ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 24, commi 25
e 25-bis, del decreto-legge 6 dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22  dicembre
2011, n. 214 - come sostituito (il comma 25)  e  inserito  (il  comma
25-bis), rispettivamente, dai numeri 1) e 2) del comma 1 dell'art.  1
del decreto-legge 21 maggio 2015,  n.  65  (Disposizioni  urgenti  in
materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e  di  garanzie  TFR),
convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109 - e
dell'art. 1, comma 483, della legge 27 dicembre 2013,  n.  147,  come
modificato dall'art. 1, comma 286, della legge 28 dicembre  2015,  n.
208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di  stabilita'  2016)»,  promossi  dal
Tribunale ordinario di Palermo con ordinanza  del  22  gennaio  2016,
dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale regionale per l'Emilia
Romagna, con ordinanza del 10 marzo 2016, dal Tribunale ordinario  di
Milano con ordinanza del 30 aprile 2016, dal Tribunale  ordinario  di
Brescia con ordinanza dell'8 febbraio 2016, dal  Tribunale  ordinario
di Napoli con ordinanza del 15 luglio 2016, dal  Tribunale  ordinario
di Genova  con  tre  ordinanze  del  9  agosto  2016,  dal  Tribunale
ordinario  di  Torino  con  ordinanza  del  27  settembre  2016,  dal
Tribunale ordinario di La Spezia con ordinanze del 2 e del 7 novembre
2016, dal Tribunale ordinario di Cuneo con ordinanze del 18  novembre
2016 (n. 2 ordinanze) e del 9 e del 21 febbraio 2017, rispettivamente
iscritte ai nn. 36, 101, 124, 188, 237, 242,  243,  244  e  278,  del
registro ordinanze 2016 e ai nn. 24, 25, 43, 44, 77 e 78 del registro
ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 9, 21, 26, 40, 47 e 48, prima serie speciale,  dell'anno  2016  e
nn. 5, 9, 13 e 22, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visti gli atti di costituzione di C. G., di L. F. e altra, di  R.
P. e altri, di C. A. e altri, di F. M. e altro, di P. S.  e  altri  e
dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nonche'  gli
atti  di  intervento  del  Sindacato  autonomo  Dipendenti  INAIL  in
pensione e altra, del Presidente del Consiglio dei ministri e quello,
fuori termine, del CODACONS e altro; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  24  ottobre  2017  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Riccardo Troiano per C. G., Corrado Scivoletto
per L. F. e altra, Andrea Rossi Tortarolo per R. P. e altri,  Michele
Iacoviello per C. A. e altri, Iside B. Storace per  F.  M.  e  altro,
Fabrizio Ricciardi per P. S.  e  altri,  Luigi  Caliulo  per  l'INPS,
Augusto  Sinagra  per  il  Sindacato  autonomo  Dipendenti  INAIL  in
pensione e altra e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 22 gennaio 2016 (reg. ord. n. 36 del 2016),
il Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  24,
comma 25, del decreto-legge 6 dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22  dicembre
2011, n. 214, nel testo sostituito dall'art. 1, comma 1,  numero  1),
del decreto-legge 21 maggio 2015,  n.  65  (Disposizioni  urgenti  in
materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e  di  garanzie  TFR),
convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109, e,
in particolare, della disposizione di cui alla  lettera  c)  di  tale
comma 25. 
    Quest'ultimo  prevede  che:  «La  rivalutazione  automatica   dei
trattamenti   pensionistici,   secondo   il   meccanismo    stabilito
dall'articolo 34, comma 1, della legge  23  dicembre  1998,  n.  448,
relativa agli anni 2012 e 2013, e' riconosciuta: a) nella misura  del
100 per cento per i trattamenti pensionistici di importo  complessivo
fino a tre volte il trattamento  minimo  INPS.  Per  le  pensioni  di
importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e  inferiore
a tale limite incrementato della quota  di  rivalutazione  automatica
spettante sulla base  di  quanto  previsto  dalla  presente  lettera,
l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a  concorrenza
del predetto limite maggiorato; b) nella misura del 40 per cento  per
i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il
trattamento minimo INPS  e  pari  o  inferiori  a  quattro  volte  il
trattamento minimo INPS con riferimento all'importo  complessivo  dei
trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a  quattro
volte il predetto  trattamento  minimo  e  inferiore  a  tale  limite
incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante  sulla
base  di  quanto  previsto  dalla  presente  lettera,  l'aumento   di
rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del  predetto
limite maggiorato; c) nella misura del 20 per cento per i trattamenti
pensionistici  complessivamente  superiori   a   quattro   volte   il
trattamento minimo  INPS  e  pari  o  inferiori  a  cinque  volte  il
trattamento minimo INPS con riferimento all'importo  complessivo  dei
trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore  a  cinque
volte il predetto  trattamento  minimo  e  inferiore  a  tale  limite
incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante  sulla
base  di  quanto  previsto  dalla  presente  lettera,  l'aumento   di
rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del  predetto
limite maggiorato; d) nella misura del 10 per cento per i trattamenti
pensionistici  complessivamente   superiori   a   cinque   volte   il
trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento
minimo INPS con riferimento all'importo complessivo  dei  trattamenti
medesimi. Per le  pensioni  di  importo  superiore  a  sei  volte  il
predetto trattamento minimo e inferiore a  tale  limite  incrementato
della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  sulla  base  di
quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato; e) non e' riconosciuta per  i  trattamenti  pensionistici
complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con
riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi.». 
    1.1.- Il giudice rimettente riferisce,  in  punto  di  fatto,  di
essere investito del ricorso  proposto  nei  confronti  dell'Istituto
nazionale della  previdenza  sociale  (INPS)  da  G.  C.,  pensionato
titolare, per gli anni 2012 e  2013,  di  una  pensione  superiore  a
quattro volte e inferiore a cinque volte il trattamento minimo  INPS;
che il ricorrente  aveva  chiesto  -  previa  rimessione  alla  Corte
costituzionale di questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.
24, comma 25, del d.l. n. 201 del  2011,  nel  testo  anteriore  alla
sostituzione operata dall'art. 1, comma 1, numero 1), del d.l. n.  65
del 2015 (testo che, per gli anni 2012 e  2013,  aveva  stabilito  il
blocco  della  perequazione  automatica  delle  pensioni  di  importo
superiore a tre volte il trattamento minimo  INPS)  -  di  condannare
l'INPS a liquidare il trattamento pensionistico perequato secondo  il
meccanismo dell'art. 34, comma 1, della legge 23  dicembre  1998,  n.
448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo)
e a corrispondergli  i  relativi  ratei  non  percepiti  nel  biennio
2012-2013.  Riferisce  inoltre  di  avere  sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale del citato art. 24, comma 25,  nel  testo
previgente, decise dalla Corte costituzionale con la sentenza  n.  70
del  2015,  dichiarativa   dell'illegittimita'   costituzionale   del
medesimo comma 25 per violazione degli artt. 3, 36,  primo  comma,  e
38, secondo comma, Cost., «nella parte in  cui  prevede[va]  che  "In
considerazione   della   contingente   situazione   finanziaria,   la
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici,  secondo  il
meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge  23  dicembre
1998,  n.  448,  e'  riconosciuta,  per  gli  anni   2012   e   2013,
esclusivamente ai trattamenti pensionistici  di  importo  complessivo
fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per
cento"». Dopo tale sentenza, il ricorrente ha riassunto il  giudizio,
reiterando le domande formulate nel ricorso introduttivo e sollevando
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25,  del
d.l. n. 201 del 2011, nel testo sostituito dall'art. 1, comma  1,  n.
1), del d.l. n. 65 del 2015, ritenute dal giudice a quo  rilevanti  e
non manifestamente infondate. 
    1.2.- In punto di non manifesta  infondatezza  delle  stesse,  il
Tribunale rimettente afferma anzitutto che, ancorche'  goda  di  «una
certa discrezionalita'» nella scelta,  il  legislatore  e'  tenuto  a
individuare  meccanismi  perequativi  che  assicurino  la  perdurante
adeguatezza delle pensioni all'incremento del costo della  vita,  nel
rispetto del limite della ragionevolezza, al fine di  scongiurare  un
«non sopportabile scostamento» tra l'andamento delle pensioni e delle
retribuzioni e, in ogni caso, un contrasto con i principi di cui agli
artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. 
    Il  rimettente  afferma  quindi  che  tale  meccanismo  e'  stato
individuato  dal  legislatore  nella  perequazione  automatica  delle
pensioni. 
    Aggiunge  il  rimettente  che  il  legislatore  -  che  gia'   in
precedenza   aveva   temporaneamente   sospeso   il   meccanismo   di
perequazione - anche dopo la sentenza della Corte  costituzionale  n.
30 del 2004, con l'art. 1, comma 19, della legge 24 dicembre 2007, n.
247 (Norme di  attuazione  del  Protocollo  del  23  luglio  2007  su
previdenza, lavoro e  competitivita'  per  favorire  l'equita'  e  la
crescita sostenibili, nonche' ulteriori norme in materia di lavoro  e
previdenza sociale), aveva nuovamente disposto il blocco, per  l'anno
2008, della perequazione automatica delle pensioni superiori  a  otto
volte il trattamento minimo. In proposito, il rimettente osserva che,
con la sentenza  n.  316  del  2010,  la  Corte  costituzionale,  nel
ritenere che quest'ultima previsione non contrastasse con  gli  artt.
3, 36 e 38, secondo comma, Cost., avrebbe  affermato  che  il  blocco
della perequazione automatica delle  pensioni  di  importo  rilevante
puo' ritenersi conforme a Costituzione  a  condizione  che  esso  non
venga «costantemente reiterato». 
    Cio' nonostante, con l'art. 24, comma 25, del  d.l.  n.  201  del
2011, nel testo originario, il legislatore ha escluso la perequazione
non soltanto per  le  pensioni  piu'  elevate  ma  per  tutte  quelle
superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e non  per  un  solo
anno - come era avvenuto con i precedenti interventi  -  ma  per  due
anni consecutivi (2012 e 2013). 
    A seguito della sentenza della Corte  costituzionale  n.  70  del
2015, il legislatore, con l'art. 1, comma 1, numero 1), del  d.l.  n.
65  del  2015,  ha  sostituito  tale  disposizione  con   una   nuova
formulazione,  che,  ad  avviso  del  rimettente,  non  terrebbe   in
considerazione quanto  affermato  nella  sentenza  n.  70  del  2015,
poiche'  non  tutelerebbe,  per   il   periodo   in   considerazione,
«l'interesse dei pensionati alla conservazione del potere di acquisto
delle  somme  percepite  (da  cui  deriva  [...]  il  diritto  a  una
prestazione previdenziale adeguata), in  particolar  modo  di  quelli
titolari di trattamenti previdenziali modesti,  che  -  a  differenza
delle pensioni  di  importo  elevato  -  non  presentano  margini  di
resistenza all'erosione determinata dal fenomeno inflattivo». 
    Il giudice a quo osserva ancora che la misura della  perequazione
delle pensioni riconosciuta dal censurato comma 25 e' assai minore di
quella riconosciuta, per il triennio 2014-2016, dal  precedente  art.
1,  comma  483,  della  legge  27  dicembre  2013,  n.  147,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2014)». Inoltre il  disposto  blocco
parziale  della  perequazione  «produce  i  suoi  effetti   in   modo
permanente, non essendo prevista alcuna forma di recupero della parte
non corrisposta  negli  anni  successivi»,  sicche'  «ogni  eventuale
perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se  limitata  a
periodi brevi, e', per sua natura, definitiva». 
    Con specifico riferimento agli invocati parametri costituzionali,
il Tribunale rimettente deduce che la disposizione censurata  «sembra
violare i principi di uguaglianza, ragionevolezza e  proporzionalita'
della prestazione previdenziale e di  conservazione  del  trattamento
pensionistico». 
    Sarebbero violati, in  particolare:  l'art.  38,  secondo  comma,
Cost., «perche' la modesta entita' della rivalutazione  impedisce  la
conservazione  nel  tempo  del  valore  della  pensione,  menomandone
l'adeguatezza, soprattutto con riferimento ai pensionati titolari  di
trattamenti previdenziali  non  elevati»;  l'art.  36,  primo  comma,
Cost., «poiche' la  modesta  entita'  della  rivalutazione  viola  il
principio  di  proporzionalita'  tra  pensione  (che  costituisce  il
prolungamento in pensione della retribuzione goduta  in  costanza  di
lavoro) e retribuzione goduta  durante  l'attivita'  lavorativa»;  il
principio derivante dall'applicazione congiunta degli artt. 36, 38, 3
Cost., «perche' la modesta entita' della rivalutazione,  violando  il
principio di proporzionalita' tra pensione e retribuzione e quello di
adeguatezza della prestazione previdenziale, altera il  principio  di
eguaglianza    e    ragionevolezza,    causando    una    irrazionale
discriminazione in danno della categoria dei pensionati». 
    1.3.- In punto di rilevanza, il Tribunale rimettente  rappresenta
che, in base alla normativa censurata, al ricorrente,  titolare,  per
gli anni 2012 e 2013, di un  trattamento  pensionistico  superiore  a
quattro volte e inferiore a cinque volte il trattamento minimo  INPS,
e' stata riconosciuta una rivalutazione di appena il 20 per cento. 
    2.- Si e' costituito G. C., ricorrente nel  giudizio  principale,
chiedendo che venga dichiarata l'illegittimita'  costituzionale,  per
contrasto con gli artt. 3, 36, primo  comma,  e  38,  secondo  comma,
Cost., dell'art. 24, comma  25,  del  d.l.  n.  201  del  2011,  come
sostituito dall'art. 1, comma 1, n. 1), del  d.l.  n.  65  del  2015,
nonche' di quest'ultima disposizione, per  violazione  dell'art.  136
Cost. 
    2.1.- Ad avviso della parte costituita, la nuova formulazione del
citato comma 25 viola l'art. 38, secondo comma, Cost., in  quanto  il
blocco, in alcuni casi totale e in altri parziale, della perequazione
relativa agli anni 2012 e 2013 impedisce la conservazione  nel  tempo
del valore della  pensione,  menomandone  l'adeguatezza;  l'art.  36,
primo comma, Cost., in  quanto  la  mancata  rivalutazione  viola  il
principio  di  proporzionalita'  tra  pensione  e  retribuzione;   il
principio derivante dall'applicazione congiunta degli artt. 36, 38  e
3 della Costituzione, in quanto la mancata rivalutazione,  ledendo  i
principi  di  adeguatezza  della  prestazione  previdenziale   e   di
proporzionalita' tra pensione e retribuzione, «altera il principio di
uguaglianza   e   di   ragionevolezza,   causando   una   irrazionale
discriminazione  in  danno  della  categoria  dei   pensionati,   cui
appartiene il ricorrente, le cui ragioni sono sacrificate alla tenuta
finanziaria del sistema, senza nessun bilanciamento tra  tale  valore
costituzionale ed il diritto alla perequazione». 
    La parte costituita afferma, «in particolare», che  il  censurato
art. 24, comma 25, si pone in contrasto, altresi', con «i principi di
eccezionalita' e  non  arbitrarieta'  del  "blocco"  cagionato  dalla
frequente reiterazione di misure intese a "paralizzare" il meccanismo
perequativo». 
    La  stessa  difesa  esamina   poi   la   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 316 del 2010, affermando che essa aveva rivolto  un
«monito» al legislatore riguardo a  una  eventuale  reiterazione  del
"blocco",  all'estensione  temporale  dello  stesso,  oltre  che   ai
destinatari delle misure, titolari di trattamenti  pensionistici  «di
sicura rilevanza». Per converso, il vigente comma 25 dell'art. 24 del
d.l. n. 201 del 2001 stabilisce un blocco della perequazione per  due
anni consecutivi e «colpisce anche le  pensioni  medie,  riconoscendo
una piccola percentuale a quelle superiori a tre volte il trattamento
minimo INPS e nulla a quelle  superiori  a  6  volte  il  trattamento
minimo INPS (e non superiori ad otto  volte  come  era  avvenuto  nel
2008)». 
    La difesa di G. C. passa poi  a  considerare  la  sentenza  della
Corte costituzionale n. 70 del 2015, sottolineando  che  essa  «aveva
[...] individuato [...] nella [...] limitazione ad  alcune  fasce  di
pensionati, individuati in base al  trattamento  complessivo  e  non,
invece,  alla  fascia  di  importo,  due  profili  di  illegittimita'
costituzionale» che la  disposizione  censurata,  invece,  «reitera».
Essa considera inoltre che l'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015, oltre  a
sostituire il comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 - con il
quale avrebbe vanificato l'«effetto primario [della  sentenza  n.  70
del 2015] che dovrebbe consistere nella integrale  applicazione,  per
gli anni 2012 e 2013, del regime  di  rivalutazione  paralizzato  dal
d.l. n. 201/2011» - ha inserito un comma 25-bis (a  norma  del  quale
«La rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici,  secondo
il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma  1,  della  legge  23
dicembre  1998,  n.  448,  relativa  agli  anni  2012  e  2013   come
determinata dal comma 25, con riguardo ai  trattamenti  pensionistici
di importo complessivo superiore a tre volte  il  trattamento  minimo
INPS e' riconosciuta: a) negli anni 2014 e 2015 nella misura  del  20
per cento; b) a decorrere dall'anno 2016  nella  misura  del  50  per
cento»). Tale disposizione «determina  il  consolidamento  del  danno
patito dagli aventi diritto». 
    La difesa della parte costituita ripercorre poi le argomentazioni
utilizzate dalla sentenza n. 70 del 2015, rilevando che essa «non  ha
affatto limitato le censure di  incostituzionalita'  con  riferimento
alle sole fasce piu' deboli», e conclude che il d.l. n. 65 del  2015,
pur affermando di volere dare attuazione ai principi enunciati  nella
sentenza n. 70  del  2015,  «ne  ha  sostanzialmente  vanificato  gli
effetti violando, nuovamente quei principi che  sono  stati  posti  a
fondamento della stessa [...] contenuti  negli  artt.  3,  36,  primo
comma, e 38, secondo comma, Cost.». 
    Sarebbe evidente la violazione «dell'art. 3  della  Costituzione:
principio di ragionevolezza ed uguaglianza; dell'art.  36,  comma  1,
della  Costituzione:  principio  di  proporzionalita'  tra   pensione
percepita e retribuzione goduta nel corso dell'attivita'  lavorativa;
dell'art. 38, comma 2, della Costituzione: principio di adeguatezza»,
poiche'  la  parziale  o  mancata  rivalutazione   automatica   delle
pensioni, per due anni consecutivi e la  sua  reiterazione,  oltre  a
vanificare  nel  tempo  il  valore  del  trattamento  di  quiescenza,
pregiudicherebbe,  altresi',  la  proporzionalita'  tra  pensione   e
retribuzione goduta nel  corso  dell'attivita'  lavorativa,  tutelata
dagli artt. 38 e  36  Cost.  e  discriminerebbe  irragionevolmente  i
percettori di pensioni superiori a tre volte i minimi  INPS  rispetto
ai percettori di pensioni ancor meno elevate, cosi' violando anche il
principio di ragionevolezza previsto dall'art. 3 Cost. 
    2.2.- Con specifico riferimento all'art. 1, comma 1,  numero  1),
del d.l. n. 65 del 2015, la  difesa  della  parte  costituita  deduce
anche la violazione dell'art. 136 Cost. Il decreto-legge citato e  la
successiva  legge  di  conversione  avrebbero  violato  il  giudicato
costituzionale,  con  il  proporre   nuovamente   il   blocco   della
rivalutazione per  il  2012-2013  gia'  dichiarato  incostituzionale,
limitandosi a innalzare la soglia,  e  facendo  venire  meno  per  il
ricorrente il diritto riconosciuto dalla Corte costituzionale. 
    2.3.- Infine, la parte costituita afferma  l'insussistenza  delle
ragioni di ordine finanziario indicate dall'alinea dell'art. 1, comma
1, del d.l. n. 65 del 2015 («Al fine di dare attuazione  ai  principi
enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70  del  2015,
nel rispetto  del  principio  dell'equilibrio  di  bilancio  e  degli
obiettivi di finanza pubblica,  assicurando  la  tutela  dei  livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali,
anche   in   funzione   della   salvaguardia    della    solidarieta'
intergenerazionale, [...]»). Tali ragioni non si potrebbero  porre  a
fondamento dell'intervento censurato, atteso che «la copertura  degli
oneri necessari per l'adeguamento delle pensioni e'  garantita  dagli
introiti  delle  aliquote  contributive  a  tale   fine   introdotte»
dall'art. 3 della legge  29  maggio  1982,  n.  297  (Disciplina  del
trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica). 
    3.- Con ordinanza del 10 marzo 2016 (reg. ord. n. 101 del  2016),
la  Corte  dei   conti,   sezione   giurisdizionale   regionale   per
l'Emilia-Romagna, in funzione di giudice  unico  delle  pensioni,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 36, 38, 53, 117, primo
comma - quest'ultimo, in relazione all'art. 6 della  Convenzione  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 e all'art. 1 del Protocollo
addizionale alla stessa, firmato a Parigi  il  20  marzo  1952,  atti
entrambi ratificati e resi esecutivi con la legge 4 agosto  1955,  n.
848 - e 136 Cost., questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
24, commi 25, lettera e), e 25-bis del d.l. n.  201  del  2011,  come
sostituito  (il   comma   25)   e   inserito   (il   comma   25-bis),
rispettivamente, dai numeri 1) e 2) del comma 1 dell'art. 1 del  d.l.
n. 65 del 2015. 
    3.1.- Il giudice rimettente riferisce,  in  punto  di  fatto:  di
essere investito di due ricorsi proposti, nei confronti dell'INPS, da
dieci pensionati titolari  di  pensioni  superiori  a  sei  volte  il
trattamento minimo INPS, nei confronti, tra  l'altro,  della  mancata
rivalutazione automatica del  proprio  trattamento  pensionistico  in
applicazione dell'art. 24, comma 25, dello stesso  d.l.  n.  201  del
2011;  che  i  ricorrenti  si  dolevano  del  fatto  che  la  mancata
rivalutazione  automatica  del  proprio   trattamento   pensionistico
violava gli artt. 3, 36, 38 e 53  Cost.;  che  l'INPS  replicava  con
memorie depositate il 12 e il 26 settembre 2013; di  avere  sollevato
questioni di legittimita'  costituzionale  del  menzionato  art.  24,
comma 25, nel testo previgente, le quali  erano  state  decise  dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 70 del 2015; che,  dopo  tale
sentenza, i ricorrenti hanno  chiesto  la  fissazione  di  una  nuova
udienza, ai sensi dell'art. 297 del codice di  procedura  civile,  e,
con   successive    memorie,    hanno    eccepito    l'illegittimita'
costituzionale dei commi 25, lettera e), e 25-bis  dell'art.  24  del
d.l. n. 201 del 2011, come medio tempore sostituito (il comma  25)  e
inserito (il comma 25-bis), rispettivamente, dai numeri 1) e  2)  del
comma 1  dell'art.  1  del  d.l.  n.  65  del  2015;  che  l'INPS  ha
controdedotto con memoria  depositata  il  4  dicembre  2015;  che  i
ricorrenti, in aggiunta alla domanda originaria avente a  oggetto  il
mancato riconoscimento della perequazione relativa agli anni  2012  e
2013, hanno formulato anche quella concernente il  biennio  2014-2015
nonche' il periodo successivo «a decorrere  dal  2016»;  che  l'INPS,
sollecitato ai sensi dell'art. 101 cod. proc. civ., ha  ritenuto  che
tale   pretesa   costituisse   una   domanda   nuova   e,   pertanto,
inammissibile; di ritenere tale eccezione dell'INPS non  fondata,  in
quanto la suddetta pretesa non integra, ai sensi degli  artt.  183  e
189 cod. proc. civ., una domanda  nuova  bensi'  un'estensione  della
domanda originaria (emendatio libelli). 
    3.2.- Il giudice a quo ritiene di dovere anzitutto ricostruire il
dictum della sentenza della Corte  costituzionale  n.  70  del  2015,
precisando che, a tale fine, e' a suo avviso necessario il  «richiamo
congiunto  della  motivazione  e  del  dispositivo»,  atteso  che  la
sentenza n. 70 del 2015, ancorche'  «declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale  secca»,  afferma,  in  chiusura  della   motivazione,
l'incostituzionalita' della norma censurata  «nei  termini  esposti».
Dopo avere citato ampi stralci dei punti 8 e 10  del  Considerato  in
diritto della sentenza n. 70 del 2015, il giudice rimettente conclude
che «se per un verso l'an circa la spettanza della  perequazione  non
puo' essere negata ai percipienti  trattamenti  pensionistici  [...],
per altro verso, in ragione di  concorrenti  interessi  di  rilevanza
costituzionale, e' consentito al legislatore calibrarne  il  "quantum
di  tutela"  nel  rispetto  dei  "limiti   della   ragionevolezza   e
proporzionalita'"». 
    3.3.- Da cio' risulterebbe, secondo la Corte  rimettente,  che  i
denunciati commi 25 e 25-bis  del  d.l.  n.  201  del  2011  violano,
rispettivamente, gli artt. 3, 36, 38 e 136 Cost., e gli artt. 3, 36 e
38 Cost. 
    Il giudice a quo osserva anzitutto che, mentre il censurato  art.
24, comma 25, lettera e),  «puo'  considerarsi  "riproduttivo"  della
disposizione  espunta  dall'ordinamento  con   la   citata   sentenza
caducatoria»,  il  successivo  comma   25-bis   ne   costituisce   il
«prolungamento», poiche'  innalza  la  soglia  dell'esclusione  dalla
perequazione ai trattamenti complessivamente superiori a sei volte il
trattamento minimo INPS. 
    Il comma 25, lettera e), dell'art. 24 del d.l. n. 201  del  2011,
in   quanto   «riproduttivo»   di   una    disposizione    dichiarata
incostituzionale, dovrebbe essere oggetto di uno scrutinio di stretta
ragionevolezza, nel senso che l'art. 136 Cost. impone al  legislatore
di accettare l'immediata cessazione  dell'efficacia  giuridica  della
norma dichiarata incostituzionale. 
    Ne' si rivelerebbe perspicuo, in  relazione  a  quanto  affermato
dalla sentenza n. 70 del 2015, l'alinea dell'art. 1 del d.l n. 65 del
2015, che si propone - secondo il rimettente in modo non  convincente
- di bilanciare l'interesse pubblico perseguito dal legislatore e  il
sacrificio imposto ai pensionati. 
    Il giudice a quo si sofferma poi sulle differenze fra  il  regime
della  perequazione  introdotto  con  la  disposizione   caducata   e
riprodotta (art. 24, comma 25, lettera e) e quello previsto dall'art.
1, comma 19, della legge n. 247  del  2007  (oggetto  della  sentenza
della Corte costituzionale n. 316 del 2010), quanto alla  durata  del
blocco, alla generica esemplificazione delle esigenze  di  equilibrio
di bilancio, e alla soglia dei trattamenti presi in considerazione. 
    Alla stregua di tali considerazioni, emergerebbe la non manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
24, comma 25, lettera e), del d.l. n. 201 del  2011,  in  riferimento
agli artt. 3, 36, 38 e 136 Cost., atteso che detta  disposizione  «di
fronte a una pronuncia di carattere caducatorio  circa  l'azzeramento
della perequazione [...] per tutti i trattamenti pensionistici e  non
"in parte qua",  limitatamente  cioe'  ai  trattamenti  previdenziali
modesti, persevera nell'azzerare per taluni trattamenti pensionistici
superiori ad una determinata soglia la perequazione». 
    Analogo dubbio investirebbe, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38
Cost., la disciplina «a regime» dell'art. 24, comma 25-bis,  che  non
solo prolunga il blocco, ma anche esclude, per la sola categoria  dei
titolari di trattamenti pensionistici  complessivamente  superiori  a
sei volte il minimo INPS, il meccanismo della rivalutazione,  la  cui
funzione e' di collegare i trattamenti pensionistici all'inflazione. 
    Tale disciplina si porrebbe quindi in conflitto «con il  precetto
della "adeguatezza" (artt. 38, secondo comma, 36  e  3  Cost.)  della
prestazione  pensionistica  nel  tempo  in  quanto   detto   precetto
presuppone la  permanenza  delle  condizioni  di  effettivita'  della
prestazione economica garantita». 
    Il  giudice   rimettente   sottolinea   ancora   che   la   Corte
costituzionale ha si' affermato  che,  in  ragione  delle  necessarie
attuali prospettive pluriennali  del  ciclo  di  bilancio,  sacrifici
gravosi non possono non interessare periodi piu'  lunghi  rispetto  a
quelli presi in considerazione in precedenti  sentenze  della  stessa
Corte, ma ha aggiunto che tali periodi devono essere «definiti» (sono
citate la sentenza n. 310 del 2013 e l'ordinanza n. 113 del 2014). 
    3.4.- Ad avviso del giudice a quo, l'art. 24, comma  25,  lettera
e), del d.l. n. 201 del 2011, potrebbe porsi in contrasto  anche  con
gli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo  in  relazione
all'art.  6  della  CEDU,  in  quanto,  riproducendo,   con   effetti
retroattivi, la disciplina - gia'  espunta  dall'ordinamento  con  la
sentenza della  Corte  costituzionale  n.  70  del  2015  -  che  non
riconosce   la   rivalutazione    dei    trattamenti    pensionistici
complessivamente superiori a sei volte il  trattamento  minimo  INPS,
violerebbe «in termini di ragionevolezza [il] principio del legittimo
affidamento e di certezza del diritto». 
    Il rimettente si interroga circa il quadro normativo preesistente
alla disposizione censurata, tale da fare sorgere nei  pensionati  la
ragionevole fiducia nel non azzeramento della perequazione e  da  far
loro ritenere che l'art. 24, comma  25,  lettera  e),  comporti  «una
radicale e irreversibile incisione sulle  situazioni  soggettive  dei
pensionati, dopo la pronuncia n.  70  del  2015»,  analoga  a  quella
censurata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 216 del 2015. 
    3.5.- Secondo il giudice rimettente, l'art. 24, commi 25, lettera
e), e 25-bis, del d.l. n. 201 del 2011, potrebbe altresi' violare gli
artt. 2, 3 e 117,  primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, che riconosce a ogni
persona il «diritto al rispetto dei suoi beni». 
    Il  rimettente  evidenzia  che  la  Corte  europea  dei   diritti
dell'uomo ha  affermato  piu'  volte  che  nella  nozione  di  «beni»
rientrano non solo i «beni attuali» ma anche i crediti e, tra questi,
quelli relativi a una pensione, a condizione che «il titolare di essi
abbia sufficiente fondamento nel diritto interno». 
    Cio' avverrebbe, secondo il giudice a quo, per i percettori di un
reddito complessivamente superiore a sei volte il minimo INPS, i  cui
diritti sarebbero stati permanentemente incisi. Lo stesso  rimettente
asserisce che «il legislatore, con la normativa  oggetto  di  dubbio,
non sembra avere disciplinato detto "bene", e cioe' la  "perequazione
automatica", nel rispetto del requisito dell'equo bilanciamento  alla
luce del principio per cui ogni ingerenza su un "bene" della  persona
debba essere ragionevolmente proporzionata al fine perseguito». 
    3.6.- Il rimettente ritiene  infine  che  l'art.  24,  commi  25,
lettera e), e 25-bis, del d.l. n. 201 del 2011, violi anche gli artt.
2, 3, 23 e 53 Cost., «in relazione alla  presunta  natura  tributaria
della misura in esame». 
    Secondo  il  giudice  a  quo,  il  censurato  azzeramento   della
rivalutazione automatica «per gli anni  2012-2013,  2014-2015  e  dal
2016» presenterebbe tutti e tre gli elementi che,  secondo  la  Corte
costituzionale,  connotano  le  prestazioni  patrimoniali  di  natura
tributaria. Esso da' luogo a una  prestazione  patrimoniale  imposta,
realizzata attraverso un atto autoritativo  di  carattere  ablatorio,
destinato a reperire risorse per  l'erario;  tale  decurtazione  «non
integra,   per   definizione,   una   modifica   di    un    rapporto
sinallagmatico»; le risorse, «connesse al presupposto  economicamente
rilevante,  individuato  nel  superamento   della   predetta   fascia
pensionistica, e  derivanti  dalla  suddetta  decurtazione,  sembrano
[...] destinate a sovvenire  pubbliche  spese»,  tenuto  conto  della
previsione di cui all'art. 17, comma 1, lettera b),  della  legge  31
dicembre 2009, n. 196 (Legge di  contabilita'  e  finanza  pubblica),
nonostante l'assenza di una espressa indicazione  della  destinazione
di tali risorse. Nella specie, peraltro,  tale  destinazione  sarebbe
desumibile dall'alinea dell'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015. 
    Tanto premesso, il rimettente afferma che vi sarebbe lesione  del
principio dell'universalita' dell'imposizione a parita' di  capacita'
contributiva,   con   conseguente   violazione   del   principio   di
eguaglianza. 
    3.7.- In punto di rilevanza, il giudice a quo rappresenta che  la
disciplina censurata «trova  applicazione  nel  caso  di  specie,  in
quanto la misura  dei  trattamenti  pensionistici  in  godimento  dei
ricorrenti e' superiore al limite di sei volte il minimo INPS ». 
    4.- Con ordinanza del 30 aprile 2016 (reg. ord. n. 124 del 2016),
il Tribunale  ordinario  di  Milano,  sezione  lavoro,  ha  sollevato
questioni  di  legittimita'  costituzionale:   in   via   principale,
dell'art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011, come sostituito dal
numero 1) dell'art. 1 del d.l. n. 65 del  2015,  e,  in  particolare,
delle disposizioni di cui alle lettere b), c),  d)  ed  e)  di  detto
comma 25, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma,  38,  secondo
comma, e 136 Cost.; in via subordinata, del «combinato  disposto  del
DL 65» del 2015 e dell'art. 1, comma 483,  della  legge  n.  147  del
2013, e, in particolare, della disposizione di cui alla lettera e) di
detto comma 483, in riferimento agli artt. 3, 36,  primo  comma,  38,
secondo comma, Cost. 
    4.1.- Il giudice rimettente riferisce,  in  punto  di  fatto:  di
essere investito del ricorso  proposto  nei  confronti  dell'INPS  da
sette pensionati titolari di trattamenti a carico di  tale  Istituto;
che i  ricorrenti  hanno  chiesto  -  previa  rimessione  alla  Corte
costituzionale di questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.
1 del d.l. n. 65 del 2015 e dell'art. 1, comma 483,  della  legge  n.
147 del 2013 - la condanna dell'INPS  a  corrispondere  loro  «quanto
maturato  per  la  mancata  rivalutazione»  dei  propri   trattamenti
pensionistici per gli anni 2012,  2013  e  2014;  che  l'INPS  si  e'
costituito in giudizio contestando il ricorso in fatto e in  diritto;
di avere  preliminarmente  respinto  le  eccezioni  di  nullita'  del
ricorso sollevate dall'INPS per  l'omessa  specificazione  dei  fatti
costitutivi del diritto, atteso che era pacifico e  «documentale»  in
giudizio che tutti i  ricorrenti  sono  titolari  di  un  trattamento
pensionistico a carico dell'INPS «variamente inciso dalle conseguenze
collegate al DL 65/15»; che il procuratore dei ricorrenti, in seguito
a un'ordinanza  dello  stesso  rimettente,  ha  depositato  una  nota
difensiva, non contestata dall'INPS, indicando per ciascuno  di  essi
l'ammontare lordo della pensione percepita. 
    4.2.- In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  Tribunale
rimettente afferma che il denunciato comma 25 dell'art. 24  del  d.l.
n. 201 del 2011 presenta plurimi profili di incostituzionalita'. 
    4.2.1.- Esso violerebbe, anzitutto, l'art. 136 Cost. 
    Il  rimettente  afferma  che,   con   riguardo   ai   trattamenti
pensionistici superiori a sei volte il minimo  INPS,  il  legislatore
«ha pedissequamente riprodotto la norma dichiarata incostituzionale». 
    In proposito, il Tribunale rimettente rappresenta che la sentenza
n. 70 del 2015, nell'affermare che l'art. 24, comma 25, del  d.l.  n.
201 del 2011 (nel suo testo originario), era eccentrico  rispetto  ai
precedenti  in  materia,  sia  in  quanto  incideva  sui  trattamenti
pensionistici  di  importo  meno  elevato,  a  prescindere  dal  loro
ammontare, sia per la sua durata biennale, non  aveva  limitato  tale
valutazione alle pensioni di modesta entita' ma si era riferita anche
ai trattamenti «di valore piu' cospicuo». 
    Nella normativa censurata, d'altro canto, non sarebbe rinvenibile
alcuna  indicazione  circa  le  ragioni  che  giustificherebbero   il
permanere del blocco della rivalutazione delle pensioni  superiori  a
sei  volte  il  trattamento  minimo  INPS  per   una   durata   cosi'
significativa. Il rimettente osserva in proposito che nella Relazione
illustrativa al «Disegno di Legge n.  65/15»  ci  si  limita  solo  a
evocare le necessita' di bilancio che giustificavano l'intervento. 
    Il Tribunale ordinario di Milano sottolinea ancora  che,  secondo
l'INPS, le misure previste dal d.l. n. 65 del 2015 si sarebbero  rese
necessarie anche ai sensi dell'art. 17, comma  13,  secondo  periodo,
della legge n. 196 del 2009, e richiama  la  Relazione  illustrativa,
carente, secondo la sua valutazione, di adeguate valutazioni. 
    La  scelta  legislativa  sarebbe,  d'altro  canto,   ancor   piu'
incongruente ove si consideri che la menzionata Relazione  da'  atto,
con riferimento al periodo 2007-2014, della riduzione del  potere  di
acquisto di ampie fasce di lavoratori. 
    Da cio' conseguirebbe  che  la  violazione  dell'art.  136  Cost.
sussisterebbe anche con  riguardo  alla  posizione  dei  titolari  di
trattamenti pensionistici che, superiori a tre volte  il  trattamento
minimo INPS, siano pari o inferiori a sei volte lo stesso. 
    4.2.2.- Il comma 25  dell'art.  24  del  d.l.  n.  201  del  2011
violerebbe, poi, gli artt. 3, 36 e 38 Cost., e,  in  particolare:  il
principio  di  adeguatezza  del  trattamento  pensionistico,  di  cui
all'art.  38  Cost.;  il  «principio  di  proporzionalita'»,  di  cui
all'art. 36 Cost.; l'interpretazione congiunta di tali  articoli  con
l'art. 3 Cost., in relazione al principio di ragionevolezza. 
    In  proposito,  varrebbero,  secondo  il  rimettente,  le  stesse
ragioni di contrasto ritenute dalla sentenza n. 70 del 2015. 
    La disposizione  censurata  avrebbe,  infatti,  disatteso  quanto
affermato da tale sentenza, con riguardo da un  lato  all'assenza  di
«alcun elemento utile a dare conto delle ragioni  per  cui  si  fosse
ritenuto di dare prevalenza alle  esigenze  finanziarie  sui  diritti
oggetto di bilanciamento», dall'altro  al  fatto  che  interventi  di
riduzione  della  rivalutazione  devono  ritenersi  ammissibili  «ove
temporalmente contenuti [...] nel termine annuale». 
    4.3.- In  via  subordinata,  ovvero  in  caso  di  rigetto  delle
anzidette  questioni  di  costituzionalita',  il  rimettente  solleva
questione di legittimita' costituzionale di piu'  norme,  ovvero  del
d.l. n. 65 del 2015 e dell'art. 1, comma 483, della legge n. 147  del
2013, lettera e), nella parte in cui disciplina la rivalutazione, per
l'anno 2014, dei trattamenti pensionistici superiori a sei  volte  il
minimo INPS, in riferimento  agli  artt.  3,  36,  primo  comma,  38,
secondo comma, Cost. 
    Il rimettente ritiene che tale «norma, in se'  considerata  possa
resistere alle censure di incostituzionalita'», ma  che,  qualora  le
sollevate questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  24,
comma 25, del d.l. n. 65 del 2015, fossero ritenute non fondate,  «si
verrebbe a creare un meccanismo che [...] si dovrebbe necessariamente
ritenere   incostituzionale   con    riferimento    ai    trattamenti
pensionistici superiori a sei volte  il  trattamento  minimo,  per  i
quali il blocco  della  rivalutazione  riguarderebbe  addirittura  un
triennio». 
    4.4.- In punto di rilevanza, il Tribunale rimettente  rappresenta
che, dalla documentazione prodotta dai ricorrenti,  emerge  che  essi
hanno ricevuto adeguamenti parziali (se titolari  di  un  trattamento
pensionistico superiore a sei volte il minimo) o nessun adeguamento. 
    5.-  Sono  intervenuti  nel  giudizio   il   Sindacato   autonomo
dipendenti INAIL in pensione  e  l'Associazione  sindacale  nazionale
pensionati dipendenti INPS,  chiedendo  che  le  questioni  sollevate
siano accolte. 
    5.1.- Tali sindacati affermano anzitutto che, ancorche' non siano
parti del giudizio a quo, sono titolari di un  interesse  qualificato
tale  da  legittimare,  secondo   la   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale, il loro intervento nel giudizio. 
    In proposito, deducono che, ai sensi dei rispettivi statuti,  non
sono   portatori   di   un   interesse   collettivo   alla   generica
rappresentanza degli interessi economici dei pensionati, ma di quello
alla «partecipazione ai pertinenti giudizi». 
    5.2.- Quanto alla fondatezza delle questioni,  gli  intervenienti
fanno proprie,  sostanzialmente,  le  argomentazioni  del  rimettente
Tribunale di Milano. 
    6.- Con ordinanza dell'8 febbraio 2016  (reg.  ord.  n.  188  del
2016), il Tribunale ordinario di Brescia, sezione lavoro,  previdenza
e assistenza obbligatoria, ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale: dell'art. 24, comma 25, del d.l.  n.  201  del  2011,
come sostituito dal numero 1) dell'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015, e,
in particolare, delle disposizioni di cui alla lettera  e)  di  detto
comma 25, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo
comma, Cost., all'interpretazione congiunta degli artt. 3,  36  e  38
Cost., e all'art. 136 Cost.; dell'art. 1, comma 483, della  legge  n.
147 del 2013, e, in  particolare,  della  disposizione  di  cui  alla
lettera e) di tale comma 483, in riferimento agli artt. 3, 36,  primo
comma, 38, secondo  comma,  Cost.,  e  all'interpretazione  congiunta
degli artt. 3, 36 e 38 Cost. 
    6.1.- Il giudice rimettente riferisce,  in  punto  di  fatto:  di
essere investito del ricorso proposto nei confronti dell'INPS  da  F.
L., titolare di un trattamento pensionistico superiore a sei volte il
trattamento  minimo  INPS;  che  il  ricorrente  chiedeva  -   previa
rimessione alla Corte costituzionale  di  questioni  di  legittimita'
costituzionale del comma 25 dell'art. 24 del d.l.  n.  201  del  2011
(nel suo testo previgente) e dell'art. 1, comma 483, della  legge  n.
147 del 2013 - la condanna dell'INPS a provvedere  alla  perequazione
del proprio trattamento pensionistico ai  sensi  dell'art.  69  della
legge  23  dicembre  2000,  n.  388,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2001)»; che lo stesso ricorrente riferiva che il  proprio
trattamento  pensionistico,  dal  1°  gennaio  2012,  non  era  stato
rivalutato ai sensi dell'art. 24, comma 25, del d.l. n. 101 del 2011,
e che solo dal gennaio 2014 aveva ricevuto un modesto incremento; che
l'INPS, in via preliminare,  aveva  eccepito  l'inammissibilita'  del
ricorso in quanto si era «limitato ad applicare la normativa  vigente
che il ricorrente reputava essere incostituzionale, ma  in  relazione
alla  quale  non   poteva   chiedere   la   rimessione   alla   Corte
Costituzionale in quanto la stessa poteva pronunciarsi  solo  in  via
incidentale»; che, con  intervento  adesivo  dipendente,  Dircredito,
Associazione sindacale nazionale dell'area  direttiva  e  delle  alte
professionalita' del credito, delle  societa'  assicurative,  agenzie
esattoriali  e/o  di  riscossione  tributi,  della   finanza,   delle
attivita' similari e/o strumentali,  delle  poste,  delle  fondazioni
bancarie e delle Authorities o agenzie nazionali comunque  denominate
(di seguito: Dircredito), ha sostenuto la  fondatezza  della  domanda
del  ricorrente;  di  ritenere  infondata   l'eccezione   preliminare
dell'INPS, atteso che «dalla  circostanza  che  l'INPS  ha  applicato
correttamente la  vigente  disciplina  che,  ad  avviso  della  parte
ricorrente  sarebbe  viziata  da  incostituzionalita',  discende   la
necessita'/opportunita' di sottoporre la questione al  giudice  delle
leggi». 
    6.2.- In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  Tribunale
rimettente afferma che il censurato comma 25 dell'art. 24 del d.l. n.
201 del 2011 ha nuovamente escluso la  perequazione  dei  trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a sei volte  il  trattamento
minimo INPS, cosi' «contravvenendo  [...]  alle  indicazioni  fornite
dalla Corte Costituzionale» poiche' tali trattamenti non sarebbero da
considerare "di sicura rilevanza"  come,  invece,  i  trattamenti  di
importo otto volte superiore al trattamento  minimo  INPS,  presi  in
considerazione dalla Corte Costituzionale, con  riferimento  al  solo
2008, nella sentenza n. 316 del 2010. 
    Le pensioni superiori a sei volte  il  trattamento  minimo  INPS,
escluse dalla perequazione  per  il  biennio  2012-2013,  sono  state
attratte nel blocco anche per  l'anno  2014,  secondo  la  disciplina
della legge n. 147 del 2013. 
    Pertanto, «in relazione alla novella introdotta dalla  legge  del
2015 ed [...] alla  legge  n.  147/2013  con  riferimento  al  blocco
afferente  l'anno  2014»  sarebbero  violati:  il  principio  di  cui
all'art. 38, secondo comma, Cost., perche' la  mancata  rivalutazione
della pensione ne impedisce la conservazione del  valore  nel  tempo,
menomandone l'adeguatezza; il principio di  cui  all'art.  36,  primo
comma, Cost., perche' la mancata rivalutazione della pensione si pone
in contrasto con «il principio di proporzionalita' tra pensione  (che
costituisce il prolungamento in pensione della retribuzione goduta in
costanza  di  lavoro)  e  retribuzione  goduta  durante   l'attivita'
lavorativa»; il principio  derivante  dall'interpretazione  congiunta
degli artt. 3, 36 e  38  Cost.,  perche'  la  mancata  rivalutazione,
violando i principi di adeguatezza della prestazione previdenziale  e
di proporzionalita' tra pensione e retribuzione, «altera il principio
di   eguaglianza   e   ragionevolezza,   causando   una   irrazionale
discriminazione in danno della categoria dei pensionati». 
    Il solo comma 25 dell'art. 24 del d.l.  n.  201  del  2011,  come
sostituito dall'art. 1, comma 1, numero 1), del d.l. n. 65 del  2015,
violerebbe inoltre l'art. 136 Cost., poiche' alla «lettera c» (recte:
lettera  e)  ha  «riproposto»,  per  i  trattamenti  complessivamente
superiori a sei volte il minimo INPS, il blocco  della  rivalutazione
relativa agli anni 2012 e  2013  «gia'  dichiarato  incostituzionale»
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 70 del 2015. 
    6.3.- In punto di rilevanza, il Tribunale rimettente  rappresenta
che il ricorrente ha chiesto la perequazione della  propria  pensione
«che non gli puo' essere concessa ne' dall'INPS ne' da questo Giudice
proprio in  applicazione  della  normativa  di  cui  si  contesta  la
costituzionalita'». 
    7.- Si e' costituito F. L., ricorrente nel  giudizio  principale,
chiedendo che le questioni sollevate siano accolte. 
    7.1.- Con riguardo ai «profili di incostituzionalita' individuati
dalla sentenza n. 70/2015», la parte costituita osserva che nel testo
della disposizione censurata «non vi e' alcuna traccia delle  ragioni
che, nel necessario bilanciamento dei rispettivi interessi, avrebbero
indotto il legislatore a pregiudicare l'interesse dei pensionati»; il
blocco della perequazione dei trattamenti pensionistici  superiori  a
sei volte  il  minimo  INPS  sembra  contrastare  con  il  principio,
ricavabile dalla sentenza n. 70 del 2015, in base al quale  il  punto
di  equilibrio  tra  l'interesse  dei  pensionati   e   le   esigenze
finanziarie dello Stato va ricercato all'interno del meccanismo della
perequazione che, quindi, dovrebbe sempre essere  prevista;  anche  i
trattamenti pensionistici da  quattro  a  sei  volte  il  trattamento
minimo  INPS  sono  stati  gravemente  incisi,  con  una  graduazione
ritenuta discutibile quanto alla proporzionalita' e  all'adeguatezza;
la soglia da  cui  opera  l'azzeramento  della  perequazione  e'  ben
inferiore a quella, di otto volte il minimo INPS, che, nella sentenza
n. 316 del 2010, la Corte costituzionale aveva  ritenuto  «un  limite
d'importo di sicura rilevanza». 
    La stessa parte aggiunge che il blocco previsto si estende per il
2012 e il 2013 e si prolunghera' anche nel 2014  (in  base  all'altra
disposizione censurata). Mancherebbe quindi del  tutto  uno  dei  due
elementi, la durata limitata nel  tempo  del  sacrificio  imposto  ai
titolari delle pensioni piu' elevate, che avevano  indotto  la  Corte
costituzionale a rigettare, con la  sentenza  n.  316  del  2010,  le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 19, della
legge n. 247 del 2007. 
    Sarebbe,  infine,  indubbio  il  contrasto   con   il   giudicato
costituzionale,  atteso  che  la  disposizione  censurata  otterrebbe
«sostanzialmente lo stesso risultato gia' perseguito dal  legislatore
con il precedente testo dichiarato incostituzionale». 
    7.2.- Quanto alle questioni aventi a oggetto l'art. 1, comma 483,
della legge n. 147 del 2013,  la  parte  costituita  ritiene  che  le
ragioni di incostituzionalita' prospettate dal giudice rimettente non
siano intaccate dalla sentenza n. 70 del 2015. Profili di  criticita'
emergerebbero tenuto conto che  la  disposizione  censurata:  non  fa
cenno alle ragioni che giustificherebbero il pregiudizio recato  alle
ragioni dei pensionati; incide su tutti i  trattamenti  pensionistici
superiori a tre volte il minimo INPS e, quindi, anche  su  quelli  di
minore ammontare;  infligge  alle  pensioni  un  pregiudizio  che  si
estende per ben tre anni (dal 2014 al 2016), mentre, «se e' vero  che
il  blocco  totale  della  rivalutazione  automatica  delle  pensioni
superiori a sei volte il minimo e' previsto  per  un  solo  anno  (il
2014), e' vero anche, pero', che esso si aggiunge all'analogo  blocco
imposto dall'art. 24, comma 25, del decreto-legge n.  201/2011,  alle
medesime pensioni [...] per il biennio 2012-2013». 
    La parte costituita precisa di non ignorare che, con la  sentenza
n. 173 del  2016,  la  Corte  costituzionale  ha  dichiarato  la  non
fondatezza di questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,
comma 483, della legge n. 147 del 2013, in riferimento agli artt.  3,
36 e 38 Cost. (oltre che  all'art.  53  Cost.).  Tale  dichiarazione,
tuttavia, sarebbe basata  su  «profili  [...]  non  sovrapponibili  a
quelli di cui al presente giudizio», sottolineando, tra l'altro,  che
la sentenza n. 173 del 2016 non avrebbe preso  in  considerazione  il
"nuovo" testo dell'art. 24, comma  25,  del  d.l.  n.  65  del  2015,
sicche' «l'effetto complessivo,  del  combinato  disposto  delle  due
norme (e cioe' il prolungamento del blocco totale delle  perequazioni
per tre anni consecutivi, dal 2012 fino  al  2014),  non  ha  formato
oggetto dell'esame della Corte». 
    8.- Si e' costituita Dircredito, interveniente adesiva dipendente
nel giudizio principale, prospettando deduzioni di contenuto identico
a quelle di cui all'atto di costituzione di F. L. 
    9.- Con ordinanza del 15 luglio 2016 (reg. ord. n. 237 del 2016),
il Tribunale di  Napoli,  sezione  lavoro,  previdenza  e  assistenza
obbligatoria, ha sollevato, in riferimento agli artt.  3,  36,  primo
comma, e 38, secondo comma,  Cost.,  al  «combinato  disposto»  degli
artt.  3,  36  e  38  Cost.,  e  all'art.  136  Cost.,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25, del d.l.  n.  201
del 2011, come sostituito dal numero 1) dell'art. 1 del  d.l.  n.  65
del 2015, e, in particolare, delle disposizioni di cui  alla  lettera
e)  di  detto  comma  25  (unica  lettera  citata  nelle  conclusioni
dell'ordinanza). 
    9.1.- Il giudice rimettente riferisce,  in  punto  di  fatto:  di
essere investito del ricorso  proposto  nei  confronti  dell'INPS  da
quindici pensionati; che i ricorrenti chiedevano - previa  rimessione
alla Corte costituzionale di questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 1 del d.l. n.  65  del  2015  -  la  condanna  dell'INPS  a
provvedere alla perequazione del proprio  trattamento  pensionistico,
ai sensi dell'art. 69 della legge n. 388 del 2000, per gli anni  2012
e 2013; che gli stessi ricorrenti  riferivano  che,  dal  1°  gennaio
2012,   ai   sensi   della   disposizione   di    cui    denunciavano
l'incostituzionalita', la loro pensione non era stata rivalutata; che
l'INPS, in via preliminare,  aveva  eccepito  l'inammissibilita'  del
ricorso in quanto si era «limitato ad applicare la normativa  vigente
che i ricorrenti reputavano essere incostituzionale, ma in  relazione
alla  quale  non  potevano  chiedere   la   rimessione   alla   Corte
Costituzionale in quanto la stessa poteva pronunciarsi  solo  in  via
incidentale»;   di   ritenere   infondata   l'eccezione   preliminare
dell'INPS, atteso che «dalla  circostanza  che  l'INPS  ha  applicato
correttamente la  vigente  disciplina  che,  ad  avviso  delle  parti
ricorrenti  sarebbe  viziata  da  incostituzionalita',  discende   la
necessita'/opportunita' di sottoporre la questione al  giudice  delle
leggi». 
    9.2.- In punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
prospetta argomentazioni coincidenti con  quelle  dell'ordinanza  del
Tribunale ordinario di Brescia (reg. ord. n. 188 del  2016),  per  la
parte di  questa  relativa  alla  non  manifesta  infondatezza  delle
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25,  del
d.l. n. 101 del 2011, come sostituito dal numero 1) dell'art.  1  del
d.l. n. 65 del 2015. 
    9.3.- In punto di rilevanza, il Tribunale rimettente  rappresenta
che i ricorrenti hanno chiesto «la perequazione della  loro  pensione
con la conseguente riliquidazione ed il pagamento di  una  differenza
sul trattamento pensionistico  pregresso  che  non  gli  puo'  essere
concessa ne' dall'INPS ne' da questo Giudice proprio in  applicazione
della  normativa  di  cui  si  contesta  la  costituzionalita'»,  che
«imped[isce] la perequazione della pensione dei ricorrenti  (titolari
di un trattamento superiore a sei volte  il  trattamento  minimo)  o,
comunque, per alcuni di essi, [...] la perequazione totale». 
    10.- Con ordinanza del 9 agosto 2016 (reg. ord. n. 242 del 2016),
il Tribunale  ordinario  di  Genova,  sezione  lavoro,  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale: dell'art. 24,  commi  25  e
25-bis del d.l. n. 201 del 2011, come  sostituito  (il  comma  25)  e
inserito (il comma  25-bis),  rispettivamente  dai  numeri  1)  e  2)
dell'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015, e,  in  particolare,  quanto  al
comma 25, della disposizione di cui alla lettera b) dello stesso,  in
riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma,  e  136
Cost.;  in  via  subordinata,   delle   medesime   disposizioni   «in
collegamento» con l'art. 1, comma 483, della legge n. 147  del  2013,
come modificato dall'art. 1, comma 286, lettera b),  della  legge  28
dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2016)», e, in particolare, con le disposizioni di cui alle lettere d)
ed e), primo periodo, di tale comma 483. 
    10.1.- Il giudice rimettente riferisce, in  punto  di  fatto:  di
essere investito dei ricorsi proposti, nei confronti dell'INPS, da P.
R, G. D. R e A. P, titolari di trattamenti pensionistici, a carico di
tale Istituto; che i ricorrenti hanno  chiesto  -  previa  rimessione
alla Corte costituzionale di questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 24, commi 25, 25-bis e 25-ter del d.l.  n.  201  del  2011,
dell'art. 1, comma 483, della legge n. 147 del 2013, e  dell'art.  34
della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica  per
la stabilizzazione e lo sviluppo) - l'accertamento del  loro  diritto
alla   perequazione   automatica    «integrale»    del    trattamento
pensionistico per gli anni 2012 e 2013, con la  conseguente  condanna
dell'INPS a corrispondere loro gli «importi cosi' maturati anche  sui
ratei arretrati»; che l'INPS si e' costituito in giudizio contestando
la fondatezza dei ricorsi e chiedendone il rigetto. 
    10.2.-   Dopo   avere   affermato   che   la   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale del blocco  della  rivalutazione  delle
pensioni previsto dal previgente comma 25 dell'art. 24  del  d.l.  n.
201  del  2011  «ha  avuto  l'effetto  di  ripristinare   l'integrale
applicazione del meccanismo perequativo previsto dall'art. 34,  primo
comma, l. 448/98», il Tribunale rimettente sostiene la non  manifesta
infondatezza  della  questione  di  legittimita'  costituzionale  dei
denunciati commi 25 e 25-bis dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011. 
    Il giudice a quo osserva che l'intervento operato con il d.l.  n.
65 del 2015 e' «motivato [...] da enunciazioni generiche» anche nella
Relazione  illustrativa  al  disegno  di  legge  di  conversione  del
decreto. 
    Tale intervento si discosterebbe dalle  finalita'  solidaristiche
che sorreggevano il blocco della perequazione previsto - per un  solo
anno e per i soli trattamenti superiori a otto volte il minimo INPS -
dall'art. 1, comma 19, della legge n. 247 del 2007, ritenuto conforme
a Costituzione dalla sentenza della Corte costituzionale n.  316  del
2010. Al contrario, il comma 25 dell'art. 24 «ha effetti  distribuiti
su piu' anni e destinati a  divenire  permanenti,  poiche'  non  v'e'
previsione di recupero futuro  del  mancato  incremento  rivalutativo
della  base  di  calcolo  dei  trattamenti  pensionistici»,  con   la
conseguenza che  «si  e'  [...]  realizzata  [...]  una  reiterazione
annuale della paralisi del meccanismo perequativo». 
    La normativa  censurata,  inoltre,  inciderebbe  su  pensioni  di
valore inferiore alla meta' di quelle che la sentenza n. 316 del 2010
aveva ritenuto dotate di «margini di  resistenza»  alla  perdita  del
potere d'acquisto. 
    La stessa normativa avrebbe quindi introdotto «uno strumento  che
eccede  nell'opera  di  riequilibrio  finanziario  rispetto  al  fine
dichiarato », da ritenersi irragionevole. 
    Il rimettente sottolinea ancora che  la  normativa  censurata  fa
seguito a numerose diposizioni che hanno  limitato  la  funzionalita'
della perequazione delle pensioni, con la  conseguenza  che,  con  il
d.l. n. 65 del  2015,  «si  e'  [...]  riprodotta  quella  "frequente
reiterazione" (Corte cost., 316/2010) di misure capace di paralizzare
per un lungo periodo l'adeguamento concepito per evitare  la  perdita
di potere d'acquisto delle pensioni». 
    Non potrebbe quindi che ritenersi  non  manifestamente  infondata
«l'eccezione d'incostituzionalita' delle norme predette  rispetto  ai
parametri forniti dalla lettura sistematica degli artt. 3, 36,  primo
comma, e 38, secondo comma, della Costituzione». 
    10.3.- La stessa normativa contrasterebbe anche  con  l'art.  136
Cost. 
    Il giudice rimettente afferma che, alla luce di  quanto  esposto,
la normativa censurata neutralizza gli effetti della  sentenza  della
Corte costituzionale n. 70 del 2015  -  in  particolare  «i  vantaggi
economici [...] che  ne  sarebbero  derivati  per  i  titolari  delle
pensioni incise col  ritorno  all'applicazione  dell'art.  69,  primo
comma, l. n. 388/2000» -  utilizzando  «una  tecnica  in  parte  gia'
censurata dalla stessa decisione». L'elusione del giudicato  sarebbe,
poi «massimamente evidente per  le  pensioni  di  valore  complessivo
superiore a sei volte il trattamento minimo». 
    10.4.- In via subordinata, nel caso  siano  ritenute  conformi  a
Costituzione le disposizioni dei commi 25 e 25-bis dell'art.  24  del
d.l. n. 101  del  2011,  il  rimettente  ha  sollevato  questioni  di
legittimita'   costituzionale   della   medesime   disposizioni   «in
collegamento» con l'art. 1, comma 483, della legge n. 147  del  2013,
come modificato dall'art. 1, comma 286, lettera b),  della  legge  n.
208 del 2015, e, in particolare, con  le  disposizioni  di  cui  alle
lettere d) ed e), primo periodo, di tale comma  483  (uniche  lettere
citate nelle conclusioni dell'ordinanza). 
    Il  giudice  a  quo  afferma  che,  qualora   le   questioni   di
legittimita' costituzionale dei commi 25 e 25-bis  dell'art.  24  del
d.l.  n.  101  del  2011   non   fossero   ritenute   fondate,   cio'
«comporterebbe  l'azzeramento  della  rivalutazione   annuale   delle
pensioni d'importo sei volte superiore al trattamento minimo  per  un
triennio ed un'applicazione successiva del meccanismo perequativo  in
misura inferiore alla meta' per un ulteriore triennio». 
    Il sacrificio che ne deriverebbe risulterebbe  sproporzionato  e,
quindi, irragionevole, con la conseguente non manifesta  infondatezza
delle questioni sempre in riferimento agli artt. 3, 36, primo  comma,
e 38, secondo comma, Cost. 
    10.5.- In punto  di  rilevanza  delle  questioni,  il  rimettente
deduce che, poiche' le pensioni dei  ricorrenti  si  collocano  nelle
fasce di importo di cui alle lettere, rispettivamente, b),  c)  e  d)
del comma 25 dell'art. 24  del  d.l.  n.  201  del  2011  (nel  testo
vigente), nell'agosto del 2015, ciascuno  di  essi  ha  percepito  un
importo ridotto nella proporzione  stabilita  dalla  norma,  anziche'
l'ammontare  integrale  della  rivalutazione  maturata  nel   biennio
2012-2013. L'incidenza sulle pensioni e' stata  protratta  nel  tempo
dal legislatore, che ha adottato percentuali riduttive diverse per il
triennio 2014-2016 in forza  del  comma  25-bis,  lettere  a)  e  b),
inserito nell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 dall'art. 1, comma  1,
numero 2), del d.l. n. 65 del 2015. La  valutazione  di  legittimita'
delle norme  citate  rileva  per  la  decisione  della  causa  e  per
l'accertamento del diritto dei ricorrenti all'integrale perequazione. 
    11.- Si sono costituiti P. R, G. D. R  e  A.  P,  ricorrenti  nel
giudizio principale,  chiedendo  che  le  questioni  sollevate  siano
accolte. 
    I commi 25 e 25-bis  dell'art.  24  del  d.l.  n.  201  del  2011
violerebbero anzitutto l'art. 3 Cost., atteso che, per le pensioni di
importo non elevato (fino a otto volte la minima) il legislatore  del
2015 non ha posto in essere «alcun tentativo di spiegazione [...] sia
sull'an del dare, sia,  in  caso  affermativo,  sul  quantum»,  cosi'
ledendo il principio di  ragionevolezza,  in  assenza  di  «qualunque
forma di bilanciamento tra valori di pari rango costituzionale». 
    I censurati commi 25 e 25-bis violerebbero,  inoltre,  gli  artt.
36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., presentando i profili di
contrasto  con  tali  parametri  che   avevano   indotto   la   Corte
costituzionale a dichiarare l'illegittimita' costituzionale del comma
25 nel suo testo originario. 
    I menzionati commi 25 e 25-bis violerebbero, infine,  l'art.  136
Cost. in  quanto  non  darebbero  «alcuna  esecuzione  pratica»  alla
sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015,  lasciando  ferme
le  «violazioni  gia'   presenti»   nella   disposizione   dichiarata
incostituzionale con tale sentenza. 
    12.- Con ordinanza del 9 agosto 2016 (reg. ord. n. 243 del 2016),
il Tribunale  ordinario  di  Genova,  sezione  lavoro,  ha  sollevato
questioni  di  legittimita'  costituzionale:   in   via   principale,
dell'art. 24, commi 25 e 25-bis  del  d.l.  n.  201  del  2011,  come
sostituito  (il   comma   25)   e   inserito   (il   comma   25-bis),
rispettivamente dai numeri 1) e 2) dell'art. 1 del  d.l.  n.  65  del
2015, e, in particolare, quanto al comma 25,  della  disposizione  di
cui alla lettera b) dello stesso, in riferimento agli  artt.  3,  36,
primo comma, 38, secondo comma, e  136  Cost.;  in  via  subordinata,
delle medesime disposizioni «in collegamento»  con  l'art.  1,  comma
483, della legge n. 147 del 2013, come modificato dall'art. 1,  comma
286, lettera b), della legge n. 208 del 2015, e, in particolare,  con
le disposizioni di cui alle lettere d) ed e), primo periodo, di  tale
comma 483. 
    12.1.- Il giudice rimettente riferisce, in  punto  di  fatto:  di
essere investito del ricorso proposto, nei confronti dell'INPS, da A.
C e M. M., titolari di trattamenti pensionistici, il  secondo  «oltre
cinque volte superiore al  trattamento  minimo»  e  il  primo  «nella
fascia immediatamente superiore»; che i ricorrenti  hanno  chiesto  -
previa  rimessione  alla  Corte  costituzionale   di   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25, del d.l.  n.  201
del 2011, «anche» nel testo sostituito dall'art. 1, comma  1,  numero
1), del d.l. n. 65 del 2015 - l'accertamento del  loro  diritto  alla
perequazione automatica del trattamento pensionistico  per  gli  anni
2012 e 2013 «per effetto della sentenza  della  Corte  costituzionale
70/2015 e comunque in applicazione della norma di  cui  all'art.  69,
primo comma, legge 388/2000», con la conseguente condanna dell'INPS a
corrispondere loro  gli  «importi  cosi'  maturati  anche  sui  ratei
arretrati»; che l'INPS si e' costituito in  giudizio  contestando  la
fondatezza dei ricorsi e chiedendone il rigetto. 
    12.2.- In punto di non manifesta  infondatezza  delle  questioni,
sia principale sia subordinata,  il  Tribunale  ordinario  di  Genova
adduce motivazioni identiche a  quelle  dell'ordinanza  emessa  dallo
stesso Tribunale e iscritta al reg. ord. n. 242 del 2016. 
    12.3.- In punto  di  rilevanza  delle  questioni,  il  rimettente
deduce che, come documentato dall'INPS, nell'agosto del 2015 ciascuno
dei ricorrenti ha percepito, «a titolo di arretrati per effetto della
[...] pronuncia n. 70/2015 della  Corte  costituzionale,  un  importo
ridotto nella proporzione stabilita dalla norma anziche'  l'ammontare
integrale della rivalutazione maturata  nel  biennio  2012-2013».  Il
rimettente   asserisce   quindi   che   «la    disciplina    tacciata
d'incostituzionalita' ha dunque inciso  sul  valore  del  trattamento
pensionistico goduto dai ricorrenti» e si e' protratta  ulteriormente
nel tempo. Conclude affermando che «la  valutazione  di  legittimita'
delle norme citate ha dunque rilevanza per la decisione della causa e
l'accertamento del diritto dei ricorrenti all'integrale  perequazione
rivendicata». 
    13.- Si sono costituiti A. C. e M.  M.,  ricorrenti  nei  giudizi
principali, chiedendo che le questioni sollevate siano accolte. 
    Entrambe le parti richiamano le argomentazioni dell'ordinanza  di
rimessione e ribadiscono anzitutto la violazione dell'art. 136 Cost.,
atteso che il d.l. n. 65 del 2015 «ha riproposto [...] la norma  gia'
invalidata dalla Corte [costituzionale], dichiarandola sostituita,  e
per di piu' con una inammissibile efficacia ex tunc». 
    Esse ribadiscono anche la violazione  degli  artt.  3,  36  e  38
Cost.,  tenuto  conto  che:  la  perequazione  delle  pensioni,   per
mantenerne il potere di acquisto, e' costituzionalmente necessaria al
fine  di  assicurare  l'adeguatezza   e   la   proporzionalita'   del
trattamento pensionistico; i blocchi della stessa  producono  effetti
permanenti; la decurtazione permanente delle  pensioni,  al  fine  di
fronteggiare   una   «contingente   situazione    finanziaria»,    e'
irragionevole perche' e' sproporzionata  rispetto  allo  scopo.  Dopo
aver richiamato la sentenza n. 173 del 2016, le parti  ritengono  che
non   potrebbe   «essere   vanificata   la   sentenza   della   Corte
costituzionale  n.  70  del  2015,  la'  dove  ha  affermato  che  il
legislatore  non  aveva  ascoltato  il  monito  indirizzatogli  dalla
sentenza della stessa Corte n. 316 del 2010». 
    14.- Con ordinanza del 9 agosto 2016 (reg. ord. n. 244 del 2016),
il Tribunale  ordinario  di  Genova,  sezione  lavoro,  ha  sollevato
questioni  di  legittimita'  costituzionale:   in   via   principale,
dell'art. 24, commi 25 e 25-bis  del  d.l.  n.  201  del  2011,  come
sostituito  (il   comma   25)   e   inserito   (il   comma   25-bis),
rispettivamente dai numeri 1) 2) dell'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015,
e, in particolare, quanto al comma 25, della disposizione di cui alla
lettera b) dello stesso, in  riferimento  agli  artt.  3,  36,  primo
comma, 38, secondo comma, e 136  Cost.;  in  via  subordinata,  delle
medesime disposizioni «in collegamento»  con  l'art.  1,  comma  483,
della legge n. 147 del 2013, come modificato dall'art. 1, comma  286,
lettera b), della legge n. 208 del 2015, e, in  particolare,  con  le
disposizioni di cui alle lettere d) ed e),  primo  periodo,  di  tale
comma 483. 
    14.1.- Il giudice rimettente riferisce, in  punto  di  fatto:  di
essere investito dei ricorsi proposti, nei confronti dell'INPS, da M.
F e G. C. T., titolari di trattamenti pensionistici di importo  lordo
mensile superiore a tre volte  il  trattamento  minimo  INPS;  che  i
ricorrenti   hanno   chiesto   -   previa   rimessione   alla   Corte
costituzionale di questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.
1 del d.l. n. 65 del 2015 -  l'accertamento  del  loro  diritto  alla
perequazione automatica «integrale» del trattamento pensionistico per
gli anni compresi tra il 2012 e il 2015, «in applicazione della norma
originaria di cui all'art. 34, primo comma,  legge  448/98»,  con  la
conseguente condanna dell'INPS  a  corrispondere  loro  gli  «importi
cosi'  maturati  anche  sui  ratei  arretrati»;  che  l'INPS  si   e'
costituito in  giudizio  contestando  la  fondatezza  dei  ricorsi  e
chiedendone il rigetto. 
    14.2.- In punto di non manifesta  infondatezza  delle  questioni,
sia principale sia  subordinata,  il  rimettente  adduce  motivazioni
identiche a quelle delle ordinanze emesse dallo  stesso  Tribunale  e
iscritte al reg. ord. n. 242 e n. 243 del 2016. 
    14.3.- In punto  di  rilevanza  delle  questioni,  il  rimettente
deduce che, poiche' le pensioni dei ricorrenti si collocavano tra  il
triplo e il quadruplo del trattamento minimo, nell'agosto  del  2015,
ciascuno di essi ha percepito, «a titolo  di  arretrati  per  effetto
della [...] pronuncia  n.  70/2015  della  Corte  costituzionale,  un
importo ridotto nella  proporzione  stabilita  dalla  norma  anziche'
l'ammontare  integrale  della  rivalutazione  maturata  nel   biennio
2012-2013». Il rimettente  asserisce  che  la  disciplina  sospettata
d'incostituzionalita'  ha   inciso   sul   valore   del   trattamento
pensionistico goduto dai ricorrenti. Il protrarsi  delle  misure  che
hanno reiterato una tale incisione per il triennio 2014-2016 in forza
del comma 25-bis, lettere a) e b), inserito nell'art. 24 del d.l.  n.
201 del 2011 dall'art. 1, comma 1, numero 2),  del  d.l.  n.  65  del
2015, lo spinge a ritenere che «la valutazione di legittimita'  delle
norme citate ha dunque rilevanza  per  la  decisione  della  causa  e
l'accertamento del diritto dei ricorrenti all'integrale  perequazione
rivendicata». 
    15.- Si sono costituiti M. F. e G. C. T., ricorrenti nei  giudizi
principali, chiedendo che le questioni sollevate siano accolte. 
    Ad avviso delle parti costituite, il d.l. n. 65 del 2015 «non  ha
saputo correggere l'errore [...] evidenziato  dalla  Consulta»  nella
sentenza n. 70 del 2015. 
    Nell'alinea dell'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015,  le  motivazioni
dell'intervento  sono  costituite   da   «mere   enunciazioni   [...]
generiche», che nuovamente non chiariscono «i motivi sulla  base  dei
quali le percentuali di rivalutazione vengano ridotte».  Neppure  nei
lavori  preparatori   del   decreto   sarebbe   possibile   «reperire
un'effettiva  spiegazione  delle   ragioni   che   avrebbero   dovuto
consentire il rispetto del principio  dell'equilibrio  di  bilancio».
Inoltre, diversamente dal blocco della  perequazione  delle  pensioni
previsto dall'art. 1, comma 19, della legge n. 247 del 2007, il nuovo
testo dell'art. 24, comma 25, del d.l. n. 201del 2011,  «non  risulta
assistito dalle precise ragioni solidaristiche richieste».  Le  parti
costituite concludono affermando che la  modifica  normativa  operata
dall'art. 1 del d.l.  n.  65  del  2015  «ha  dunque  introdotto  uno
strumento che non garantisce la conservazione nel tempo del potere di
acquisto  delle  pensioni   incise   e,   eccedendo   nell'opera   di
riequilibrio finanziario rispetto al fine  dichiarato,  sacrifica  in
misura  sproporzionata  la  tutela  dei  titolari   dei   trattamenti
previdenziali non elevati». 
    Con riguardo alla questione sollevata in riferimento all'art. 136
Cost. e  alle  questioni  sollevate  in  via  subordinata,  le  parti
costituite  ribadiscono,  nella  sostanza,  le   argomentazioni   del
rimettente. 
    16.- Con ordinanza del 27 settembre 2016 (reg. ord.  n.  278  del
2016),  il  Tribunale  ordinario  di  Torino,  sezione   lavoro,   ha
sollevato,  in  riferimento  all'art.   136   Cost.,   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25-bis, del  d.l.  n.
201 del 2011, inserito dal numero 2) dell'art. 1 del d.l. n.  65  del
2015. 
    16.1.- Il giudice rimettente riferisce, in  punto  di  fatto:  di
essere investito del ricorso proposto dal titolare  di  una  pensione
VOBANC di importo superiore a sei volte il trattamento  minimo  INPS,
con decorrenza dal 1° luglio 2012; che il ricorrente aveva  agito  in
giudizio «al fine di  ottenere  il  pagamento  della  differenza  tra
quanto  effettivamente  percepito,  a  seguito   del   blocco   della
rivalutazione,  con  quanto  avrebbe  avuto  diritto  applicando   la
rivalutazione automatica per il  periodo  dal  2013  sino  al  luglio
2015»; che lo stesso ricorrente aveva chiesto di sollevare  questioni
di legittimita' costituzionale dei commi 25 e 25-bis dell'art. 24 del
d.l. n. 201 del 2011, come sostituito (il comma 25)  e  inserito  (il
comma 25-bis), rispettivamente, dai numeri 1) e 2)  dell'art.  1  del
d.l. n. 65 del 2015. 
    16.2.-  Il  rimettente,  premesso  di   ritenere   manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale dei commi 25  e
25-bis dell'art. 24 del d.l. n. 201  del  2011  in  riferimento  agli
artt. 36 e 38 Cost., afferma invece  la  non  manifesta  infondatezza
della questione di legittimita'  costituzionale  del  medesimo  comma
25-bis in riferimento all'art. 136 Cost.  Cio'  in  quanto  il  comma
censurato «non fa altro che bloccare la rivalutazione delle  pensioni
il cui importo sia oltre sei volte il minimo previsto  dall'I.N.P.S.,
con  cio'  contravvenendo  al  monito  della  Corte  costituzionale»,
formulato nella sentenza n. 70 del 2015, «secondo il quale il  blocco
del meccanismo perequativo deve essere necessariamente contenuto  nel
tempo». 
    16.3.- In punto  di  rilevanza  della  questione,  il  rimettente
premette  che  il  ricorrente,  «sulla   base   del   meccanismo   di
rivalutazione automatica delle pensioni,  come  introdotto  dall'art.
34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n.  448,  avrebbe  diritto
alla rivalutazione annua del trattamento pensionistico percepito», la
quale «e' nuovamente esclusa dalla [...]  normativa  introdotta»  dal
d.l. n. 65 del 2015. 
    La rilevanza della questione sarebbe allora «evidente». 
    Infatti,  nel  caso  in  cui  detta  normativa   fosse   ritenuta
costituzionalmente legittima, il ricorso dovrebbe  essere  rigettato,
atteso che la domanda del ricorrente troverebbe la propria  negazione
nella legge «che  esclude  ogni  rivalutazione  per  le  pensioni  di
importo di oltre sei volte rispetto al trattamento minimo INPS  [...]
non solo per gli anni 2012 e 2013, ma anche per gli anni successivi»,
ai sensi, rispettivamente, del comma 25, lettera e), dell'art. 24 del
d.l. n. 201 del 2011, e  del  comma  25-bis  dello  stesso  articolo.
Qualora la medesima normativa venisse dichiarata incostituzionale, la
domanda  del  ricorrente  dovrebbe  essere  accolta,  «in  quanto  la
rivalutazione della pensione dovra' avvenire secondo i  criteri  gia'
stabiliti». 
    Non     sarebbe     infine      possibile      un'interpretazione
costituzionalmente orientata «delle norme, le quali sono chiare nello
stabilire che la rivalutazione, per le pensioni oltre  sei  volte  il
trattamento minimo, e' esclusa». 
    17.- Con ordinanza del 2 novembre  2016  (reg.  ord.  n.  24  del
2017), il Tribunale ordinario di La Spezia, in  funzione  di  giudice
del lavoro, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale, in
riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma,  e  136
Cost., dell'art. 24, comma  25,  del  d.l.  n.  201  del  2011,  come
sostituito dal numero 1) dell'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015,  e,  in
particolare, delle disposizioni di cui alle lettere b), d) ed  e)  di
detto comma 25. 
    17.1.- Il giudice rimettente riferisce, in  punto  di  fatto:  di
essere investito del ricorso proposto nei confronti dell'INPS  da  S.
P., R. S., V. V., F. M. e F. B.; che i ricorrenti  sono  titolari  di
pensioni di valore, rispettivamente, compreso tra tre e quattro volte
il trattamento minimo INPS (S. P. e R. S.), compreso  tra  quattro  e
cinque volte il trattamento minimo INPS (F. B.)  e  superiore  a  sei
volte il trattamento minimo INPS (V. V. e  F.  M.);  che  gli  stessi
ricorrenti   chiedevano   che,   previa   rimessione    alla    Corte
costituzionale di questioni di legittimita' costituzionale del  comma
25 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, come  sostituito  dall'art.
1, comma 1, numero 1), del d.l. n. 65 del 2015, fosse  dichiarato  il
proprio diritto al pagamento  «delle  somme  richieste  a  titolo  di
arretrati per rivalutazione dei  trattamenti  pensionistici  per  gli
anni 2012/2013, oltre le differenze  successivamente  maturate»,  con
corrispondente condanna  dell'INPS;  che  l'INPS  si  era  costituito
resistendo alle domande avversarie. 
    17.2.-    Il    rimettente    ritiene    che    «la     questione
d'incostituzionalita'  sollevata  dai  ricorrenti   sia   [...]   non
manifestamente infondata». 
    Il giudice a quo afferma che il censurato comma 25  dell'art.  24
del d.l. n. 201 del 2011 suscita «i medesimi  dubbi  di  legittimita'
costituzionale  gia'  ravvisati  dalla  Corte  [costituzionale]   con
riferimento alla previgente  formulazione  [dello  stesso]  art.  25,
comma 24». Analogamente a quest'ultima disposizione,  infatti,  anche
quella  oggi  censurata:  esclude  in  toto  la   rivalutazione   dei
trattamenti  pensionistici  di  importo  superiore  a  sei  volte  il
trattamento minimo e individua «fasce intermedie di valore,  nei  cui
confronti  la  rivalutazione  viene  comunque  pesantemente  incisa»;
conferma il blocco della  perequazione  automatica  per  un  biennio;
difetta «dell'indicazione di puntuali ragioni giustificative». 
    La disposizione censurata, inoltre, rientrerebbe «in  un  disegno
complessivo - quale quello stigmatizzato dalla sentenza n. 316/2010 -
di  frequente  reiterazione  di  misure  intese  a   paralizzare   il
meccanismo perequativo,  tali  da  esporre  il  sistema  ad  evidenti
tensioni  con  gli  invalicabili   principi   di   ragionevolezza   e
proporzionalita'». 
    Risulterebbe pertanto non manifestamente infondata  la  questione
sollevata   dai   ricorrenti   con   riferimento   ai   principi   di
proporzionalita'  del  trattamento  di   quiescenza,   inteso   quale
retribuzione differita, di cui all'art. 36, primo comma, Cost., e  di
adeguatezza dello stesso trattamento, di  cui  all'art.  38,  secondo
comma, Cost., da intendere, quest'ultimo, anche quale espressione del
principio di solidarieta', di cui all'art.  2  Cost.,  nonche'  quale
attuazione del principio di «eguaglianza sostanziale» di cui all'art.
3, secondo comma, Cost. 
    Parimenti non manifestamente  infondata  sarebbe  l'eccezione  di
illegittimita' costituzionale sollevata dai ricorrenti in riferimento
all'art. 136 Cost. Il  rimettente  deduce  che  il  legislatore,  con
riguardo ai  trattamenti  pensionistici  superiori  a  sei  volte  il
trattamento  minimo  INPS,  ha  introdotto  un  blocco  totale  della
perequazione identico a quello che, per il medesimo periodo di tempo,
era stato previsto dalla disposizione dichiarata incostituzionale con
la  sentenza  n.  70  del   2015.   La   violazione   del   giudicato
costituzionale sarebbe ravvisabile - sempre secondo il giudice a  quo
- anche con riguardo ai trattamenti pensionistici compresi «tra tre e
sei volte il minimo», atteso che il legislatore, «a parziale modifica
della [...] disciplina dichiarata incostituzionale, ha introdotto  un
blocco parziale, variabile dal  60  al  90%  della  perequazione  che
sarebbe spettata in applicazione della disciplina generale: anche  in
dette  ipotesi,  infatti,  il  blocco  della  perequazione,   seppure
limitato nel quantum, sconta gli stessi  vizi  gia'  ravvisati  nella
sentenza del 2015». 
    Il Tribunale rimettente ritiene invece  manifestamente  infondata
l'eccezione di legittimita' costituzionale sollevata  dai  ricorrenti
in riferimento al «combinato disposto degli artt. 2, 23 e 53  Cost.»,
atteso che «l'azzeramento della perequazione  automatica  oggetto  di
censura» non  costituisce  una  prestazione  patrimoniale  di  natura
tributaria. 
    17.3.- In punto di rilevanza delle questioni, il  giudice  a  quo
afferma che «le disposizioni di cui all'art. 1 DL  n.  65/2015  [...]
hanno  variamente  inciso  sul  diritto,   azionato   dagli   odierni
ricorrenti,  ad  ottenere  la  perequazione  integrale   dei   propri
trattamenti pensionistici». 
    18.- Si sono costituiti S. P., R. S., V.  V.,  F.  M.  e  F.  B.,
ricorrenti nel giudizio principale, chiedendo che le questioni  siano
accolte. 
    Dopo avere precisato che anche il cosiddetto "trascinamento" - il
computo ai fini dei successivi incrementi dei miglioramenti  parziali
concessi a titolo  di  perequazione  nel  2012  e  2013  -  e'  stato
sterilizzato,  le  parti  costituite   affermano   che,   considerato
l'interesse dei pensionati, in  particolare  di  quelli  titolari  di
trattamenti modesti, alla conservazione del potere di acquisto  delle
somme  percepite,  la  disposizione  censurata   viola   «i   diritti
fondamentali  connessi  al   rapporto   previdenziale,   fondati   su
inequivocabili parametri costituzionali».  Il  legislatore,  inoltre,
non avrebbe tenuto conto del monito a esso  indirizzato  dalla  Corte
costituzionale nella sentenza n. 316 del  2010,  tanto  piu'  che  il
blocco della perequazione  produrrebbe  i  propri  effetti  «in  modo
permanente, non essendo prevista alcuna forma di recupero negli  anni
successivi». 
    Le parti costituite ribadiscono, quindi, tutte  le  censure  gia'
formulate nel giudizio principale, in particolare la  violazione  del
«principio  della  parita'  di  prelievo  a  parita'  di  presupposto
d'imposta economicamente rilevante». 
    Altresi' violato sarebbe l'art. 136  Cost.  Le  parti  costituite
asseriscono che la normativa censurata, «che riconosce solo una parte
molto limitata delle rivalutazioni  maturate  e  conferma  il  blocco
totale  per  alcune  fasce  di   reddito   [...]   non   puo'   [...]
ragionevolmente ritenersi conforme ai principi affermati dalla  Corte
Costituzionale, ma rappresenta invece  una  reiterazione  rispetto  a
precedenti provvedimenti [...] abrogati dalla Consulta». 
    19.- Con ordinanza del 7 novembre  2016  (reg.  ord.  n.  25  del
2017), il Tribunale ordinario di La Spezia, in  funzione  di  giudice
del lavoro, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale, in
riferimento agli artt. 3, secondo comma, 36, primo comma, 38, secondo
comma, e 136 Cost., dell'art. 24, comma 25, lettere b) e c), del d.l.
n. 201 del 2011, come sostituito dal numero 1) dell'art. 1  del  d.l.
n. 65 del 2015. 
    19.1.- Il giudice rimettente riferisce, in  punto  di  fatto:  di
essere investito dei ricorsi proposti nei confronti dell'INPS  da  S.
N., G. N., M. P., G. V., E. S.,  V.  Z.,  F.  M.,  C.  F.  e  F.  F.,
«pensionati  I.N.P.S.»,   titolari   di   trattamenti   pensionistici
superiori a tre volte il  minimo  INPS;  che  gli  stessi  ricorrenti
chiedevano  che,  previa  rimessione  alla  Corte  costituzionale  di
questioni di legittimita' costituzionale del comma  25  dell'art.  24
del d.l. n. 201 del 2011,  come  sostituito  dall'art.  1,  comma  1,
numero 1), del d.l. n. 65  del  2015,  fosse  accertato  «il  proprio
diritto alla differenza sugli arretrati ad  essi  spettanti  per  gli
anni 2012-2013-2014-2015 per effetto della sentenza n.  70  del  2015
della  [...]  Corte  costituzionale»,  con  la  conseguente  condanna
dell'INPS al pagamento;  che  l'INPS  resisteva  in  tutte  le  cause
riunite; che nel corso  del  giudizio  gli  stessi  ricorrenti  hanno
dichiarato  di  limitare  la  propria  domanda   al   capo   relativo
all'accertamento  del  proprio  diritto,   con   riserva   di   agire
separatamente  per  l'esatta  quantificazione  e   liquidazione   del
credito; che l'INPS aveva accettato tale limitazione della domanda. 
    19.2.- In punto di  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
afferma che il censurato art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011,
contrasta, anzitutto, con l'art. 136 Cost. 
    Il Tribunale rimettente premette che il vigente  comma  25  «  ha
introdotto un meccanismo  che  rivaluta  in  percentuali  limitate  e
progressivamente  riducentesi  tutti  i   trattamenti».   Lo   stesso
Tribunale deduce poi che la sentenza della Corte costituzionale n. 70
del 2015 aveva «rilevato come l'originario art. 24, comma  25,  fosse
"eccentrico" rispetto al nostro sistema  pensionistico».  Secondo  il
rimettente, la disposizione del "nuovo" testo del comma 25  dell'art.
24 del d.l. n. 201 del 2011 «pare  muoversi  nel  medesimo  solco  di
quella  censurata».  Il  rimettente  conclude  sul   punto   che   la
disposizione vigente «appare volgere piuttosto alla limitazione degli
effetti della sentenza n. 70 del  2015  e,  quindi,  sospettabile  di
inadempimento al dettato dell'art. 136 Cost.». 
    Ad avviso del rimettente, la disposizione dell'art. 24, comma 25,
del d.l. n. 201 del 2011 violerebbe anche  gli  artt.  3,  36,  primo
comma, e 38, secondo comma, Cost., poiche' «il meccanismo perequativo
da essa stabilito  conduce  a  risultati  assai  modesti  e  tali  da
compromettere la conservazione nel corso del  tempo  del  valore  del
trattamento pensionistico, con pregiudizio delle  finalita'  previste
dai ridetti articoli». A tale proposito, il giudice a  quo  indica  i
crediti esposti dai ricorrenti, rappresentando che gli importi  degli
stessi evidenzierebbero, «a contrario», che la rivalutazione prevista
dal censurato art. 24, comma 25, «e' assai  modesta  e  tale  da  far
dubitare che  sia  conforme  all'art.  3  e  soddisfi  ai  richiamati
precetti dell'art. 36 1° comma e 38, 2° comma, Cost.». 
    Sotto tale aspetto, l'art. 24, comma 25,  del  d.l.  n.  201  del
2011,  si  discosterebbe  dai  precedenti  interventi  normativi   in
materia, tra cui l'art. 1, comma 19, della legge n. 247 del 2007, che
la Corte costituzionale, con la sentenza n. 316 del 2010, ritenne non
contrastare con  agli  artt.  3  e  38  Cost.  Il  raffronto  con  le
precedenti disposizioni metterebbe in rilievo che  l'art.  24,  comma
25, del d.l. n. 201 del 2011, «non appare effettuare  un  ragionevole
contemperamento  delle  esigenze  contrapposte»  e  non  si  sottrae,
pertanto, «a dubbi di legittimita'  costituzionale  con  riguardo  ai
principi  di  eguaglianza  sostanziale  (art.  3,   2°   comma),   di
proporzionalita' alla quantita' e qualita' del  lavoro  svolto  (art.
36, 1° comma), di adeguatezza del trattamento pensionistico (art. 38,
2° comma)». 
    19.3.- In punto di rilevanza delle questioni, il  giudice  a  quo
afferma che ciascuno dei  ricorrenti  lamenta  di  essere  creditore,
«anno per anno, dal 2012 al 2015»,  di  importi  variabili  se  fosse
stata pienamente attuata la sentenza n.  70  del  2015.  Da  cio'  la
rilevanza delle questioni. 
    20.- Con ordinanza del 18 novembre 2016  (reg.  ord.  n.  43  del
2017), il Tribunale ordinario di Cuneo, in funzione  di  giudice  del
lavoro, ha sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale,  in
riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma,  e  136
Cost., dell'art. 24, commi 25 e 25-bis, come sostituito (il comma 25)
e inserito (il comma 25-bis), rispettivamente  dai  numeri  1)  e  2)
dell'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015, e,  in  particolare,  quanto  al
comma 25, delle disposizioni di cui alle lettere b),  c),  d)  ed  e)
dello stesso. 
    20.1.- Il giudice rimettente riferisce, in  punto  di  fatto:  di
essere investito del ricorso proposto nei confronti dell'INPS  da  L.
D. e da B. P. R.; che i ricorrenti esponevano di essere  titolari  di
pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS,
di avere percio' subito, ai sensi dell'art. 24, comma 25, del d.l. n.
201 del 2011, il blocco della rivalutazione automatica della  propria
pensione per gli anni 2012 e 2013, che, «a  seguito  della  pronuncia
della Corte Costituzionale» n. 70 del  2015,  spettavano  loro  degli
arretrati e che, con l'entrata in vigore del d.l.  n.  65  del  2015,
sono state loro corrisposte somme ampiamente inferiori  agli  stessi;
che gli stessi ricorrenti hanno pertanto chiesto,  previa  rimessione
alla Corte costituzionale di questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015, di  accertare  il  diritto  alla
rivalutazione automatica, relativa  agli  anni  2012  e  2013,  della
propria pensione «secondo la sentenza della Corte  Costituzionale  n.
70/15, e comunque in base al meccanismo di cui all'art. 69, comma  1,
legge 23.12.2000 n. 388, senza tener  conto  dei  limiti  di  cui  al
decreto legge n. 65/15» e di condannare l'INPS a corrispondere  loro,
per  i  suddetti  anni,  «l'aumento  mensile  e  gli  arretrati   sui
trattamenti  pensionistici,  oltre  accessori  sino  al  saldo»;  che
l'esame delle questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,
comma  483,  della  legge  n.  147  del  2013,  pure  sollevate   dai
ricorrenti, doveva essere «rimesso al momento della  pronuncia  della
sentenza». 
    20.2.- In punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  Tribunale
rimettente afferma che le disposizioni censurate violano,  anzitutto,
l'art. 136 Cost. 
    Le suddette disposizioni avrebbero «sostanzialmente  aggirato  le
statuizioni» della sentenza n. 70 del  2015,  «impedendo  la  portata
retroattiva insita nella dichiarazione di incostituzionalita'». 
    In particolare, l'elusione del giudicato  costituzionale  sarebbe
evidente con riguardo alla disciplina dei  trattamenti  pensionistici
superiori a sei volte il trattamento minimo INPS, atteso che,  per  i
titolari di tali trattamenti, l'esclusione di qualsivoglia meccanismo
di perequazione e' rimasta anche dopo l'introduzione del d.l.  n.  65
del 2015. 
    La  violazione  del   giudicato   costituzionale   sussisterebbe,
comunque, ad avviso del giudice rimettente, anche con  riguardo  alla
disciplina  dei  trattamenti  pensionistici  che,  come  quelli   dei
ricorrenti, sono  «pari  o  inferiori  a  sei  volte  il  minimo  del
trattamento INPS», in quanto «l'introduzione di una rivalutazione  in
misure percentuali differenziate a seconda della  misura  in  cui  la
pensione superi il  trattamento  minimo  INPS,  avendo  l'effetto  di
neutralizzare la portata retroattiva connaturata alla declaratoria di
incostituzionalita', nonche',  in  rilevante  misura,  i  conseguenti
vantaggi economici, integra un  inadempimento  del  legislatore  alla
sentenza 70/15». 
    Ad avviso del giudice a quo, il  censurato  art.  24,  commi  25,
lettere b), c), d) ed  e),  e  25-bis  del  d.l.  n.  101  del  2011,
violerebbe anche gli artt. 3, 36, primo comma, e 38,  secondo  comma,
Cost. 
    Il rimettente afferma che anche «il nuovo testo dell'art. 24 d.l.
201/2011»  e'  stato  «giustificato»  con  enunciazioni  generiche  e
relative a finalita' gia' insite, ai sensi degli artt. 38 e 81 Cost.,
in ogni iniziativa legislativa in materia pensionistica. 
    Lo stesso giudice a quo, dopo avere sottolineato che la normativa
censurata  produce  effetti  su  piu'  anni,  destinati  a  diventare
permanenti - cosi' da  realizzare,  con  un'unica  disposizione,  una
reiterazione della paralisi del meccanismo perequativo - afferma  che
«il decreto legge 65/15 ha quindi introdotto uno strumento che eccede
nell'opera di riequilibrio finanziario rispetto al  fine  dichiarato,
senza  garantire  appieno  la  conservazione  nel  tempo  del  potere
d'acquisto delle pensioni incise e  sacrificando  percio'  in  misura
sproporzionata la tutela dei beneficiari di trattamenti previdenziali
non  elevati»,  manifestandosi,  cosi',   «l'irragionevolezza   delle
disposizioni  contenute  nei  commi  25  e  25-bis  del  nuovo  testo
dell'art. 24 del d.l. 201/11». 
    Il  rimettente   rappresenta   infine   che   il   blocco   della
rivalutazione  delle  pensioni,  ancorche'  limitato  nel  tempo,  ha
effetti permanenti e che  la  Corte  costituzionale  ha  ritenuto  la
legittimita'  di  precedenti  interventi  di  blocco  della  suddetta
rivalutazione  quando   essi   avessero   una   durata   ragionevole,
«sostanzialmente annuale», mentre nella  specie  la  durata  biennale
dell'intervento normativo, «risulta ancor piu' gravosa». 
    20.3.- In punto di rilevanza delle questioni, il  giudice  a  quo
afferma che, in applicazione del d.l. n. 65 del 2015,  i  ricorrenti,
«anziche' vedersi ripristinare la perequazione e pagare gli arretrati
[...] hanno ottenuto una perequazione - e  relativi  arretrati  -  in
misura notevolmente inferiore [...]. Alla luce dell'attuale normativa
le domande attoree non potrebbero [...] che essere rigettate,  mentre
dall'accoglimento della questione [...] conseguirebbe il diritto alla
perequazione della pensione secondo i criteri gia' stabiliti». 
    21.- Con ordinanza del 18 novembre 2016  (reg.  ord.  n.  44  del
2017), il Tribunale ordinario di Cuneo, in funzione  di  giudice  del
lavoro, ha sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale,  in
riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38,  secondo  comma,  117,
primo comma - quest'ultimo, in relazione all'art. 6 della  CEDU  -  e
136 Cost., dell'art. 24, commi 25 e 25-bis, come sostituito (il comma
25) e inserito (il comma 25-bis), rispettivamente dai numeri 1) e  2)
dell'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015, e,  in  particolare,  quanto  al
comma 25, delle disposizioni di cui alle lettere b),  c),  d)  ed  e)
dello stesso. 
    21.1.- Il giudice rimettente riferisce, in  punto  di  fatto:  di
essere investito del ricorso proposto nei confronti dell'INPS  da  R.
P. e da E. R.; che le ricorrenti esponevano  di  essere  titolari  di
pensioni di importo complessivo superiore a tre volte il  trattamento
minimo INPS, di avere percio' subito, ai sensi  dell'art.  24,  comma
25,  del  d.l.  n.  201  del  2011,  il  blocco  della  rivalutazione
automatica della propria pensione per gli anni 2012 e 2013 e che, «in
forza della sentenza [della Corte Costituzionale]  70/15»,  avrebbero
dovuto  percepire  «gli  aumenti   mensili   maturati   nel   biennio
2012/2013», da erogare anche per il futuro, nonche' gli arretrati,  a
decorrere dal 1°  gennaio  2012;  che  le  ricorrenti  hanno  percio'
chiesto, previa rimessione alla Corte costituzionale di questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1 del d.l. n. 65 del  2015,  di
accertare il diritto alla  rivalutazione  automatica,  relativa  agli
anni 2012 e 2013, della propria pensione «secondo la  sentenza  della
Corte Costituzionale n. 70/15, e comunque in base  al  meccanismo  di
cui all'art. 69, comma 1, legge 23.12.2000 n. 388, senza tener  conto
dei limiti di cui al decreto legge n. 65/15» e di condannare l'INPS a
corrispondere loro, per i suddetti anni,  «l'aumento  mensile  e  gli
arretrati sui trattamenti  pensionistici,  oltre  accessori  sino  al
saldo». 
    21.2.- In punto di non  manifesta  infondatezza  delle  questioni
sollevate in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma,  38,  secondo
comma, e 136 Cost., il Tribunale ordinario di Cuneo  motiva  in  modo
identico  alla  motivazione  dell'ordinanza  dello  stesso  Tribunale
iscritta al reg. ord. n. 43 del 2017. 
    Ad avviso del giudice rimettente, il censurato art. 24, commi 25,
lettere b), c), d) ed  e),  e  25-bis  del  d.l.  n.  201  del  2011,
violerebbe, inoltre, l'art. 117, primo  comma,  Cost.,  in  relazione
all'art. 6 della CEDU. 
    Il giudice  a  quo  afferma  in  proposito  che  le  disposizioni
censurate  hanno  provveduto,  «con  efficacia  retroattiva,  su  una
materia la cui disciplina era, a seguito dell'espunzione della  norma
ad  opera  della  declaratoria  di  incostituzionalita',  del   tutto
completa e chiara». Le disposizioni retroattive,  inoltre,  avrebbero
«natura radicalmente innovativa e non  interpretativa,  semplicemente
disponendo, con riferimento agli stessi anni ai quali si riferiva  la
declaratoria   di   incostituzionalita',   in   modo    diverso    da
quest'ultima». 
    Il rimettente rappresenta che la  Corte  EDU  e'  particolarmente
rigorosa   nell'ammettere   leggi   retroattive,    anche    se    di
interpretazione   autentica,   atteso   che   anche   le   leggi   di
interpretazione autentica possono violare il diritto  a  un  processo
equo garantito dall'art. 6 della CEDU. 
    Nella specie, non si porrebbe «alcun problema di  interpretazione
della  norma,  essendo  invece  intervenuta   una   declaratoria   di
incostituzionalita' che ha [...] espunto  dall'ordinamento  la  norma
censurata, di talche' il decreto legge 65/15 ha introdotto una  nuova
e diversa disciplina rispetto a  quella  risultante  dalla  pronuncia
della Consulta, per di piu' con efficacia retroattiva». Il rimettente
conclude che, quindi, con il d.l. n. 65 del 2015, «e' stata frustrata
la tutela giurisdizionale del cittadino, e quindi il suo diritto a un
equo processo, che,  nel  caso  di  specie,  consisteva  nel  vedersi
applicare la disciplina della perequazione delle pensioni  risultante
dalla declaratoria di incostituzionalita'». 
    21.3.- In punto di rilevanza delle questioni, il  giudice  a  quo
afferma che, «anziche' vedersi ripristinare la perequazione e  pagare
gli arretrati (come sarebbe avvenuto in forza  della  sentenza  della
Corte Costituzionale)», in applicazione del d.l. n. 65 del  2015,  E.
R. «ha ottenuto una perequazione per un importo minimale», mentre  R.
P. in quanto titolare di un trattamento pensionistico superiore a sei
volte il minimo INPS, nulla  ha  ottenuto.  Il  Tribunale  rimettente
conclude affermando che, alla «luce dell'attuale normativa le domande
attoree  non  potrebbero   [...]   che   essere   rigettate,   mentre
dall'accoglimento della questione [...] conseguirebbe il diritto alla
perequazione della pensione secondo i criteri gia' stabiliti». 
    22.- Si sono costituti R. P. e E.  R.,  ricorrenti  nel  giudizio
principale, chiedendo che le questioni sollevate siano accolte. 
    A proposito delle questioni sollevate in riferimento  agli  artt.
3, 36, primo  comma,  38,  secondo  comma,  e  136  Cost.,  le  parti
costituite  formulano  deduzioni  coincidenti  con  quelle  formulate
nell'atto di costituzione di A. C. e M. M. nel giudizio  iscritto  al
reg. ord. n. 243 del 2016. 
    Quanto alla questione  sollevata  in  riferimento  all'art.  117,
primo comma, Cost., le parti costituite ritengono che le disposizioni
censurate integrino una «violazione del giudicato costituzionale alla
luce dell'art. 6 della CEDU». 
    Richiamando la giurisprudenza della Corte EDU in tema di norme di
interpretazione autentica e «in tema di giudicato»,  asseriscono  che
il caso di specie sarebbe «ben piu' grave» di quelli relativi a leggi
retroattive  di  interpretazione  autentica,  atteso  che  «dopo   la
dichiarazione di incostituzionalita' la norma caducata  semplicemente
non c'e' piu', e quindi non vi e' alcuna incertezza interpretativa da
risolvere,  poiche'  si  tratta  solo  di  prendere  atto  della  sua
invalidita'». 
    Ne'  si  potrebbe  ipotizzare  un  bilanciamento  con   «asserite
esigenze finanziarie», atteso che, secondo la Corte EDU,  queste  non
possono giustificare una limitazione del diritto a un processo equo. 
    23.- Con ordinanza del 9 febbraio  2017  (reg.  ord.  n.  77  del
2017), il Tribunale ordinario di Cuneo, in funzione  di  giudice  del
lavoro, ha sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale,  in
riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma,  e  136
Cost., dell'art. 24, commi 25 e 25-bis, come sostituito (il comma 25)
e inserito (il comma 25-bis), rispettivamente  dai  numeri  1)  e  2)
dell'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015. 
    23.1.- Il giudice rimettente riferisce, in  punto  di  fatto:  di
essere investito del ricorso proposto nei confronti dell'INPS  da  G.
C.; che  il  ricorrente  esponeva  di  essere  titolare  di  pensione
superiore al triplo del  trattamento  minimo  INPS  e  di  non  avere
percio' usufruito, ai sensi dell'art. 24, comma 25, del d.l.  n.  201
del 2011, della rivalutazione automatica della propria pensione  «per
l'anno 2013»; che, «tanto dedotto», lo stesso ricorrente  ha  chiesto
l'accertamento  del  diritto  alla  rivalutazione  automatica   della
propria pensione «per gli anni 2012  e  2013»,  con  «le  conseguenti
condanne a carico dell'INPS» e, in via subordinata,  «in  ipotesi  di
ritenuta   applicabilita'   della   normativa    sopravvenuta    alla
declaratoria di  illegittimita'  costituzionale,  ne  ha  prospettato
l'illegittimita'  costituzionale  al  fine  della   rimozione   degli
ostacoli normativi all'accoglimento  delle  conclusioni»;  l'INPS  si
costituiva chiedendo il rigetto del ricorso. 
    23.2.- In punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  Tribunale
rimettente afferma che le disposizioni censurate violano,  anzitutto,
gli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. 
    Esse, infatti, non si sottrarrebbero «alle medesime censure [...]
gia' [...] rilevate dalla Corte costituzionale» nella sentenza n.  70
del 2015 con riguardo al testo originario dell'art. 24, comma 25, del
d.l. n. 201 del 2011. 
    Il giudice a quo sottolinea ancora  che  la  norma  censurata  ha
effetti su piu' anni, destinati  a  diventare  permanenti,  cosi'  da
realizzare,  con  un'unica  disposizione,  una   reiterazione   della
paralisi del meccanismo perequativo. 
    La stessa normativa, inoltre, incide anche su pensioni di modesto
valore economico, «con applicazione del meccanismo  di  rivalutazione
in percentuali tali da svuotarne il valore». 
    A quest'ultimo proposito,  il  giudice  rimettente  osserva  che,
nella sentenza n. 70 del 2015, la Corte costituzionale ha individuato
due  tecniche  adottate  dal   legislatore   nel   diversificare   le
percentuali riconosciute di rivalutazione automatica delle  pensioni,
«avallando, con dei limiti, la  scelta  del  passato  legislatore  di
diversificare la dinamica perequativa per aree di riferimento». 
    Tali tecniche sono, in  specie,  quella  «per  fasce  di  importo
pensionistico» e  quella  «per  trattamenti  complessivi  percepiti».
Mentre  quest'ultima   tecnica   «attribuisce   ai   pensionati   con
trattamenti maggiori una percentuale minore di perequazione su  tutto
il trattamento percepito», in base alla  prima  tecnica  «gli  stessi
pensionati avrebbero percepito una  percentuale  di  incremento  piu'
favorevole per le quote piu' basse del loro trattamento». 
    Il Tribunale rimettente afferma quindi che e' solo «la modestia e
con cio', la ragionevolezza, della decrescita  della  percentuale  ad
escludere radicali differenze tra le diverse platee di percettori,  e
con cio' discriminazioni tra gli stessi». 
    Lo  stesso  Tribunale  conclude  sul  punto  affermando  che  «la
riduzione delle percentuali» di rivalutazione, da parte del censurato
art. 24, comma 25, del d.l.  n.  201  del  2011,  rispetto  a  quelle
riconosciute dall'art. 1, comma 483, della  legge  n.  147  del  2013
«rende la norma estremamente differente e finisce per offrire aumenti
poco piu' che simbolici, a fronte di una diversificazione operata non
piu' per fasce di importo ma per soggetti percettori». 
    Quanto alla non manifesta infondatezza della questione  sollevata
in riferimento all'art. 136 Cost., il Tribunale di Cuneo afferma  che
la normativa censurata, intervenendo a seguito della  sentenza  della
Corte  costituzionale  n.  70  del  2015,  avrebbe   «negli   effetti
vanificato   la    portata    retroattiva    della    pronuncia    di
incostituzionalita',  eludendone  il  significato,  riproducendo   la
stessa tecnica di applicazione della  perequazione,  solo  lievemente
edulcorata, ma non in maniera tale da riuscire a correggerne la  gia'
ritenuta irragionevolezza». 
    Il giudice a quo conclude affermando  che  «la  emanazione  della
norma ha  chiaramente  impedito  alla  declaratoria  d'illegittimita'
costituzionale dell'art. 24, co. 25, d.l.  201/2011  di  produrre  le
conseguenze previste dall'art. 136 Cost.». 
    23.3.-  In  punto  di  rilevanza  delle  questioni,  il   giudice
rimettente rappresenta quindi che, «[i]n applicazione della norma  da
ritenersi    vigente    a    seguito    della    dichiarazione     di
incostituzionalita'» dell'art. 24, comma 25,  del  d.l.  n.  101  del
2011, il ricorrente  avrebbe  avuto  diritto  «per  il  2012  ad  una
rivalutazione pari  al  2,7%  per  la  quota  sino  al  triplo  della
pensione, e del 2,43% per la parte eccedente e sino al  quintuplo»  e
«per il 2013 [...] ad una rivalutazione del 3% per la quota  fino  al
triplo del trattamento minimo, e del 2,7% per la parte eccedente,  al
quintuplo del trattamento minimo». Lo stesso rimettente  osserva  poi
che, pertanto, «[c]io' che il  ricorrente  deduce  [...]  e'  che  in
applicazione della norma di cui al D.L. 65/15, [...]  ha  ottenuto  a
titolo di arretrati dovuti per  effetto  della  citata  pronuncia  n.
70/15 [...] un importo ridotto per effetto della perequazione  minima
stabilita dalla norma da ultimo introdotta (collocandosi nella fascia
b),  anziche'  l'ammontare  dovutogli  in  applicazione  della  legge
448/98», cosicche' ha proposto il ricorso «al  fine  di  ottenere  il
pagamento della differenza tra  quanto  effettivamente  percepito,  a
seguito del blocco della  rivalutazione,  con  quanto  avrebbe  avuto
diritto applicando la rivalutazione automatica  per  il  periodo  dal
2013 sino al luglio 2015». Cio' considerato, il  rimettente  conclude
che la disciplina «da ultimo introdotta [...] ha  dunque  inciso  sul
valore del trattamento  pensionistico  riconosciuto  al  ricorrente»,
aggiungendo che, per effetto del comma 25-bis dell'art. 24  del  d.l.
n. 201 del 2011, «tale incidenza e' destinata a protrarsi  nel  tempo
(per il triennio 2014-2016)». 
    Infine, sarebbe «chiara, perche' espressa, l'applicabilita' della
norma  sopravvenuta   alla   declaratoria   di   incostituzionalita',
all'ammontare delle prestazioni maturate al  biennio  2012-2014,  non
potendosi semplicemente, come sembrerebbe  auspicare  il  ricorrente,
ritenere  l'acquisizione   definitiva   al   suo   patrimonio   degli
"arretrati" spettantigli». 
    24.- Con ordinanza del 21 febbraio 2017  (reg.  ord.  n.  78  del
2017), il Tribunale ordinario di Cuneo, in funzione  di  giudice  del
lavoro, ha sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale,  in
riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma,  e  136
Cost., dell'art. 24, commi 25 e 25-bis, come sostituito (il comma 25)
e inserito (il comma 25-bis), rispettivamente  dai  numeri  1)  e  2)
dell'art. 1 del d.l. n. 65 del 2015. 
    24.1.- Il giudice rimettente riferisce, in  punto  di  fatto:  di
essere investito del ricorso proposto nei confronti dell'INPS  da  D.
B., L. C., G. L., C. M., F. M., N. M., F. M., A. R. e V. A., titolari
di pensioni di anzianita'; che i ricorrenti esponevano di  non  avere
usufruito, ai sensi dell'art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011,
della rivalutazione automatica della propria pensione «per  gli  anni
successivi  al  2011»;  che,  intervenuta  la  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 70 del 2015, essi, in base ai conteggi effettuati e
prodotti  -  che  il  rimettente  afferma   non   essere   contestati
dall'Istituto convenuto - «in applicazione della normativa previgente
alla normativa dichiarata incostituzionale avrebbero maturato crediti
nei confronti dell'ente convenuto, travolti  invece  dalla  normativa
sopravvenuta» e che  «il  pregiudizio  derivante  dalla  perequazione
minima ricevuta ha condizionato le successive rivalutazioni»; che gli
stessi  ricorrenti  hanno  chiesto,  previa  rimessione  alla   Corte
costituzionale della questione di legittimita' costituzionale  «della
normativa», l'accertamento del diritto alla rivalutazione  automatica
della propria pensione per gli anni dal 2011  al  2015,  la  condanna
dell'INPS  al  pagamento  di  quanto   dovuto   e   non   versato   e
l'accertamento dell'importo  delle  rispettive  pensioni  per  l'anno
2016; che l'INPS si costituiva in giudizio chiedendo il  rigetto  del
ricorso. 
    24.2.- In punto di non manifesta infondatezza delle questioni, il
Tribunale  rimettente  motiva  in  modo  pressoche'   identico   alla
motivazione dell'ordinanza dello stesso Tribunale  iscritta  al  reg.
ord. n. 77 del 2017. 
    24.3.- In punto di rilevanza delle questioni, il  giudice  a  quo
rappresenta che «[c]io' che tutti i ricorrenti deducono [...] e'  che
in applicazione della norma di cui al D.L.  65/15  hanno  ottenuto  a
titolo di arretrati dovuti per  effetto  della  citata  pronuncia  n.
70/15 [...] un importo ridotto per effetto della perequazione  minima
stabilita dalla norma da  ultimo  introdotta»  e  che  «l'effetto  di
"trascinamento"  della  minima  rivalutazione,  legato  alla  mancata
previsione  della  capitalizzazione   della   rivalutazione   annuale
determina una definitiva erosione dell'importo  delle  loro  pensioni
anche per gli anni successivi». 
    Cio' considerato, il rimettente conclude che  la  disciplina  «da
ultimo  introdotta  [...]  ha  certamente  inciso  sul   valore   del
trattamento pensionistico riconosciuto ai ricorrenti». 
    Infine, sarebbe «chiara, perche' espressa, l'applicabilita' della
norma sopravvenuta alle posizioni dei ricorrenti». 
    25.- In tutti i giudizi  incidentali  si  e'  costituito  l'INPS,
resistente nei giudizi a quibus, chiedendo che le questioni sollevate
siano dichiarate inammissibili o infondate. 
    Cio' sulla base di  argomentazioni  sostanzialmente  analoghe  o,
comunque,  complementari,  adeguate  a  seconda  dell'oggetto  e  dei
parametri delle questioni sollevate con le singole ordinanze. 
    25.1.- In via preliminare, l'INPS ha sollevato  alcune  eccezioni
di inammissibilita' delle questioni. 
    L'Istituto  ha  eccepito   l'inammissibilita'   delle   questioni
sollevate  con  l'ordinanza  n.  101  del  2016,  con  riguardo  alla
«rilevanza» delle stesse, sotto tre profili. A suo avviso, il giudice
rimettente: affermerebbe  «di  non  aver  percepito  con  sufficiente
nettezza l'esigenza di bilanciamento del sacrificio imposto a  talune
categorie di pensionati con le necessita' di bilancio e di tenuta del
sistema» sulla sola base  dell'esame  delle  disposizioni  censurate,
senza neppure menzionare gli  atti  parlamentari  e  i  documenti  di
Verifica delle quantificazioni che le accompagnano»;  si  limiterebbe
«a una mera enunciazione dei principi consacrati negli artt. 36 e  38
della Costituzione, [...] senza considerare gli altri di uguale rango
ai fini del necessario  bilanciamento,  con  particolare  riferimento
alla previsione dell'art. 81 della Carta», il che «non e' sufficiente
[...] a fondare un  giudizio  di  non  manifesta  infondatezza  della
questione   di   illegittimita'   costituzionale   di   una   norma»;
trascurerebbe  di  calare  i  condivisibili  principi  enunciati  nel
particolare attuale momento storico in cui «l'inflazione  e'  pari  a
zero o addirittura negativa» e,  per  tale  ragione,  ometterebbe  di
precisare l'entita' di un danno  che  risulta  sostanzialmente  assai
limitato e comunque sopportabile  per  le  categorie  di  pensionanti
colpiti dall'intervento. 
    Quest'ultimo profilo di  inammissibilita'  e'  stato  prospettato
dall'INPS  anche  con  riguardo  alle   questioni   di   legittimita'
costituzionale sollevate con le ordinanze n. 188, n. 237, n. 242,  n.
243 e n. 244 del 2016, n. 24, n. 43, n. 44, n. 77 e n. 78 del 2017. 
    Secondo  l'Istituto,  anche  la  questione   sollevata   in   via
subordinata con le ordinanze  n.  242  e  n.  244  del  2016  sarebbe
inammissibile  per  difetto  di   rilevanza,   in   quanto   concerne
esclusivamente la disciplina dei trattamenti pensionistici  superiori
a sei volte il trattamento minimo INPS, mentre  i  giudizi  a  quibus
sono stati promossi da pensionati con un trattamento compreso tra tre
e sei volte tale minimo. 
    25.2.-  Nel  merito,  l'INPS  nega  anzitutto  che  la  normativa
censurata violi l'art. 136 Cost., poiche'  essa  non  puo'  ritenersi
meramente riproduttiva di quella dichiarata incostituzionale  con  la
sentenza n. 70 del 2015. A tale proposito, l'Istituto rappresenta che
quest'ultima normativa prevedeva  soltanto  l'integrale  perequazione
delle pensioni non superiori a tre volte il trattamento minimo INPS -
escludendo in toto la perequazione delle altre pensioni -  mentre  le
disposizioni introdotte con il d.l. n. 65  del  2015  assicurano  una
tutela, ancorche' parziale e decrescente, anche per  i  piu'  elevati
trattamenti pensionistici da tre a  sei  volte  il  minimo  INPS.  Ad
avviso dello stesso Istituto, l'art. 136 Cost. sarebbe  violato  solo
qualora il legislatore riproducesse pedissequamente una  disposizione
espunta dall'ordinamento o emanasse una norma che ne faccia  rivivere
gli effetti. L'INPS afferma ancora che «la  Consulta  nella  sentenza
70/2015 non ha indicato (e si ha ragione di credere che  non  potesse
farlo) la misura della perequazione da attribuire  alle  pensioni  di
importo superiore a tre volte il minimo INPS, ne' ha  individuato  la
soglia entro  la  quale  accordare  una  perequazione  ancorche'  non
integrale  e  dunque  il  legislatore  del  2015  ha   adottato   una
regolamentazione che non soltanto non e' riproduttiva di quella  gia'
dichiarata incostituzionale, ma che si conforma ai  principi  sanciti
nella sentenza n. 70/2015». L'INPS aggiunge ancora  che  non  sarebbe
possibile ritenere ragionevolmente che «il legislatore debba  subire,
quale  necessaria  ed  ineluttabile   conseguenza   della   decisione
caducatoria,   la   reviviscenza   delle   disposizioni    pregresse,
specialmente ove la loro applicazione dovesse comportare, come  nella
fattispecie, imponenti esborsi di spesa in grado di compromettere  la
tenuta del sistema previdenziale ed il  livello  di  debito  pubblico
consentito dalle istituzioni europee». 
    Quanto ai parametri degli artt. 3, 36 e 38 Cost., l'INPS  afferma
che il d.l. n. 65  del  2015  ha  dato  attuazione  alle  indicazioni
fornite dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.  70  del  2015,
abbandonando il modello di meccanismo da questa censurato e  tornando
al precedente, col prevedere  una  tutela  piu'  generale,  ancorche'
proporzionale all'ammontare del trattamento pensionistico. 
    L'Istituto sottolinea che, con l'ordinanza n. 256  del  2001,  la
Corte costituzionale ha  ritenuto  la  manifesta  infondatezza  della
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  59,  comma  13,
della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per  la  stabilizzazione
della finanza pubblica), che escludeva dalla perequazione  automatica
i trattamenti superiori a cinque volte (e non a sei volte,  come  nel
caso della disposizione ora censurata) il minimo INPS,  sottolineando
come   la   garanzia   costituzionale   dell'adeguatezza   e    della
proporzionalita' del trattamento  pensionistico  incontri  il  limite
delle risorse disponibili, con la  conseguenza  che  il  legislatore,
anche al fine di salvaguardare  la  tenuta  complessiva  del  sistema
previdenziale,  deve  introdurre   le   necessarie   modifiche   alla
legislazione di spesa, nel quadro degli equilibri di bilancio. 
    A tale proposito, l'INPS sottolinea che occorrerebbe anche tenere
conto della crisi  economica  che  ha  interessato  da  diversi  anni
l'Italia, che ha comportato una riduzione delle  risorse  disponibili
per coprire i costi, tra l'altro, della perequazione delle pensioni e
ha imposto al legislatore di individuare le soluzioni piu'  eque  per
assicurare la massima tutela possibile alle categorie piu' bisognose,
oltre a produrre un progressivo indebolimento della  domanda  interna
che ha condotto a un azzeramento dell'inflazione. In tale situazione,
a  fronte  di  limitate  risorse  disponibili,   l'esclusione   dalla
perequazione, non piu' limitata a un periodo annuale o biennale  come
nel passato, per i  pensionati  con  trattamenti  pensionistici  piu'
elevati (superiori a sei volte il minimo INPS) «sembra un  sacrificio
sopportabile  anche  perche'  inserito  in  un  momento  storico   di
inflazione nulla o  addirittura  negativa»,  cio'  che  «comporta  un
contenimento  dell'esigenza  di  adeguamento   dei   trattamenti   in
questione». 
    Cio' considerato, l'INPS ritiene che il d.l. n. 65 del 2015 abbia
effettivamente dato attuazione ai principi affermati  dalla  sentenza
n. 70 del 2015 e che le argomentazioni dei rimettenti non possano far
dubitare della legittimita' di tale intervento. 
    A quest'ultimo riguardo, l'INPS osserva che nel caso in esame  e'
previsto  un   meccanismo   perequativo   che   assicura   pienamente
l'indicizzazione  delle   pensioni   con   riguardo   ai   pensionati
appartenenti alla fascia cosiddetta debole e  in  misura  decrescente
per le fasce di pensionati con un trattamento pensionistico  compreso
da tre a sei volte il minimo INPS. 
    Ne' sarebbe  ammissibile  censurare  la  misura  dell'adeguamento
previsto  dal  censurato  art.  24,  comma  25,  per  questi   ultimi
pensionati, trattandosi di materia  riservata  alla  discrezionalita'
del legislatore e  oggetto  di  necessario  bilanciamento  con  altri
interessi  meritevoli  di  tutela,  quali  la  tenuta   del   sistema
previdenziale e del bilancio dello Stato, anche in relazione all'art.
81 Cost.,  con  conseguente  esclusione  dell'irragionevolezza  della
suddetta disposizione. Dovrebbe inoltre tenersi conto del  fatto  che
essa incide su un periodo di  tempo  con  inflazione  quasi  nulla  e
talvolta negativa. 
    Sarebbero, in particolare, prive di fondamento le  argomentazioni
dei giudici a quibus in tema di adeguatezza e proporzionalita'  della
pensione. Secondo l'Istituto, il rispetto di tali parametri  andrebbe
assicurato  per  il  periodo  di   quiescenza   secondo   valutazioni
riservate, anche con riguardo alle disponibilita'  finanziarie,  alla
discrezionalita' del legislatore,  purche'  esercitata  in  modo  non
irragionevole e arbitrario. 
    La garanzia dell'adeguatezza del trattamento  non  comporterebbe,
quindi,  un  rigido  meccanismo   di   perequazione,   una   costante
rivalutazione, ma andrebbe assicurata nel  quadro  di  una  sfera  di
discrezionalita' riservata al legislatore. 
    Da  cio'  conseguirebbe   -   sempre   secondo   l'INPS   -   che
l'irragionevolezza della  scelta  operata  dal  legislatore  andrebbe
dedotta  e  provata  tenendo   conto   del   complesso   dei   valori
costituzionali  interessati  (e'  citata  la  sentenza  della   Corte
costituzionale n. 119 del 1991), cosicche' sarebbe stato nella specie
necessario dimostrare che il notevole esborso che  discenderebbe,  in
caso  di  accoglimento  delle  sollevate  questioni  di  legittimita'
costituzionale, dall'applicazione delle disposizioni precedenti,  non
si pone in contrasto con l'art. 81 Cost., non incide sulla tenuta del
sistema previdenziale, non conduce a scostamenti del prodotto interno
lordo (PIL) oltre i limiti consentiti in sede  europea,  contrastando
l'analisi contenuta negli allegati documenti  prodotti  dalla  Camera
dei deputati. 
    Di cio' i rimettenti non si sarebbero fatti alcun carico,  mentre
da tali documenti - in  particolare,  dagli  atti  della  Camera  dei
deputati relativi al disegno di legge n. 3134 di conversione in legge
del d.l. n. 65 del 2015 - emergerebbero chiaramente  le  esigenze  di
finanza pubblica e  di  tenuta  del  sistema  pensionistico  poste  a
fondamento dell'intervento operato con il d.l. n. 65 del 2015. L'INPS
riporta, in particolare, un passaggio di tali  atti  che  rivelerebbe
come  «il  legislatore  abbia  prestato   attenzione   all'opera   di
bilanciamento alle  esigenze  di  tenuta  del  sistema  pensionistico
addirittura  in  proiezione  futura  con  l'espresso  richiamo   alla
solidarieta' intergenerazionale». 
    Tali osservazioni varrebbero anche con riguardo alle questioni di
legittimita' costituzionale - prospettate in via principale o in  via
subordinata - dell'art. 1, comma 483, della legge n.  147  del  2013,
che «non ha riconosciuto per l'anno 2014 alcun incremento perequativo
per i trattamenti superiori a sei volte il  minimo  INPS»,  fermo  il
«dubbio da porsi in ordine  all'attuale  vigenza  della  disposizione
[...] a seguito dell'introduzione delle norme  contenute  nel  DL  n.
65/2015». 
    Ne' sussisterebbe alcuna lesione «dell'affidamento dei pensionati
alla luce delle pregresse normative alla perequazione delle  pensioni
in godimento».  In  proposito,  andrebbero  «considerati  i  numerosi
interventi  normativi  che  nel  tempo  hanno  sospeso  i  meccanismi
peraltro sempre piu' restrittivi e dall'altro le  piu'  volte  citate
esigenze di bilanciamento [...] in omaggio alle  quali  ben  puo'  il
legislatore introdurre  regolamentazioni  piu'  sfavorevoli  che  non
trasmodano nell'irragionevolezza». 
    L'INPS sostiene che non sarebbe violato neppure l'art. 117, primo
comma, Cost., in relazione all'art. 6 CEDU, poiche'  «la  norma  CEDU
quando va a integrare il primo comma dell'art. 117 Cost., come  norma
interposta, e' oggetto  di  bilanciamento,  ai  fini  della  generale
integrazione delle tutele» (e' richiamata  la  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 264 del 2012). 
    Sarebbe infondato anche il dubbio circa la violazione dell'art. 1
del Protocollo addizionale alla CEDU. Non  solo  il  beneficio  della
perequazione e' stato nel  tempo  limitato  anche  in  considerazione
delle varie contingenze economiche che  hanno  connotato  gli  ultimi
anni ed e' stato spesso sospeso, ancorche' per  periodi  determinati,
ma anche tale beneficio puo' essere  assoggettato  a  una  disciplina
piu' sfavorevole per i  pensionati,  in  omaggio  alle  (evidenziate)
esigenze di bilanciamento con altri  beni  ugualmente  meritevoli  di
tutela. 
    Non sussisterebbe, infine, alcuna  lesione  dell'art.  53  Cost.,
atteso che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 70  del  2015,
ha gia'  escluso  che  l'azzeramento  della  perequazione  automatica
costituisca una prestazione patrimoniale di natura tributaria. 
    L'Istituto  costituito   conclude   esponendo   le   «conseguenze
economiche»  di  un'eventuale  pronuncia   di   accoglimento,   quali
risultanti    dall'allegato    documento    di    «Verifica     delle
quantificazioni» elaborato dalla Camera dei deputati. 
    26.-  E'  intervenuto  in  tutti  i  giudizi  il  Presidente  del
Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo  che  le  questioni  sollevate  siano
dichiarate inammissibili o infondate. 
    Anche il Presidente del consiglio dei ministri spende,  nei  vari
giudizi,  argomentazioni  sostanzialmente   analoghe   o,   comunque,
complementari, adeguate a seconda dell'oggetto e dei parametri  delle
questioni sollevate con le singole ordinanze. 
    26.1.- Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, tutte le
questioni  sollevate  sarebbero,  anzitutto,  inammissibili,  poiche'
devono  ritenersi   insindacabili   le   scelte   discrezionali   del
legislatore  in  ordine  a  modalita'  e  tempi  della  rivalutazione
automatica   dei   trattamenti    pensionistici,    «tenendo    conto
dell'eccezionalita'  della   situazione   economica   internazionale,
dell'esigenza  prioritaria  del  raggiungimento  degli  obiettivi  di
finanza  pubblica  concordati  in  sede  europea,  anche   garantendo
l'equilibrio di bilancio dell'ente previdenziale». 
    Inoltre, la motivazione dell'ordinanza n. 278  del  2016  sarebbe
«tanto scarna da rendere [la stessa]  inammissibile  per  difetto  di
motivazione sul requisito [...] della non manifesta infondatezza». 
    26.2.- Quanto al merito,  «con  riferimento  al  [...]  giudicato
costituzionale», il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale di  una  norma  non
puo' determinare un effetto di esproprio della  potesta'  legislativa
poiche' il legislatore resta titolare del potere di disciplinare, con
un nuovo atto, la stessa materia, a condizione che non si  limiti  «a
"salvare", o a ripristinare gli effetti prodotti da disposizioni che,
in ragione della dichiarazione di illegittimita' costituzionale,  non
sono piu' in grado di produrne» (e' citata la  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 169 del 2015). Nella specie, in particolare, non si
sarebbe in presenza  di  «un  nuovo  atto  diretto  esclusivamente  a
prolungare nel tempo, anche in via indiretta,  l'efficacia  di  norme
che "non  possono  avere  applicazione  dal  giorno  successivo  alla
pubblicazione della decisione"». 
    Con riguardo ai parametri degli artt. 3, 36 e 38  Cost.,  secondo
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  la  normativa  censurata
avrebbe  dato  attuazione   ai   principi   affermati   dalla   Corte
costituzionale nella sentenza n. 70 del 2015, assicurando un adeguato
trattamento  pensionistico   e   contemperandolo   con   i   principi
dell'equilibrio di bilancio e con gli obiettivi di finanza  pubblica,
nonche' con  la  tutela  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili  e  sociali,  anche  in  funzione  della
solidarieta' intergenerazionale, concentrando le risorse  disponibili
in favore delle classi di pensionati con trattamenti  piu'  bassi.  A
tale riguardo,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  sottolinea  gli
effetti  di  riduzione  sui  saldi  di  finanza  pubblica   derivanti
dall'art. 1, comma 1, numeri 1) e 2), del d.l. n. 65 del  2015  e  il
fatto che nella «Relazione al Parlamento» per l'anno  2015,  resa  ai
sensi dell'art. 10-bis, comma 6, della legge  n.  196  del  2009,  il
Governo  aveva  quantificato  gli  effetti   sull'indebitamento   che
sarebbero   derivati   dal   recupero   integrale    della    mancata
indicizzazione subita dai pensionati per il biennio 2012-2013. 
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato  sottolinea  poi   come   la
giurisprudenza della Corte costituzionale abbia valorizzato da tempo,
nella materia,  il  principio  del  bilanciamento  complessivo  degli
interessi costituzionali nel quadro delle compatibilita' economiche e
finanziarie (e' citata la sentenza n.  220  del  1988),  e  affermato
l'insussistenza di un diritto all'aggancio  costante  delle  pensioni
alle retribuzioni (e' citata l'ordinanza n. 531 del 2002). 
    Secondo la difesa dello Stato, in assenza  di  precisi  parametri
cui attenersi nella determinazione dei coefficienti di  rivalutazione
dei trattamenti pensionistici e  tenuto  conto  di  quanto  affermato
dalla  Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.   316   del   2010,
considerata la necessita' di garantire l'equilibrio di bilancio e gli
obiettivi di finanza pubblica, la  normativa  censurata  non  sarebbe
irragionevole e costituirebbe espressione  del  potere  discrezionale
del legislatore, anche perche' l'efficacia temporale della stessa  e'
solo biennale. 
    Sotto  altra  prospettiva,  tenuto  conto  degli  obiettivi   del
censurato intervento normativo, non sarebbe possibile dubitare  della
legittimita' costituzionale dello stesso soltanto  perche'  introduce
un coefficiente di rivalutazione automatica ritenuto insufficiente  a
bilanciare  la  perdita  di  potere  di  acquisto   dei   trattamenti
pensionistici erogati. In proposito, il Presidente del Consiglio  dei
ministri osserva che, nella  scelta  del  meccanismo  perequativo  da
utilizzare,  il  legislatore  esercita   la   sua   discrezionalita',
considerato che, dal combinato disposto degli artt. 36  e  38  Cost.,
emerge esclusivamente l'obbligo  di  adeguamento  delle  pensioni  al
costo della vita ma non anche l'obbligo del legislatore  di  adottare
un particolare meccanismo perequativo. 
    La normativa censurata garantirebbe l'equilibrio di bilancio, sia
in ossequio all'art. 3 Cost., sia in adempimento del vincolo  imposto
dall'art. 81, quarto comma, Cost.,  tenuto  conto  che  essa  vale  a
escludere effetti finanziari onerosi, di rilevante entita',  tali  da
compromettere gli equilibri di finanza pubblica e gli impegni assunti
dall'Italia con l'Unione europea. 
    Ne'  «alla  norma  esaminata  [...]  puo'  essere  attribuita  la
funzione di introdurre surrettiziamente un prelievo fiscale». 
    Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   sostiene   infine
l'infondatezza  anche  della  questione  sollevata   in   riferimento
all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6 della CEDU.
Come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.  127  del
2015, dai principi della CEDU «non deriva alcun divieto  assoluto  di
norme interpretative, suscettibili di ripercuotersi sui  processi  in
corso».  La  normativa  censurata,  «nel   contemperare   la   tutela
previdenziale con le  inderogabili  esigenze  di  contenimento  della
spesa  pubblica  e  di  salvaguardia  della   concreta   ed   attuale
disponibilita' delle risorse finanziarie (sentenze n. 361  del  1996,
n. 240 del 1994, n. 119 del 1991, che  valorizzano,  per  il  sistema
pensionistico, la necessita' di tale  bilanciamento),  non  determina
alcuna  compressione   sproporzionata   dei   diritti   dei   singoli
lavoratori" (sentenza n. 127/2015 [...])». 
    27.- In  prossimita'  dell'udienza  pubblica,  le  parti  private
costituite nei giudizi reg. ord. n. 36 e n. 243 del 2016 e n. 44  del
2017, l'interveniente nel giudizio reg. ord. n. 124 del 2016,  l'INPS
(in tutti i giudizi) e il Presidente del Consiglio dei ministri (pure
in tutti i giudizi) hanno  depositato  memorie  illustrative  con  le
quali, nel ribadire le conclusioni gia'  rassegnate,  ne  argomentano
ulteriormente il fondamento. 
    28.- Il 23 ottobre 2017, giorno  precedente  quello  dell'udienza
pubblica, hanno depositato atto di intervento in tutti i  giudizi  il
Codacons (Coordinamento di associazioni per la tutela dell'ambiente e
dei diritti di utenti e consumatori)  e  G.  P.,  nella  qualita'  di
«pensionato» 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con quindici ordinanze, i Tribunali ordinari di Palermo (reg.
ord. n. 36 del 2016), Milano (reg. ord. n.  124  del  2016),  Brescia
(reg. ord. n. 188 del 2016), Napoli (reg.  ord.  n.  237  del  2016),
Genova (reg. ord. n. 242, n. 243 e n. 244  del  2016),  Torino  (reg.
ord. n. 278 del 2016), La Spezia (reg. ord. n. 24 e n. 25 del  2017),
e Cuneo (reg. ord. n. 43, n. 44, n. 77 e n. 78 del 2017), nonche'  la
Corte   dei   conti,   sezione    giurisdizionale    regionale    per
l'Emilia-Romagna (reg. ord. n. 101  del  2016),  hanno  sottoposto  a
questa Corte questioni di legittimita' costituzionale: a)  dei  commi
25 e 25-bis dell'art. 24 del decreto-legge 6 dicembre  2011,  n.  201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22
dicembre 2011, n. 214, come sostituito (il comma 25) e  inserito  (il
comma 25-bis), rispettivamente, dai  numeri  1)  e  2)  del  comma  1
dell'art. 1 del decreto-legge 21 maggio  2015,  n.  65  (Disposizioni
urgenti in materia  di  pensioni,  di  ammortizzatori  sociali  e  di
garanzie TFR), convertito, con modificazioni, dalla legge  17  luglio
2015, n. 109; b) dell'art. 1, comma  483,  della  legge  27  dicembre
2013, n. 147, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2014)». 
    1.1.- Tutti  i  giudici  rimettenti  sono  investiti  di  ricorsi
proposti, nei  confronti  dell'Istituto  nazionale  della  previdenza
sociale  (INPS),  da  uno  o  piu'  pensionati,  i   quali   chiedono
l'accertamento del diritto alla rivalutazione automatica del  proprio
trattamento pensionistico quale spetterebbe  loro  sulla  base  della
disciplina individuata - quando indicata - ora nell'art. 69, comma 1,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2001)»,  ora  nell'art.  34,  comma  1,  della  legge  23
dicembre  1998,  n.  448  (Misure  di   finanza   pubblica   per   la
stabilizzazione e lo sviluppo), nonche', nella  quasi  totalita'  dei
casi, la condanna dell'INPS a corrispondere loro  la  differenza  tra
quanto effettivamente liquidato e quanto spetterebbe sulla base della
suddetta disciplina. Le  domande  dei  ricorrenti  riguardano,  nella
maggior parte dei  giudizi,  solo  la  rivalutazione  automatica  dei
trattamenti pensionistici relativa agli anni 2012 e 2013. Soltanto in
alcuni casi (reg. ord. n. 101, n. 124, n. 188, n. 244 e  n.  278  del
2016, n. 25 e n.  78  del  2017),  le  domande  concernono  anche  la
rivalutazione relativa ad annualita' successive. 
    1.2.- I denunciati commi 25 e 25-bis dell'art. 24 del d.l. n. 201
del 2011 sono stati adottati al dichiarato fine (indicato nell'alinea
dell'art. 1, comma 1, del d.l. n. 65 del 2015), di «dare  attuazione»
- nel rispetto «del principio dell'equilibrio  di  bilancio  e  degli
obiettivi di finanza pubblica,  assicurando  la  tutela  dei  livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali,
anche   in   funzione   della   salvaguardia    della    solidarieta'
intergenerazionale» - ai «principi  enunciati  nella  sentenza  della
Corte  costituzionale  n.  70  del  2015»,   che   aveva   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale, per violazione degli  artt.  3,  36,
primo comma, e 38, secondo comma, Cost.,  del  testo  previgente  del
comma 25 del d.l. n. 201 del 2011, «nella parte  in  cui  prevede[va]
che "In considerazione della contingente situazione  finanziaria,  la
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici,  secondo  il
meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge  23  dicembre
1998,  n.  448,  e'  riconosciuta,  per  gli  anni   2012   e   2013,
esclusivamente ai trattamenti pensionistici  di  importo  complessivo
fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per
cento"». 
    In particolare, il comma 25 dell'art. 24  del  d.l.  n.  201  del
2011, come sostituito dall'art. 1, comma 1, numero 1), del d.l. n. 65
del 2015, detta una nuova disciplina della  rivalutazione  automatica
dei trattamenti pensionistici per gli anni 2012 e 2013. Nel lasciarne
fermo il riconoscimento nella  misura  del  cento  per  cento  per  i
trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte  il
trattamento  minimo  INPS  (lettera  a),   esso   esclude   qualsiasi
rivalutazione    automatica     dei     trattamenti     pensionistici
complessivamente superiori a sei volte (e non piu' a  tre  volte)  il
trattamento minimo INPS (lettera  e).  Ai  trattamenti  pensionistici
compresi tra quelli superiori a tre volte  e  fino  a  sei  volte  il
trattamento minimo INPS - che nel testo  previgente  erano  anch'essi
esclusi  dalla  cosiddetta  perequazione  -  l'attuale  comma  25  la
riconosce   in   misure   percentuali    decrescenti    all'aumentare
dell'importo  complessivo  del  trattamento   pensionistico   e,   in
particolare, nelle  misure  del:  40  per  cento  per  i  trattamenti
superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a
quattro volte lo stesso (lettera b); 20 per cento per  i  trattamenti
superiori a quattro  volte  il  trattamento  minimo  INPS  e  pari  o
inferiori a cinque volte lo stesso (lettera c); 10 per  cento  per  i
trattamenti superiori a cinque volte il  trattamento  minimo  INPS  e
pari o inferiori a sei volte lo stesso (lettera d). 
    Quanto al comma 25-bis, esso stabilisce le percentuali in cui gli
incrementi perequativi attribuiti dal comma 25 per gli  anni  2012  e
2013  sono  riconosciuti   ai   fini   della   determinazione   della
rivalutazione automatica dei  trattamenti  pensionistici  di  importo
complessivo superiore a tre volte il minimo INPS negli  anni  2014  e
2015 (20 per cento) e a decorrere dall'anno 2016 (50 per cento). 
    Mentre alcuni dei rimettenti hanno denunciato soltanto  il  comma
25 (reg. ord. n. 36, n. 124, n. 188 e n. 237 del 2016, n. 24 e n.  25
del 2017), altri hanno esteso  le  proprie  censure  anche  al  comma
25-bis (reg. ord. n. 101, n. 242, n. 243 e n. 244 del 2016, n. 43, n.
44, n. 77 e n. 78 del 2017). Nel giudizio reg. ord. n. 278 del  2016,
peraltro, e' denunciato soltanto il comma 25-bis. 
    1.2.1.-  Secondo  quattordici   delle   quindici   ordinanze   di
rimessione, la normativa di cui ai denunciati  commi  25  e/o  25-bis
violerebbe, anzitutto, l'art. 136 della Costituzione, per  violazione
del giudicato costituzionale della sentenza n. 70 del 2015,  poiche',
non  riconoscendo  la  rivalutazione   automatica   dei   trattamenti
pensionistici superiori  a  sei  volte  il  trattamento  minimo  INPS
(lettera e del  comma  25)  riprodurrebbe  la  disciplina  dichiarata
incostituzionale con la predetta sentenza (reg. ord. n. 101, n.  124,
n. 188 e n. 237 del 2016, n.  24,  n.  43  e  n.  44  del  2017),  ne
neutralizzerebbe gli effetti (reg. ord. n. 242, n. 243 e n.  244  del
2016) o detterebbe una disciplina che presenta vizi analoghi a quelli
da essa censurati (reg. ord. n. 278 del 2016,  n.  77  e  n.  78  del
2017).  Inoltre,  riconoscendo  la   rivalutazione   automatica   dei
trattamenti pensionistici superiori a tre volte e pari o inferiori  a
sei volte  il  suddetto  trattamento  minimo  soltanto  nelle  misure
percentuali previste dalle lettere b), c) e d)  del  comma  25,  tale
normativa limiterebbe gli effetti della sentenza n. 70 del 2015 (reg.
ord. n. 242, n. 243 e n. 244 del 2016, n. 25, n. 43 e n. 44 del 2017)
o detterebbe una disciplina che presenta vizi analoghi  a  quelli  da
essa censurati (reg. ord. n. 124 del 2016, n. 24, n. 25, n. 77  e  n.
78 del 2017). 
    1.2.2.-  Ad  avviso  della  sola   Corte   dei   conti,   sezione
giurisdizionale regionale per l'Emilia-Romagna (reg. ord. n. 101  del
2016), i denunciati commi 25 (in  specie,  la  lettera  e)  e  25-bis
dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, violerebbero anche  gli  artt.
2, 3, 23  e  53  Cost.,  poiche'  la  «misura  di  azzeramento  della
rivalutazione automatica per gli  anni  2012-2013,  2014-2015  e  dal
2016,  relativa   ai   trattamenti   pensionistici   complessivamente
superiori a sei volte il trattamento minimo INPS» configurerebbe  una
prestazione patrimoniale di natura tributaria «lesiva  del  principio
dell'universalita'   dell'imposizione   a   parita'   di    capacita'
contributiva, in quanto posta a  carico  di  una  sola  categoria  di
contribuenti». 
    1.2.3.- Tutti i rimettenti - con la sola esclusione del Tribunale
di Torino (reg. ord. n. 278 del 2016) - lamentano  che  i  denunciati
commi 25 e 25-bis violerebbero gli artt. 3, 36 e  38  Cost.,  poiche'
presenterebbero gli stessi profili di contrasto  con  tali  parametri
ascritti dalla sentenza n. 70 del 2015 a carico del previgente  comma
25 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011. 
    Secondo i giudici a quibus, anche i denunciati commi 25 e  25-bis
violerebbero i principi di eguaglianza e di  ragionevolezza  (di  cui
all'art. 3 Cost.), nonche' di adeguatezza e di  proporzionalita'  dei
trattamenti di quiescenza  (di  cui,  rispettivamente,  all'art.  38,
secondo comma, e all'art. 36, primo comma, Cost.). A tale riguardo, i
rimettenti sottolineano che, negando la rivalutazione automatica  dei
trattamenti pensionistici superiori a sei volte il trattamento minimo
INPS (lettera e del comma 25) o prevedendola in percentuali  limitate
per i trattamenti pensionistici compresi tra quelli superiori  a  tre
volte il predetto trattamento minimo e quelli fino  a  sei  volte  lo
stesso (lettere b, c e d dello stesso comma), i denunciati commi 25 e
25-bis, similmente al previgente comma 25 dell'art. 24  del  d.l.  n.
201 del  2011,  incidono  su  trattamenti  previdenziali  complessivi
modesti (reg. ord. n. 36 del 2016, n. 24, n. 25, n. 43, n. 44, n.  77
e n. 78 del 2017); non prevedono alcuna forma di recupero (reg.  ord.
n. 36 del 2016); producono effetti negativi anche sulla  perequazione
per gli anni successivi (reg. ord. n. 36, n. 242, n. 243 e n. 244 del
2016, n. 24, n. 25, n. 43, n. 44, n. 77 e n. 78 del 2017); non  fanno
emergere le ragioni per cui, nel bilanciamento da  essi  operato,  le
esigenze finanziarie di risparmio di spesa siano risultate prevalenti
sul sacrificato  interesse  dei  pensionati  alla  conservazione  del
potere di acquisto dei propri trattamenti pensionistici (reg. ord. n.
101, n. 124, n. 188, n. 237, n. 242, n. 243 e n. 244 del 2016, n. 24,
n. 25, n. 43, n. 44, n. 77 e n. 78 del 2017).  Inoltre,  diversamente
dall'art. 1, comma 19, della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di
attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro  e
competitivita' per favorire  l'equita'  e  la  crescita  sostenibili,
nonche' ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale)  -
che la sentenza di questa Corte n. 316  del  2010,  richiamata  dalla
sentenza n. 70 del 2015, aveva ritenuto  non  in  contrasto  con  gli
artt. 3, 36 e 38, secondo  comma,  Cost.  -  i  commi  oggetto  della
censure odierne negano la  rivalutazione  automatica  ai  trattamenti
superiori a sei volte anziche' a otto  volte  il  trattamento  minimo
INPS (reg. ord. n. 101, n. 188, n. 237, n. 242, n. 243 e n.  244  del
2016, n. 24 del 2017); incidono su un biennio, anziche'  su  un  solo
anno (reg. ord. n. 101, n. 124, n. 188, n. 237, n. 242, n. 243  e  n.
244 del 2016, n. 24, n. 25, n. 43, n. 44, n. 77 e n.  78  del  2017);
non indicano uno specifico scopo  solidaristico  interno  al  sistema
previdenziale (reg. ord. n. 101, n. 242, n. 243, n. 244 del 2016).  I
commi denunciati,  infine,  la'  dove  riconoscono  la  rivalutazione
automatica, lo fanno in percentuale assai esigua e inferiore a quella
prevista sia per gli anni precedenti (dall'art. 69,  comma  1,  della
legge n. 388 del 2000) sia per quelli successivi (dall'art. 1,  comma
483, della legge n. 147 del 2013) (reg. ord. n. 25 del 2017). 
    1.2.4.- Ad avviso della Corte dei conti, sezione  giurisdizionale
regionale per l'Emilia-Romagna (reg. ord. n.  101  del  2016)  e  del
Tribunale ordinario di Cuneo (reg. ord. n. 44 del 2017),  la  lettera
e) del comma 25 e, rispettivamente, le lettere b),  c),  d),  e)  del
comma 25 e il comma 25-bis dell'art. 24 del  d.l.  n.  201  del  2011
violerebbero anche l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione
all'art.  6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva  con  la  legge  4  agosto
1955, n. 848. Dettando una disciplina retroattiva della rivalutazione
automatica dei trattamenti pensionistici per gli anni 2012 e 2013 che
riproduce quella dichiarata incostituzionale con la  sentenza  n.  70
del 2015 (reg. ord. n. 101 del 2016) o che, comunque, e'  diversa  da
quella applicabile in seguito a  tale  sentenza  (disciplina  che  e'
individuata dal Tribunale di Cuneo nell'art. 69, comma 1, della legge
n. 388 del 2000), tali disposizioni  violerebbero  il  diritto  a  un
processo equo, garantito dal richiamato parametro convenzionale. 
    Secondo la sezione regionale della Corte dei conti, il denunciato
comma 25, lettera e), violerebbe anche,  per  le  stesse  ragioni,  i
principi del legittimo affidamento e della certezza del  diritto,  di
cui all'art. 3 Cost. 
    1.2.5.- Sempre ad avviso della Corte dei conti (reg. ord. n.  101
del 2016), la lettera e) del comma 25 e il comma 25-bis dell'art.  24
del d.l. n. 201 del 2001 violerebbero l'art. 117, primo comma, Cost.,
anche in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU  -
firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con la
legge n. 848 del 1955 - che riconosce a ogni persona il  «diritto  al
rispetto dei suoi beni», perche', privando,  in  modo  permanente,  i
pensionati titolari di trattamenti complessivamente superiori  a  sei
volte il trattamento minimo INPS del  «"bene"  [della]  "perequazione
automatica"», che «spetta [loro] alla luce della sentenza n.  70  del
2015, [...] non sembra avere  disciplinato  detto  "bene"  [...]  nel
rispetto  del  requisito  dell'equo  bilanciamento  alla   luce   del
principio per cui ogni ingerenza su un  "bene"  della  persona  debba
essere ragionevolmente proporzionata al fine  perseguito,  [...]  con
conseguente incisione individuale  eccessiva  dei  diritti  di  detti
pensionati». 
    1.3.- Quanto al comma 483 dell'art. 1  della  legge  n.  147  del
2013, esso - come modificato dall'art. 1, comma 286, della  legge  28
dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2016)» - disciplina la  misura  della  rivalutazione  automatica  dei
trattamenti   pensionistici    per    il    quinquennio    2014-2018,
riconoscendola   nelle   percentuali,    decrescenti    all'aumentare
dell'importo complessivo del trattamento pensionistico, del: 100  per
cento per i trattamenti pensionistici di importo complessivo  fino  a
tre volte il trattamento minimo INPS (lettera a); 95 per cento per  i
trattamenti complessivamente superiori a  tre  volte  il  trattamento
minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte lo stesso (lettera b);
75 per cento per i trattamenti complessivamente superiori  a  quattro
volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte lo
stesso (lettera c); 50 per cento per i  trattamenti  complessivamente
superiori a  cinque  volte  il  trattamento  minimo  INPS  e  pari  o
inferiori a sei volte lo stesso (lettera d); 40 per cento per  l'anno
2014 e 45 per cento per ciascuno degli anni 2015, 2016, 2017  e  2018
per i trattamenti  pensionistici  complessivamente  superiori  a  sei
volte il trattamento minimo INPS, con la specificazione che, «per  il
solo anno 2014, [la rivalutazione automatica] non e' riconosciuta con
riferimento  alle  fasce  di  importo  superiori  a  sei   volte   il
trattamento minimo INPS». 
    Tale  comma  483  e'  censurato,  in  via  principale,  dal  solo
Tribunale di Brescia (reg. ord. n. 188 del  2016),  secondo  cui,  in
particolare,  la  lettera  e)  dello  stesso,  col   riconoscere   la
rivalutazione  automatica,   per   l'anno   2014,   dei   trattamenti
pensionistici superiori a sei volte il minimo INPS solo nella  misura
del 40 per cento e con l'esclusione delle fasce di importo  superiori
a sei volte il predetto trattamento minimo, violerebbe  il  principio
di adeguatezza dei trattamenti pensionistici,  di  cui  all'art.  38,
secondo comma, Cost., impedendone la  conservazione  del  valore  nel
tempo, e il «principio  di  proporzionalita'  tra  pensione  [...]  e
retribuzione goduta durante l'attivita' lavorativa», di cui  all'art.
36,   primo   comma,   Cost.,   nonche'    i    principi    derivanti
dall'applicazione congiunta degli artt. 3, 36 e 38 Cost., in  quanto,
«violando  il  principio   di   proporzionalita'   tra   pensione   e
retribuzione e quello di adeguatezza della prestazione previdenziale,
altera il principio di eguaglianza  e  ragionevolezza,  causando  una
irrazionale discriminazione in danno della categoria dei pensionati». 
    1.4.- Infine, quattro  delle  quindici  ordinanze  di  rimessione
hanno sollevato anche questioni in via subordinata, nel caso  in  cui
fossero ritenute non  fondate  quelle  da  esse  prospettate  in  via
principale. 
    1.4.1.- Il Tribunale ordinario di Milano (reg. ord.  n.  124  del
2016), nel caso in cui fossero ritenute non fondate  quelle  da  esso
sollevate nei confronti dell'art. 24, comma 25, lettere b), c), d) ed
e), del d.l. n. 201 del 2011, ha sollevato questioni di  legittimita'
costituzionale del «DL 65» - e, quindi, delle  suddette  disposizioni
del comma 25, come sostituito dall'art. 1, comma 1,  numero  1),  del
d.l. n. 65 del 2015 - congiuntamente all'art. 1, comma  483,  lettera
e), della  legge  n.  147  del  2013.  Secondo  il  rimettente,  tali
disposizioni violerebbero gli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo
comma, Cost., in quanto, per i trattamenti pensionistici superiori  a
sei volte il trattamento minimo INPS,  sarebbe  previsto  «il  blocco
della rivalutazione [...] addirittura [per] un triennio (2012, 2013 e
2014)», nella  «totale  assenza  di  alcuna  ponderazione  [...]  del
sacrificio richiesto ai pensionati con [il] trattamento piu'  elevato
rispetto  alle  proprie  esigenze  di  bilancio»,  atteso   che   «il
legislatore del 2015, nel proprio intervento  retroattivo  a  seguito
della sentenza di incostituzionalita', non ha  minimamente  preso  in
considerazione la gravosita'  del  proprio  intervento  avendo  anche
riguardo a quanto gia' disposto con la legge di stabilita' per l'anno
2014». 
    1.4.2.- Sempre in via  subordinata,  il  Tribunale  ordinario  di
Genova (reg. ord. n. 242, n. 243 e n.  244  del  2016)  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 24, commi 25  (nel
caso dei giudizi reg. ord. n. 242 e n. 244  del  2016,  limitatamente
alla lettera b) e 25-bis del d.l. n. 201 del 2011, «in  collegamento»
con l'art. 1, comma 483, lettere d) ed e), della  legge  n.  147  del
2013, per violazione degli artt. 3, 36, primo comma,  e  38,  secondo
comma, Cost.,  in  quanto  la  «combinazione»  di  tali  disposizioni
comporterebbe  «l'azzeramento  della  rivalutazione   annuale   delle
pensioni d'importo sei volte superiore al trattamento minimo  per  un
triennio ed un'applicazione successiva del meccanismo perequativo  in
misura inferiore alla meta' per un ulteriore  triennio»,  effetti  di
cui «non si e' preoccupato il  legislatore  del  2015,  omettendo  di
coordinare le diverse disposizioni»,  sicche',  considerato  che  «la
soglia del sestuplo del trattamento minimo INPS» include pensioni  di
valore ben piu' modesto rispetto a quelle che,  secondo  la  sentenza
della Corte costituzionale n. 316 del 2010, sono dotate di margini di
resistenza   all'inflazione,   «il   sacrificio    che    deriverebbe
dall'applicazione  combinata  del  doppio   meccanismo   risulterebbe
sproporzionato e, di conseguenza, irragionevole». 
    2.- Poiche' le questioni hanno a oggetto, per la gran  parte,  le
stesse  disposizioni,  e  queste  sono  censurate  in  riferimento  a
parametri e con argomentazioni in larga misura coincidenti, i giudizi
devono essere riuniti, per essere congiuntamente trattati e decisi. 
    3.- Deve essere confermata la dichiarazione  di  inammissibilita'
degli interventi spiegati, nel giudizio reg. ord. n.  124  del  2016,
dal   Sindacato   autonomo   dipendenti   INAIL   in    pensione    e
dall'Associazione sindacale nazionale pensionati dipendenti INPS, per
le  ragioni  esposte  nell'ordinanza  letta  nel  corso  dell'udienza
pubblica e allegata alla presente sentenza. 
    Devono inoltre essere dichiarati inammissibili perche' tardivi  -
in quanto effettuati con un atto depositato soltanto  il  23  ottobre
2017, ben oltre il termine di venti giorni dalla pubblicazione  nella
Gazzetta Ufficiale  degli  atti  introduttivi  dei  giudizi  previsto
dall'art. 4, comma 4, delle Norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale - gli interventi, in tutti i  giudizi,  del
Codacons (Coordinamento di associazioni per la tutela dell'ambiente e
dei diritti di utenti e consumatori) e di G. P.,  nella  qualita'  di
«pensionato» (ex plurimis: sentenza n. 35 del 2017 e ordinanza  letta
all'udienza del 24 gennaio 2017, allegata a tale  sentenza;  sentenza
n. 187 del 2016 e ordinanza letta all'udienza  del  17  maggio  2016,
allegata a tale sentenza). 
    4.- Va preliminarmente rilevato che alcune  delle  parti  private
costituite  hanno  dedotto  la  violazione  di  parametri   ulteriori
rispetto a quelli indicati nelle ordinanze di rimessione. 
    In particolare, G. C., costituito nel giudizio reg.  ord.  n.  36
del 2016, ha dedotto la violazione dell'art. 136 Cost., mentre S. P.,
R. S., V. V., F. M. e F. B., costituti nel giudizio reg. ord.  n.  24
del 2017,  sul  presupposto  della  natura  tributaria  della  misura
censurata, hanno dedotto la violazione degli artt. 3, 23 e 53  Cost.,
parametri,  tutti,  non  evocati  nelle   rispettive   ordinanze   di
rimessione  (la   seconda   delle   quali   aveva   anzi   dichiarato
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
prospettata dai ricorrenti in riferimento  agli  artt.  3,  23  e  53
Cost.). 
    Le suddette  censure  si  traducono  entrambe  in  questioni  non
sollevate dai giudici  a  quibus  e  sono,  pertanto,  inammissibili.
Infatti, in  base  alla  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,
«l'oggetto  del  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in   via
incidentale e' limitato alle disposizioni  e  ai  parametri  indicati
nelle ordinanze di rimessione; non possono, pertanto, essere presi in
considerazione, oltre i limiti in queste fissati, ulteriori questioni
o profili di costituzionalita' dedotti dalle parti, sia eccepiti,  ma
non fatti  propri  dal  giudice  a  quo,  sia  volti  ad  ampliare  o
modificare successivamente il contenuto delle  stesse  ordinanze  (ex
plurimis, sentenze n. 96  del  2016;  n.  231  e  n.  83  del  2015)»
(sentenza n. 29 del 2017; nello stesso senso,  sentenza  n.  214  del
2016). 
    5.- Devono ora essere esaminate le eccezioni di  inammissibilita'
delle  questioni  sollevate  in   via   principale   dai   rimettenti
prospettate dall'INPS e dal Presidente del Consiglio dei ministri. 
    5.1.-  L'INPS  ha  eccepito  l'inammissibilita'  delle  questioni
sollevate  con  l'ordinanza  n.  101  del  2016,  con  riguardo  alla
«rilevanza» delle stesse,  sotto  tre  profili.  In  particolare,  ad
avviso dell'Istituto, il giudice rimettente avrebbe affermato «di non
aver percepito con sufficiente nettezza l'esigenza  di  bilanciamento
del sacrificio imposto  a  talune  categorie  di  pensionati  con  le
necessita' di bilancio e di  tenuta  del  sistema»  sulla  sola  base
dell'esame delle disposizioni censurate, senza neppure menzionare gli
atti parlamentari e i documenti di «Verifica  delle  quantificazioni»
che le accompagnano, con un «approccio alla lettura della norma [...]
errato e [che] conduce  ad  apprezzamenti  sommari  e  superficiali».
Detto giudice si  sarebbe  limitato  «a  una  mera  enunciazione  dei
principi consacrati negli artt. 36 e  38  della  Costituzione,  [...]
senza  procedere  alla   loro   interpretazione   alla   luce   della
giurisprudenza della Consulta e senza considerare gli altri di uguale
rango  ai  fini  del  necessario   bilanciamento,   con   particolare
riferimento alla previsione dell'art. 81 della Carta», il che «non e'
sufficiente [...] a fondare un giudizio di non manifesta infondatezza
della questione  di  illegittimita'  costituzionale  di  una  norma».
Avrebbe  trascurato  inoltre  di  calare  i  condivisibili   principi
enunciati  nel   particolare   attuale   momento   storico   in   cui
«l'inflazione e' pari a zero o  addirittura  negativa»  e,  per  tale
ragione, omette di  precisare  l'entita'  di  un  danno  che  risulta
sostanzialmente  assai  limitato  e  comunque  sopportabile  per   le
categorie di pensionati colpiti dall'intervento. Quest'ultimo profilo
di inammissibilita' e' prospettato dall'INPS anche con riguardo  alle
questioni di legittimita' costituzionale sollevate con  le  ordinanze
n. 188, n. 237, n. 242, n. 243 e n. 244 del 2016, n. 24,  n.  43,  n.
44, n. 77 e n. 78 del 2017. 
    Tali eccezioni non sono fondate. 
    Esse riguardano non tanto la rilevanza quanto  la  non  manifesta
infondatezza delle questioni - rilievo che, per il  secondo  profilo,
e' confermato anche dalla circostanza  che  l'INPS,  pur  definendola
un'eccezione «quanto  alla  rilevanza»,  lamenta  poi  che  cio'  che
afferma il rimettente «non e' sufficiente [...] a fondare un giudizio
di non manifesta infondatezza della questione» - e, col richiamare la
necessita' che il bilanciamento di  cui  le  disposizioni  denunciate
sono espressione venga valutato anche  alla  luce  di  quanto  emerge
dagli atti  parlamentari,  tenendo  conto  di  tutti  i  contrapposti
interessi,  della  giurisprudenza   costituzionale   e   dell'attuale
contesto  storico,  risultano  sostanzialmente  rivolte   a   fornire
argomenti contrari a quelli posti dai rimettenti a  fondamento  delle
proprie censure, sicche' non ostano all'ammissibilita' di  queste  ma
devono essere piu' propriamente rimesse all'esame del merito. 
    5.2.- Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, tutte  le
questioni sollevate sarebbero  inammissibili  «nella  misura  in  cui
devono  ritenersi   insindacabili   le   scelte   discrezionali   del
legislatore in ordine alla modalita' e ai tempi  della  rivalutazione
automatica dei trattamenti pensionistici; laddove, come nel  caso  di
specie, tale  intervento  sia  necessitato  dal  dare  attuazione  ai
principi enunciati nella [...] sentenza n. 70/16 [recte:  n.  70/15],
tenendo  conto   dell'eccezionalita'   della   situazione   economica
internazionale, dell'esigenza prioritaria  del  raggiungimento  degli
obiettivi di finanza  pubblica  concordati  in  sede  europea,  anche
garantendo l'equilibrio di bilancio dell'ente previdenziale». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    In proposito, e' sufficiente osservare  che  la  discrezionalita'
spettante al legislatore  nella  scelta  dei  meccanismi  diretti  ad
assicurare nel  tempo  l'adeguatezza  dei  trattamenti  pensionistici
trova  pur  sempre  un  limite  nel  «criterio  di   ragionevolezza».
Quest'ultimo,  «cosi'  come  delineato  dalla  giurisprudenza  citata
[della Corte costituzionale] in relazione ai principi contenuti negli
artt. 36, primo comma, e 38, secondo  comma,  Cost.,  circoscrive  la
discrezionalita' del legislatore e vincola le sue scelte all'adozione
di soluzioni coerenti con i parametri costituzionali» (sentenza n. 70
del 2015). 
    Ne consegue che la sussistenza della discrezionalita' legislativa
invocata dalla difesa del Presidente del Consiglio dei  ministri  non
esclude la necessita' di verificare nel merito le scelte di volta  in
volta operate dal legislatore riguardo ai meccanismi di rivalutazione
dei trattamenti pensionistici, quale che sia il contesto giuridico  e
di fatto nel quale esse si inseriscono,  contesto  del  quale  questa
Corte, nel compiere tale verifica, non potra', ovviamente, non tenere
conto. 
    5.3.- Secondo  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  la
motivazione dell'ordinanza n. 278 del 2016 sarebbe «tanto  scarna  da
rendere [la stessa] inammissibile  per  difetto  di  motivazione  sul
requisito [...] della non manifesta infondatezza». 
    Anche questa eccezione non e' fondata. 
    La  motivazione  dell'ordinanza  n.  278  del   2016,   ancorche'
succinta, consente di comprendere  la  ragione  della  doglianza  del
rimettente,  il  quale  ritiene  che  il  denunciato   comma   25-bis
prevedrebbe  il  «blocc[o  della]   rivalutazione   delle   pensioni»
superiori a sei volte il trattamento minimo INPS «per gli anni 2014 e
seguenti», con  il  conseguente  contrasto  con  il  giudicato  della
sentenza n. 70 del 2015 - secondo  cui,  sempre  con  le  parole  del
rimettente,  «il  blocco  del  meccanismo  perequativo  deve   essere
necessariamente contenuto nel tempo» - e la violazione dell'art.  136
Cost. 
    Da cio' l'infondatezza dell'eccezione prospettata dal  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
    6.- Nel passare al merito, devono essere anzitutto scrutinate  le
questioni aventi a oggetto i commi 25 e 25-bis dell'art. 24 del  d.l.
n. 201 del 2011, verso cui soprattutto si  dirigono  le  censure  dei
rimettenti. 
    6.1. - La censura di violazione dell'art. 136 Cost.,  secondo  la
costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  «riveste  carattere  di
priorita' logica  rispetto  alle  altre»,  proprio  perche'  «attiene
all'esercizio stesso del potere legislativo, che sarebbe inibito  dal
precetto costituzionale di cui si assume la violazione» (sentenze  n.
2 del 2015, n. 245 del 2012 e n. 350 del 2010). 
    La stessa censura deve pertanto essere esaminata  per  prima,  al
fine  di  valutare  se  la  disciplina  denunciata  costituisca   una
riproposizione della stessa volonta' normativa gia'  ritenuta  lesiva
della Costituzione (ex plurimis, sentenza n. 5 del 2017). 
    La questione sollevata non e' fondata. 
    Nell'intento dichiarato  di  dare  attuazione  alla  sentenza  di
questa Corte n. 70 del 2015,  il  legislatore  ha  operato  un  nuovo
bilanciamento dei valori e degli interessi  costituzionali  coinvolti
nella materia. 
    L'art. 1, comma 1, numero  1),  del  d.l.  n.  65  del  2015  ha,
infatti,  introdotto  una   nuova   disciplina   della   perequazione
automatica dei trattamenti pensionistici relativa agli  anni  2012  e
2013, diversa da quella dichiarata costituzionalmente illegittima con
la sentenza n. 70 del 2015, poiche'  riconosce  la  perequazione,  in
misura percentuale decrescente, anche ai trattamenti pensionistici  -
in precedenza esclusi dalla stessa - compresi tra quelli superiori  a
tre volte il trattamento minimo INPS e quelli fino  a  sei  volte  lo
stesso trattamento. 
    Inoltre, il denunciato comma 25-bis, inserito dall'art. 1,  comma
1, numero  2),  del  d.l.  n.  65  del  2015,  regola  il  cosiddetto
"trascinamento",  ossia  il  computo  degli  incrementi  perequativi,
reintrodotti dal comma 25 per gli anni 2012 e  2013,  ai  fini  della
determinazione della base di calcolo per la rivalutazione  automatica
per gli anni successivi. 
    Non vi e' dunque una «mera riproduzione» (sentenze n. 73 del 2013
e n. 245 del 2012) della normativa dichiarata  incostituzionale,  ne'
la   realizzazione,   «"anche   se   indirettamente",   [di]    esiti
corrispondenti» (sentenze n. 5 del 2017, n. 73 del 2013, n.  245  del
2012, n. 922 del 1988, n. 223 del 1983, n. 88 del 1966). 
    Le   disposizioni   denunciate    presentano,    al    contrario,
«significative  novita'  normative»  rispetto  al  precedente  regime
(sentenza n. 262 del 2009). 
    Ne' e' corretto sostenere - come fanno alcuni  dei  rimettenti  -
che la violazione del giudicato costituzionale deriverebbe dal  fatto
che parte del risultato normativo di tali disposizioni corrisponde  a
quello del comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011  dichiarato
incostituzionale con la sentenza n. 70  del  2015  (come  accade,  in
particolare,  con  riguardo  alla  disciplina   della   rivalutazione
automatica dei trattamenti pensionistici superiori  a  sei  volte  il
trattamento minimo INPS).  La  disciplina  dettata  dal  legislatore,
infatti,  deve  essere  considerata  nella  sua  interezza,   perche'
costituisce un complessivo - ancorche'  temporaneo  -  nuovo  disegno
della perequazione dei trattamenti pensionistici.  Cio'  che  rileva,
dunque, ai  fini  dello  scrutinio  della  violazione  del  giudicato
costituzionale, e' «il complesso delle norme  che  si  succedono  nel
tempo» (sentenza n. 262 del 2009; nello stesso senso, sentenza n.  87
del 2017). 
    L'art.  1,  comma  1,  del  d.l.  n.  65  del  2015   rappresenta
l'espressione di una  scelta  rispetto  alla  quale  l'intervento  di
questa  Corte  non  ha  potuto   «determinare,   a   svantaggio   del
legislatore, effetti corrispondenti a quelli di un "esproprio"  della
potesta' legislativa sul punto» (sentenza n. 169 del 2015). 
    La  sentenza  n.  70  del  2015  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale,  «nei  termini  esposti»,  del  primo   periodo   del
previgente comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, in ragione
del fatto che, con tale  disposizione,  il  legislatore  aveva  fatto
cattivo uso della discrezionalita' a  esso  spettante  (punto  8  del
Considerato in  diritto),  poiche'  nel  bilanciare  l'interesse  dei
pensionati  alla  conservazione  del  potere  d'acquisto  dei  propri
trattamenti pensionistici con le esigenze  finanziarie  dello  Stato,
pure meritevoli di tutela,  aveva  irragionevolmente  sacrificato  il
primo, «in particolar modo,  [quello  dei]  titolari  di  trattamenti
previdenziali modesti»,  in  nome  di  esigenze  finanziarie  neppure
illustrate (punto 10 del Considerato in diritto). 
    Tale  sentenza  demandava  al  legislatore  un  intervento   che,
emendando questi vizi, operasse un nuovo bilanciamento dei  valori  e
degli interessi costituzionali coinvolti, nel rispetto dei «limiti di
ragionevolezza  e  proporzionalita'»,  senza  che  alcuno   di   essi
risultasse «irragionevolmente sacrificato». 
    L'art. 1, comma 1, del d.l. n.  65  del  2015  -  dichiaratamente
adottato «Al fine di dare  attuazione  ai  principi  enunciati  nella
sentenza [...] n.  70  del  2015»  -  ha  introdotto  una  nuova  non
irragionevole   modulazione   del   meccanismo   che   sorregge    la
perequazione, la cui portata e' stata ridefinita compatibilmente  con
le risorse disponibili. 
    Va ancora osservato che la nuova disciplina,  nell'accogliere  la
sollecitazione di questa Corte, non poteva nel caso in questione  che
produrre effetti retroattivi, purche' circoscritti - come in  effetti
e' stato - all'arco temporale relativo agli  anni  2012  e  2013  cui
faceva riferimento la disposizione annullata. 
    Un tale effetto retroattivo e' dunque coerente con  la  finalita'
di una misura legislativa che, in attuazione della sentenza di questa
Corte, si prefiggeva di sostituire - per il biennio  2012-2013  -  la
disciplina della perequazione, secondo diverse modalita',  espressive
di un nuovo bilanciamento degli interessi  costituzionali  coinvolti,
rispettoso dei «limiti di ragionevolezza e proporzionalita'» (per  un
intervento legislativo retroattivo conseguente a una declaratoria  di
illegittimita' costituzionale, sentenza n. 87 del 2017). 
    6.2.- Collegata a quanto si e' detto circa la peculiare finalita'
attuativa  del  giudicato  costituzionale,  che  e'   propria   delle
disposizioni denunciate, e  la  connessa  portata  retroattiva  delle
stesse, e' la trattazione delle questioni  sollevate  in  riferimento
all'art. 3 Cost., in relazione ai principi del legittimo  affidamento
e della certezza del diritto, e all'art. 117, primo comma, Cost.,  in
relazione al diritto  a  un  equo  processo  garantito  dall'art.  6,
paragrafo 1, della CEDU. 
    Tali questioni - basate su argomentazioni sostanzialmente  comuni
e dunque da esaminare congiuntamente - non sono fondate. 
    6.2.1.- Deve escludersi che, in capo ai titolari  di  trattamenti
pensionistici, si fosse determinato un affidamento  nell'applicazione
della disciplina immediatamente risultante dalla sentenza n.  70  del
2015. Quest'ultima rendeva prevedibile un intervento del  legislatore
che,  nell'esercizio  della   sua   discrezionalita',   disciplinasse
nuovamente la perequazione relativa agli anni 2012 e 2013 sulla  base
di un bilanciamento di tutti gli interessi costituzionali  coinvolti,
in particolare di quelli della finanza pubblica. 
    Ne'   un   affidamento   avrebbe   potuto   determinarsi,    data
l'immediatezza dell'intervento operato dal legislatore, tenuto  conto
che il d.l. n. 65 del 2015 e' entrato in vigore il 21 maggio 2015,  a
distanza di soli ventuno giorni dal  deposito,  il  30  aprile  2015,
della sentenza n. 70 del 2015. Secondo la  giurisprudenza  di  questa
Corte, una situazione giuridica, per dar luogo a un affidamento, deve
risultare, oltre che «sorta in un contesto giuridico sostanziale atto
a far sorgere  nel  destinatario  una  ragionevole  fiducia  nel  suo
mantenimento»,  anche  «protratta  per  un  periodo  sufficientemente
lungo» (sentenza n. 56 del 2015). 
    6.2.2.- La finalita' attuativa della sentenza di questa Corte  n.
70 del 2015 propria dell'intervento operato con l'art.  1,  comma  1,
del d.l. n. 65 del 2015, unitamente alle  altre  circostanze  in  cui
esso si inserisce, escludono che i denunciati commi  25  e  25-bis  -
rispettivamente sostituito e inserito dall'art. 1, comma 1 - siano in
contrasto con l'art. 6, paragrafo 1, della CEDU. 
    La Corte EDU ha precisato  che  tale  articolo  «non  puo'  [...]
essere interpretato nel senso di impedire ogni ingerenza dei pubblici
poteri in un procedimento giudiziario pendente del quale sono  parti»
(sentenze 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint Pie X e
Blanche de Castille  e  altri  contro  Francia  e  23  ottobre  1997,
National  and  Provincial  Building  Society,  the  Leeds   Permanent
Building Society and the  Yorkshire  Building  Society  contro  Regno
Unito). 
    In particolare, nelle citate sentenze, la Corte di Strasburgo  ha
asserito  che,  al  fine  di  valutare  se  un  intervento  normativo
retroattivo idoneo a incidere sull'esito  di  procedimenti  in  corso
integri una  violazione  del  principio  della  parita'  delle  armi,
occorre «tenere conto di tutte le circostanze della causa»  e  «delle
ragioni che lo Stato [...] ha avanzato per giustificare l'intervento»
(sentenze citate sui casi OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint Pie X e
Blanche de Castille e altri contro Francia e National and  Provincial
Building Society,  the  Leeds  Permanent  Building  Society  and  the
Yorkshire Building Society contro Regno Unito ). 
    Le circostanze e le ragioni dell'intervento operato con l'art. 1,
comma 1, del d.l. n. 65  del  2015  portano  a  escludere  che  esso,
ancorche' incida sull'esito di procedimenti in corso, violi l'art. 6,
paragrafo 1, della CEDU. Infatti, lo scopo di tale intervento non era
quello di incidere sull'esito di processi di cui lo Stato era  parte,
ma quello, espressamente dichiarato, di «dare attuazione ai  principi
enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 70 del  2015»,
operando, con riguardo a tutti i trattamenti pensionistici, un  nuovo
bilanciamento  tra  l'interesse  dei   pensionati   e   le   esigenze
finanziarie dello Stato. Oltre a eliminare le possibili incertezze in
ordine alla  disciplina  applicabile  in  seguito  a  tale  sentenza,
l'intervento si proponeva di rimediare ai vizi di irragionevolezza  e
sproporzione della disposizione dichiarata incostituzionale. 
    6.3.- Anche la questione di legittimita' costituzionale sollevata
dalla  Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale   regionale   per
l'Emilia-Romagna, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale  alla  CEDU,  non  e'
fondata. 
    Ricorrono, infatti, le condizioni che, secondo la  giurisprudenza
della Corte EDU, rendono un'ingerenza nel  diritto  al  rispetto  dei
propri beni - nella specie, il  credito  relativo  alla  perequazione
automatica per gli anni 2012 e 2013 che sarebbe  spettata  a  seguito
della sentenza n. 70 del 2015 - compatibile con l'invocato  parametro
interposto (in proposito,  da  ultimo,  Grande  Camera,  sentenze  13
dicembre 2016, Belane' Nagy  contro  Ungheria  e  5  settembre  2017,
Fabian contro Ungheria, entrambe in tema  di  diritti  a  prestazioni
sociali). 
    L'espresso    collegamento    delle    disposizioni    denunciate
all'attuazione della sentenza di questa Corte n. 70 del 2015 consente
di ritenere certamente sussistente il perseguimento di «un  interesse
pubblico (o generale)», condizione per cui  la  Corte  EDU  riconosce
alle autorita' nazionali un ampio margine di apprezzamento  (sentenza
sul caso Belane' Nagy, paragrafo 113). 
    Anche  il  requisito  della  proporzionalita',  su   cui   paiono
incentrarsi le censure del rimettente, e'  sussistente.  Diversamente
dall'impostazione seguita dal giudice a quo, l'entita' dell'onere  in
capo ai pensionati deve essere valutata tenendo conto del trattamento
complessivo a essi spettante, non  riguardo  alla  sola  perequazione
automatica,  sottratta  per  intero   ai   pensionati   titolari   di
trattamenti superiori a sei volte il minimo INPS, per gli anni 2012 e
2013. Cio' che rileva nella giurisprudenza  della  Corte  EDU  (oltre
alle citate sentenze sui casi Fabian e Belane' Nagy, si vedano  anche
le sentenze 15 aprile 2014, Stefanetti e altri contro  Italia,  e  31
maggio 2011, Maggio e altri  contro  Italia),  e'  «la  sostanza  del
diritto  alla  pensione»,  l'esistenza,  o  l'assenza  di  un  «onere
esorbitante» in capo all'interessato (sentenza sul caso Belane' Nagy,
rispettivamente, paragrafi 118 e 126), in definitiva, la  valutazione
se vi sia o non vi sia il sacrificio del  diritto  fondamentale  alla
pensione. 
    Alla luce di tale orientamento, si deve ritenere  che  il  blocco
della perequazione per due soli anni e il conseguente "trascinamento"
dello stesso agli anni successivi  non  costituiscono  un  sacrificio
sproporzionato  rispetto  alle  esigenze,  di   interesse   generale,
perseguite dai  denunciati  commi  25  e  25-bis.  Tali  disposizioni
incidono su una limitata  percentuale  dell'importo  complessivo  del
trattamento pensionistico, non  sulla  disponibilita'  dei  mezzi  di
sussistenza  da  parte  di   pensionati   titolari   di   trattamenti
medio-alti. Sull'entita' delle perdite di prestazione e dei mezzi  di
sussistenza quali fattori per  valutare  se  le  autorita'  nazionali
abbiano superato i limiti del proprio margine di apprezzamento, si e'
del resto espressa la Corte di Strasburgo (sentenza sul caso  Fabian,
rispettivamente, paragrafi 74-75 e 78-82). 
    6.4.- Non fondata e'  la  censura,  anch'essa  prospettata  dalla
Corte   dei   conti,   sezione    giurisdizionale    regionale    per
l'Emilia-Romagna, di violazione degli artt. 2, 3, 23 e 53  Cost.,  in
relazione  all'asserita  natura  tributaria  dell'azzeramento   della
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici  superiori  a
sei volte il trattamento minimo INPS previsto  dai  denunciati  commi
25, lettera e), e 25-bis dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011. 
    Con le sentenze n. 173 del 2016 e n. 70 del 2015, questa Corte ha
gia' escluso che le misure di blocco della  rivalutazione  automatica
dei trattamenti pensionistici abbiano natura tributaria. 
    Pur consapevole di tale statuizione, il rimettente afferma che le
misure adottate dal legislatore in seguito alla sentenza  n.  70  del
2015 «ripropongono il dubbio  circa  la  introduzione  [...]  di  una
prestazione patrimoniale di  natura  tributaria»,  atteso  che  esse,
oltre a non modificare un rapporto di tipo sinallagmatico,  procurano
una  definitiva  decurtazione  patrimoniale  a  carico  del  soggetto
passivo, dato l'effetto di "trascinamento"  che  le  caratterizza,  e
sono destinate a sovvenire pubbliche spese (come  sarebbe  confermato
dal fatto che, ai sensi dell'art. 17, comma 1, lettera b) della legge
31 dicembre 2009, n. 196, recante «Legge di  contabilita'  e  finanza
pubblica», la copertura finanziaria delle leggi che comportino  nuovi
o maggiori oneri, ovvero  minori  entrate,  puo'  essere  determinata
anche «mediante riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di
spesa»). 
    Queste argomentazioni non sono tuttavia tali  da  indurre  questa
Corte a  modificare  l'orientamento  espresso  con  le  due  sentenze
menzionate. 
    In  proposito,  e'  sufficiente  osservare   che   l'effetto   di
"trascinamento"  proprio  delle  censurate  misure  di  blocco  della
perequazione non ne muta la natura di misure  di  mero  risparmio  di
spesa e non di decurtazione del patrimonio del soggetto passivo. 
    Deve quindi essere ribadita la natura non tributaria delle misure
di blocco della perequazione e, in particolare,  di  quelle  previste
dai denunciati commi 25, lettera e), e 25-bis, con la conseguente non
fondatezza della questione sollevata,  che  tale  natura,  viceversa,
presuppone. 
    6.5.- Non e' fondata la censura secondo cui i denunciati commi 25
e 25-bis dell'art. 24  del  d.l.  n.  201  del  2011  violerebbero  i
principi di eguaglianza e di ragionevolezza (di cui all'art. 3 Cost.)
nonche' di adeguatezza  e  di  proporzionalita'  dei  trattamenti  di
quiescenza (di cui, rispettivamente, all'art. 38,  secondo  comma,  e
all'art. 36, primo comma, Cost.), perche' presenterebbero gli  stessi
profili di contrasto ravvisati dalla sentenza n. 70 del 2015 in  capo
al previgente comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011. 
    6.5.1.- La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici
costituisce uno strumento tecnico teso a  salvaguardare  le  pensioni
dall'erosione del potere di acquisto causata  dall'inflazione,  anche
dopo il collocamento a riposo (sentenza n. 70 del 2015, punto  8  del
Considerato in diritto, che cita, in proposito, la sentenza n. 26 del
1980). Essa si prefigge di  assicurare  il  rispetto  nel  tempo  dei
principi di adeguatezza e  di  proporzionalita'  dei  trattamenti  di
quiescenza (ex plurimis, sentenze n. 70 del 2015 e n. 208 del 2014). 
    Questa Corte ha scrutinato  i  «valori  personali  inerenti  alla
tutela  previdenziale»,  ancorati  al  «principio   di   solidarieta'
(sotteso   all'art.   38 Cost.)   coordinato   col    principio    di
razionalità-equita' (art. 3 Cost.)», tenuto  conto  del  contenimento
della spesa e chiarendo che deve  essere  comunque  salvaguardata  la
garanzia di un reddito che non comprima le «esigenze di vita cui  era
precedentemente commisurata la prestazione  previdenziale»  (sentenza
n. 240 del 1994). 
    Essa ha ritenuto raggiungibile un tale obiettivo «per il  tramite
e nella misura» dell'art. 38, secondo comma, Cost. (sentenza  n.  156
del 1991), il che comporta «solo indirettamente» (sentenza n. 361 del
1996) un aggancio all'art. 36, primo comma, Cost., anche al  fine  di
dare un piu' concreto contenuto al parametro della adeguatezza. 
    Su  questo  solido  terreno  e'   chiamata   a   esercitarsi   la
discrezionalita' del legislatore, bilanciando,  secondo  criteri  non
irragionevoli, i valori e gli interessi costituzionali coinvolti.  Da
un lato vi e' l'interesse dei pensionati a preservare  il  potere  di
acquisto dei propri trattamenti previdenziali, dall'altro vi sono  le
esigenze finanziarie e di equilibrio  di  bilancio  dello  Stato  (ex
plurimis, sentenze n. 70 del 2015, n. 316 del 2010, n. 30  del  2004;
ordinanze n. 383 del 2004, n. 531 del 2002,  n.  256  del  2001).  In
questo bilanciamento, il legislatore  non  puo'  «eludere  il  limite
della ragionevolezza» (sentenza n. 70 del 2015). 
    Ed e' tale limite che questa Corte,  nella  sentenza  n.  70  del
2015, ha ritenuto valicato dal previgente comma 25 dell'art.  24  del
d.l.  n.  201  del  2011,  che  aveva  sacrificato  l'interesse   dei
pensionati, «in particolar modo di  quelli  titolari  di  trattamenti
previdenziali modesti», a vedere salvaguardato il proprio  potere  di
acquisto in nome di contrapposte esigenze finanziarie di risparmio di
spesa «non illustrate in dettaglio». 
    Il principio di ragionevolezza rappresenta il cardine  intorno  a
cui  devono  ruotare  le  scelte  del   legislatore   nella   materia
pensionistica e assurge, per questa sua centralita', a  principio  di
sistema.  Per  assicurare   una   coerente   applicazione   di   tale
principio-cardine negli  interventi  legislativi  che  si  prefiggono
risparmi  di  spesa,  questi  ultimi  devono   essere   accuratamente
motivati, il che significa sostenuti da valutazioni della  situazione
finanziaria basate su dati oggettivi (sentenza n. 70 del 2015,  punto
10 del Considerato in diritto). Le relazioni  tecniche,  illustrative
degli interventi  legislativi  che  nella  materia  previdenziale  si
prefiggono risparmi di spesa, cosi' come  ogni  altra  documentazione
inerente le manovre finanziarie, rappresentano dunque  uno  strumento
per la verifica delle scelte del legislatore (art. 17, commi 3  e  7,
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante «Legge di  contabilita'
e finanza pubblica», e piu'  in  generale  art.  18  della  legge  24
dicembre 2012, n. 243, recante  «Disposizioni  per  l'attuazione  del
principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo  81,  sesto
comma, della Costituzione»). 
    6.5.2. Contrariamente a quanto sostenuto da ben quattordici delle
quindici ordinanze di rimessione (reg. ord. n. 36, n. 101, n. 124, n.
188, n. 237, n. 242, n. 243 e n. 244 del 2016, n. 24, n. 25,  n.  43,
n. 44, n. 77 e n. 78 del 2017), i denunciati commi 25 e  25-bis  sono
il frutto di scelte non irragionevoli del legislatore. 
    Lo scopo dell'intervento  e'  di  «dare  attuazione  ai  principi
enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70  del  2015,
nel rispetto  del  principio  dell'equilibrio  di  bilancio  e  degli
obiettivi di finanza pubblica,  assicurando  la  tutela  dei  livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali,
anche   in   funzione   della   salvaguardia    della    solidarieta'
intergenerazionale» (alinea dell'art. 1, comma 1, del d.l. n. 65  del
2015). Le disposizioni citate trovano dettagliata illustrazione nella
«Relazione»,  nella  «Relazione  tecnica»  e  nella  «Verifica  delle
quantificazioni» relative al disegno di legge di conversione di  tale
decreto (A.C. n. 3134). In tali atti  parlamentari  sono  riferiti  i
dati contabili che confermano l'impostazione seguita dal legislatore,
nel quadro delle regole nazionali e europee. 
    Alla luce di tali  elementi,  deve  ritenersi  che,  diversamente
dalla disciplina oggetto della sentenza n. 70 del 2015,  dal  disegno
complessivo dei denunciati commi 25 e 25-bis emergono con evidenza le
esigenze  finanziarie  di  cui  il  legislatore   ha   tenuto   conto
nell'esercizio  della  sua  discrezionalita'.   Nell'attuazione   dei
principi  di  adeguatezza  e  di  proporzionalita'  dei   trattamenti
pensionistici tali esigenze sono preservate attraverso un  sacrificio
parziale e temporaneo dell'interesse dei  pensionati  a  tutelare  il
potere di acquisto dei propri trattamenti. 
    L'osservanza di tali principi trova  conferma  nella  scelta  non
irragionevole di riconoscere la perequazione  in  misure  percentuali
decrescenti all'aumentare dell'importo  complessivo  del  trattamento
pensionistico, sino a escluderla per i trattamenti  superiori  a  sei
volte il minimo INPS. Il legislatore ha dunque destinato le  limitate
risorse finanziarie disponibili in via prioritaria alle categorie  di
pensionati con i trattamenti pensionistici piu' bassi. 
    Nel valutare la compatibilita' delle misure di adeguamento  delle
pensioni con i vincoli posti dalla finanza pubblica, questa Corte  ha
sostenuto che manovre correttive attuate dal Parlamento  ben  possono
escludere da tale adeguamento le pensioni «di importo  piu'  elevato»
(ordinanza n. 256 del 2001). Nel replicare, in  piu'  occasioni,  una
tale scelta, che privilegia i trattamenti  pensionistici  di  modesto
importo, il legislatore soddisfa un canone  di  non  irragionevolezza
che trova riscontro nei maggiori margini di resistenza delle pensioni
di importo piu' alto rispetto agli effetti dell'inflazione. La stessa
scelta e' confermata con le disposizioni censurate. 
    6.5.3.- Non si puo' ritenere che i denunciati commi 25  e  25-bis
violino il principio di adeguatezza dei trattamenti pensionistici, di
cui all'art. 38, secondo comma, Cost., che impone che  ai  lavoratori
siano garantiti «mezzi adeguati  alle  [...]  esigenze  di  vita»  in
situazioni che, come la vecchiaia, richiedono tutela. 
    6.5.3.1.- Come si e' visto, la lettera e) del denunciato comma 25
prevede l'azzeramento, per gli anni 2012 e 2013, della  rivalutazione
automatica dei trattamenti pensionistici superiori  a  sei  volte  il
minimo INPS. Ai sensi del comma 25-bis  -  censurato  da  alcuni  dei
rimettenti - l'azzeramento, bloccando anche la base  di  calcolo  per
computare  la  perequazione  di  tali  trattamenti   per   gli   anni
successivi, produce effetti negativi per i pensionati. 
    Queste misure, tuttavia,  non  si  ripercuotono  sui  trattamenti
pensionistici superiori a sei volte il minimo INPS in  modo  tale  da
colpirne l'adeguatezza. 
    Dal principio  enunciato  dall'art.  38,  secondo  comma,  Cost.,
infatti,   «non   puo'    farsi    discendere,    come    conseguenza
costituzionalmente necessitata, quella dell'adeguamento  con  cadenza
annuale di tutti i trattamenti pensionistici» (sentenza  n.  316  del
2010). 
    Si  deve  anche  osservare  che  il  blocco  della   perequazione
stabilito per due anni dai denunciati commi 25, lettera e), e 25-bis,
diversamente da quello (di pari durata) previsto dal previgente comma
25 del d.l. n. 201 del 2011, non incide su trattamenti  previdenziali
«modesti»   -   elemento   cui   questa   Corte,    nel    dichiarare
l'illegittimita' costituzionale di quest'ultima  disposizione,  aveva
attribuito  specifico  rilievo   -   ma   soltanto   su   trattamenti
pensionistici di importo medio-alto, quali sono da considerare quelli
di importo complessivo superiore a sei volte  il  trattamento  minimo
INPS (sentenza n. 70 del 2015). 
    Tali  trattamenti,  proprio  per  la   loro   maggiore   entita',
presentano margini di resistenza all'erosione del  potere  d'acquisto
causata dall'inflazione,  peraltro  di  livello  piuttosto  contenuto
negli anni 2011 e 2012, come si evince dalla gia'  citata  «Relazione
tecnica». 
    Si deve  dunque  escludere  che  il  blocco  della  rivalutazione
automatica dei trattamenti superiori a  sei  volte  il  minimo  INPS,
previsto, per gli anni 2012 e 2013, dai denunciati commi 25,  lettera
e),  e  25-bis,  possa  pregiudicare  l'adeguatezza   degli   stessi,
considerati nel loro complesso, a soddisfare le esigenze di vita. 
    Ne' tale valutazione e' inficiata dal fatto -  su  cui  insistono
alcuni dei rimettenti - che il censurato  blocco  della  perequazione
non prevede alcuna forma di recupero  e  produce  i  propri  effetti,
negativi per i pensionati, anche  sulla  perequazione  per  gli  anni
successivi.  La  mancanza  di  forme  di  recupero  e  l'effetto   di
cosiddetto "trascinamento" costituiscono, infatti  -  in  difetto  di
specifiche disposizioni di segno contrario -conseguenze delle  misure
di blocco della perequazione delle pensioni,  come  questa  Corte  ha
sottolineato nella sentenza n. 70 del 2015 (punto 9  del  Considerato
in diritto). 
    6.5.3.2.- Come si e' anticipato, le  lettere  b),  c)  e  d)  del
denunciato comma 25 riconoscono la rivalutazione automatica, per  gli
anni 2012 e 2013, per i trattamenti pensionistici compresi tra quelli
superiori a tre volte e fino a sei volte il trattamento minimo  INPS,
in misura decrescente all'aumentare dei  trattamenti.  Ai  sensi  del
comma 25-bis -  pure  censurato  da  alcuni  dei  rimettenti  -  tale
rivalutazione  automatica  relativa  agli  anni  2012   e   2013   e'
riconosciuta,  ai  fini  del  computo  della  base  di  calcolo   per
quantificare la perequazione negli anni successivi, nelle misure del:
20 per cento negli anni  2014  e  2015;  50  per  cento  a  decorrere
dall'anno 2016. 
    Neanche in questo caso la  disciplina  censurata  puo'  ritenersi
tale da minare l'adeguatezza alle esigenze di  vita  dei  trattamenti
pensionistici compresi tra quelli superiori a tre volte e fino a  sei
volte il minimo INPS. 
    Il riconoscimento della perequazione in  misura  progressivamente
decrescente al crescere dell'importo complessivo di tali  trattamenti
(introdotto dalle lettere b, c  e  d  del  denunciato  comma  25)  si
differenzia dal precedente blocco  della  perequazione  (dettato  dal
previgente comma 25). Siffatti «criteri di progressivita'» sono stati
ritenuti da questa Corte «parametrati sui valori costituzionali della
proporzionalita' e dell'adeguatezza dei  trattamenti  di  quiescenza»
(sentenze n. 173 del 2016 e n. 70 del 2015, entrambe con  riferimento
al comma 483 dell'art. 1 della legge n. 147 del 2013). Essi, infatti,
assicurano   ai   trattamenti    pensionistici    una    salvaguardia
dall'erosione del  potere  d'acquisto  che  aumenta  gradualmente  al
diminuire, con la  riduzione  del  loro  importo,  anche  della  loro
capacita' di resistenza alla stessa erosione. 
    Ribadita  la  discrezionalita'  che  spetta  al  legislatore  nel
bilanciare  l'interesse  dei  pensionati  alla  difesa   del   potere
d'acquisto dei propri trattamenti con le esigenze  finanziarie  dello
Stato,  le  misure  percentualmente  decrescenti  della  perequazione
riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, a  trattamenti  pensionistici
medi (quali devono considerarsi, per quanto detto, quelli superiori a
cinque volte e pari o inferiori  a  sei  volte  il  minimo  INPS)  o,
ancorche' modesti, tuttavia pur sempre superiori a tre  e  a  quattro
volte il trattamento che costituisce  il  «nucleo  essenziale»  della
tutela  previdenziale  (sentenza  n.  173   del   2016),   non   sono
irragionevoli. Esse, infatti, non sono tali  da  poter  concretamente
pregiudicare l'adeguatezza  dei  trattamenti,  considerati  nel  loro
complesso, a soddisfare le esigenze di vita. 
    Ne' a diversa valutazione puo' condurre  il  mero  fatto  che,  a
norma  del  denunciato  comma  25-bis,  gli  incrementi   perequativi
attribuiti per gli anni 2012 e 2013 siano riconosciuti, ai fini della
determinazione  delle  basi  di  calcolo   per   il   computo   della
perequazione  a  decorrere  dal  2014,  nelle  limitate   percentuali
indicate dallo stesso comma. 
    6.5.4.- Deve altresi' escludersi che  i  denunciati  commi  25  e
25-bis violino  il  principio  di  proporzionalita'  dei  trattamenti
pensionistici alla quantita' e qualita' del lavoro prestato,  di  cui
all'art. 36, primo comma, Cost. 
    Nell'applicare il principio di proporzionalita' ai trattamenti di
quiescenza - considerati, come  si  e'  detto,  nella  loro  funzione
sostitutiva del cessato reddito di lavoro - questa Corte ha precisato
che cio' non comporta «un'automatica ed integrale coincidenza tra  il
livello delle pensioni e l'ultima retribuzione, poiche' e'  riservata
al legislatore una sfera di discrezionalita' per l'attuazione»  anche
di tale principio (sentenza n. 70 del 2015, punto 8  del  Considerato
in diritto). 
    Piu' di recente essa ha rimarcato che la  garanzia  dell'art.  38
Cost. e'  «agganciata  anche  all'art.  36  Cost.,  ma  non  in  modo
indefettibile e strettamente  proporzionale»  (sentenza  n.  173  del
2016). Pertanto, la determinazione del  trattamento  pensionistico  e
del suo adeguamento tiene conto anche dell'impegno individuale  nella
quantita' e qualita' del lavoro svolto nella vita attiva. 
    Considerato  l'orientamento  espresso   da   questa   Corte,   le
argomentazioni  sin  qui  spese,  con  riferimento  al  principio  di
adeguatezza di cui all'art. 38, secondo comma, Cost.,  muovono  nella
direzione della non irragionevolezza del  bilanciamento  operato  dai
denunciati commi 25 e 25-bis tra  l'interesse  dei  pensionati  e  le
esigenze  finanziarie  dello  Stato.   Inoltre,   tali   disposizioni
rispettano  il  principio  di  proporzionalita'  dei  trattamenti  di
quiescenza alla quantita' e qualita' del lavoro prestato. 
    In  conclusione,  nella  costante  interazione  fra  i   principi
costituzionali racchiusi negli articoli 3, 36,  primo  comma,  e  38,
secondo comma, Cost., si devono rinvenire i  limiti  alle  misure  di
contenimento della spesa che, in mutevoli contesti  economici,  hanno
inciso  sui  trattamenti  pensionistici.   L'individuazione   di   un
equilibrio fra i valori coinvolti determina la  non  irragionevolezza
delle disposizioni censurate. 
    6.5.5.- La sentenza n. 70 del 2015, nel richiamare la sentenza n.
316 del 2010, ne ha evidenziato le argomentazioni che  conducevano  a
escludere il contrasto dell'art. 1, comma 19, della legge n. 247  del
2007  -  che  aveva  previsto  il  blocco,  per  l'anno  2008,  della
perequazione dei trattamenti pensionistici superiori a otto volte  il
minimo INPS - con i principi di ragionevolezza  e  di  adeguatezza  e
proporzionalita'   delle   prestazioni   previdenziali,   anche    in
considerazione della durata solo annuale di tale  blocco,  della  sua
incidenza su pensioni «di importo  piuttosto  elevato»  e  della  sua
«chiara finalita' solidaristica». Diversamente  da  quanto  affermano
alcuni dei rimettenti, la sentenza n. 70 del 2015 non ha interpretato
tali    caratteristiche    quali    condizioni    indefettibili    di
costituzionalita' delle misure di blocco  (o  di  limitazione)  della
rivalutazione  automatica  dei  trattamenti  pensionistici,   poiche'
ciascuna  di  esse  non  puo'  che  essere   scrutinata   nella   sua
singolarita' e in relazione al quadro storico in cui si inserisce. 
    7.- Va ora esaminata la questione di legittimita' costituzionale,
sollevata dal Tribunale di Brescia  (reg.  ord.  n.  188  del  2016),
dell'art. 1, comma 483, lettera e), della  legge  n.  147  del  2013,
nella  parte  in  cui  disciplina  la  rivalutazione  automatica  dei
trattamenti pensionistici superiori a sei volte il  minimo  INPS  per
l'anno 2014. 
    Tale questione non e' fondata. 
    Con la sentenza n. 173 del 2016, questa Corte ha gia'  dichiarato
l'infondatezza  di  una  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'intero comma 483 dell'art.  1  della  legge  n.  147  del  2013,
sollevata dalla Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale  per  la
Regione Calabria, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali
e con riguardo a  profili  e  argomenti  sostanzialmente  analoghi  a
quelli  prospettati  dal  Tribunale   di   Brescia.   Ancorche'   «la
limitazione   della   rivalutazione   monetaria    dei    trattamenti
pensionistici, per il biennio 2012-2013, di cui al  citato  art.  24,
comma  25,  del  d.l.  n.  201  del  2011  [sia]   stata   dichiarata
costituzionalmente illegittima con sentenza di questa Corte n. 70 del
2015», si e' evidenziato che «questa stessa sentenza (al punto 7  del
Considerato in diritto) ha sottolineato come da quella  norma  (fonte
di un "blocco integrale"  della  rivalutazione  per  le  pensioni  di
importo superiore  a  tre  volte  il  minimo)  si  "differenzi"  (non
condividendone, quindi, le ragioni di incostituzionalita') l'art.  1,
comma 483, della legge 147 del 2013, che,  viceversa,  "ha  previsto,
per il triennio 2014-2016, una rimodulazione nell'applicazione  della
percentuale di perequazione automatica sul complesso dei  trattamenti
pensionistici, secondo il meccanismo di cui  all'art.  34,  comma  1,
della legge n. 448 del 1998, con l'azzeramento per le sole  fasce  di
importo superiore a sei volte il trattamento minimo  INPS  e  per  il
solo  anno  2014",  ispirandosi   "a   criteri   di   progressivita',
parametrati sui valori costituzionali della proporzionalita' e  della
adeguatezza dei trattamenti di quiescenza"». 
    Poiche' - come si e' detto - il  rimettente  non  ha  prospettato
profili o argomentazioni diversi rispetto a quelli gia' sottoposti  a
questa Corte con la citata ordinanza della Corte dei  conti,  sezione
giurisdizionale per la Regione Calabria, che possano  indurre  a  una
differente  pronuncia  sulla  sollevata  questione  di   legittimita'
costituzionale, questa deve essere dichiarata non fondata. 
    8.- Devono ora essere  esaminate  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate da alcuni dei rimettenti in via subordinata. 
    8.1.- La questione promossa dal  Tribunale  ordinario  di  Milano
(reg. ord. n. 124 del 2016) nei confronti del comma 25,  lettere  b),
c), d) ed e), dell'art. 24 del d.l. n. 201 del  2011,  congiuntamente
all'art. 1, comma 483, lettera e), della legge n. 147 del  2013,  non
e' fondata. 
    In primo luogo, appare erroneo il presupposto  interpretativo  da
cui il rimettente muove nel sollevarla. Infatti  -  contrariamente  a
quanto dallo stesso affermato - la denunciata  combinazione  di  piu'
disposizioni non prevede, per i trattamenti pensionistici superiori a
sei volte il minimo INPS, il blocco della  perequazione  «addirittura
[per] un triennio (2012, 2013 e 2014)», ma soltanto  per  il  2012  e
2013, mentre, per il 2014, la lettera e) del comma  483  dell'art.  1
della legge n. 147 del 2013, non dispone il blocco della perequazione
ma la riconosce nella misura del  40  per  cento  per  la  fascia  di
importo non superiore a sei volte il suddetto trattamento minimo. 
    In secondo luogo, l'affermazione del rimettente secondo  cui  «il
legislatore del 2015 [...] non ha minimamente preso in considerazione
la gravosita' del proprio intervento avendo anche riguardo  a  quanto
gia' disposto con la legge di stabilita' per l'anno 2014», oltre  che
meramente assertiva e del tutto indimostrata, trascura di considerare
che il d.l. n. 65 del 2015, nel bilanciare l'interesse dei pensionati
con le esigenze della  finanza  pubblica,  ha  inevitabilmente  avuto
riguardo a quanto gia' previsto dall'art. 1, comma 483,  lettera  e),
della legge n. 147 del 2013, che  incide,  in  generale,  sul  quadro
della  finanza  pubblica.  Inoltre,   e   piu'   specificamente,   la
valutazione degli effetti, su tale quadro, del suddetto  d.l.  n.  65
del 2015 - in particolare,  del  "nuovo"  comma  25-bis  -  dipendeva
completamente dalla misura della  rivalutazione  automatica  prevista
dal comma 483.