Ricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri (codice fiscale 80213330584), in persona del Presidente del Consiglio p.t., con il patrocinio dell'Avvocatura Generale dello Stato (codice fiscale 80224030587) - fax: 0696514000 - PEC: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it - presso cui domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 per l'annullamento in parte qua, della legge della regione Campania n. 5 del 6 maggio 2013 pubblicata sul BUR n. 24 del 7 maggio 2013. La legge regionale epigrafata recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della regione Campania (legge finanziaria regionale 2013) all'art. 1, comma 127, lettere b) e c), nell'integrare la legge regionale n. 1/2012 cosi' dispone: «b) al comma 2, dopo le parole: "e' tenuto al pagamento di un indennizzo" sono inserite le seguenti: "alla regione Campania"; c) alla fine del comma 2 sono aggiunte le seguenti parole: "Il 50 per cento degli importi riscossi dai comuni sul demanio marittimo di propria competenza e' assegnato ai medesimi comuni territorialmente competenti e da essi direttamente trattenuto.".». Il nuovo testo del comma 2 dell'art. 12 della legge regionale n. 1/2012 integrato con le modifiche sopra descritte, introdotte dalla legge in esame, cosi' statuisce: «2. Nel caso di utilizzazioni senza titolo di beni demaniali marittimi, di zone del mare territoriale e delle pertinenze del demanio marittimo che comportano mera occupazione di beni demaniali marittimi e relative pertinenze, o la realizzazione di opere di facile rimozione, l'occupante abusivo e' tenuto al pagamento di un indennizzo alla regione Campania pari al tributo regionale dovuto, se in possesso di legittimo provvedimento abilitativo, aumentato del 200 per cento. Nel caso di utilizzazioni difformi dal provvedimento abilitativo, l'indennizzo e' pari al tributo regionale aumentato del 100 per cento. Nel caso di utilizzazioni senza titolo o difformi dal titolo, che comportano la realizzazione di opere inamovibili non legittimate, l'indennizzo da pagare e' pari al valore di mercato del manufatto, aumentato nella misura indicate dai periodi 1 e 2. Rimane ferma l'applicazione delle misure sanzionatorie vigenti, ivi compreso il pagamento dell'indennizzo da corrispondere allo Stato al sensi dell'art. 8 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, in legge 4 dicembre 1993, n. 494 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), nonche' il ripristino dello stato dei luoghi. Il 50 per cento degli importi riscossi dai comuni sul demanio marittimo di propria competenza e' assegnato ai medesimi comuni territorialmente competenti e da essi direttamente trattenuto». Orbene, la suddetta disposizione regionale, che destina alla regione un indennizzo per i casi di utilizzazione dei beni demaniali marittimi in modo difforme dal titolo abilitativo ovvero senza titolo, introduce un indennizzo da parte dell'occupante abusivo a favore della regione che costituisce una duplicazione dell'indennizzo dovuto allo Stato ai sensi dell'art. 8 della legge n. 400/1993. Tale previsione regionale si pone pertanto in contrasto con il menzionato art. 8 della legge n. 400/1993, nonche' con l'art. 1, comma 257, della legge n. 296/2006, e con le disposizioni del codice della navigazione (articoli 32 e seguenti) che riservano allo Stato la potesta' di imposizione e riscossione degli indennizzi in quanto inerenti alle funzioni dominicali spettanti allo Stato in base all'art. 822 del codice civile. Anche la Corte costituzionale (con le sentenze n. 343 del 1995 e n. 150 del 2003) ha chiarito che la spettanza degli introiti delle occupazioni del demanio marittimo e' attribuita unicamente allo Stato, nella sua qualita' di proprietario dei beni. Si segnala inoltre che la circostanza che la previgente formulazione dell'art. 12, comma 2, contenente gia' la previsione di un indennizzo, non sia stata impugnata da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, non ha alcun rilievo poiche' la Corte costituzionale, con la sentenza n. 139/2013, ha affermato che «l'istituto dell'acquiescenza non e' applicabile nel giudizio di legittimita' costituzionale in via principale». La disposizione regionale in esame viola pertanto la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e di sistema tributario di cui all'art. 117, secondo comma, lettere l) ed e), della Costituzione, nonche' l'art. 119, secondo comma, della Costituzione, secondo il quale le regioni debbono stabilire e applicare entrate proprie in armonia con la Costituzione e i principi di coordinamento della finanza pubblica. L'art. 1, comma 140, stabilisce che «Se sono state accertate le violazioni di cui ai commi 138 e 139, l'autorita' competente in materia di VIA, come individuate della normative regionale, puo' disporre la sospensione dei lavori e, valutata l'entita' del pregiudizio ambientale arrecato e quello eventualmente conseguente all'applicazione delle relative sanzioni, puo' disporre a cura e spese del proponente, definendone i termini e le modalita': a) nel caso previsto dal comma 138, la demolizione e ripristino dello stato del luoghi e della situazione ambientale; b) nel caso previsto dal comma 139, l'adeguamento dell'opera o dell'intervento alle prescrizioni impartite». I commi 138 e 139 sopracitati prevedono, altresi', che: «138. Chiunque realizza un'opera o un intervento cui si applicano le disposizioni del titolo III del decreto legislativo n. 152/2006, in assenza della verifica di assoggettabilita' di cui all'art. 20 del medesimo decreto oppure del provvedimento di valutazione di impatto ambientale, e' soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro compresa, in ragione della gravita della violazione, tra un minimo dell'1 per cento e un massimo del 20 per cento del costo di realizzazione del progetto. 139. Chiunque, nella realizzazione di un'opera o di un intervento, viola le prescrizioni impartite in sede di verifica di assoggettabilita' di cui all'art. 20 del decreto legislativo n. 152/2006 oppure del provvedimento di via, nonche' le prescrizioni impartite dalle misure correttive in fase di monitoraggio, e' soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro compresa, in ragione della gravita' della violazione, tra un minimo dell'1 per cento e un massimo del 20 per cento del costo di realizzazione del progetto». La normative regionale in questione nel disporre che la sospensione dei lavori sia rimessa ad una scelta discrezionale dell'autorita' competente, sia nel caso in cui si realizza un'opera o un intervento in assenza della verifica di assoggettabilita' oppure del provvedimento di valutazione di impatto ambientale, sia nel caso in cui si realizza un'opera o un intervento che viola le prescrizioni impartite in sede di verifica di assoggettabilita' oppure del provvedimento di VIA, nonche' le prescrizioni impartite dalle misure correttive in fase di monitoraggio, si pone in contrasto con la normativa statale in materia di VIA disciplinata dal decreto legislativo n. 152/2006. Infatti l'art. 29 di detto decreto legislativo, ai commi 3 e 4, cosi' dispone: «3. Qualora si accertino violazioni delle prescrizioni impartite o modifiche progettuali tali da incidere sugli esiti e suite risultanze finali delle fasi di verifica di assoggettabilita' e di valutazione, l'autorita' competente, previa eventuale sospensione dei lavori, impone al proponente l'adeguamento dell'opera o intervento, stabilendone i termini e le modalita', (...). 4. Nel caso di opere ed interventi realizzati senza la previa sottoposizione alle fasi di verifica di assoggettabilita' o di valutazione in violazione delle disposizioni di cui al presente Titolo III, nonche' nel caso di difformita' sostanziali da quanto disposto dai provvedimenti finali, l'autorita' competente, valutata l'entita' del pregiudizio ambientale arrecato e quello conseguente alla applicazione della sanzione, dispone la sospensione dei lavori e puo' disporre la demolizione ed ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e spese del responsabile, definendone i termini e le modalita'. (...)». Il legislatore nazionale, pertanto, ha rimesso all'autorita' competente la possibilita' e non l'obbligo di sospendere i lavori solo nel caso in cui le opere e gli interventi siano gia' stati sottoposti alle fasi di verifica di assoggettabilita' e di valutazione di impatto ambientale ma si accertino violazioni delle prescrizioni impartite o modifiche sugli esiti e sulle risultante finali delle suddette fasi. Al contrario, nel caso di realizzazione di opere ed interventi realizzati senza previa sottoposizione alle fasi di verifica di assoggettabilita' o di valutazione, l'autorita' competente, valutata l'entita' del pregiudizio ambientale arrecato e quello conseguente alla applicazione della sanzione, ha l'obbligo di disporre la sospensione dei lavori, eventualmente prevedendo la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale. Alla luce delle suddette considerazioni, la legge regionale in esame, dettando disposizioni difformi dalla normativa statale di riferimento viola il principio costituzionale di cui all'art. 117, comma 2, lettera s), che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema». L'art. 1, comma 183, concernente la revisione dei prezzi contrattuali per l'acquisto di beni e servizi, prevede l'adeguamento dei prezzi ai parametri di prezzo-qualita' delle convenzioni Consip, ove migliorativi, soltanto a partire dal primo rinnovo contrattuale successivo alla data di entrata in vigore della legge regionale. Al riguardo, si rileva che la disposizione in rassegna, nel differire alla data di scadenza dei contratti in essere il predetto adeguamento, non appare in linea con le prescrizioni di riduzione della spesa per l'acquisto di' beni e servizi e trasparenza delle procedure introdotte dall'art. 1 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, costituenti principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione. Infatti, per ottenere le predette riduzioni di spesa in tempi brevi, il comma 13 del richiamato art. i introduce, con effetti di automatica inserzione nei contratti in essere, il diritto di recesso della pubblica amministrazione contraente, da esercitarsi prima della scadenza contrattuale nel caso in cui i parametri delle convenzioni stipulate da Consip successivamente alla sottoscrizione del contratto siano migliorativi e l'appaltatore non acconsenta ad una modifica delle condizioni economiche tale da adeguare l'onere contrattuale ai citati parametri. Inoltre sono illegittime ulteriori disposizioni in materia sanitaria. Si premette che la regione Campania ha stipulato in data 13 marzo 2007, ai sensi di quanto previsto dall'art. 1, comma 180, della legge n. 311/2004, l'Accordo sul Piano di rientro dai disavanzi sanitari 2007-2009. Successivamente, a luglio 2009, essendo stato disatteso l'Accordo stipulato dalla regione, il Governo ha esercitato i poteri sostitutivi previsti dall'art. 4, comma 2 del decreto-legge 10 ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, procedendo alla nomina del presidente della regione quale commissario ad acta per la realizzazione del piano di rientro. Con la legge finanziaria 2010 e' stata, poi, concessa alle regioni che si trovavano in gestione commissariale, come la regione Campania, la possibilita' a proseguire il Piano di rientro attraverso programmi operativi, precisandosi ai commi 80 e 95 dell'art. 2 della legge n. 191/2009, che «gli interventi individuati dal Piano sono vincolanti per la regione, che e' obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del richiamato Piano di rientro». Con l'approvazione del citato Accordo, la regione si e' impegnata all'attuazione del suddetto Piano di rientro ed al rispetto della legislazione vigente con particolare riferimento a quanto disposto dall'art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296. In attuazione delle previsioni della legge finanziaria il commissario ad acta per la regione Campania ha adottato il decreto n. 41 del 14 luglio 2010 avente ad oggetto «Approvazione del nuovo Programma operativo per l'anno 2010». Successivamente, con decreto n. 22 del 22 marzo 2011, in attuazione del punto t) del mandato commissariale, conferito con delibera del Consiglio dei Ministri del 24 aprile 2010, ha approvato il Piano sanitario regionale 2011-2013 in coerenza con il decreto n. 49 del 29 settembre 2010, adottato in attuazione del punto c) del mandato commissariale. Il Tavolo per la verifica degli adempimenti ed il Comitato LEA nella riunione del 26 ottobre 2010 hanno prospettato un forte disavanzo non coperto per l'anno 2010 a causa della non completa attuazione del Programma operativo 2010 ed hanno invitato il commissario ad approvare entro l'anno il Programma operativo 2011-2012. Il commissario ha trasmesso il 6 aprile 2011 il Programma operativo 2011-2012. Nelle more, il risultato di gestione per l'anno 2010 ha registrato, nella riunione dei Tavoli tecnici del 14 aprile 2011, un disavanzo non coperto di 248,888 mil. di euro. Questo disavanzo ha determinato, per la regione Campania, l'applicazione degli automatismi fiscali previsti dall'art. 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004, vale a dire «l'ulteriore incremento delle aliquote fiscali di IRAP e addizionale regionale all'IRPEF per l'anno d'imposta in corso, rispettivamente nelle misure di 0,15 e 0,30 punti, l'applicazione del blocco automatico del turn over del personale del servizio sanitario regionale fino al 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in corso e l'applicazione del divieto di effettuare spese non obbligatorie per il medesimo periodo». La suddetta norma statale stabilisce, inoltre, che gli atti emanati e i contratti stipulati in violazione dei predetti vincoli sono nulli. Dispone altresi' che in sede di verifica annuale degli adempimenti la regione certifichi il rispetto dei vincoli medesimi. La Corte costituzionale ha gia' avuto modo di pronunciarsi in materia di piani di rientro dal disavanzo sanitario e di gestione commissariale degli stessi. In particolare, con la sentenza n. 100/2010 nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della regione Campania 28 novembre 2008, n. 16, recante «Misure straordinarie di razionalizzazione e riqualificazione del sistema sanitario regionale per il rientro dal disavanzo», ha affermato che una norma statale (vedasi l'allora vigente art. 1, comma 796, lettera b) della legge n. 296 del 2006) ha reso vincolanti, per le regioni che li abbiano sottoscritti, gli interventi individuati negli atti di programmazione «necessari per il perseguimento dell'equilibrio economico, oggetto degli accordi di cui all'art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ivi compreso l'Accordo intercorso tra lo Stato e la regione Campania». La Corte ha affermato, inoltre, che la suddetta norma statale che assegna a tale Accordo carattere vincolante, per le parti tra le quali e' intervenuto, puo' essere qualificata come espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica. La Corte costituzionale inoltre, con la sentenza n. 78/2011, ha avuto modo di «rammentare - come gia' sottolineato in passato con la sentenza n. 193 del 2007 - che l'operato del commissario ad acta, incaricato dell'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e la regione interessata, sopraggiunge all'esito di una persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti - malgrado il carattere vincolante dell'accordo concluso dal presidente della regione - ad un'attivita' che pure e' imposta dalle esigenze della finanza pubblica (art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007)». E', dunque, proprio tale dato - in uno con la constatazione che l'esercizio del potere sostitutivo e', nella specie, imposto dalla necessita' di assicurare la tutela dell'unita' economica della Repubblica, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale qual'e' quello alla salute (art. 32 Cost.) - a legittimare la conclusione secondo la quale le funzioni amministrative del commissario ad acta, ovviamente fino all'esaurimento dei suoi compiti di attuazione del piano di rientro, devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali. Cio' premesso, la legge in esame, dal punto di vista sanitario, presenta i seguenti profili di illegittimita' costituzionale: L'art. 1, comma 36, lettera c): sostituisce il comma 237-decies del predetto art. 1 della legge regionale n. 4/2011, prevedendo quanto segue: «Alle strutture sanitarie e socio-sanitarie private che hanno presentato domanda di accreditamento istituzionale definitivo ai sensi del comma 237-quinquies e hanno dichiarato di essere in possesso dei requisiti di cui al comma 237-sexies, al fine di assicurare i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal piano sanitario nazionale e il rispetto dei principi fondamentali in materia di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie di cui al Titolo II del decreto legislativo n. 502/1992, si applica, in via transitoria, il regime vigente alla data del 31 dicembre 2010, fino all'adozione ai sensi del comma 237-duodecies dei decreti commissariali di rilascio o di rigetto dell'accreditamento istituzionale definitivo». Tale disposizione si pone in netto contrasto con la normativa statale in materia di accreditamento. Occorre infatti rilevare che essa, prorogando, di fatto, il regime dell'accreditamento provvisorio, procrastina - peraltro in maniera indefinita - i termini per la conclusione del processo di accreditamento definitivo, previsti dall'art. 1, comma 796, lettera t) della legge n. 296/2006, secondo cui «le regioni provvedono ad adottare provvedimenti finalizzati a garantire che dal 10 gennaio 2011 cessino gli accreditamenti provvisori delle strutture private ospedaliere e ambulatoriali, di cui all'art. 8-quater, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, non confermati dagli accreditamenti definitivi di cui all'art. 8-quater, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 502 del 1992; le regioni provvedono ad adottare provvedimenti finalizzati a garantire che dal 10 gennaio 2013 cessino gli accreditamenti provvisori di tutte le altre strutture sanitarie e socio-sanitarie private, nonche' degli stabilimenti termali come individuati dalla legge 24 ottobre 2000, n. 323, non confermati dagli accreditamenti definitivi di cui all'art. 8-quater, comma 1, del decreto legislativo n. 502 del 1992». A tal riguardo, si osserva che la Corte costituzionale, ha chiarito che tali termini, definiti dalla legislazione statale per il passaggio dall'accreditamento provvisorio all'accreditamento definitivo, sono «espressione di un principio fondamentale che le regioni sono tenute a rispettare» (sent. n. 292/2012), peraltro, la norma regionale in questione, non chiarendo le modalita' con cui il titolo di accreditamento verra' poi concesso alle strutture, ne' definendo il termine ultimo entro il quale dovranno essere emanati i decreti commissariali di rilascio o di rigetto dell'accreditamento istituzionale definitivo, vanifica le finalita' di tutela della salute dei cittadini, che sono insite nella disciplina dell'accreditamento, cosi' come previsto dalla normativa statale. Essa prevede infatti, che l'accreditamento definitivo possa essere rilasciato dalla regione alle strutture che siano gia' state precedentemente autorizzate, solo «subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalita' rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e alla verifica positiva dell'attivita' svolta e dei risultati raggiunti» (art. 8-quater, comma 1, del decreto legislativo n. 502/1992). Come efficacemente ricostruito dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 292/2012, il legislatore statale ha previsto «un passaggio graduale dal sistema precedente (convenzionale, basato sul pagamento dei fattori produttivi) a quello nuovo (basato sul pagamento delle prestazioni, previo accreditamento delle strutture). Si e' cosi' previsto un «accreditamento temporaneo» (art. 6, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, recante «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) per le strutture precedentemente convenzionate che avessero accettato il sistema di pagamento a prestazione, nonche' un "accreditamento provvisorio" per le strutture nuove, o per attivita' nuove in strutture accreditate per altre attivita', in attesa della verifica del volume e della quantita' delle prestazioni (art. 8-quater, comma 7, del decreto legislativo n. 502 del 1992)». Il giudice delle leggi ha quindi rilevato che «conseguenza della discipline transitoria di cui sopra [...] e' il fatto che, in attesa che si perfezioni il procedimento di verifica, potrebbero operare, addirittura in regime di accreditamento (temporaneo o provvisorio), strutture che poi si vedano negare, per mancanza dei requisiti, l'accreditamento definitivo o l'autorizzazione all'esercizio di ulteriori attivita' sanitarie; cio' sia in ragione di difetti strutturali, sia in conseguenza di eventuali violazioni del tetti di spesa. Per questo, il legislatore statale ha previsto che le regioni avviino una procedure di accreditamento (definitivo o istituzionale) anche per le strutture temporaneamente accreditate [oltre che per quelle provvisoriamente accreditate] (art. 8-quater, comma 6, del decreto legislativo n. 502 del 1992), da concludersi inderogabilmente entro un termine finale stabilito della legge». Tutta la discipline dell'accreditamento e' infatti strumentale a far si che possano operare «per conto» del Servizio sanitario nazionale solo quelle strutture che, in ragione del possesso di determinati requisiti, garantiscano, a tutela della salute del cittadini, un'assistenza di qualita', in condizioni di sicurezza e in coerenza con gli indirizzi di programmazione. La norma regionale in questione, invece, procrastinando ulteriormente il regime dell'accreditamento provvisorio, non rispetta i limiti temporali previsti della legislazione statale per la conclusione del processo di accreditamento definitive, cosi' violando l'art. 117, comma 3 della Costituzione per contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute. L'art. 1, comma 36, lettera e), sostituisce il precedente art. 1, comma 237-duodecies della legge regionale n. 4/2011, disciplinando le azioni di verifica circa il possesso dei requisiti per l'accreditamento definitivo, da parte delle strutture interessate. Tale norma presenta diversi profili di illegittimita'. In primo luogo, essa dispone che le procedure di verifica cosi' disciplinate debbano effettuarsi entro «centoquaranta giorni della adozione del decreto commissariale previsto dal comma 237-undecies» dell'art. 1, della predetta legge regionale n. 4/2011. Quest'ultimo comma, che e' stato a sua volta modificato dall'art. 1, comma 36, lettera d) della legge regionale in esame, dispone ora che «Con decreto del commissario ad acta per la prosecuzione del Piano di rientro del settore sanitario, che e' adottato entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, si provvede alla ricognizione delle istanze regolarmente presentate al sensi del comma 237-quinquies». Appare chiaro che il legislatore regionale, nel dettare una nuova procedura per la verifica dei requisiti (attraverso la modifica del comma 237-duodeciesm), abbia voluto riaprire i termini per la conclusione della stessa (prevedendo, infatti, che la stessa debba concludersi entro centoquaranta giorni dall'adozione del decreto commissariale di cui al comma 237-undecies, il quale prevede, a sua volta, che quest'ultimo debba essere adottato entro dieci giorni dalla «data di entrata in vigore della presente legge (da intendersi «disposizione»). Stando cosi' le cose, non si puo' non rilevare, anche in questo caso, la violazione dei termini previsti dalla legislazione statale per la conclusione del processo di accreditamento definitivo (di cui al predetto art. 1, comma 796, lettera t) della legge n. 296/2006). Gia' solo per questo, quindi, si deve rilevare la violazione dell'art. 117, comma 3 della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali in materia di «tutela della salute». In secondo luogo, la disposizione in esame presenta ulteriori profili di illegittimita', in quanto essa si limita a prevedere che, all'esito negativo delle verifiche, il commissario ad acta rigetta, con proprio decreto, la domanda di accreditamento definitivo, senza alcun riferimento alla sospensione o alla revoca dell'accreditamento provvisorio, come invece previsto dal combinato disposto dell'art. 8-quater, comma 7 del decreto legislativo n. 502/1992 e dal predetto art. 1, comma 796, lettera 7) della legge n. 296/2006. Infine si osserva che le azioni di verifica previste dalla disposizione regionale in esame non appaiono adeguate poiche' limitate alla valutazione dei soli atti documentali, mentre i requisiti autorizzativi e di accreditamento devono essere verificati anche mediante accessi diretti in loco come si desume dai criteri cui la regione deve conformarsi, ex art. 8-quater, comma 4, decreto legislativo n. 502/1992, nel definire il procedimento per la verifica dei requisiti. Sempre nel merito della disciplina cosi' dettata dal legislatore regionale, occorre rilevare un ulteriore profilo di illegittimita' dell'art. 1, comma 36, lettera e), nella parte in cui prevede che «nel caso di mancato rispetto del termine di centoquaranta giorni per la verifica del possesso dei requisiti ulteriori previsti dalla normativa vigente e richiesti per l'accreditamento istituzionale, i direttori generali delle aziende sanitarie della regione Campania decadono». Tale norma contrasta con l'art. 3-bis, comma 7 del decreto legislativo n. 502/1992 e successive modificazioni, che individua specifiche cause di decadenza del direttore generale, quali: gravi motivi, la situazione di grave disavanzo, la violazione dileggi e del principio di buon andamento e di imparzialita' dell'amministrazione. In tal caso, ai sensi dell'articolo citato, la regione risolve il contratto dichiarando la decadenza del direttore generale e provvedendo alla sue sostituzione, peraltro nel rispetto della procedura ivi prevista (es. acquisizione del parere della Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale). Inoltre la disposizione regionale in esame appare irragionevole, in quanto sanziona i direttori generali per inadempienze che non sono imputabili agli stessi, bensi' alle commissioni locali che, ai sensi della medesima norma regionale, devono effettuare le verifiche. Per tutti questi motivi e' da ritenere che anche le lettere d) ed e) dell'art. 1, comma 36, della legge regionale in esame, violino l'art. 117, comma 3 della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute e, in particolare, di accreditamento e di requisiti di decadenza del direttori generali. L'art. 1, comma 44, lettera a) della legge in esame, che modifica il comma 244 dell' art. 1 della legge regionale n. 4/2011, prevede l'adozione di un regolamento regionale per l'organizzazione dell'ARSAN, quale struttura tecnica di supporto all'attivita' della giunta stessa e del consiglio regionale in materia sanitaria. Si segnala, preliminarmente, che l'articolo in esame, nella formulazione introdotta dall'art. 1, comma 244, legge regionale n. 4/2011, che gia' prevedeva l'adozione di un regolamento regionale per l'organizzazione dell'ARSAN, quale struttura tecnica di supporto all'attivita' della giunta stessa oggetto di impugnazione pendente dinanzi alla Corte costituzionale per violazione degli articoli 117, terzo comma, 118, e 120, secondo comma, della Costituzione. Pertanto, la disposizione regionale in esame e' censurabile per le stesse motivazioni deliberate in riferimento al citato art. 1, comma 244, della legge regionale n. 4/2011 di seguito riportate: «Il configurarsi dell'ARSAN, che e' un ufficio strumentale al fini dell'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario e dei programmi operativi di prosecuzione dello stesso, esclusivamente quale struttura tecnica di supporto all'attivita' degli organi regionali interferiscono con le funzioni attribuite al commissario ad acta dall'art. 4, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 159/2007, in violazione dell'art. 120, comma 2, della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 117 e 118 della Costituzione. Inoltre ponendo in capo alla giunta regionale interventi in materia sanitaria che contrastano con le previsioni contenute nell'Accordo del 13 marzo 2007 e nel relativo Piano di rientro dal disavanzo sanitario, violano i principi di coordinamento della finanza pubblica di cui all'art. 117, comma 3, Cost., contenuti nei commi 80 e 95 dell'art. 2 della legge n. 191/2009». L'art. 1, comma 51, prevede che: «il Ceinge (Biotecnologie avanzate societa' consortile srl), organismo di diritto pubblico ai sensi del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione alla direttiva 2004/17/CE e alla direttiva 2004/18/CE - Codice degli appalti), e' centro regionale di riferimento per la diagnostica di biologia molecolare clinica e delle malattie congenite del metabolismo e delle malattie rare. Con decreto del commissario ad acta per il piano di rientro dal disavanzo sanitario, e' stabilito il finanziamento alle attivita' assistenziali sulla base del tariffario regionale. Il finanziamento, modificabile annualmente in base ad eventuali e motivati fabbisogni integrativi, e' erogato a partire dall'anno 2013, mediante convenzioni quinquennali con la regione Campania. Per colmare la carenza dell'offerta della rete laboratoristica regionale, il Ceinge puo' presentare domanda di accreditamento istituzionale, previa verifica di rispondenza ai requisiti di qualificazione richiesti. I contratti sono stipulati nei limiti fissati da appositi provvedimenti commissariali. Il predetto istituto opera sulla base di accordi istituzionali in coerenza e nei limiti dei vincoli finanziari previsti dal piano di rientro e connessi programmi operativi e comunque fatte salve le spettanza di cui alle poste dei bilanci regionali degli anni 2009, 2010, 2011 e 2012.». A tal riguardo si osserva che la predetta disposizione, nel prevedere il finanziamento alle attivita' assistenziali sulla base del tariffario regionale, di una struttura quale il CEINGE che, come reso evidente dalla stessa norma, non e' ancora accreditato (tant'e' che il legislatore regionale si fa carico di precisare che esso «puo' presentare domanda di accreditamento istituzionale previa verifica di rispondenza ai requisiti di qualificazione richiesti»), contrasta con la normativa statale di cui agli articoli da 8-bis ad 8-sexies del citato decreto legislativo n. 502/1992, dai quali emerge che le strutture che erogano prestazioni sanitarie possono essere poste «a carico» del Servizio sanitario nazionale solo dopo stipulazione di appositi accordi contrattuali con le strutture interessate, i quali, a loro volta, presuppongono che le stesse siano state previamente accreditate. In altri termini, l'accreditamento (che, a sua volta, implica la previa autorizzazione) consente alla struttura accreditata di operare «per conto» del Servizio sanitario nazionale. Per poter operare anche «a carico» dello stesso, invece, e' necessaria la stipulazione di un apposito «accordo contrattuale», il quale, pero', non puo' intervenire in assenza dell'accreditamento, che pertanto deve necessariamente precedere, temporalmente parlando, l'erogazione delle prestazioni poste a carico del Servizio sanitario nazionale. Per questi motivi e' da ritenere che l'art. 51, comma 1 della legge regionale in esame violi l'art. 117, comma 3 della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute.