Secondo i rimettenti, tali complessive modalita' di  assegnazione
del   premio   al   turno   di   ballottaggio,   senza    correttivi,
comporterebbero il  rischio  che  il  premio  sia  attribuito  a  una
formazione  politica  priva  di  adeguato   radicamento   nel   corpo
elettorale. 
    I giudici a quibus, in sostanza, dubitano  della  conformita'  ai
parametri costituzionali evocati delle previsioni normative  relative
al turno di ballottaggio per l'assegnazione del premio, perche'  -  a
loro dire - il modo in cui tale turno e'  concretamente  disciplinato
determinerebbe  un'alterazione  eccessiva  e   sproporzionata   della
rappresentativita' della Camera dei deputati, in  nome  dell'esigenza
di favorire in Parlamento la formazione di una maggioranza idonea  ad
assicurare uno stabile e saldo sostegno al Governo. 
    In   conseguenza   di   cio',   sollecitano   una   dichiarazione
d'illegittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  1,  lettera  f),
della legge n. 52 del 2015 e degli art. 1 e 83, comma 5,  del  d.P.R.
n. 361 del 1957, come novellati dall'art. 2,  commi  1  e  25,  della
legge n. 52 del 2015: una pronuncia, cioe', che condurrebbe non  gia'
alla  modifica  della  specifica  disciplina  relativa  al  turno  di
ballottaggio, ma alla sua caducazione. 
    In definitiva, nella prospettazione dei Tribunali  rimettenti,  i
tre aspetti del turno di ballottaggio criticamente sottolineati  (una
lista puo' accedere ad esso anche solo raggiungendo il  3  per  cento
dei voti al primo turno; al ballottaggio, la soglia del 50 per  cento
piu' uno dei voti necessari per ottenere il premio e'  calcolata  sui
voti validi espressi e non sugli aventi diritto; non sono  consentiti
apparentamenti o collegamenti tra liste)  costituiscono  argomenti  a
sostegno di una censura volta a ottenere l'eliminazione dello  stesso
turno  di  ballottaggio,  e  non  singoli  profili   d'illegittimita'
costituzionale (come, invece, sembra ritenere  l'Avvocatura  generale
dello Stato, le cui memorie, infatti, oscillano  tra  la  difesa  del
turno di ballottaggio in se', e la distinta  difesa  dell'assenza  di
ciascuno dei tre caratteri individuati dai rimettenti). 
    La questione e' fondata. 
    Come si e' gia' ricordato, ben puo' il legislatore  innestare  un
premio di maggioranza in un sistema elettorale ispirato  al  criterio
del riparto proporzionale di seggi, purche' tale meccanismo  premiale
non sia foriero di un'eccessiva sovrarappresentazione della lista  di
maggioranza relativa (sentenza n. 1 del 2014). 
    Il legislatore ha ritenuto di tener fede alle  indicazioni  della
giurisprudenza costituzionale, sia prevedendo una  soglia  minima  di
voti per l'attribuzione del premio  di  maggioranza,  sia  disponendo
che, qualora nessuna lista raggiunga 340 seggi, si proceda a un turno
di ballottaggio  tra  le  due  liste  piu'  votate.  Se,  come  sopra
affermato   (punto   6),   la   prima   previsione   non    determina
un'irragionevole compressione  della  rappresentativita'  dell'organo
elettivo, sono invece le  concrete  modalita'  dell'attribuzione  del
premio attraverso il turno di ballottaggio a determinare  la  lesione
degli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. 
    Innanzitutto, nel sistema delineato dalla legge n. 52  del  2015,
il turno di ballottaggio non e' costruito come  una  nuova  votazione
rispetto  a  quella  svoltasi  al  primo  turno,  ma  come   la   sua
prosecuzione.  In  questa  prospettiva,  al  turno  di   ballottaggio
accedono le sole due liste piu' votate  al  primo  turno,  senza  che
siano  consentite,  tra  i  due  turni,  forme  di   collegamento   o
apparentamento fra liste. Inoltre, la  ripartizione  percentuale  dei
seggi, anche dopo lo svolgimento del turno di ballottaggio,  resta  -
per tutte le liste diverse da quella vincente, ed  anche  per  quella
che partecipa, perdendo, al ballottaggio - la stessa del primo turno.
Il turno  di  ballottaggio  serve  dunque  ad  individuare  la  lista
vincente, ossia a consentire ad una lista il raggiungimento di quella
soglia minima di voti che nessuna  aveva  invece  ottenuto  al  primo
turno. 
    E' vero - come osserva l'Avvocatura generale dello Stato - che la
soglia minima si innalza, al secondo turno, al 50 per cento piu'  uno
dei voti, ma non potrebbe che essere cosi', dal momento che le  liste
ammesse al ballottaggio sono solo due.  La  legge  n.  52  del  2015,
prevedendo una competizione risolutiva tra due sole liste,  prefigura
stringenti condizioni che  rendono  inevitabile  la  conquista  della
maggioranza assoluta dei voti validamente  espressi  da  parte  della
lista vincente; e poiche', per le caratteristiche gia' ricordate,  il
ballottaggio  non  e'  che  una  prosecuzione  del  primo  turno   di
votazione, il premio conseguentemente attribuito resta un  premio  di
maggioranza, e non diventa un premio di governabilita'.  Ne  consegue
che le disposizioni che disciplinano l'attribuzione di tale premio al
ballottaggio  incontrano  a   loro   volta   il   limite   costituito
dall'esigenza costituzionale  di  non  comprimere  eccessivamente  il
carattere rappresentativo dell'assemblea elettiva e l'eguaglianza del
voto. 
    Il rispetto di  tali  principi  costituzionali  non  e'  tuttavia
garantito dalle disposizioni censurate: una lista  puo'  accedere  al
turno di ballottaggio anche avendo conseguito,  al  primo  turno,  un
consenso esiguo, e ciononostante ottenere il premio, vedendo piu' che
raddoppiati i seggi  che  avrebbe  conseguito  sulla  base  dei  voti
ottenuti al primo turno. Le disposizioni censurate riproducono cosi',
seppure al turno di ballottaggio, un  effetto  distorsivo  analogo  a
quello che questa Corte aveva individuato, nella sentenza  n.  1  del
2014, in relazione alla legislazione elettorale previgente. 
    Il legittimo perseguimento dell'obbiettivo  della  stabilita'  di
Governo, di sicuro interesse costituzionale, provoca in tal  modo  un
eccessivo sacrificio dei due principi costituzionali ricordati. Se e'
vero che, nella legge n. 52 del 2015, il turno di ballottaggio fra le
liste  piu'  votate  ha   il   compito   di   supplire   al   mancato
raggiungimento,  al  primo  turno,  della  soglia   minima   per   il
conseguimento del premio, al fine di  indicare  quale  sia  la  parte
politica destinata a sostenere, in prevalenza, il governo del  Paese,
tale obbiettivo non puo' giustificare uno  sproporzionato  sacrificio
dei principi costituzionali di rappresentativita'  e  di  uguaglianza
del  voto,  trasformando  artificialmente  una  lista  che  vanta  un
consenso  limitato,  ed  in  ipotesi  anche  esiguo,  in  maggioranza
assoluta. 
    Anche in questo caso,  pertanto,  si  conclude  negativamente  lo
scrutinio di proporzionalita' e ragionevolezza  (art.  3  Cost.),  il
quale impone di verificare - anche in ambiti, quale quello in  esame,
connotati  da   ampia   discrezionalita'   legislativa   -   che   il
bilanciamento  dei  principi  e  degli  interessi  costituzionalmente
rilevanti non sia stato realizzato con modalita' tali da  determinare
il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva. 
    Le   disposizioni   censurate   producono   una    sproporzionata
divaricazione tra la composizione di  una  delle  due  assemblee  che
compongono la rappresentanza politica nazionale, centro  del  sistema
di democrazia rappresentativa e della forma di  governo  parlamentare
prefigurati dalla  Costituzione,  da  un  lato,  e  la  volonta'  dei
cittadini espressa attraverso il voto, «che costituisce il principale
strumento di manifestazione della sovranita' popolare secondo  l'art.
1 della Costituzione» (sentenza n. 1 del 2014), dall'altro.  E'  vero
che,  all'esito  del  ballottaggio,  il  premio  non  e'  determinato
artificialmente, conseguendo pur sempre ad un voto degli elettori, ma
se il primo turno dimostra che nessuna lista, da sola, e' in grado di
conquistare  il  premio  di  maggioranza,  soltanto   le   stringenti
condizioni di accesso al turno di ballottaggio conducono,  attraverso
una   radicale   riduzione   dell'offerta   politica,   alla   sicura
attribuzione di tale premio. 
    Inoltre, e' vero che la previsione legislativa  di  un  turno  di
ballottaggio eventuale - basato su una  competizione  risolutiva  fra
due sole liste, finalizzata ad  attribuire  alla  lista  vincente  la
maggioranza  assoluta  dei  seggi  nell'assemblea  rappresentativa  -
innesta tratti maggioritari nel sistema  elettorale  delineato  dalla
legge n. 52  del  2015.  Ma  tale  innesto  non  cancella  la  logica
prevalente  della  legge,  fondata  su   una   formula   di   riparto
proporzionale dei seggi, che resta tale persino per la lista perdente
al ballottaggio, la quale mantiene quelli guadagnati al primo  turno.
Sicche' il perseguimento della finalita' di  creare  una  maggioranza
politica governante in seno all'assemblea rappresentativa,  destinata
ad assicurare (e non solo a  favorire)  la  stabilita'  del  governo,
avviene a prezzo di una valutazione  del  peso  del  voto  in  uscita
fortemente diseguale, al fine dell'attribuzione finale dei seggi alla
Camera, in lesione dell'art. 48, secondo comma, Cost. 
    E' necessario sottolineare che non e' il  turno  di  ballottaggio
fra  liste   in   se',   in   astratto   considerato,   a   risultare
costituzionalmente illegittimo, perche' in radice incompatibile con i
principi costituzionali  evocati.  In  contrasto  con  gli  artt.  1,
secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. sono invece le specifiche
disposizioni della legge n. 52 del 2015, per il  modo  in  cui  hanno
concretamente disciplinato  tale  turno,  in  relazione  all'elezione
della Camera dei deputati. 
    Il turno di voto qui scrutinato - con premio assegnato  all'esito
di un ballottaggio in un collegio unico nazionale con voto di lista -
non  puo'  essere  accostato  alle  esperienze,  proprie   di   altri
ordinamenti, ove al ballottaggio si ricorre, nell'ambito  di  sistemi
elettorali maggioritari, per l'elezione di singoli rappresentanti  in
collegi uninominali  di  ridotte  dimensioni.  In  casi  del  genere,
trattandosi di eleggere un solo rappresentante, il secondo  turno  e'
funzionale all'obbiettivo di ridurre la  pluralita'  di  candidature,
fino ad ottenere la  maggioranza  per  una  di  esse,  ed  e'  dunque
finalizzato, oltre che alla elezione di un solo  candidato,  anche  a
garantirne l'ampia rappresentativita' nel singolo collegio. 
    Appartiene invece ad una logica  diversa  -  presentandosi  quale
istanza  risolutiva  all'interno  di  una   competizione   elettorale
selettiva fra le sole due liste risultate piu' forti, nell'ambito  di
un  collegio  unico  nazionale  -  l'assegnazione  di  un  premio  di
maggioranza,  innestato  su  una  formula  elettorale  in  prevalenza
proporzionale,   finalizzato    a    completare    la    composizione
dell'assemblea rappresentativa, con l'obbiettivo di assicurare (e non
solo di favorire) la presenza, in quest'ultima,  di  una  maggioranza
politica governante. Se utilizzato in un tale contesto, che trasforma
in radice la logica e lo scopo  della  competizione  elettorale  (gli
elettori non  votano  per  eleggere  un  solo  rappresentante  di  un
collegio elettorale di limitate dimensioni, ma per decidere  a  quale
forza  politica  spetti,  nell'ambito  di  un  ramo  del   Parlamento
nazionale, sostenere il governo del Paese), un turno di  ballottaggio
a scrutinio di lista non puo' non essere disciplinato alla luce della
complessiva funzione che spetta ad un'assemblea elettiva nel contesto
di un regime parlamentare. 
    Nella forma di governo parlamentare disegnata dalla Costituzione,
la Camera dei deputati e' una delle  due  sedi  della  rappresentanza
politica  nazionale  (art.  67  Cost.),  accanto  al   Senato   della
Repubblica.  In  posizione  paritaria  con  quest'ultimo,  la  Camera
concede la fiducia al  Governo  ed  e'  titolare  delle  funzioni  di
indirizzo politico (art. 94 Cost.) e  legislativa  (art.  70  Cost.).
L'applicazione di un sistema con turno di ballottaggio risolutivo,  a
scrutinio di  lista,  dovrebbe  necessariamente  tenere  conto  della
specifica funzione e posizione costituzionale di una tale  assemblea,
organo fondamentale nell'assetto democratico dell'intero ordinamento,
considerando che, in una forma di governo parlamentare, ogni  sistema
elettorale, se  pure  deve  favorire  la  formazione  di  un  governo
stabile, non puo' che esser primariamente destinato ad assicurare  il
valore costituzionale della rappresentativita'. 
    Le stringenti condizioni cui la legge n. 52  del  2015  sottopone
l'accesso al ballottaggio non adempiono, si e' detto, a tali  compiti
essenziali. Ma non potrebbe essere questa Corte a modificare, tramite
interventi manipolativi o additivi, le concrete modalita'  attraverso
le quali  il  premio  viene  assegnato  all'esito  del  ballottaggio,
inserendo alcuni, o tutti, i correttivi  la  cui  assenza  i  giudici
rimettenti lamentano.  Cio'  spetta  all'ampia  discrezionalita'  del
legislatore (ad esempio, in relazione alla scelta  se  attribuire  il
premio ad una singola lista  oppure  ad  una  coalizione  tra  liste:
sentenza n. 15 del 2008), al quale  il  giudice  costituzionale,  nel
rigoroso  rispetto  dei  propri   limiti   d'intervento,   non   puo'
sostituirsi. 
    Inoltre,  alcuni  di  questi   interventi   (che,   in   astratto
considerati, potrebbero rendere il turno di ballottaggio  compatibile
con i tratti qualificanti dell'organo rappresentativo nazionale)  non
sarebbero comunque nella disponibilita'  di  questa  Corte,  a  causa
della difficolta' tecnica di restituire, all'esito dello scrutinio di
legittimita' costituzionale, una disciplina elettorale immediatamente
applicabile, complessivamente idonea a garantire l'immediato  rinnovo
dell'organo costituzionale elettivo (da ultimo,  sentenza  n.  1  del
2014). 
    Merita,  infine,   precisare   che   l'affermata   illegittimita'
costituzionale  delle   disposizioni   scrutinate   non   ha   alcuna
conseguenza ne' influenza sulla ben diversa  disciplina  del  secondo
turno prevista nei Comuni di maggiori dimensioni, gia'  positivamente
esaminata da questa Corte (sentenze n. 275 del  2014  e  n.  107  del
1996). Tale disciplina risponde, infatti, ad una logica  distinta  da
quella che ispira la legge n. 52  del  2015.  E'  pur  vero  che  nel
sistema elettorale comunale l'elezione  di  una  carica  monocratica,
quale e' il sindaco, alla  quale  il  ballottaggio  e'  primariamente
funzionale, influisce in parte anche sulla  composizione  dell'organo
rappresentativo. Ma cio' che  piu'  conta  e'  che  quel  sistema  si
colloca  all'interno  di  un  assetto  istituzionale   caratterizzato
dall'elezione diretta  del  titolare  del  potere  esecutivo  locale,
quindi ben diverso dalla forma di governo parlamentare prevista dalla
Costituzione a livello nazionale. 
    Dall'insieme delle considerazioni svolte deriva la  dichiarazione
d'illegittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  1,  lettera  f),
della legge n. 52 del 2015 (dalle parole «o, in mancanza» alle parole
«tra i due turni di votazione»), dell'ultima parte dell'art. 1, comma
2, del d.P.R. n. 361 del 1957 (ossia delle parole «, ovvero a seguito
di un turno di ballottaggio ai sensi dell'art. 83»), e dell'art.  83,
comma 5, dello stesso d.P.R. n. 361 del 1957. 
    La normativa che resta in vigore a seguito della caducazione  del
citato comma 5 dell'art. 83 del d.P.R. n. 361 del 1957  e'  idonea  a
garantire il rinnovo, in  ogni  momento,  dell'organo  costituzionale
elettivo,  cosi'  come  richiesto   dalla   costante   giurisprudenza
costituzionale (oltre alla  gia'  citata  sentenza  n.  1  del  2014,
sentenze n. 13 del 2012, n. 16 e 15 del 2008, n. 13 del 1999,  n.  26
del 1997, n. 5 del 1995, n. 32 del 1993, n. 47 del 1991,  n.  29  del
1987). Infatti, qualora, all'esito del primo turno, la lista  con  la
maggiore cifra elettorale nazionale non abbia ottenuto almeno  il  40
per cento del totale dei voti validi espressi,  s'intende  che  resta
fermo il riparto dei seggi - tra  le  liste  che  hanno  superato  le
soglie di sbarramento di cui all'art. 83, comma  1,  numero  3),  del
d.P.R. n. 361 del 1957 -  ai  sensi  del  comma  1,  numero  4),  del
medesimo art. 83. 
    10.- Il Tribunale  ordinario  di  Messina  solleva  questioni  di
legittimita' costituzionale su alcune parti della disciplina  che  la
legge n. 52 del 2015 prevede in tema di assegnazione dei seggi  e  di
proclamazione degli eletti.  Per  asserita  violazione  dell'art.  56
Cost., sono censurati, in particolare, l'art. 1, comma 1, lettere a),
d) ed e), della legge ricordata, e gli artt. 83, commi 1, 2, 3,  4  e
5, e 84, commi 2 e 4, del d.P.R. n. 361 del 1957, questi ultimi  come
sostituiti dall'art. 2, commi 25 e 26, della medesima legge n. 52 del
2015. 
    Il  rimettente  lamenta  che,  in   virtu'   delle   disposizioni
ricordate,   un   seggio,   da   assegnarsi   in   una    determinata
circoscrizione, potrebbe risultare assegnato in un'altra (ingenerando
un fenomeno di traslazione  di  seggi,  noto  anche  con  il  termine
"slittamento"). Assume che tale esito si porrebbe  in  contrasto  con
l'art. 56 Cost. e si duole, in particolare, della violazione del  suo
quarto comma, il quale prevede che «[l]a ripartizione dei  seggi  tra
le  circoscrizioni  [...]  si  effettua  dividendo  il  numero  degli
abitanti  della  Repubblica,  quale  risulta  dall'ultimo  censimento
generale della popolazione, per  seicentodiciotto  e  distribuendo  i
seggi in proporzione alla popolazione di ogni  circoscrizione,  sulla
base dei quozienti interi e dei piu' alti resti». 
    Nella visione del rimettente, tale norma esprimerebbe i  principi
della rappresentanza cosiddetta territoriale e della  responsabilita'
dell'eletto rispetto agli elettori che lo hanno votato, asseritamente
lesi dalle disposizioni censurate, nelle parti in cui prevedono  che,
se una lista ha  esaurito,  in  una  circoscrizione,  il  numero  dei
candidati potenzialmente eleggibili, i seggi spettanti a quella lista
vengono  trasferiti  in  un'altra  circoscrizione  in  cui  vi  siano
candidati "eccedentari". 
    10.1.-    L'Avvocatura    generale    dello    Stato    eccepisce
l'inammissibilita' delle censure, innanzitutto in quanto il giudice a
quo non avrebbe illustrato la disciplina prevista dalla legge  n.  52
del 2015 in tema di assegnazione dei seggi, limitandosi  a  lamentare
la  «complessita'  tecnica   del   meccanismo   elettorale»   e   «la
farraginosita' della  normativa  censurata  (ampiamente  esposta  nel
ricorso)». In particolare, la difesa statale assume che le  questioni
sarebbero inammissibili in quanto il rimettente avrebbe rinviato  per
relationem al ricorso delle parti. 
    Tale eccezione non e' fondata. 
    Il  rimettente  ha  ricordato  le   doglianze   delle   parti   e
successivamente - sia pure in modo sintetico - ha motivato per  quali
ragioni le ha ritenute  non  manifestamente  infondate  in  relazione
all'art.  56  Cost.  Ha,  cioe',  chiarito  il  senso  della  censura
proposta, sia pure esponendo che la farraginosita'  della  disciplina
censurata era stata lamentata nel ricorso delle parti. In definitiva,
il giudice a quo rinvia all'atto di parte  non  per  l'individuazione
dei  termini  delle  questioni  prospettate  (come   nel   precedente
ricordato dall'Avvocatura generale dello Stato: ordinanza n. 239  del
2012), ma solo con riferimento all'illustrazione  del  meccanismo  di
assegnazione dei seggi. 
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato   eccepisce,   inoltre,   la
manifesta inammissibilita' delle questioni, in quanto  il  rimettente
avrebbe  erroneamente  individuato  le  disposizioni  oggetto   della
questione di legittimita' costituzionale: da  un  lato,  risulterebbe
«troppo ampio» il riferimento all'art. 83, commi da 1 a 5, del d.P.R.
n. 361 del 1957; dall'altro, sarebbe errato il  riferimento  all'art.
84, commi 2 e 4, del medesimo corpus normativo. 
    L'eccezione e' solo in parte fondata. 
    Secondo  costante  giurisprudenza  costituzionale,  e'  possibile
circoscrivere l'oggetto del giudizio di  legittimita'  costituzionale
ad una parte soltanto della o delle disposizioni censurate,  se  cio'
e' suggerito  dalla  motivazione  dell'ordinanza  di  rimessione  (ex
plurimis, sentenze n. 203 del 2016 e n. 84  del  2016).  Per  questo,
l'eccezione e' da  rigettare  nella  parte  in  cui  lamenta  che  il
riferimento all'art. 83, dal comma 1 al comma 5, del  d.P.R.  n.  361
del 1957 risulta eccessivamente ampio: ben si comprende, infatti, che
la censura relativa alla traslazione dei  seggi  tra  circoscrizioni,
nella fase della loro assegnazione,  riguarda  specificamente  l'art.
83, comma 1, numero 8), del d.P.R. n. 361 del 1957. 
    L'eccezione e' invece, fondata per la parte in cui sottolinea che
il Tribunale ordinario di Messina, pur lamentando la possibilita' che
si verifichino casi di traslazione di seggi da una circoscrizione  ad
un'altra, ha erroneamente fatto oggetto di censura anche i commi 2  e
4 dell'art. 84 del d.P.R. n. 361 del 1957, come sostituiti  dall'art.
2, comma 26, della medesima legge n. 52 del 2015,  i  quali,  invece,
consentono che si verifichino traslazioni di seggi, nella fase  della
proclamazione degli eletti, da un collegio plurinominale ad un altro. 
    La traslazione di seggi da una circoscrizione ad  un'altra  nella
fase della proclamazione degli eletti e' infatti consentita dall'art.
84, comma 3, del medesimo d.P.R. n. 361 del 1957. 
    La censura del rimettente, in riferimento all'art. 84, commi 2  e
4, del d.P.R. n. 361 del 1957 e' dunque inammissibile  per  aberratio
ictus (sentenze n. 140 del 2016, n. 216 e n. 157 del 2015;  ordinanze
n. 182, n. 153, n. 47 e n. 24 del 2016, n. 128 del 2015). 
    D'altra parte, anche  a  intenderla  come  rivolta  all'eventuale
traslazione di  un  seggio,  nella  fase  della  proclamazione  degli
eletti, da un collegio plurinominale ad un altro, la censura  sarebbe
inammissibile per assoluta carenza  di  motivazione.  Il  rimettente,
infatti, si limita a lamentare lo slittamento tra  circoscrizioni,  e
soprattutto non si interroga sull'eventualita' che l'art. 56,  quarto
comma,  Cost.  esprima  un  principio   vincolante   anche   per   la
distribuzione dei seggi nei collegi, cioe'  in  relazione  ad  ambiti
territoriali piu' ridotti rispetto alle circoscrizioni. 
    10.2.- Resta dunque da scrutinare nel merito, rispetto  a  quanto
disposto dall'art. 56, quarto comma, Cost., la  questione  avente  ad
oggetto l'art. 83, comma 1, numero 8), del piu' volte  citato  d.P.R.
n. 361 del 1957, che regola l'assegnazione dei seggi tra  le  diverse
circoscrizioni (e non anche tra  i  collegi  plurinominali),  insieme
all'art. 1, comma 1, lettere a), d) ed e),  della  legge  n.  52  del
2015, il quale -  nella  prospettiva  del  rimettente  -  riassume  i
caratteri del sistema elettorale che consentono l'effetto  traslativo
dei seggi qui lamentato. 
    E' utile preliminarmente ricordare che la legge n. 52 del 2015  -
come prevede l'art. 1, comma 1, lettera a) - suddivide il  territorio
nazionale in venti circoscrizioni, a loro volta  ripartite  in  cento
collegi  plurinominali  (fatti  salvi  i  collegi  uninominali  nelle
circoscrizioni Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige), individuati  con
decreto legislativo. 
    L'indicazione del numero dei seggi  da  attribuire  alle  singole
circoscrizioni  e  ai  singoli  collegi  plurinominali  di   ciascuna
circoscrizione spetta, ai sensi dell'art. 3 del  d.P.R.  n.  361  del
1957, ad un decreto del Presidente  della  Repubblica,  da  approvare
contestualmente a  quello  di  convocazione  dei  comizi  elettorali,
«sulla base  dei  risultati  dell'ultimo  censimento  generale  della
popolazione, riportati dalla  piu'  recente  pubblicazione  ufficiale
dell'Istituto nazionale di statistica». 
    Tale operazione  e'  effettuata  prima  dello  svolgimento  delle
elezioni. 
    Il giudice a quo censura,  invero,  il  meccanismo  normativo  di
assegnazione dei seggi alle singole liste  previsto  all'esito  delle
elezioni, sulla base dei voti ottenuti da ciascuna lista  (meccanismo
che, secondo quanto prevede l'art. 1, comma 1, lettera d, della legge
n. 52 del 2015, si fonda  su  una  attribuzione  dei  seggi  su  base
nazionale con il metodo dei quozienti interi e dei piu' alti resti). 
    Secondo tale disciplina, dopo che l'Ufficio centrale nazionale ha
stabilito quanti seggi spettano a ciascuna lista a livello  nazionale
(art. 83, comma 1, numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7, e commi 2, 3, 4, 5  e
6, del d.P.R. n. 361 del 1957), il medesimo  ufficio,  ai  sensi  del
censurato  art.  83,  comma  1,  numero  8),   del   citato   d.P.R.,
distribuisce i seggi nelle varie circoscrizioni,  in  proporzione  al
numero di voti che ogni lista ha ottenuto in ciascuna  di  esse  (con
l'eccezione  delle  circoscrizioni  Trentino-Alto   Adige   e   Valle
d'Aosta). 
    L'ufficio deve quindi verificare - e proprio in questa fase  puo'
verificarsi l'eventualita' della traslazione - se la somma dei  seggi
assegnati alle liste nelle circoscrizioni corrisponda al  numero  dei
seggi loro spettanti a livello nazionale, ovvero se  vi  siano  liste
che, in base al riparto a livello circoscrizionale, ne hanno ottenuti
di piu' (liste  cosiddette  "eccedentarie")  ovvero  di  meno  (liste
cosiddette "deficitarie") rispetto a quelli loro spettanti a  livello
nazionale. 
    In tale secondo caso, l'Ufficio centrale nazionale e' chiamato ad
operare delle correzioni. 
    L'art. 83,  comma  1,  numero  8),  prevede  che  i  seggi  siano
sottratti, a partire dalla lista che ha il maggior  numero  di  seggi
eccedenti (e, in caso di parita', a partire da quella che ha ottenuto
la maggiore cifra elettorale nazionale), proseguendo poi con le altre
liste, in ordine decrescente di seggi eccedenti. 
    L'ufficio sottrae tali seggi nelle circoscrizioni in cui la lista
li ha  ottenuti  con  le  minori  parti  decimali  dei  quozienti  di
attribuzione (ossia, con un numero minore di voti). 
    Quei seggi,  cosi'  sottratti,  sono  assegnati,  nella  medesima
circoscrizione, alle liste deficitarie per le quali le parti decimali
dei quozienti di attribuzione non hanno dato  luogo  all'assegnazione
di alcun seggio (ossia nei casi in cui la lista non  ha  ottenuto  il
seggio perche' il numero di voti conseguiti non e' stato  sufficiente
a raggiungere un quoziente intero). 
    Se non e' possibile che tale compensazione si realizzi secondo le
modalita' appena ricordate - in quanto non vi siano, in una  medesima
circoscrizione, liste deficitarie con parti  decimali  dei  quozienti
inutilizzate - l'Ufficio centrale nazionale deve proseguire,  per  la
stessa lista eccedentaria, nell'ordine dei decimali  crescenti,  fino
ad individuare un'altra circoscrizione all'interno  della  quale  sia
contestualmente possibile sottrarre il seggio alla lista eccedentaria
e assegnarlo a quella deficitaria. 
    Il complesso di tali previsioni -  e  in  particolare  quella  da
ultimo  ricordata  (introdotta,  al  Senato,  nel  corso  dei  lavori
preparatori della  legge  n.  52  del  2015)  -  ha  l'obbiettivo  di
consentire che le compensazioni avvengano all'interno di una medesima
circoscrizione, anche a costo di danneggiare la  lista  eccedentaria,
la  quale  potrebbe  risultare   privata   del   seggio   non   nella
circoscrizione dove ha ottenuto meno voti, ma in quella in cui ne  ha
ottenuti di piu'.  E  tale  operazione  e'  condotta  allo  scopo  di
impedire che le compensazioni  avvengano,  come  piu'  frequentemente
accadeva  nella  vigenza  dei  precedenti  sistemi  elettorali,   tra
circoscrizioni  diverse.  Dunque,  proprio   per   evitare   che   si
verifichino traslazioni di seggi da una circoscrizione ad un'altra. 
    Infatti,  solo  nell'ipotesi  in  cui  -  nonostante   tutte   le
operazioni descritte - permanga  l'impossibilita'  di  effettuare  la
compensazione tra liste eccedentarie e deficitarie  in  una  medesima
circoscrizione, si applica, quale norma di chiusura, la  disposizione
censurata, contenuta  nell'ultimo  periodo  dell'art.  83,  comma  1,
numero 8) («[n]el caso in cui non sia possibile fare riferimento alla
medesima circoscrizione ai fini del  completamento  delle  operazioni
precedenti, fino a concorrenza dei seggi ancora da cedere, alla lista
eccedentaria vengono sottratti i  seggi  nelle  circoscrizioni  nelle
quali essa li ha ottenuti con le minori parti decimali del  quoziente
di attribuzione,  e  alla  lista  deficitaria  sono  conseguentemente
attribuiti seggi nelle altre  circoscrizioni  nelle  quali  abbia  le
maggiori  parti  decimali   del   quoziente   di   attribuzione   non
utilizzate»). 
    Alla luce di tali premesse, la questione non e' fondata. 
    L'Avvocatura generale dello Stato, ai fini del  rigetto,  obietta
che l'art. 56, quarto comma,  Cost.  vincolerebbe  il  legislatore  a
tenere in conto l'entita' della popolazione di  ogni  circoscrizione,
con riferimento specifico alle elezioni della  Camera  dei  deputati,
nella sola fase, preliminare alle elezioni,  della  ripartizione  dei
seggi tra le circoscrizioni. Tale norma costituzionale,  invece,  non
riguarderebbe il meccanismo di assegnazione dei  seggi  alle  singole
liste, effettuato dopo le elezioni. 
    L'obiezione non coglie nel segno. 
    Sostenere che i contenuti precettivi dell'art. 56, quarto  comma,
Cost. si riferiscano soltanto al momento antecedente  alle  elezioni,
ossia alla sola ripartizione dei seggi fra le diverse  circoscrizioni
e non anche alla fase della loro  assegnazione  alle  liste  dopo  le
elezioni, autorizzerebbe il sostanziale aggiramento  del  significato
della norma costituzionale. Essa non si limita, invero, a prescrivere
che i seggi da assegnare a ciascuna circoscrizione siano ripartiti in
proporzione alla popolazione,  prima  delle  elezioni.  Essa  intende
anche impedire che  tale  ripartizione  possa  successivamente  esser
derogata, al momento della assegnazione dei seggi alle diverse  liste
nelle circoscrizioni, sulla base dei voti conseguiti da  ciascuna  di
esse. 
    La  contraria   lettura,   sulla   base   di   un'interpretazione
formalistica dell'art. 56, quarto comma, Cost., potrebbe legittimare,
all'esito del voto, anche consistenti traslazioni  di  seggi  da  una
circoscrizione all'altra, tali da pregiudicare  la  garanzia  di  una
proporzionale distribuzione dei seggi sul territorio nazionale. 
    La non fondatezza della questione, con riferimento allo specifico
sistema elettorale previsto, per la Camera dei deputati, dalla  legge
n.  52  del  2015,  deriva,  piuttosto,  dalla   circostanza,   prima
dimostrata, che  il  complesso  sistema  di  assegnazione  dei  seggi
previsto dalla disciplina introdotta  dalla  legge  n.  52  del  2015
dispiega ampie cautele proprio allo scopo di evitare  la  traslazione
che il giudice a quo lamenta. E dal fatto che  l'effetto  traslativo,
attraverso l'applicazione della disposizione indubbiata, si presenta,
di risulta, solo se il ricorso a quelle cautele si riveli inutile, in
casi limite che il legislatore intende come del tutto residuali. 
    La  non  fondatezza  della  censura   si   rivela,   ancor   piu'
nitidamente, alla luce della necessita' di interpretare  il  disposto
di cui all'art. 56, quarto comma, Cost. in modo non  isolato,  ma  in
sistematica lettura con i principi desumibili dagli  artt.  67  e  48
Cost. 
    Da questo punto di vista, il sistema di  assegnazione  dei  seggi
nelle circoscrizioni previsto dalla  legge  n.  52  del  2015  -  che
ricomprende, quale ipotesi residuale,  la  disposizione  censurata  -
costituisce  l'esito  del  bilanciamento  fra  principi  ed  esigenze
diversi,   non   sempre   tra   loro   perfettamente    armonizzabili
(analogamente, sia  pure  con  riferimento  alla  diversa  disciplina
prevista per l'elezione dei membri italiani del  Parlamento  europeo,
sentenza n. 271 del 2010). 
    Da un lato,  il  principio  desumibile,  appunto,  dall'art.  56,
quarto  comma,  Cost.,  posto  a  garanzia  di   una   rappresentanza
commisurata alla popolazione  di  ciascuna  porzione  del  territorio
nazionale; dall'altro, la necessita' di consentire l'attribuzione dei
seggi sulla base  della  cifra  elettorale  nazionale  conseguita  da
ciascuna lista (soluzione, tra  l'altro,  funzionale  -  nel  sistema
elettorale ora in esame - allo scopo  di  individuare  le  liste  che
superano la soglia di sbarramento del 3  per  cento,  secondo  quanto
previsto anche dall'art. 1, comma 1, lettera e, della legge n. 52 del
2015, nonche' la lista cui  eventualmente  attribuire  il  premio  di
maggioranza); infine l'esigenza di tenere  conto,  nella  prospettiva
degli elettori, del consenso ottenuto da ciascuna lista nelle singole
circoscrizioni, alla luce dell'art. 48 Cost. 
    Il disposto di cui all'art. 56,  quarto  comma,  Cost.  non  puo'
essere infatti  inteso  nel  senso  di  richiedere,  quale  soluzione
costituzionalmente obbligata, un'assegnazione  di  seggi  interamente
conchiusa all'interno delle singole circoscrizioni, senza tener conto
dei voti che  le  liste  ottengono  a  livello  nazionale  (come,  ad
esempio, nel caso di un sistema  elettorale  interamente  fondato  su
collegi uninominali a turno unico; oppure di un sistema proporzionale
con riparto dei seggi solo a livello  circoscrizionale,  senza  alcun
recupero dei resti a livello nazionale). 
    L'art. 56, quarto comma, Cost. non e' preordinato a garantire  la
rappresentanza dei territori in se' considerati (sentenza n. 271  del
2010), ma, come si e' detto,  tutela  la  distinta  esigenza  di  una
distribuzione dei seggi in proporzione alla popolazione delle diverse
parti del territorio nazionale: la Camera resta, infatti, sede  della
rappresentanza politica nazionale (art. 67 Cost.), e la  ripartizione
in circoscrizioni non fa venir meno  l'unita'  del  corpo  elettorale
nazionale,   essendo   le    singole    circoscrizioni    altrettante
articolazioni di questo nelle varie parti del territorio. 
    Con riferimento al sistema elettorale introdotto dalla  legge  n.
52 del 2015, se e' costituzionalmente legittimo  che  il  riparto  di
seggi avvenga a livello nazionale  (eventualita'  che  del  resto  il
giudice a quo non contesta), l'art.  56,  quarto  comma,  Cost.  deve
essere quindi  osservato  fin  tanto  che  cio'  sia  ragionevolmente
possibile,  senza  escludere  la   legittimita'   di   residuali   ed
inevitabili ipotesi di traslazione di seggi da una circoscrizione  ad
un'altra. 
    In definitiva,  il  meccanismo  di  riparto  dei  seggi  previsto
dall'art. 83, comma 1, numero 8), del d.P.R. n.  361  del  1957,  non
viola l'art. 56, quarto comma, Cost., poiche' la  traslazione  di  un
seggio da una circoscrizione ad un'altra costituisce, nella procedura
di  assegnazione  dei   seggi,   un'ipotesi   residuale,   che   puo'
verificarsi, per ragioni matematiche e casuali, solo quando  non  sia
stato possibile,  applicando  le  disposizioni  vigenti,  individuare
nessuna  circoscrizione  in   cui   siano   compresenti   una   lista
eccedentaria ed una deficitaria con parti decimali dei quozienti  non
utilizzati. 
    La questione non e', infine, fondata nemmeno con  riferimento  al
primo comma dell'art. 56 Cost., che contiene il  principio  del  voto
diretto. Quest'ultimo, esigendo che l'elezione dei  deputati  avvenga
direttamente ad opera degli elettori, senza  intermediazione  alcuna,
non viene in considerazione in relazione alle disposizioni censurate. 
    11.- Il Tribunale  ordinario  di  Messina  solleva  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera  g),  della
legge n. 52 del 2015 e degli artt. 18-bis, comma  3,  primo  periodo,
19, comma 1, primo periodo, e 84, comma 1,  del  d.P.R.  n.  361  del
1957, come modificati o sostituiti dall'art. 2, commi 10, lettera c),
11 e 26, della legge n. 52 del 2015. I  parametri  costituzionali  la
cui lesione e' lamentata sono l'art. 48, secondo comma, Cost. e,  nel
solo dispositivo dell'ordinanza di rimessione, gli artt. 1,  primo  e
secondo comma, 2, 51, primo comma, 56, primo e quarto comma, Cost. 
    Le questioni cosi' sollevate investono le previsioni in base alle
quali le liste, nei singoli collegi, sono composte  da  un  candidato
capolista e da un elenco di candidati, tra i quali ultimi  l'elettore
puo' esprimere fino a due preferenze per candidati di  sesso  diverso
scelti tra quelli non capilista. 
    Il giudice a quo, dopo  aver  illustrato  il  sistema  introdotto
dalla legge n. 52  del  2015  e  aver  ricordato  i  contenuti  della
sentenza n. 1 del 2014 di questa Corte,  osserva  che,  in  linea  di
principio, un  sistema  misto  -  «in  parte  blindato  ed  in  parte
preferenziale» - potrebbe ritenersi coerente con  le  indicazioni  di
quella pronuncia. Dubita, tuttavia, che il sistema  cosi'  introdotto
garantisca all'elettore la possibilita' di esprimere un voto diretto,
libero e personale, in quanto, particolarmente per gli  elettori  che
votano per le liste di minoranza, potrebbe concretamente  realizzarsi
un effetto  distorsivo  dovuto  al  formarsi  di  una  rappresentanza
parlamentare largamente dominata dai capilista bloccati, «pur se  con
il correttivo della multicandidatura». 
    Il giudice a  quo,  in  altri  termini,  osserva  che,  con  alta
probabilita', solo la lista che consegue il  premio  otterra'  eletti
con le preferenze, mentre gli eletti nelle liste di minoranza saranno
unicamente o perlopiu' capilista bloccati. E cio',  egli  sottolinea,
pur  con  il  correttivo  della  «multicandidatura»:  il  rimettente,
dunque,  non  intende  censurare  la  disposizione  che  consente  ai
capilista di candidarsi in piu' collegi (al  massimo  dieci),  ma  si
mostra, anzi,  consapevole  del  fatto  che  tale  possibilita'  puo'
produrre l'effetto di liberare seggi per candidati scelti  attraverso
il voto di preferenza  (ad  esempio,  se  una  lista  presenta  dieci
capilista diversi, ciascuno  candidato  in  dieci  collegi,  potrebbe
ottenere, al massimo, dieci eletti senza preferenze; se,  all'estremo
opposto, quella lista presenta un diverso capolista in  ciascuno  dei
cento collegi, potrebbe avere fino a cento eletti senza preferenze). 
    Ciononostante, il rimettente lamenta la violazione della liberta'
del diritto di voto degli elettori delle liste di minoranza.  Mentre,
infatti, la lista che consegue il premio  di  maggioranza,  ottenendo
340 seggi, avra' con certezza  almeno  240  deputati  eletti  con  le
preferenze (e anche di  piu'  se  -  come  detto  -  i  capilista  si
candidano in piu' collegi), alle  liste  perdenti  non  potranno  che
essere attribuiti i restanti 278 seggi  e,  se  tali  liste  sono  in
numero superiore  a  tre,  in  teoria  potrebbero  ottenere  soltanto
deputati eletti senza preferenze. 
    11.1.- Preliminarmente all'esame del merito della  questione,  va
rilevato che sono inammissibili le censure proposte  con  riferimento
agli artt. 1, primo e secondo comma, 2, 51, primo comma, 56, primo  e
quarto comma,  Cost.,  in  quanto  non  motivate,  non  essendo  tali
parametri costituzionali  neppure  evocati  nella  parte  motiva,  ma
esclusivamente nel dispositivo (sentenze n. 59 del 2016, n.  248  del
2015, n. 100 del 2015; ordinanze n. 122 e n. 33 del 2016). 
    Deve  invece  essere  rigettata  l'eccezione   d'inammissibilita'
dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  la  quale  assume  che   la
questione sarebbe posta in modo contraddittorio. Il rimettente,  essa
sostiene, dapprima  avrebbe  affermato  che  la  previsione  di  soli
capilista bloccati e liste corte sarebbe conforme a quanto affermato,
in materia, dalla giurisprudenza di questa Corte, per  poi  lamentare
comunque che le disposizioni censurate si porrebbero in contrasto con
l'art. 48 Cost. in relazione all'elezione dei candidati  delle  liste
di minoranza. 
    Inoltre, per la  difesa  statale,  il  rimettente  avrebbe  cosi'
affermato,   solo   apoditticamente   e   senza   dimostrarlo,    che
risulterebbero eletti «tutti e soli i capilista» di queste ultime. 
    In  realta',  il  giudice  a  quo,   pur   consapevole   che   le
«multicandidature» dei capilista possono attenuare  l'effetto  lesivo
che lamenta - l'elezione di soli candidati bloccati  nelle  liste  di
minoranza  -  ha  tuttavia   ritenuto   prevalenti   le   conseguenze
asseritamente  incostituzionali  delle  disposizioni  censurate,   in
quanto  l'elezione  di  candidati  con  preferenze  sarebbe  comunque
rimessa, per quelle liste, alle scelte dei singoli partiti. 
    11.2.- Cosi' formulata, la questione non e' fondata. 
    Nella sentenza n. 1 del 2014, questa Corte rilevo' che il sistema
allora  vigente  determinava  la  lesione  della  liberta'  del  voto
garantita dall'art. 48, secondo comma, Cost., poiche' non  consentiva
all'elettore alcun  margine  di  scelta  dei  propri  rappresentanti,
prevedendo un voto per una lista composta  interamente  da  candidati
bloccati, nell'ambito di circoscrizioni molto ampie e in presenza  di
liste con  un  numero  assai  elevato  di  candidati,  potenzialmente
corrispondenti   all'intero   numero   dei   seggi   assegnati   alla
circoscrizione, percio' difficilmente conoscibili  dall'elettore.  In
quel  sistema,  alla  totalita'  dei   parlamentari,   senza   alcuna
eccezione, mancava il  sostegno  della  indicazione  personale  degli
elettori, in lesione della logica della rappresentanza prevista dalla
Costituzione. Simili condizioni di voto, che imponevano  all'elettore
di una lista di scegliere in blocco anche tutti i numerosi  candidati
in essa elencati - che non aveva avuto modo ne' di conoscere  ne'  di
valutare  -  percio'  automaticamente  destinati,  in  ragione  della
posizione in lista, a diventare deputati o senatori, rendevano quella
disciplina «non comparabile ne' con altri sistemi  caratterizzati  da
liste  bloccate  solo  per  una  parte  dei  seggi,  ne'  con   altri
caratterizzati   da   circoscrizioni   elettorali    di    dimensioni
territorialmente ridotte, nelle quali  il  numero  dei  candidati  da
eleggere sia talmente esiguo da garantire l'effettiva  conoscibilita'
degli stessi e con essa l'effettivita' della scelta e la liberta' del
voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali)». 
    In  sostanza,  mentre  lede  la  liberta'  del  voto  un  sistema
elettorale con liste bloccate e lunghe di candidati, nel quale e'  in
radice esclusa, per la totalita' degli eletti, qualunque  indicazione
di   consenso   degli    elettori,    appartiene    al    legislatore
discrezionalita' nella scelta della piu' opportuna disciplina per  la
composizione  delle  liste  e  per  l'indicazione   delle   modalita'
attraverso le quali prevedere che gli elettori esprimano  il  proprio
sostegno ai candidati. 
    Alla  luce  di  tali  premesse,  le  disposizioni  censurate  non
determinano  una  lesione  della  liberta'  del  voto  dell'elettore,
presidiata dall'art. 48, secondo comma, Cost. 
    Il sistema elettorale previsto dalla legge  n.  52  del  2015  si
discosta da quello previgente per tre aspetti  essenziali:  le  liste
sono presentate in cento collegi plurinominali di dimensioni ridotte,
e sono dunque formate da un  numero  assai  inferiore  di  candidati;
l'unico candidato bloccato e' il capolista, il cui nome compare sulla
scheda   elettorale   (cio'   che   valorizza   la   sua   preventiva
conoscibilita' da parte degli  elettori);  l'elettore  puo',  infine,
esprimere sino a due preferenze, per candidati di sesso  diverso  tra
quelli che non sono capilista. 
    Ne' e' irrilevante, nella complessiva valutazione di una siffatta
disciplina, la circostanza che la selezione e la presentazione  delle
candidature (sentenze n. 429 del 1995 e n. 203  del  1975),  nonche',
come nel caso di specie, l'indicazione  di  candidati  capilista,  e'
anche espressione  della  posizione  assegnata  ai  partiti  politici
dall'art. 49 Cost., considerando,  peraltro,  che  tale  indicazione,
tanto piu' delicata in quanto  quei  candidati  sono  bloccati,  deve
essere svolta alla luce del ruolo  che  la  Costituzione  assegna  ai
partiti, quali associazioni che consentono ai cittadini di concorrere
con  metodo  democratico   a   determinare,   anche   attraverso   la
partecipazione alle elezioni, la politica nazionale. 
    Si deve, per di  piu',  osservare  che  l'effetto  del  quale  il
giudice a quo  in  prevalenza  si  duole  -  le  liste  di  minoranza
potrebbero avere eletti solo tra i capilista bloccati  -  costituisce
una conseguenza (certo rilevante politicamente) che deriva, di fatto,
anche dal modo  in  cui  il  sistema  dei  partiti  e'  concretamente
articolato, e che  non  puo',  di  per  se',  tradursi  in  un  vizio
d'illegittimita'  costituzionale  (sull'irrilevanza  dei   cosiddetti
inconvenienti  di  fatto  nel  giudizio  costituzionale,  ex  multis,
sentenze n. 219 e n. 192 del 2016; ordinanze  n.  122  e  n.  93  del
2016). 
    Inoltre  e  infine,  come  correttamente   osserva   l'Avvocatura
generale dello Stato, molte sono le variabili in grado di determinare
quanti candidati sono eletti con o senza preferenze: oltre al  numero
dei capilista candidati in piu' collegi, che possono  liberare  seggi
da assegnare ad eletti con preferenze, rileva  anche  la  diffusione,
sul territorio nazionale, del consenso che  ciascuna  lista  ottiene.
L'effetto temuto  presuppone  che  tale  consenso  sia  omogeneamente
diffuso per tutte le liste di  minoranza.  Laddove  esso  sia  invece
concentrato soprattutto in  determinati  collegi,  una  lista  potra'
conseguire, in questi, piu' di un seggio, eleggendo cosi',  oltre  al
capolista, uno o piu' candidati con preferenze. 
    12.- I Tribunali ordinari di Torino, Perugia, Trieste  e  Genova,
con argomenti largamente coincidenti,  ritengono  non  manifestamente
infondata la  questione  di  legittimita'  costituzionale  avente  ad
oggetto l'art. 85  del  d.P.R.  n.  361  del  1957  (come  modificato
dall'art. 2, comma 27, della legge n. 52 del 2015), il quale  prevede
che il deputato eletto in piu' collegi plurinominali deve  dichiarare
alla Presidenza della Camera dei deputati, entro  otto  giorni  dalla
data  dell'ultima   proclamazione,   quale   collegio   plurinominale
prescelga. 
    Secondo i rimettenti, tale  disposizione  consente  al  candidato
capolista, eletto in piu' collegi plurinominali, di optare in base ad
una sua mera  valutazione  di  opportunita',  e  non  subordina  tale
opzione ad alcun criterio oggettivo e predeterminato, rispettoso, nel
massimo grado possibile, della volonta' espressa dagli elettori.  Per
tutti i giudici a quibus,  tale  disciplina  violerebbe  percio'  gli
artt. 3 e 48 Cost., in quanto il  voto  di  preferenza  espresso  nei
confronti di candidati non bloccati verrebbe vanificato nel  collegio
arbitrariamente prescelto dal  candidato  capolista  eletto  in  piu'
collegi: la sua opzione potrebbe, infatti, impedire l'attribuzione di
un seggio ad un candidato che  pure  abbia  ottenuto  molti  voti  di
preferenza, se il capolista sceglie quel collegio; al  contrario,  la
sua scelta potrebbe determinare l'elezione di un candidato che  abbia
ottenuto anche un esiguo consenso  personale,  nel  caso  in  cui  il
capolista non opti per tale collegio. 
    Osserva, in particolare, il Tribunale ordinario di Torino (e  gli
altri rimettenti  in  termini  analoghi)  che  l'arbitrarieta'  della
scelta del collegio da parte del capolista plurieletto  determina  un
effetto di distorsione tra  il  voto  di  preferenza  espresso  dagli
elettori e il suo esito "in uscita" in quel  collegio.  Tale  effetto
sarebbe lesivo dei principi di uguaglianza e liberta' del voto, senza
che  alcun  valore  costituzionale  sia  invocabile  a  tutela  della
disciplina censurata. 
    12.1.- In tutti i  giudizi,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato
eccepisce  l'inammissibilita'  questione.  I  rimettenti   sarebbero,
infatti, incorsi  in  una  contraddizione  nella  formulazione  della
motivazione e del petitum, poiche' avrebbero lamentato  l'assenza  di
vincoli all'esercizio del diritto di opzione del candidato capolista,
evocando percio' un intervento  additivo  o  manipolativo  di  questa
Corte, mentre nel dispositivo avrebbero sollecitato una pronuncia  di
tipo seccamente ablativo della disposizione. 
    Osserva,  inoltre,  la  difesa  statale  come  una  pronuncia  di
accoglimento della questione «determinerebbe  un'inammissibile  vuoto
normativo che potrebbe avere  come  conseguenza  l'impossibilita'  di
applicare la legge nella sua interezza», cio' che,  secondo  costante
giurisprudenza costituzionale, non sarebbe possibile (sono  ricordate
le sentenze della Corte costituzionale n. 13 del 2012  e  n.  29  del
1987). 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Nella sostanza, l'obiezione dell'Avvocatura generale dello  Stato
- ad avviso della  quale  la  questione  dovrebbe  incorrere  in  una
pronuncia   di   inammissibilita'   perche'   sussiste   in   materia
discrezionalita' legislativa, molteplici essendo le soluzioni  idonee
a colmare la lacuna derivante dall'accoglimento e nessuna  risultando
a rime costituzionalmente obbligate - finisce per confondersi con  il
merito stesso della censura, che deve percio' essere affrontato. 
    12.2.- La questione e' fondata. 
    L'assenza nella disposizione censurata di un criterio  oggettivo,
rispettoso della volonta' degli elettori e idoneo  a  determinare  la
scelta del capolista eletto in piu'  collegi,  e'  in  contraddizione
manifesta con la logica  dell'indicazione  personale  dell'eletto  da
parte dell'elettore, che pure la legge n. 52 del  2015  ha  in  parte
accolto, permettendo l'espressione del voto di preferenza.  L'opzione
arbitraria consente al capolista bloccato eletto in piu'  collegi  di
essere titolare non solo  del  potere  di  prescegliere  il  collegio
d'elezione, ma altresi', indirettamente, anche di un improprio potere
di designazione del rappresentante di un  dato  collegio  elettorale,
secondo  una  logica  idonea,  in  ultima  analisi,  a   condizionare
l'effetto utile dei voti di preferenza espressi dagli elettori. 
    Obietta  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  che,  nel  sistema
elettorale proporzionale antecedente al 1993, ai candidati eletti  in
piu' collegi era costantemente  attribuita  una  libera  facolta'  di
scelta del collegio d'elezione. Ricorda, inoltre, la sentenza n.  104
del 2006 di questa Corte, in cui si e' affermato che «[i]l diritto di
optare per una delle  circoscrizioni  nelle  quali  il  candidato  e'
risultato eletto costituisce il modo per consentirgli  di  instaurare
uno specifico legame, in termini di rappresentanza politica,  con  il
corpo degli elettori appartenenti ad un determinato  collegio  ed  e'
esplicazione del diritto di elettorato passivo, garantito a  tutti  i
cittadini dall'art. 51, primo comma, Cost.». 
    A  tali  osservazioni  e'  agevole  replicare  che  nel   sistema
elettorale antecedente al 1993, come pure nel sistema per  l'elezione
dei membri italiani al  Parlamento  europeo,  cui  specificamente  si
riferisce la sentenza invocata, il voto di preferenza  poteva  essere
accordato  a  qualunque  candidato,  il  quale,  se  eletto  in  piu'
circoscrizioni, ragionevolmente poteva scegliere a discrezione quella
in cui essere proclamato. Inoltre,  l'accesso  alle  multicandidature
non era riservato ai capilista, ma anche agli altri candidati. 
    Ben diverso e' il sistema introdotto dalla legge n. 52 del  2015:
in questo, solo i capilista sono bloccati  e  possono  candidarsi  in
piu' collegi, e sono costoro a determinare poi, con la loro  opzione,
l'elezione - o la mancata elezione - di candidati  che  hanno  invece
ottenuto voti di preferenza. 
    Da questo punto di vista, non errano i giudici a  quibus  laddove
lamentano che  l'opzione  arbitraria  affida  irragionevolmente  alla
decisione del capolista il destino del voto  di  preferenza  espresso
dall'elettore nel collegio prescelto,  determinando  una  distorsione
del suo esito  in  uscita,  in  violazione  non  solo  del  principio
dell'uguaglianza ma anche della personalita' del voto, tutelati dagli
artt. 3 e 48, secondo comma, Cost. Ne' la  garanzia  di  alcun  altro
interesse di rango costituzionale potrebbe bilanciare  tale  lesione,
poiche' la libera  scelta  dell'ambito  territoriale  in  cui  essere
eletto - al fine di instaurare uno specifico legame,  in  termini  di
responsabilita' politica, con il corpo degli elettori appartenenti ad
un determinato collegio -  potrebbe  semmai  essere  invocata  da  un
capolista che in quel collegio abbia  guadagnato  l'elezione  con  le
preferenze, ma non certo, ed in ipotesi a danno di candidati  che  le
preferenze hanno ottenuto, da un capolista bloccato. 
    Accertata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 85 del d.P.R.
n. 361 del 1957 (come modificato dall'art. 2, comma 27,  della  legge
n. 52 del 2015) nella parte in  cui  consente  l'opzione  arbitraria,
questa Corte deve riconoscere - nella rigorosa osservanza dei  limiti
dei propri poteri, tanto piu' in  materia  elettorale,  connotata  da
ampia discrezionalita' legislativa (sentenze n. 1 del  2014,  n.  242
del 2012, n. 271 del  2010,  n.  107  del  1996,  n.  438  del  1993;
ordinanza n. 260 del 2002) - che  piu'  d'uno  sono,  in  realta',  i
possibili criteri alternativi, coerenti con la disciplina della legge
n. 52 del 2015 in tema di candidature e voto di preferenza. 
    Infatti, e solo in via  meramente  esemplificativa,  secondo  una
logica  volta  a  premiare  il  voto  di  preferenza  espresso  dagli
elettori, potrebbe stabilirsi che  il  capolista  candidato  in  piu'
collegi  debba  esser  proclamato  eletto  nel  collegio  in  cui  il
candidato della medesima lista - il quale sarebbe eletto in luogo del
capolista - abbia riportato, in percentuale, meno voti di  preferenza
rispetto a quelli ottenuti dai candidati  in  altri  collegi  con  lo
stesso capolista. Ancora, secondo una logica assai  diversa,  tesa  a
valorizzare il  rilievo  e  la  visibilita'  della  sua  candidatura,
potrebbe invece prevedersi che il capolista candidato in piu' collegi
debba essere proclamato eletto in quello dove la rispettiva lista  ha
ottenuto, sempre in percentuale, la  maggiore  cifra  elettorale,  in
relazione agli altri collegi in cui lo stesso si era presentato quale
capolista. 
    La scelta tra questi ed altri possibili criteri, e tra i vantaggi
e i difetti che ciascuno di essi presenta, appartiene alla  ponderata
valutazione del legislatore, e non puo' essere compiuta  dal  giudice
costituzionale. 
    Da tale  considerazione,  pero',  non  consegue  la  rinuncia  al
dovere,  che  questa  Corte  ha,  di  dichiarare   costituzionalmente
illegittima una disposizione che tale  risulti,  nella  parte  che  i
giudici a quibus effettivamente censurano. 
    Infatti, all'esito della caducazione dell'art. 85 del  d.P.R.  n.
361 del 1957, nella parte in cui prevede che il  deputato  eletto  in
piu' collegi plurinominali debba  dichiarare  alla  Presidenza  della
Camera dei deputati quale collegio nominale prescelga, permane, nella
stessa disposizione, quale criterio residuale, quello del sorteggio. 
    Tale criterio e' gia' previsto dalla porzione di disposizione non
coinvolta  dall'accoglimento  della  questione,  e  non   e'   dunque
introdotto ex novo, in funzione sostitutiva  dell'opzione  arbitraria
caducata: e' in realta' cio' che rimane, allo stato,  dell'originaria
volonta'  del  legislatore  espressa  nella   medesima   disposizione
coinvolta dalla pronuncia di illegittimita' costituzionale. 
    Il permanere del criterio  del  sorteggio  restituisce  pertanto,
com'e' indispensabile, una normativa elettorale di risulta anche  per
questa parte immediatamente applicabile  all'esito  della  pronuncia,
idonea  a  garantire  il  rinnovo,  in  ogni   momento,   dell'organo
costituzionale elettivo (da ultimo, sentenze n. 1 del 2014, n. 13 del
2012, n. 16 e n. 15 del 2008). 
    Ma appartiene con evidenza alla responsabilita'  del  legislatore
sostituire tale criterio con altra piu' adeguata  regola,  rispettosa
della volonta' degli elettori. 
    13.- Il  Tribunale  ordinario  di  Genova  solleva  questioni  di
legittimita' costituzionale, per violazione degli  artt.  1,  secondo
comma, 3 e 48, secondo comma,  Cost.,  dell'art.  83,  comma  3,  del
d.P.R. n. 361 del 1957, come sostituito dall'art. 2, comma 25,  della
legge n. 52 del 2015. 
    Il  giudice  a  quo  parrebbe  lamentare  che  il  meccanismo  di
attribuzione dei seggi, nella Regione autonoma  Trentino-Alto  Adige,
determini una violazione  della  rappresentativita'  delle  minoranze
politiche nazionali, nel caso in cui queste non siano  collegate  con
una lista vincitrice di seggi in tale  Regione  a  statuto  speciale.
Poiche'  i  seggi  assegnati  nella   Regione   Trentino-Alto   Adige
concorrono a determinare il numero dei seggi  attribuiti,  a  livello
nazionale, sia alla lista che consegue il premio di  maggioranza  sia
alle liste  di  minoranza;  e  poiche',  in  particolare,  il  numero
effettivo dei seggi da distribuire  tra  le  liste  di  minoranza  e'
variabile, dipendendo da quanti seggi siano  gia'  assegnati  a  tali
liste, purche' collegate con candidati  nei  collegi  uninominali  in
tale Regione, il rimettente sembra assumere che le liste di minoranza
non     collegate     risulterebbero     penalizzate,     concorrendo
all'assegnazione di un numero inferiore di seggi. 
    13.1.-    L'Avvocatura    generale    dello    Stato    eccepisce
l'inammissibilita' della questione per plurime ragioni. 
    Sussisterebbe innanzitutto un difetto di  motivazione  sulla  non
manifesta infondatezza, essendo l'ordinanza di rimessione  assistita,
per questa parte, da argomentazioni sintetiche e  il  giudice  a  quo
sarebbe inoltre incorso in un'aberratio ictus,  avendo  sottoposto  a
censura la sola disposizione che prevede l'assegnazione dei seggi, in
ragione  proporzionale,  alle  liste  che  a  livello  nazionale  non
conseguono il premio - ossia l'art. 83, comma 3, del  d.P.R.  n.  361
del 1957, come modificato dall'art. 2, comma 25, della  legge  n.  52
del 2015 - e non, invece, le disposizioni che  determinano  realmente
l'effetto in  tesi  lamentato,  ossia  gli  artt.  92-bis,  92-ter  e
92-quater (in particolare, il suo comma 7), del  medesimo  d.P.R.  n.
361  del  1957,  i  quali  regolano  l'assegnazione  dei   seggi   in
Trentino-Alto Adige, e che sono stati introdotti dall'art.  2,  commi
29, 30, 31 e 32, della legge n. 52 del 2015 
    Tali  eccezioni  sono  fondate  e  la   questione   e'   pertanto
inammissibile. 
    In primo luogo, le disposizioni produttive dell'effetto lamentato
non sono quelle censurate dal giudice a quo, ma  quelle  diverse  che
correttamente la difesa statale identifica. E' del  resto  lo  stesso
rimettente,  riferendo  la  doglianza  delle   parti   del   giudizio
principale, a ricordare espressamente  che  queste  avevano  eccepito
anche l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 29, 30, 31 e
32, della legge n. 52 del 2015, cioe' proprio delle disposizioni  che
avrebbe dovuto sottoporre a scrutinio di legittimita' costituzionale.
Ma  di  tali  disposizioni  non  e'  riportato,   nell'ordinanza   di
rimessione, nemmeno il contenuto e, soprattutto, il dispositivo della
stessa censura, infine, il solo art. 83, comma 3, del d.P.R.  n.  361
del 1957. 
    In secondo luogo, la prospettazione del rimettente,  che  non  si
da' peraltro carico di illustrare il meccanismo elettorale della  cui
legittimita' costituzionale  dubita,  appare  talmente  sintetica  da
rendere oscura la complessiva censura sollevata (sentenze n. 102  del
2016, n. 247 del 2015; ordinanze n. 227, n. 118, n. 47 e  n.  32  del
2016). Non e' chiarito a quali «minoranze  nazionali»  il  rimettente
intenda riferirsi, ed e' solo presumibile che l'ordinanza alluda (non
gia'  a  minoranze  linguistiche  non  protette  ma)  alle  liste  di
minoranza a livello nazionale, cioe' a minoranze  politiche.  Ancora,
non sono esaurientemente descritte le ragioni per cui tali  liste  di
minoranza risulterebbero discriminate  nell'assegnazione  dei  seggi,
tutte avendo, in linea teorica, la possibilita' di apparentarsi con i
candidati nei collegi uninominali della Regione Trentino-Alto  Adige.
Non  e'  spiegato  per  quali  ragioni   il   meccanismo   elettorale
genericamente lamentato  costituisca  «uno  degli  ulteriori  effetti
indiretti del doppio turno», dal momento che, secondo la legge n.  52
del 2015, una ripartizione proporzionale  dei  seggi  alle  liste  di
minoranza avviene ovviamente anche quando il premio e'  assegnato  al
primo turno. Infine, non si comprende perche' il  rimettente  lamenti
le conseguenze negative derivanti dall'attribuzione di soli tre seggi
in  ragione  proporzionale,  quando  l'effetto  che   presumibilmente
sospetta d'illegittimita' costituzionale deriverebbe, piuttosto,  dal
sistema di distribuzione dei complessivi  undici  seggi  assegnati  a
tale Regione a statuto speciale (otto con sistema maggioritario e tre
con riparto proporzionale). 
    14.- Il Tribunale ordinario di Messina sospetta  l'illegittimita'
costituzionale di due  disposizioni  del  d.lgs.  n.  533  del  1993,
relativo all'elezione del Senato, e in particolare  degli  artt.  16,
comma 1, lettera b), e 17, i quali  stabiliscono  la  percentuale  di
voti che le coalizioni di liste  e  le  liste  non  collegate  devono
conseguire, in ciascuna Regione, per accedere al riparto dei seggi. 
    Nel proprio percorso argomentativo, particolarmente sintetico, il
giudice a quo, dapprima ricorda che  le  disposizioni  relative  alle
soglie di sbarramento previste dal  vigente  sistema  elettorale  del
Senato hanno contenuti diversi rispetto a quelli previsti dalla legge
elettorale n. 52 del 2015 per l'elezione della  Camera,  e  che  tale
differenza  pregiudicherebbe   l'obbiettivo   della   governabilita',
potendosi formare  maggioranze  non  coincidenti  nei  due  rami  del
Parlamento.  Quindi,  assume  la  non  manifesta  infondatezza  della
questione, per violazione degli artt. 1, 3, 48, secondo comma,  49  e
51 Cost., limitandosi a ricordare che la sentenza n. 1  del  2014  di
questa Corte, nel dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  della
disciplina relativa al premio di maggioranza  per  il  Senato,  aveva
affermato che quella disciplina comprometteva il funzionamento  della
forma di governo parlamentare. 
    14.1.-  Cosi'  formulata,  la  questione  e'  inammissibile,  per
insufficiente  motivazione  sulla  non   manifesta   infondatezza   e
oggettiva oscurita' del petitum. 
    Il rimettente solleva questioni  di  legittimita'  costituzionale
sulle  disposizioni  che  prevedono  le  soglie  di  sbarramento  per
l'elezione del  Senato  senza  confrontare  tali  soglie  con  quelle
introdotte dalla legge n. 52 del 2015 (che  neppure  cita),  per  poi
dedurne che la diversita' dei due sistemi elettorali pregiudicherebbe
la formazione di maggioranze omogenee nei due rami del Parlamento, in
asserita lesione dei parametri costituzionali ricordati. 
    Non illustra, tuttavia, le ragioni per cui sarebbero  le  diverse
soglie  di  sbarramento,  e  non  altre,  e  assai  piu'   rilevanti,
differenze riscontrabili tra i due sistemi elettorali (ad esempio, un
premio di maggioranza previsto solo dalla disciplina  elettorale  per
la Camera), ad  impedire,  in  tesi,  la  formazione  di  maggioranze
omogenee nei due rami del Parlamento. 
    Lamenta, inoltre, la lesione di plurimi parametri  costituzionali
(gli artt. 1, 3, 48, secondo comma, 49 e 51 Cost.), dai  contenuti  e
dai significati all'evidenza diversi, senza distintamente motivare le
ragioni  per  le  quali  ciascuno  sarebbe  violato.   Per   costante
giurisprudenza di questa Corte (ex multis, sentenze n. 120 del  2015,
n. 236 del 2011; ordinanze n. 26 del 2012, n. 321 del 2010 e  n.  181
del  2009),  tuttavia,  non  basta  l'indicazione  delle   norme   da
raffrontare, per valutare  la  compatibilita'  dell'una  rispetto  al
contenuto  precettivo  dell'altra,  ma  e'  necessario  motivare   il
giudizio negativo in tal senso e, se del caso, illustrare i  passaggi
interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di
normazione. 
    La  singolarita'  della  prospettazione   risiede   anche   nella
circostanza  che  essa  non  chiarisce  quale   delle   due   diverse
discipline, quanto all'entita' delle soglie di sbarramento,  dovrebbe
essere uniformata all'altra; mentre sembra sfuggire al rimettente che
l'ipotetico  accoglimento  della  questione   sollevata   condurrebbe
semplicemente alla caducazione  delle  censurate  disposizioni  della
legge elettorale del Senato, derivandone il permanere di una distinta
diversita' tra i due sistemi: nessuna soglia di sbarramento a livello
regionale nella disciplina del  Senato,  e  il  mantenimento  di  una
soglia del 3 per cento, calcolata a livello nazionale, per la Camera. 
    15.- Il Tribunale ordinario di Messina solleva, infine, questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 35, della legge  n.
52 del 2015, in  virtu'  del  quale  le  disposizioni  contenute  nel
medesimo art. 2, cioe' quelle che apportano modifiche  al  d.P.R.  n.
361 del 1957, ridisegnando il sistema per l'elezione della Camera dei
deputati, si applicano a decorrere dal 1° luglio 2016. 
    Il giudice a quo ritiene che tale previsione violi gli  artt.  1,
3, 48, primo comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, Cost., in
quanto, «in caso di nuove  elezioni  a  legislazione  elettorale  del
Senato invariata (pur essendo in itinere la riforma costituzionale di
questo ramo del Parlamento), si produrrebbe una situazione di  palese
ingovernabilita', per la coesistenza di due diverse maggioranze». 
    Il rimettente ha sollevato la questione in epoca antecedente  (17
febbraio 2016) all'approvazione in  sede  parlamentare  (avvenuta  in
data 12 aprile 2016) del disegno di legge di revisione costituzionale
finalizzato,  tra  l'altro,  alla  trasformazione  del  Senato  della
Repubblica e al superamento dell'assetto bicamerale  paritario.  Alla
data dell'ordinanza di rimessione, la nuova legge elettorale  per  la
Camera dei deputati era  gia'  entrata  in  vigore.  Il  legislatore,
ipotizzando una rapida  conclusione  del  procedimento  di  revisione
costituzionale, e al fine di evitare la compresenza  di  due  sistemi
elettorali diversi, aveva disposto che tale legge fosse applicabile a
decorrere dal 1° luglio 2016. 
    Il giudice a quo, con prospettazione  peraltro  molto  sintetica,
censura proprio la scelta legislativa di differire l'efficacia  delle
nuove  disposizioni  al  1°  luglio  2016,   anziche'   all'effettiva
conclusione del procedimento di revisione costituzionale. Tale scelta
e' ritenuta lesiva dei parametri  costituzionali  ricordati,  poiche'
consentirebbe, da quella data, che i due rami  del  Parlamento  siano
rinnovati con due sistemi elettorali differenti, sul presupposto  che
questa  difformita'  possa  produrre  maggioranze  parlamentari   non
coincidenti. 
    15.1.- La questione e' inammissibile. 
    Il rimettente si limita a  sottoporre  a  generica  ed  assertiva
critica la diversita' tra i due sistemi  elettorali,  senza  indicare
quali caratteri differenziati di tali  due  sistemi  determinerebbero
«una situazione di palese ingovernabilita', per la coesistenza di due
diverse maggioranze». 
    La  mera  affermazione  di  disomogeneita'  e'  insufficiente   a
consentire l'accesso della censura sollevata allo scrutinio di merito
e alla identificazione di un petitum accoglibile. 
    In secondo luogo, i parametri costituzionali la  cui  lesione  e'
lamentata (ossia gli artt. 1, 3,  48,  primo  comma,  49,  51,  primo
comma, e 56, primo comma, Cost.)  sono  evocati  solo  numericamente,
senza una distinta motivazione delle ragioni per  le  quali  ciascuno
sarebbe  violato.  Vale  anche  in  tal   caso   il   richiamo   alla
giurisprudenza costituzionale (citata supra, punto 14) che sottolinea
come non sia sufficiente l'indicazione delle  norme  da  raffrontare,
per  valutare  la  compatibilita'  dell'una  rispetto  al   contenuto
precettivo  dell'altra,  ma  sia  necessario  motivare  il   giudizio
negativo in tal senso e illustrare i passaggi interpretativi  operati
al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione. 
    Peraltro, non e' nemmeno  lamentata  dal  rimettente  la  lesione
delle due disposizioni costituzionali che dovrebbero  necessariamente
venire in considerazione (cioe' gli  artt.  94,  primo  comma,  e  70
Cost.)  laddove  si  intenda  sostenere  che  due  leggi   elettorali
«diverse» compromettano, sia il funzionamento della forma di  governo
parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana,  nella  quale
il Governo deve avere la fiducia delle due  Camere,  sia  l'esercizio
della funzione legislativa, attribuita  collettivamente  a  tali  due
Camere. 
    15.2.- Fermo restando quanto appena affermato, questa  Corte  non
puo' esimersi dal sottolineare che l'esito del referendum ex art. 138
Cost. del 4 dicembre 2016 ha  confermato  un  assetto  costituzionale
basato sulla  parita'  di  posizione  e  funzioni  delle  due  Camere
elettive. 
    In tale contesto, la Costituzione, se non impone  al  legislatore
di introdurre, per i due  rami  del  Parlamento,  sistemi  elettorali
identici, tuttavia  esige  che,  al  fine  di  non  compromettere  il
corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi
adottati,  pur  se  differenti,  non  ostacolino,   all'esito   delle
elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee.