 204 del 25 marzo 1947 (Norme per l'attuazione dello statuto della Regione siciliana); dell'art. 9 del d.lgs.vo n. 373 del 24 dicembre 2003; dell'art. 4 del d.lgs.vo del Presidente della Regione siciliana n. 70 del 28 febbraio 1979. Le previsioni contenute nel decreto assessoriale impugnato avrebbero carattere di novita', generalita' ed astrattezza e, pertanto, natura regolarmente, cosicche' l'atto avrebbe dovuto essere adottato dalla Giunta regionale (nel rispetto delle norme procedurali previste per tale tipologia di atti) in quanto lo statuto siciliano non attribuisce tale potere ai singoli assessori. 3) Violazione: dei principi di partecipazione ai procedimenti amministrativi; delle norme e dei principi generali relativi alla partecipazione alle procedure di regolazione amministrativa. Violazione degli articoli 1, 3, 7, 9 e 10 della l.r. n. 10/1991. Eccesso di potere sotto i profili: dello sviamento dalla funzione assegnata e dell'omessa verifica di tutti i presupposti di fatto. Gli esercenti le cave avrebbero dovuto essere sentiti prima di procedere all'adozione della norma di modificazione dei criteri di quantificazione del canone dagli stessi dovuto. Conclusivamente hanno chiesto che venga sollevata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 83 della l.r. n. 9 del 2015 e sospeso il giudizio in attesa della sua decisione. Per l'Assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' si e' costituita in giudizio l'Avvocatura dello Stato. Sono intervenuti ad adiuvandum C.A.VE. s.r.l., Corbetto Calogero, Puzzillo Costruzioni s.r.l., Tosto Gioacchino e Industria lapidea prizzese s.r.l., esercenti l'attivita' di gestione di cave, che hanno depositato una memoria con cui hanno essenzialmente aderito alla richiesta di sollevare la questione di legittimita' dell'art. 83 della l.r. n. 9 del 2015 avanzata dai ricorrenti. Con identici gravami per motivi aggiunti, notificati il 4 dicembre 2015 e depositati il giorno 10 successivo, i ricorrenti hanno chiesto l'annullamento, previa sospensiva e vinte le spese, dei provvedimenti indicati in epigrafe con cui i distretti minerari competenti, in esecuzione del decreto dell'Assessore regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' del 12 agosto 2015, hanno chiesto il pagamento del canone 2014 come rideterminato per effetto della riformulazione dell'art. 12 della l.r. n. 9 del 2013 ad opera dell'art. 83 della l.r. n. 9 del 7 maggio 2015. Hanno dedotto l'illegittimita' derivata dal decreto impugnato con il ricorso introduttivo. Con ordinanza n. 1456 del 21 dicembre 2015, l'istanza cautelare e' stata rigettata con la motivazione che la dedotta questione di legittimita' costituzionale non presentava un'evidenza tale da consentire una valutazione prognostica positiva in ordine all'esito del ricorso. Tale decisione e' stata riformata con l'ordinanza del CGA n. 167 del 26 febbraio 2016 cosi' motivata: «in relazione alla denunciata retroattivita' della disposizione impugnata, si manifestano anche profili di danno grave che possono giustificare la richiesta misura cautelare». E' intervenuto il Consorzio siciliano cavatori che ha depositato un'articolata memoria con cui ha essenzialmente aderito alla richiesta di sollevare questione di legittimita' dell'art. 83 della l.r. n. 9 del 2015 avanzata dai ricorrenti. Con memoria depositata in vista dell'udienza, i ricorrenti hanno insistito nelle loro domande. Alla pubblica udienza del 26 ottobre 2016, su conforme richiesta dei difensori delle parti presenti come da verbale, il ricorso e' stato posto in decisione. 1. La controversia ha ad oggetto il decreto dell'Assessore della regione siciliana dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' del 12 agosto 2015 con cui sono state definite le modalita' applicative del canone di produzione annuo dovuto dai titolari di concessioni per lo sfruttamento di giacimenti minerari di cave. Tale decreto e' stato adottato in esecuzione dell'art. 83 della legge regionale siciliana n. 9 del 2015, che ha modificato l'art. 12 della legge regionale siciliana n. 9 del 15 maggio 2013, prevedendo che il canone non vada piu' commisurato alla quantita' di minerale estratto, ma alla superficie dell'area coltivabile e ai volumi autorizzati anche con riferimento al precedente anno 2014. Ha ad oggetto anche i provvedimenti, con cui i Distretti minerari di Caltanissetta, Catania e Palermo hanno rideterminato i canoni dovuti dai ricorrenti relativamente al 2014, dei quali si deduce l'illegittimita' derivata. 2. Cosi' inquadrata in termini generali la controversia, va rilevato che, con decisione n. 5 del 27 aprile 2015, l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che nel processo amministrativo impugnatorio di legittimita' in primo grado, in mancanza di rituale graduazione dei motivi e delle domande di annullamento, il giudice, in base al principio dispositivo e di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, e' obbligato ad esaminarli tutti, salvo che non ricorrano i presupposti per disporne l'assorbimento nei casi ascrivibili alle tre tipologie precisate in motivazione (assorbimento per legge, per pregiudizialita' necessaria e per ragioni di economia). Nella specie, precisato che non ricorrono i presupposti per l'assorbimento, puo' anticiparsi che il secondo e il terzo motivo, che hanno ad oggetto vizi propri del decreto impugnato, sono infondati, mentre questo tribunale amministrativo regionale ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale di cui al primo motivo, che e' determinate e viene sollevata con la presente ordinanza. 3. Cio' posto, va esaminato il secondo motivo con cui si deduce che le previsioni contenute nel decreto assessoriale impugnato avrebbero carattere di novita', generalita' ed astrattezza e, pertanto, natura regolamentare, cosicche' l'atto avrebbe dovuto essere adottato dalla Giunta regionale nel rispetto delle norme procedurali previste per tale tipologia di atti dato che lo statuto siciliano non attribuisce tale potere ai singoli assessori. Tali connotati si riscontrerebbero, in particolare, negli articoli 1 e 8 i quali, rispettivamente, prevedono che: «I canoni di produzione per le attivita' di estrazione di giacimenti minerari di cava, dovuti dagli esercenti l'attivita' di cava, devono essere corrisposti secondo le modalita' previste all'art. 83 della legge regionale 7 maggio 2015, n. 9, pubblicata nel supplemento ordinario n. 1 alla Gazzetta ufficiale della regione siciliana n. 20, parte I, del 15 maggio 2015; il canone di produzione e' commisurato alla superficie dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati della cava ed e' ottenuto sommando gli importi corrispondenti agli scaglioni di superfici e di volumi come risultanti dalle autorizzazioni secondo le tabelle di cui al comma 1 dell'art. 83 della legge regionale»; «Il pagamento per l'annualita' 2014 deve essere effettuato nel termine di trenta giorni dalla data di ricevimento della comunicazione da parte dei servizi - Distretti minerari competenti per territorio». La censura e' infondata, in quanto, come risulta dalla formulazione letterale delle disposizioni, si tratta di determinazioni di dettaglio meramente attuative dell'art. 12 della legge regionale siciliana n. 9 del 2013, come modificato dall'art. 83 della legge regionale siciliana n. 9 del 2015, in quanto tali prive del carattere dell'innovativita', che e' necessario affinche' una norma venga qualificata come regolamentare. 4. Parimenti infondato e' il terzo motivo con cui si deduce testualmente che «l'equilibrato bilanciamento tra le esigenze di raggiungimento degli obiettivi di bilancio da parte dei pubblici poteri ed il correlativo sacrificio economico imposto ai privati esige in linea di principio una sede amministrativa di ponderazione degli opposti termini al fine di consentire ai secondi di rappresentare le proprie posizioni e le conseguenze che l'intervento determinerebbe per gli equilibri economico - finanziari delle attivita' imprenditoriali esercitate». La Regione siciliana non aveva, infatti, nessun obbligo di sentire gli operatori del settore prima di modificare in via legislativa il criterio di quantificazione del canone dagli stessi dovuto. 5. Accertata l'infondatezza del secondo e del terzo motivo, puo' procedersi all'esposizione delle ragioni per le quali questo tribunale amministrativo regionale ritiene rilevante ai fini del decidere e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dai ricorrenti relativamente all'art. 83 della legge regionale siciliana n. 9 del 15 maggio 2015, nella parte in cui modifica i commi 1 e 8 dell'art. 12 della legge regionale siciliana n. 9 del 15 maggio 2013. 6. Per quanto concerne la rilevanza, ci si puo' limitare ad osservare che il decreto dell'Assessore regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilita' del 12 agosto 2015, oggetto del ricorso, ha individuato le modalita' applicative e di controllo del pagamento del canone dovuto per le attivita' di estrazione dei giacimenti minerari di cava in esecuzione di quanto innovativamente disposto dall'art. 83; le note dei distretti minerari hanno, a loro volta, quantificato il canone dovuto per l'anno 2014 in esecuzione di tale decreto. La decisione della controversia dipende, pertanto, dalla valutazione della legittimita' dall'art. 12 della legge regionale siciliana n. 9 del 15 maggio 2013, come modificato dall'art. 83 della legge regionale siciliana n. 20 del 15 maggio 2015, limitatamente ai commi 1 e 8, i quali hanno variato, con efficacia retroattiva, il criterio di quantificazione del canone dovuto per i giacimenti minerari di cava. 7. In merito alla non manifesta infondatezza valga quanto di seguito esposto. Come detto, questo Tribunale dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 1, della l.r. 15 maggio 2013, n. 9, come sostituito dall'art. 83 della l.r. n. 20 del 2015, il quale testualmente prevede che: «A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e' dovuto un canone di produzione annuo che e' commisurato alla superficie dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati della cava». Tale disposizione sembra, infatti, contrastare con il principio di capacita' contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione e il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. 8. In merito all'art. 53, deve prioritariamente rilevarsi come il canone in questione e', ad avviso di questo TAR, un tributo. Come noto, secondo la giurisprudenza costituzionale, precisato che e' irrilevante il nomen iuris usato dal legislatore, «occorrendo riscontrare in concreto e caso per caso se si sia o no in presenza di un tributo» (sentenze n. 141 del 2009, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005), costituiscono indici significativi della natura tributaria di una prestazione imposta: 1) la matrice legislativa, in quanto il tributo nasce «direttamente in forza della legge» (sentenza n. 141 del 2009), risultando irrilevante l'autonomia contrattuale (sentenza n. 73 del 2005); 2) la doverosita' della prestazione (sentenze n. 141 del 2009, n. 335 e n. 64 del 2008, n. 334 del 2006, n. 73 del 2005), che comporta un'ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico (sentenze n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995 e n. 26 del 1982), in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti; 3) il nesso con la spesa pubblica, dovendo sussistere un collegamento alla stessa «in relazione a un presupposto economicamente rilevante» (sentenza n. 141 del 2009), nel senso che la prestazione e' destinata allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario dell'ente impositore (sentenze n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995, n. 26 del 1982). Prima di illustrare le ragioni per le quali questo tribunale amministrativo regionale e' addivenuto alla conclusione che il canone in questione e' un tributo, vanno richiamati i commi 4 e 5 dell'art. 12, laddove si prevede, rispettivamente, che: «4. I canoni di produzione sono destinati per il 50 per cento al comune in cui ricade l'area di cava e per il 50 per cento sono versati in entrata nel bilancio regionale. Qualora siano interessati piu' comuni, la quota del 50 per cento e' ripartita sulla base della superficie dell'area di cava ricadente in ciascun comune»; «5. I comuni destinatari delle quote di canone di cui al comma 4 impiegano le somme esclusivamente per interventi infrastrutturali di recupero, riqualificazione e valorizzazione del territorio, del tessuto urbano e degli edifici scolastici e ad uso istituzionale. Una quota non inferiore al 50% delle suddette risorse e' riservata agli interventi di manutenzione e valorizzazione ambientale ed infrastrutturale connessi all'attivita' estrattiva o su beni immobili confiscati alla mafia ed alle organizzazioni criminali». A ben vedere: l'obbligo del pagamento trova la sua fonte esclusiva nella legge regionale e non costituisce remunerazione dell'uso di beni pubblici; la prestazione imposta e' finalizzata a dotare i Comuni e la Regione dei mezzi finanziari necessari ad assolvere le funzioni di cura concreta degli interessi generali. Per quanto riguarda il secondo elemento, va rilevato che mentre la Regione puo' utilizzare liberamente la propria parte, i Comuni devono destinare le somme al finanziamento di interventi infrastrutturali di recupero, riqualificazione e valorizzazione del territorio, del tessuto urbano e degli edifici scolastici e ad uso istituzionale; nonche' alla manutenzione e valorizzazione ambientale ed infrastrutturale connessi all'attivita' estrattiva o su beni immobili confiscati alla mafia ed alle organizzazioni criminali Questa connotazione funzionale, congiunta al fatto che il prelievo si collega all'attivita' economica di gestione dei giacimenti, consente di ritenere il canone in questione uno strumento di riparto, ai sensi dell'art. 53 Cost., del carico della spesa pubblica in ragione della capacita' economica manifestata dai soggetti gestori (sentenza n. 280 del 2011). In definitiva, la prestazione in esame e' un tributo, avente: a) quali soggetti passivi, i concessionari di giacimenti minerari; b) quali soggetti attivi, la Regione e i Comuni; c) quale presupposto economicamente rilevante, la gestione dei giacimenti; d) quale base imponibile, una entita' monetaria commisurata alla superficie dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati della cava. Qualificato il canone come tributo, va ricordato che nella previgente disciplina lo stesso era quantificato con riferimento alla quantita' di minerale estratto, mentre in quella attuale alla superficie dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati. Ne deriva che il corrispettivo per l'uso del giacimento non e' piu' commisurato alla sua resa, la quale tende a diminuire nel tempo in dipendenza del suo sfruttamento, ma alla sua estensione, la quale rimane, invece, immutata anche quando la stessa e' quasi esaurita. Tenuto conto che si tratta di un canone dovuto non una tantum, ma annualmente, sembrerebbe essere venuto meno il collegamento con la capacita' contributiva. Si prescinde, infatti, dal guadagno che deriva dal giacimento e si applica un tributo fisso indipendente dallo stesso. 9. Per quanto riguarda la violazione del principio di uguaglianza, va osservato che, com'e' stato ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale, il legislatore ha, anche nei confronti della disciplina dei rapporti giuridici di durata, ampia discrezionalita' nell'emanare norme modificatrici, ma la stessa e' censurabile qualora emergano profili di manifesta irragionevolezza tali da determinare situazioni di disuguaglianza. Nella specie, l'art. 83 determina immotivate discriminazioni all'interno della medesima categoria dei titolari di giacimenti minerari tra quelli che gestiscono cave di piccola dimensione, ma ad elevata resa (es. marmi) e quelli concessionari di cave di grande estensione, ma a bassa resa (inerti). Alla medesima ampiezza corrisponde, infatti, una remunerativita' profondamente diversa con conseguente irragionevolezza del riferimento alla superficie dell'area coltivabile ed ai volumi autorizzati della cava ai fini della quantificazione del canone. I titolari di giacimenti di materiali «poveri» sono, infatti, tenuto al pagamento di un canone notevolmente piu' elevato rispetto a quello dovuto per quelli di minerali pregiati con conseguente irragionevole disparita' di trattamento. Sembrerebbe, pertanto, che a situazioni differenti si applichi il medesimo trattamento in maniera irragionevole. 10. Come anticipato, questo tribunale amministrativo regionale dubita, altresi', della legittimita' dell'art. 83 della legge regionale siciliana n. 20 del 2015 nella parte in cui modifica l'art. 12, comma 8, della legge regionale siciliana n. 9 del 2013, il quale, nella sua attuale formulazione, prevede che le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche per il calcolo del pagamento dei canoni relativi all'anno 2014. Tale disposizione sembrerebbe, in particolare, contrastare con: l'art. 3; l'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU. Per quanto riguarda il primo dei due parametri evocati, si dubita che sia stato leso il principio dell'affidamento, il quale e' custodito da una delle molteplici declinazioni dell'art. 3, costituita dal principio di irretroattivita' della legge. La norma surriportata produce, infatti, la lesione con effetto retroattivo di un «bene» che i concessionari di giacimenti minerari hanno acquisito sulla base di un legittimo affidamento ingenerato dalle previsioni contenute nella previgente formulazione. Va, sotto tale profilo, rilevato che, secondo un costante orientamento della Corte costituzionale, il divieto di retroattivita' della legge - pur costituendo fondamentale valore di civilta' giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore ordinario deve di regola attenersi - non e' stato elevato a dignita' costituzionale, salva, per la materia penale, la previsione dell'art. 25 della Costituzione. Si e', conseguentemente, ritenuto che il legislatore, nel rispetto di tale previsione, puo' emanare norme con efficacia retroattiva a condizione che la stessa trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti (in tal senso Corte costituzionale, 4 agosto 2003, n. 291). Per quanto riguarda, in particolare, i rapporti di durata si e' precisato che non e' interdetto in termini assoluti il potere di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la loro disciplina, ma e' necessario che le stesse, al pari di qualsiasi precetto legislativo, non trasmodino in un regolamento irrazionale e non incidano arbitrariamente sulle situazioni sostanziali originate da leggi precedenti, frustrando l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica (sentenza n. 349 del 1985; in senso analogo, ex plurimis, sentenze n. 302 del 2010; n. 236, n. 206 e n. 24 del 2009; n. 409 e n. 264 del 2005; n. 446 del 2002; n. 416 del 1999). Si e', conseguentemente, ritenuto che una mutazione ex lege dei rapporti di durata e' illegittima quando incide sugli stessi in modo «improvviso e imprevedibile» (sentenze n. 64 del 2014 e n. 302 del 2010, entrambe relative all'incidenza sui rapporti in corso dei nuovi criteri di determinazione dei canoni concessori di beni demaniali). L'esame della norma in contestazione e della sua ratio conduce a dubitare che il legislatore abbia operato una scelta ragionevole e non arbitraria alla stregua dei principi evocati. I ricorrenti hanno affermato (producendo alcuni conteggi esemplificativi e senza essere smentiti dall'Amministrazione regionale) che la modifica del criterio di quantificazione del canone dovuto ha comportato per loro un notevolissimo aumento dello stesso, pari da 7 a 17 volte quello precedente. Per uno di loro e' stato, in particolare, rilevato che: nel 2013, aveva prodotto materiale calcareo per mc 7.000, cosicche', applicando il canone di € 0,30 a mc, aveva pagato la somma di € 2.100; nel 2014, avendo una superficie di ettari 05.00.57 e un volume autorizzato pari a 970.000 mc, dovra' pagare € 12.500, ovverosia quasi 7 volte in piu'. Ne deriva che i titolari di giacimenti minerari si sono trovati esposti a un inaspettato e considerevole esborso economico che non sono stati posti nelle condizioni di valutare ex ante nell'organizzazione della propria attivita' imprenditoriale. Mentre per il periodo successivo all'entrata in vigore della disposizione hanno, infatti, avuto la possibilita' decidere se aumentare il corrispettivo richiesto ai propri clienti o, addirittura, sospendere o non esercitare piu' l'attivita' estrattiva, tale possibilita' e' stata preclusa in radice per quello antecedente. Sotto tale profilo, va ricordato che il comma 6 dell'art. 12 piu' volte citato dispone che in caso di sospensione dei lavori di coltivazione, la quota dei canoni relativa al periodo di sospensione non e' dovuta ed eventuali periodi di attivita' estrattiva inferiori all'anno solare sono calcolati per dodicesimi. Tutto cio' considerato, sembra a questo tribunale amministrativo regionale che sia stato irragionevolmente leso l'affidamento riposto nella quantificazione del canone in applicazione dei criteri all'epoca vigenti ai fini della individuazione delle proprie strategie imprenditoriali. Concludendo, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dedotta dai ricorrenti, questo tribunale amministrativo regionale solleva - con riferimento agli articoli 3, 117 e 53 della Cost. - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 83 della legge regionale siciliana 7 maggio 2015, n. 9 nella parte in cui modifica i commi 1 e 8 dell'art. 12 della legge regionale siciliana 15 maggio 2013, n. 9. Il processo deve, pertanto, essere sospeso, con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, per ogni conseguente statuizione.