IL TRIBUNALE ORDINARIO DI GROSSETO Ufficio Penale Dibattimentale Monocratico Insediato in funzione di giudice della cautela accessiva al giudizio ordinario di cognizione in corso con rito dibattimentale ordinario nel procedimento iscritto al n. 16/2014/1153 del registro generale degli affari penali di questo Tribunale; Visti gli atti relativi alla richiesta depositata in data 9 dicembre 2014 con cui il pubblico ministero chiede applicarsi, mediante emissione di mandato di arresto europeo, la misura cautelare personale coercitiva custodiale domiciliare nei confronti dell'imputata F.A. (n. 20.09.1968 in Austria ed ivi attualmente residente e dimorante) sulla base della contestazione del delitto di cui all'art. 574-bis c.p. ascrittole per avere condotto e trattenuto in Austria, a partire dal settembre dell'anno 2012, i due figli minori N. E. (n.) e N. D. (n.) contro la volonta' del padre N. R. impedendo totalmente a quest'ultimo l'esercizio della potesta' genitoriale; peraltro commettendo il fatto (donde la concorrente contestazione del delitto continuato di cui agli artt. 81 e 388, comma 2 c.p.) in violazione dei provvedimenti del Tribunale per i minorenni di Firenze in data 7 aprile 2011 (che aveva disposto l'affidamento condiviso dei figli con collocamento presso la madre ed obbligo di "garantire l'attuale ambiente di vita" in Roccastrada) e in data 28 febbraio 2012 (che aveva disposto l'affidamento condiviso dei figli con loro collocamento presso il padre); Ritenuto in Fatto I. - Nel presente procedimento penale, iscritto in data 17 maggio 2012 al n. 21/2012/1890 del registro delle notizie di reato del locale ufficio del pubblico ministero, dopo la proroga delle indagini preliminari e la chiusura delle medesime con relativo avviso di conclusione emesso in data 10 gennaio 2014 veniva esercitata l'azione penale formalizzata nel decreto emesso in data 14 marzo 2014 in funzione di citazione diretta dell'imputata al giudizio ordinario dibattimentale. Nelle more della celebrazione della udienza di comparizione dinanzi al giudice del dibattimento, veniva emessa dal giudice per le indagini preliminari ordinanza cautelare personale prescrittiva del divieto di espatrio in data 1° settembre 2014, tuttavia oramai ineseguibile poiche' l'espatrio dell'imputata era gia' avvenuto. In data 3 ottobre 2014 veniva tenuta l'udienza introduttiva del dibattimento (riservata alla costituzione delle parti, alla trattazione delle questioni preliminari e dei riti speciali ed alla introduzione probatoria) con rinvio della trattazione istruttoria, da eseguirsi mediante assunzione probatoria di rito dibattimentale ordinario, alla successiva udienza la cui data di celebrazione, sulle insistenze della persona offesa dal reato, veniva poi anticipata dal giudice al giorno 21 luglio 2015 con apposito provvedimento. II. - In seguito ad ulteriori postulazioni presentate in data 20 novembre 2014 dalla suddetta persona offesa al pubblico ministero, quest'ultimo in data 9 dicembre 2014 depositava presso questo ufficio richiesta cautelare personale coercitiva detentiva domiciliare con cui, in relazione al contestato delitto di sottrazione e trattenimento di minori all'estero punito a norma dell'art. 574-bis c.p. con pena della reclusione da uno a quattro anni, chiedeva applicarsi all'imputata la misura degli arresti domiciliari: sulla base del fumus delicti che veniva prospettato al giudice dibattimentale - non esistendo, in ragione dello stadio processuale in atto, alcun elemento di prova a carico di qualsivoglia natura od importanza che risultasse ancora legittimamente acquisito al fascicolo per il dibattimento in funzione dimostrativa dell'ipotesi accusatoria - alla stregua delle sole risultanze degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, consistente in un faldone di incartamenti composto da circa 400 fogli che veniva appositamente trasmesso in allegato alla richiesta cautelare; sulla base del periculum in mora riferibile al pericolo di recidivanza specifica ed anzi alla esigenza di interrompere la stessa protrazione temporale della condotta criminosa attualmente in corso di consumazione in permanenza, che dovrebbero desumersi alla stregua della valutazione delle risultanze degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero appositamente trasmesso; postulandosi la adeguatezza della misura in funzione della soddisfazione della esigenza specialpreventiva - referenziata nella inidoneita' del pregresso provvedimento di divieto cautelare di espatrio tardivamente adottato quando l'imputata gia' si trovava all'estero nonche' nella indisponibilita' da costei gia' ripetutamente manifestata alla spontanea osservanza ai provvedimenti giudiziari dell'autorita' italiana - che dovrebbe desumersi sempre alla stregua della valutazione delle risultanze degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero appositamente trasmesso; postulandosi la proporzionalita' della misura alla entita' del fatto ed alle sanzioni penali irrogabili nel caso di condanna dibattimentale - in considerazione della particolare intensita' del dolo e della gravita' delle conseguenze dell'impedimento del normale rapporto filiale della persona offesa con i propri figli, donde scaturirebbe la prognosi di una condanna (ad una pena superiore ai due anni di reclusione o altrimenti non sospendibile) tale da rendere inoperante il divieto di custodia cautelare dell'imputato al quale il giudice ritenga che all'esito del giudizio possa essere applicata la sospensione condizionale della pena (art. 275, comma 2 bis c.p.p.) - come dovrebbe desumersi, ancora un volta, proprio e soltanto alla stregua della valutazione delle risultanze degli atti di indagine contenuti nello stesso fascicolo del pubblico ministero. III. - In funzione giustificativa della utilizzabilita' degli atti delle indagini preliminari presentati al giudice del dibattimento a sostegno della richiesta cautelare, il pubblico ministero richiedente riportava l'orientamento espresso nel contesto di una sentenza della Corte suprema di cassazione (Cass. II^ sent. n. 9395/2001) e sulla scorta del principio di diritto ivi consacrato sosteneva che "debba quindi darsi risposta affermativa al quesito se il giudice del dibattimento, investito della richiesta di applicazione di una misura cautelare, possa conoscere e utilizzare elementi indiziari contenuti nel fascicolo del pubblico ministero". Considerato in Diritto IV. - Risulta che la materia del quesito suddetto abbia formato oggetto specifico di due pronunciamenti della Corte suprema di cassazione, i quali hanno entrambi in effetti espressamente risolto la questione nel senso come sopra propugnato dal requirente. La massima della prima sentenza, richiamata dal pubblico ministero procedente nella richiesta in epigrafe, recita che «Ai fini dell'applicazione di una misura cautelare nel corso del giudizio, atteso che nel procedimento incidentale non opera il principio di separazione delle fasi, e' consentito al giudice procedente di utilizzare tutti gli elementi raccolti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari o dell'attivita' integrativa d'indagine, anche se non ancora acquisiti al fascicolo del dibattimento» [Cass. II^ sent. n. 9395/2001 in data 14 febbraio 2001] (1) La seconda e piu' recente pronuncia, resa sulla specifica questione della utilizzabilita' degli atti di indagine integrativa di cui all'art. 430 c.p.p., risulta massimata con la enunciazione secondo cui « E' legittima l'emissione da parte del giudice del dibattimento di una misura cautelare reale fondata sull'utilizzazione di atti di indagine compiuti dal PM dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio e non inseriti nel fascicolo per il dibattimento» [Cass. II^ sent. n. 1179/2008 in data 26 novembre 2008] (2) L'esame delle pronunce suddette comporta il riconoscimento di come appaia solidamente accreditato nella giurisprudenza della Suprema corte il principio di diritto secondo cui i dati cognitivi utilizzabili dal giudice penale ai fini della decisione cautelare - quali che siano il rito, lo stato, la fase ed il grado di trattazione del procedimento principale di cognizione cui accede il procedimento incidentale di cautela - sarebbero in ogni caso sempre quelli risultanti dagli atti delle indagini preliminari del pubblico ministero; salvo che nel frattempo - come si desume da altri pronunciamenti della Corte medesima - le fonti di prova risultanti dagli atti del fascicolo delle indagini preliminari abbiano gia' formato oggetto di escussione dibattimentale in contraddittorio, nel qual caso, per effetto della "trasformazione processuale delle fonti investigative", ai suddetti fini sarebbero invece utilizzabili soltanto gli elementi risultanti da tale escussione [Cass. I^ sent. n. 10923/2011 in data 20 dicembre 2011]. Ed infatti, sotto quest'ultimo profilo, la stessa Corte ha precisato che "quando un atto di indagine abbia gia' condotto alla formazione in contraddittorio della prova con esso individuata, l'elemento da assumere nel giudizio cautelare puo' essere solo quello assurto a dignita' di prova, poiche' il dato investigativo e' ormai definitivamente soppiantato da quello processuale" (cosi', in motivazione, la sentenza da ultimo citata, riguardante un caso in cui il giudice del dibattimento aveva pronunciato in materia cautelare, quale giudice procedente al tempo dell'adozione del provvedimento, utilizzando ai fini della suddetta decisione sia gli elementi risultanti dagli atti delle indagini originariamente presentati a fondamento della richiesta del pubblico ministero, sia gli elementi risultanti dai verbali delle prove assunte nel corso della attivita' dibattimentale che nel frattempo aveva avuto luogo). Per queste ragioni, il richiamo del pubblico ministero procedente all'orientamento della Corte di cassazione in ordine al "problema se il giudice del dibattimento, investito della richiesta di applicazione di una misura cautelare, possa conoscere e utilizzare elementi indiziari contenuti nel fascicolo del pubblico ministero" risulta corretto; dimodoche', in definitiva, la presupposta interpretazione dell'art. 291 c.p.p. propugnata dal requirente nel caso di specie - secondo cui gli "elementi" che il pubblico ministero puo' presentare e che il giudice dibattimentale procedente deve utilizzare ai fini della decisione cautelare sarebbero quelli risultanti dagli atti delle indagini preliminari - gode dell'avallo del supremo organo nomofilattico e corrisponde effettivamente al cosiddetto diritto vivente. Tale orientamento ermeneutico, cosi' come propugnato dalle pronunce della Corte suprema di cassazione note per avere trattato la questione, riguarda - ad avviso di questo remittente - il contenuto precettivo dell'art, 291 c.p.p. nella parte in cui definisce, mediante il mero riferimento linguistico agli "elementi" che il pubblico ministero "presenta" a sostegno della richiesta cautelare, il materiale cognitivo utilizzabile dal giudice competente alla relativa decisione; e tuttavia esso - nella misura in cui identifica tali elementi con quelli desumibili dagli atti delle indagini preliminari, siccome postulati utilizzabili ai fini della decisione cautelare indipendentemente dal regime probatorio della procedura di cognizione in atto innanzi al giudice adito in sede di incidente cautelare - pone dubbi di congruenza sia con il vigente ordinamento legale della funzione giurisdizionale cautelare, sia con il vigente ordinamento costituzionale della funzione giurisdizionale di cognizione. V. - Infatti, gli assunti posti a fondamento del principio di diritto secondo cui "ai fini della applicazione di una misura cautelare nel corso del giudizio [...] e' consentito al giudice procedente di utilizzare tutti gli elementi raccolti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari o dell'attivita' integrativa d'indagine, anche se non ancora acquisiti al fascicolo del dibattimento" non possono essere condivisi gia' per la loro dubbia congruenza logica e sistematica rispetto al vigente assetto legale della funzione giurisdizionale cautelare. Al riguardo, si osserva in primo luogo che i diffusi riferimenti argomentativi a contrario (enunciati in Cass. II^ sent. n. 9395/2001 e ripresi in Cass. II^ sent. n. 1179/2008) alle regole della c.d. separazione funzionale delle fasi e del c.d. doppio fascicolo (le quali definirebbero i regimi di utilizzabilita' degli atti ma che, siccome tipiche del processo accusatorio, sarebbero inapplicabili ai procedimenti incidentali cautelari ancorche' accessivi al giudizio dibattimentale) appaiono piuttosto equivoci per il fatto stesso che le relative concettuologie sono ignote alla esplicazione procedurale della giurisdizione penale di cautela; la quale, analogamente alla giurisdizione penale di esecuzione e diversamente dalla giurisdizione penale di cognizione, non conosce affatto alcuna scansione strutturale per fasi in relazione alle quali possa parlarsi di sdoppiamento dei fascicoli in funzione discriminatoria di regimi rispettivamente differenziati di utilizzabilita' degli atti. In altri termini, le regole della separazione delle fasi e del doppio fascicolo rimangono estranee alle procedure penali incidentali (cautelari ed esecutive) non perche' la disciplina positiva di queste ultime costituisca espressione di ritualita' inquisitorie piuttosto che accusatorie, bensi' semplicemente in quanto le suddette procedure non contemplano affatto alcuna suddivisione per fasi in relazione alla quale le regole suddette possano applicarsi (3) In secondo luogo, l'affermazione secondo cui al giudice del dibattimento sarebbe consentita la utilizzazione degli atti delle indagini preliminari per emettere misure cautelari perche' "alle norme proprie di tale sub-procedimento incidentale che occorre far riferimento" dimodoche' ai fini della applicazione incidentale della misura cautelare "troveranno per contro applicazione le norme previste nella sede loro propria" (Cass. II^ sent. 1179/2008) da' luogo ad un ragionamento che, sia pure radicato su una premessa incondizionatamente condivisibile (quella secondo cui i dati cognitivi legittimamente utilizzabili nell'esercizio della giurisdizione cautelare devono individuarsi alla stregua delle norme positive che definiscono le procedure proprie di tale giurisdizione), appare fallace poiche' la medesima premessa e' costruita in maniera da racchiudere apoditticamente la conclusione del ragionamento, il quale pertanto si risolve in una petizione di principio; laddove infatti, per ragioni che non vengono spiegate ed alla stregua di referenti logici e normativi che non vengono indicati, siffatto riferimento alle "norme proprie" della procedura cautelare da' per scontato cio' che si vuole dimostrare, ossia che esista una qualche disposizione secondo cui gli atti utilizzabili in sede di giurisdizione cautelare sarebbero necessariamente quelli delle indagini preliminari. In terzo luogo, non pare conduca a piu' congrui risultati anche il "punto di vista strettamente formale" alla stregua del quale si afferma che la utilizzazione degli atti delle indagini ai fini della decisione cautelare del giudice dibattimentale sarebbe consentita dall'art. 291 c.p.p. in quanto tale disposizione prevede che la misura e' disposta sulla base degli elementi "presentati" dal pubblico ministero "al giudice competente" (Cass. II^ sent. n. 9395/2001). Ed infatti anche in tale prospettiva argomentativa - che in effetti, lungi dal fornire un mero "punto di vista" e tantomeno "strettamente formale", dovrebbe rappresentare il punto di partenza di ogni considerazione strumentale alla soluzione del problema, visto che e' l'unica a radicare una analisi ermeneutica del presupposto referente normativo positivo - viene poi sviluppato un ragionamento che conduce anch'esso ad una conclusione (quella secondo cui gli atti delle indagini preliminari sono utilizzabili a fini della decisione cautelare anche dal giudice del dibattimento) gia' interamente contenuta nella premessa, siccome ancora una volta radicata sull'assioma secondo cui, ai sensi dell'art. 291 c.p.p., gli "elementi" che il pubblico ministero "presenta" al giudice competente debbano necessariamente identificarsi con quelli risultanti dagli atti delle indagini preliminari, anziche' con quelli assunti od acquisibili dal "giudice che procede" alla stregua dei regimi normativi di formazione degli elementi di prova e di utilizzabilita' degli atti che sono propri della procedura di cognizione in corso di svolgimento alla momento della decisione sull'incidente cautelare. In quarto luogo, anche la "ulteriore considerazione che suffraga definitivamente l'interpretazione prescelta anche sul piano sistematico" - ossia quella racchiusa nell'enunciato secondo cui "se al p.m. non fosse consentito di presentare (e al giudice del dibattimento di utilizzare) gli elementi a carico scaturiti dalle indagini preliminari, la stessa applicazione della misura sarebbe di fatto impossibile prima dell'inizio dell'istruzione dibattimentale" (Cass. II^ sent. n. 9395/2001) - pare dare luogo ad una ulteriore fallacia induttiva. Infatti, tale ragionamento apparentemente inferisce la (conclusione della) validita' della soluzione interpretativa prescelta dalla (premessa consistente nella) constatazione di null'altro che la stessa configurabilita' empirica del problema in vista del quale la soluzione risulta postulata; ed in tal modo trascura di considerare che, mentre la configurabilita' ontologica delle esigenze pratiche (comprese quelle cautelari) suscettibili di trattamento giuridico dipende dalle indefinite possibilita' della casistica concreta, la applicabilita' dei rimedi giudiziari dipende dalle circoscritte possibilita' semantiche dei presupposti referenti normativi positivi astratti, donde l'ovvia conclusione che la applicabilita' dello strumento cautelare dipende non soltanto dalla predicabilita' fattuale di una correlativa esigenza ma anche dalla ricorrenza delle altre condizioni di rito e di merito alle quali il legislatore, in sede di definizione discrezionale del sistema normativo di riferimento e subordinatamente alle esigenze di carenza del medesimo, abbia ritenuto di condizionarne la tutela giudiziaria (4) In quinto luogo, il temperamento apportato (al principio della utilizzabilita' degli atti delle indagini preliminari nella decisione dibattimentale in materia cautelare) alla stregua del criterio della "trasformazione processuale delle fonti investigative" (come in Cass. I^ sent. n. 10923/2011) non soltanto fornisce la regola di chiusura di un disegno interpretativo ab origine provvisto di dubbia fondazione normativa, ma appare di per se' foriero di ulteriori aporie e complicazioni: comportando la necessita' di definire - sulla base, ancora una volta, di non si sa quali referenti positivi - le esatte condizioni alle quali gli elementi desumibili dalle fonti di prova risultanti dagli atti delle indagini preliminari debbano intendersi «soppiantati» da quelli desumibili dalla escussione dibattimentale delle stesse fonti. In questa prospettiva occorrerebbe infatti ancora stabilire, ad esempio, se ed a quali condizioni risultino utilizzabili nel giudizio cautelare del giudice dibattimentale di primo grado anche gli elementi desumibili dalle indagini preliminari la cui utilizzazione ai fini del giudizio di cognizione sul merito risulti invece ormai compromessa o preclusa dalla loro omessa, parziale o maldestra assunzione in sede di istruzione dibattimentale (si pensi al caso tutt'altro che accademico in cui elementi di prova decisivi risultino tuttora soltanto dai verbali di informazioni testimoniali rese da una persona informata sui fatti che le parti abbiano omesso di indicare quale testimone nel dibattimento oppure alla quale, nel corso dell'esame testimoniale gia' eseguito, abbiano omesso di rivolgere le domande occorrenti alla emersione dei relativi dati cognitivi che pertanto, nonostante l'avvenuta assunzione in contraddittorio del corrispettivo mezzo di prova, attualmente risultino ancora e soltanto dai verbali degli atti investigativi); ovvero occorrerebbe stabilire se ed a quali condizioni gli elementi desumibili dalle indagini preliminari risultino utilizzabili ai fini della pronuncia sull'incidente cautelare incardinato in costanza del giudizio di impugnazione di secondo o magari addirittura di terzo grado avente ad oggetto la contestazione del merito o del rito della utilizzazione e/o della assunzione proprio dei corrispondenti elementi di prova da parte del giudice dibattimentale che abbia emesso il provvedimento impugnato. VI. - Le piu' gravi perplessita' riferibili all'orientamento ermeneutico in parola, per quel che maggiormente interessa in questa sede, attengono tuttavia alla dubbia legittimita' costituzionale della relativa interpretazione della legge. Al riguardo va anzitutto osservato che, come e' noto, negli ultimi venticinque anni decine di pronunce della Corte costituzionale hanno stabilito che tra i parametri di costituzionalita' delle leggi processuali penali deve includersi, quale espressione del principio del cosiddetto giusto processo e segnatamente di quello della imparzialita' del giudice, "l'esigenza di evitare che la valutazione di merito del giudice possa essere (o possa ritenersi che sia) condizionata dallo svolgimento di determinate attivita' nelle precedenti fasi del procedimento o della previa conoscenza dei relativi atti processuali" nei casi in cui tale attivita' e conoscenza abbiano dato luogo ad "una valutazione non formale, ma di contenuto, dei risultati delle indagini preliminari" (sentenza n. 496/1990); ossia nei casi in cui "il magistrato chiamato a giudicare ha gia' compiuto, sulla base della piena conoscenza dei risultati delle indagini preliminari, una valutazione sul merito dell'imputazione formulata dal pubblico ministero", come in particolare avviene quando "il giudice abbia gia' risolto in senso positivo le questioni logicamente precedenti a quella relativa alla misura della pena" (sentenza n. 186/1992). Al riguardo e' stato quindi ripetutamente sancito che, qualora il giudice abbia compiuto "una valutazione di merito circa l'idoneita' delle risultanze delle indagini preliminari a fondare un giudizio di responsabilita' dell'imputato", allora "devono riconoscersi sussistenti i medesimi effetti che l'art. 34 mira ad impedire, e cioe' che la valutazione conclusiva sulla responsabilita' dell'imputato sia, o possa apparire, condizionata dalla cosiddetta forza della prevenzione, e cioe' da quella naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento" (sentenza n. 432/1995); pertanto, in siffatte situazioni deve affermarsi lo stato di incompatibilita' del giudicante alla susseguente trattazione poiche' "necessario evitare il rischio che la valutazione del giudice sia, o possa apparire, condizionata dalla sua propensione a confermare una propria precedente decisione, basata sugli elementi probatori raccolti nelle indagini preliminari, con la possibilita' quindi di incidere sulla garanzia di un giudizio che deve essere basato sugli elementi di valutazione e di prova assunti in contraddittorio nel dibattimento" (sentenza n. 448/1995). Nella stessa prospettiva, ribadendo inaccettabile "che condizionamenti, o apparenze di condizionamenti, derivanti da precedenti valutazioni cui il giudice sia stato chiamato nell'ambito del medesimo procedimento, possano pregiudicare o far apparire pregiudicata l'attivita' di giudizio", la Corte costituzionale ha precisato che la configurabilita' del pregiudizio rilevante in termini di incompatibilita' al giudizio di cognizione sul merito presuppone la quadruplice condizione che l'attivita' giurisdizionale antecedente: (1) abbia avuto ad oggetto la medesima res iudicanda; (2) sia consistita in una valutazione delle risultanze di pregressi atti del procedimento compiuta a fini decisori (restando dunque irrilevante la mera presa di conoscenza degli atti suddetti, anche quando questi ultimi fossero quelli delle indagini preliminari); (3) abbia avuto esito in una pronuncia recante determinazioni riguardanti il merito del procedimento e non anche il rito del medesimo (restando dunque irrilevanti le determinazioni assunte, anche sulla base della valutazione delle risultanze di pregressi atti del procedimento, soltanto in ordine allo svolgimento del processo); (4) sia intercorsa in una diversa fase del procedimento, concretandosi in valutazioni contenutistiche e decisioni di merito estranee allo svolgimento della fase procedimentale in atto intesa quale ordinata sequenza di atti ciascuno dei quali legittima, prepara e condiziona quello successivo. Ricorrendo le menzionate condizioni, la lesione del valore costituzionale della imparzialita' del giudice conseguentemente configurabile rende inevitabile la affermazione della incompatibilita' al giudizio siccome fondata "sulla necessita' di evitare la duplicazione di giudizi della medesima natura presso lo stesso giudice e quindi sulla suddetta esigenza di proteggere il giudizio del merito della causa dal rischio di un pregiudizio, effettivo o anche solo potenziale, derivante da valutazioni di sostanza sulla ipotesi accusatoria, espresse in occasione di atti compiuti in precedenti fasi processuali". E cio' in particolare avviene giustappunto nella materia che interessa in questa sede, in quanto "le valutazioni compiute dal giudice in relazione all'adozione di una misura cautelare personale comportano un pregiudizio sul merito dell'accusa: tali valutazioni infatti, secondo le norme vigenti, detono indurre il giudice a ritenere l'esistenza di una ragionevole e consistente probabilita' di colpevolezza e quindi di condanna dell'imputato e, addirittura, di condanna ad una pena superiore a quella che consente la concessione della sospensione condizionale della pena" (Corte Cost., sentenza n. 131/1996). Sulla base di queste premesse, questo remittente ritiene che la interpretazione dell'art. 291 c.p.p. sostenuta dalla Corte di cassazione ed invocata dal pubblico ministero procedente a sostegno della richiesta indicata in epigrafe - secondo cui gli "elementi" presentati dal pubblico ministero ed utilizzabili dal giudice ai fini della decisione cautelare da assumere nel corso del dibattimento sarebbero per definizione "tutti gli elementi raccolti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari o dell'attivita' integrativa d'indagine, anche se non ancora acquisiti al fascicolo del dibattimento" - debba ritenersi incostituzionale per contrasto con i principi del giusto processo e della imparzialita' del giudice, oltre che con il principio di non colpevolezza dell'imputato prima della sentenza definitiva e con il principio di eguaglianza, proporzionalita' e ragionevolezza dei trattamenti giuridici. VI.1. - Al riguardo si osserva che la fattispecie della decisione cautelare assunta dal giudice del dibattimento sulla base degli atti delle indagini preliminari indubitabilmente contiene in re ipsa le prime tre condizioni alle quali, secondo la menzionata giurisprudenza della Corte costituzionale, si ricollega il pregiudizio alla imparzialita' del giudice (medesimezza della regiudicanda; funzione decisoria della pregressa disamina valutativa di atti di indagine; natura di merito della decisione in tal modo adottata). Si tratta infatti di attivita' giurisdizionale che, per l'appunto, in primo luogo si riferisce alla medesima imputazione che forma oggetto del giudizio dibattimentale di cognizione ancora da compiersi o in corso di compimento; che in secondo luogo implica la profonda conoscenza, acquisita in funzione di pregnante valutazione sul merito dello stesso oggetto sostanziale del processo, delle risultanze degli atti delle indagini preliminari, come tali strutturalmente e funzionalmente estranei alla procedura dibattimentale di cognizione in atto; e che in terzo luogo risulta formulata allo stato degli atti suddetti in termini di anticipazione del giudizio di colpevolezza dell'imputato sia sotto il profilo della prognosi di condanna all'esito del processo di cognizione, sia addirittura sotto il profilo della entita' del trattamento sanzionatorio in tal caso applicabile. Qualche dubbio potrebbe invece porsi prima facie in ordine alla ricorrenza della quarta condizione, ossia quella concernente la estraneita' del pregresso giudizio di merito sul medesimo oggetto rispetto alla fase procedimentale attualmente in atto; e tuttavia tale dubbio pare dissolversi alla stregua delle precisazioni gia' fornite proprio dalla stessa Corte costituzionale in ordine alla presupposta nozione di "fase del procedimento", da intendersi quale "ordinata sequenza di atti ciascuno dei quali legittima, prepara e condiziona quello successivo" (cfr. in particolare: Corte cost., ordinanza n. 232/1999) nell'ambito della quale ogni pregiudizio alla imparzialita' del giudice resta inconfigurabile, indipendentemente dalla natura di merito della pregressa attivita' decisionale, poiche' l'ordinamento processuale non potrebbe tollerare la "assurda frammentazione del procedimento mediante l'attribuzione di ciascun segmento di esso ad un giudice diverso" che altrimenti inevitabilmente ne conseguirebbe (sul punto cfr.: Corte cost. sentenza n. 131/1996, ordinanza n. 232/1999, ordinanza n. 24/1996, sentenza n. 448/1995) (5) Orbene, una volta stabiliti siffatti principi non si ravvede con quale coerenza sia possibile negare che l'attivita' giurisdizionale cautelare del giudice del dibattimento, qualora resa mediante una decisione di merito adottata sulla base della valutazione contenutistica degli atti delle indagini preliminari, apporti pregiudizio alla imparzialita' di tale giudice nel susseguente giudizio di cognizione sul medesimo oggetto sostanziale. Infatti, tale attivita' giurisdizionale cautelare non soltanto pacificamente racchiude i primi tre elementi dai quali tipicamente discende il pregiudizio rilevante ai fini della incompatibilita' del giudice (medesimezza della regiudicanda; funzione decisoria di merito della disamina degli atti di indagine; natura di merito della decisione cosi' adottata), ma risulta anche indubitabilmente estranea alla fase processuale di cognizione in corso, intesa nella accezione sopra precisata di "ordinata sequenza di atti, ciascuno dei quali legittima, prepara e condiziona quello successivo"; laddove per definizione la pregressa decisione cautelare appartiene (non solo e non tanto ad altra e diversa fase, quanto addirittura) ad altra e diversa entita' procedimentale, a sua volta costituente modalita' di esplicazione di altra e diversa forma di esercizio della giurisdizione penale. In altri termini, la decisione cautelare costituisce espressione di una sequenza procedurale ulteriore ed accessoria che soltanto accidentalmente si sovrappone a quella principale in corso di esplicazione; cosicche' l'incidente cautelare - ben lungi dal dare luogo ad alcuna evenienza endoprocedimentale che si inserisca nella scansione del processo di cognizione quale parte integrante di questo, "legittimando, preparando o condizionando" alcuno degli atti di tale processo e della susseguente deliberazione sul merito della imputazione - integra una vicenda procedimentale collaterale rispetto alla quale l'attivita' giurisdizionale di cognizione resta del tutto differenziata ed autonoma, come alla stregua della tricotomia dogmatica della teoria generale del processo (che distingue la giurisdizione di cognizione, quella di esecuzione e quella di cautela) sarebbe ovvio gia' per la considerazione che si tratta di due distinte strutture procedurali giudiziarie strumentali alla esplicazione di altrettante diverse forme di giurisdizione. Percio' in definitiva, una volta richiamata la accezione di "fase del procedimento" precisata dalla stessa Corte costituzionale siccome rilevante al fine che interessa, non si ravvede come possa negarsi la incoerenza della interpretazione della legge avversata in questa sede rispetto ai precetti dell'art. 111, comma 2 Cost. considerato in rapporto ai parametri della dogmatica costituzionale in tema di imparzialita' del giudice. VI.2. - Inoltre, l'avversata interpretazione dell'art. 291 c.p.p. appare in contrasto con il principio di presunzione di non [ovvero di non considerazione di] colpevolezza stabilito dall'art. 27, comma 2 Cost., nella misura in cui da questo si inferisca il diritto dell'imputato alla immunita' da pregiudiziali convincimenti di colpevolezza incidenti nel procedimento di cognizione celebrato a suo carico. Infatti, l'osservanza di tale principio parrebbe revocabile in dubbio laddove si ammetta che, proprio nel corso dello stesso procedimento di cognizione, il giudizio di colpevolezza possa o debba essere anticipato dal giudice dibattimentale procedente non sulla base degli elementi cognitivi risultanti dagli atti da lui stesso assunti alla stregua della disciplina istruttoria della procedura in atto - ossia in costanza e nei limiti del fisiologico percorso di formazione del convincimento di tale giudice in ordine all'oggetto sostanziale del processo, maturato nella sequenza processuale celebrata nel contraddittorio delle parti - bensi' sulla base di elementi risultanti da atti pregressi ed altrui, geneticamente estranei alla sua attivita' poiche' assunti in una precedente fase del procedimento e compiuti da organi inquirenti (il pubblico ministero e la polizia giudiziaria) operanti sotto il controllo meramente eventuale e/o episodico di altra autorita' giudiziaria (il giudice per le indagini preliminari) a sua volta procedente alla stregua di tutt'altri criteri di formazione e valutazione dei materiali cognitivi strumentali all'accertamento dei fatti penalmente rilevanti. VI.3. - Ancora, alla avversata interpretazione dell'art. 291 c.p.p. pare riconducibile una lesione del principio del contraddittorio processuale di cui all'art. 111, comma 2 Cost., evidente nella compromissione della funzione euristica del contraddittorio suddetto. Infatti, in considerazione delle peculiarita' e della complessita' della scansione processuale dibattimentale, il pregiudizio ivi arrecato alla imparzialita' del giudice ed al fisiologico sviluppo del percorso formativo del suo convincimento sulla colpevolezza dell'imputato (sia in termini di possibile condizionamento effettivo sia in termini di possibile apparenza di tale condizionamento, inteso quale rischio che la deliberazione definitoria del giudizio di cognizione risulti asservita o condizionata agli esiti decisionali del pregresso giudizio cautelare fondato sulla valutazione di atti geneticamente e funzionalmente estranei al giudizio di cognizione) appare addirittura il piu' grave ed insidioso tra tutti quelli possibili, poiche' suscettibile di riverberarsi, con effetti perturbatori dell'ordinario o fisiologico svolgimento di ogni attivita' decisoria, non soltanto in sede di deliberazione sul merito dell'accusa ma, ancor prima, sulla attivita' ordinatoria del processo e preparatoria di tale deliberazione. Sotto questo profilo, pare innegabile che il giudice dibattimentale il quale abbia adottato una decisione incidentale cautelare sulla base degli atti delle indagini preliminari, assumendo di questi ultimi la perfetta ed analitica conoscenza strumentale alle valutazioni anticipatorie del giudizio di colpevolezza contenute nella decisione cautelare, versi indubitabilmente, rispetto al giudice dibattimentale immune da tali conoscenze e valutazioni, addirittura in uno stato psicologico naturalisticamente diverso poiche' radicalmente trasformato dalla interferenza del bagaglio di informazioni risultanti dal fascicolo del pubblico ministero all'uopo esaminato. Ed un tale giudice dibattimentale, oramai dominus assoluto del processo in forza della prerogativa di rapportare l'esercizio dei suoi poteri di governo del medesimo alla cognizione delle risultanze investigative in tal modo acquisita, non si vede come possa evitare - per quanto consapevolmente vi si sforzi - di tenere conto in varia misura di tali informazioni nell'esercizio della sua attivita' ordinatoria del processo e preparatoria della decisione sul merito; laddove, d'altro lato, la medesima conoscenza degli atti delle indagini preliminari gli consentirebbe in ogni caso di orientare e conformare lo svolgimento del dibattimento - sia in sede di esercizio dei suoi poteri istruttori officiosi, sia in sede anticipazione, condizionamento o reiezione delle iniziative o istanze istruttorie di parte - alle esigenze delle attivita' processuali occorrenti alla convalida della precognizione e/o precomprensione, acquisite sulla base della valutazione delle risultanze investigative, della verosimile efficacia dimostrativa delle corrispettive fonti di prova in rapporto all'oggetto del giudizio. Di fatto, un giudice investito di cotale assoluta signoria cognitiva del materiale probatorio utile e rilevante ai fini della celebrazione del dibattimento, siccome messo nella condizione di prevedere in anticipo con la migliore approssimazione l'esito dell'esperimento di ogni singolo mezzo di prova richiesto dalle parti, potrebbe ancora svolgere il proprio ruolo di accertamento dei fatti correttamente (ed talora anzi forse ancora piu' efficacemente, visto che risulta in grado di scansare le perdite di tempo riferibili sia alle eventuali iniziative istruttorie incongrue o inutilmente prolisse della parte pubblica, sia alle eventuali istanze istruttorie meramente dilatorie o defatigatorie della parte privata); ma pare altrettanto indubitabile che una siffatta situazione, comportando una alterazione tendenzialmente radicale ed irreversibile degli equilibri del contraddittorio dibattimentale predefiniti dal codice ed recepiti dall'art. 111, comma 2 Cost., non possa ritenersi compatibile con il vigente assetto normativo legislativo e costituzionale del processo ordinario di cognizione. VI.4. - La incostituzionalita' della interpretazione dell'art. 291 c.p.p. avversata in questa sede, nella misura in cui pretende che al giudice della cognizione investito dell'incidente cautelare sia sostanzialmente conferito l'esercizio oggettivo delle funzioni di giudice per le indagini preliminari (autorita' giudicante la cui caratterizzazione peculiare risiede nella titolarita' di competenze decisionali ad acta disimpegnate in occasione di decisioni incidentali assunte alla stregua dei dati investigativi risultanti dagli atti di indagine, mediante la conoscenza e la valutazione dei quali tale giudice matura le incompatibilita' alla funzione di giudizio cosi' come dichiarate da innumerevoli pronunce della Corte Costituzionale) appare inoltre rilevabile sotto il profilo del contrasto con il principio di eguaglianza, proporzionalita' e ragionevolezza dei trattamenti giuridici stabilito dall'art. 3 della Costituzione; infatti, tale interpretazione comporta una evidente ed ingiustificabile sperequazione rispetto alla ben diversa disciplina di fattispecie analoghe che risulta applicabile sia alla stregua della legge sia alla stregua delle numerose pronunce della Corte costituzionale intervenute a regolare la materia del giusto processo e della incompatibilita' del giudice. Tale sperequazione risulta evidente anzitutto alla stregua della disciplina della disciplina delle incompatibilita' prevista dal codice di procedura penale, la quale - particolarmente per cio' che concerne la incompatibilita' al giudizio derivante da pregresso esercizio delle funzioni di giudice per le indagini preliminari ai sensi dell'art. 34, comma 2-bis c.p.p. - e' ispirata ad un formalismo accentuato che, sia pure al costo di un pesantissimo condizionamento dell'organizzazione degli uffici giudiziari, stabilisce la ricorrenza di tale incompatibilita' anche in ipotesi in cui il paventato pregiudizio rappresenta di fatto una eventualita' lontanissima, in quanto l'atto adottato possiede pur sempre contenuti e finalita' di stampo meramente ordinatorio del procedimento (come nel caso della proroga delle indagini preliminari) o comunque ancora sostanzialmente neutrali in confronto della anticipazione di alcun giudizio di colpevolezza (come nel caso della proroga delle intercettazioni), di regola esaurendo la propria rilevanza nella affermazione della necessita' (della prosecuzione degli accertamenti investigativi utili ai fini) della applicazione della legge. Analoga considerazione si deve poi compiere in relazione alle ipotesi di incompatibilita' ritenute ed affermate dalle pronunce della Corte costituzionale in relazione a fattispecie in cui il pregiudizio in parola, apportato dalla pregressa valutazione degli atti delle indagini preliminari in funzione decisoria sul merito ed implicante l'incompatibilita' alla giurisdizione di cognizione, ad avviso di questo remittente appare analogo o addirittura ancora meno significativo di quello riferibile alla fattispecie in trattazione. Sotto questo profilo, limitando i richiami esemplificativi ai casi piu' eclatanti, pare sufficiente osservare che risulta inspiegabile come il giudice dibattimentale che, sulla base della valutazione degli atti delle indagini preliminari, abbia pronunciato in materia cautelare (con cio' anticipando un giudizio di colpevolezza a cognizione strutturalmente sommaria di per se' estraneo alla fase processuale in atto, nonche' fondato su dati cognitivi geneticamente e funzionalmente avulsi dalla procedura dibattimentale in trattazione) possa affermarsi immune dal pregiudizio e dalla incompatibilita' da cui invece lo stesso giudice e' certamente colpito (come statuito da Corte cost. sent. n. 399/1992) allorquando, pur sempre operando nell'esercizio della stessa funzione (nonche' addirittura nel contesto della medesima fase processuale, di cui infatti la trattazione delle istanze di riti speciali svolta nello stadio introduttivo del dibattimento e' parte integrante), abbia soltanto respinto una richiesta di patteggiamento in considerazione della ritenuta inconfigurabilita' dell'ipotesi attenuata del reato contestato; ne' si comprende in che cosa, in termini di maturazione del descritto pregiudizio, la condizione di tale giudice possa distinguersi da quella che invece attinge (come statuito da Corte cost. sent. n. 439/1993) il giudice per le indagini preliminari ed il giudice per l'udienza preliminare i quali (anch'essi, peraltro, pur sempre operando addirittura nel contesto della medesima fase processuale) maturano la incompatibilita' alla celebrazione del susseguente giudizio abbreviato per avere respinto una richiesta di patteggiamento; ne' risulta comprensibile, una volta affermata la incompatibilita' del giudice che abbia esperito funzioni giurisdizionali cautelari personali di secondo grado assumendo valutazioni e decisioni di carattere non esclusivamente formale in ordine al provvedimento cautelare impugnato (come statuito da Corte cost. sent. n. 131/1996), come possa coerentemente predicarsi la immunita' da ogni analogo ma ancor piu' cospicuo pregiudizio in confronto del giudice che invece, sulla base degli stessi atti di indagine, abbia esperito addirittura le stesse funzioni giurisdizionali cautelari di primo grado e che, pertanto, il provvedimento cautelare in questione abbia egli stesso direttamente adottato. VII. - Peraltro, l'interpretazione dell'art. 291 c.p.p. propugnata dalla Corte suprema di cassazione e della cui costituzionalita' in questa sede si - dubita appare tutt'altro che necessitata alla stregua dei presupposti referenti normativi, ossia quelli risultanti dall'enunciato legislativo secondo cui "le misure sono disposte su richiesta del pubblico ministero, che presenta al giudice competente gli elementi su cui la richiesta si fonda"; infatti le caratteristiche di tali referenti positivi, ad avviso di questo remittente, consentono una interpretazione costituzionalmente orientata di tale disposizione di legge. Al riguardo si osserva che le espressioni linguistiche "presenta" ed "elementi", utilizzate nella suddetta disposizione di legge per indicare il materiale cognitivo adducibile dal pubblico ministero ed utilizzabile dal giudice ai fini della decisione cautelare, sono caratterizzate da un sommo grado di vaghezza (imprecisione di significato) e genericita' (attitudine del segno linguistico a riferirsi disgiuntamente ed indifferentemente a ciascuno degli oggetti di una data classe di significati), pienamente suscettibili di specificazione ragionevolmente e logicamente differenziata a seconda del contesto procedimentale di riferimento. Percio' le suddette espressioni, per la loro natura largamente polisensa, non valgono affatto a giustificare l'assioma che identifica proprio e necessariamente nelle risultanze delle indagini preliminari il materiale adducibile dal pubblico ministero ed utilizzabile dal giudice ai fini della decisione cautelare; bensi' risultano egualmente ed indifferentemente riferibili ad ogni dato cognitivo rilevante ai fini della decisione giurisdizionale, indipendentemente dalla natura e dallo stato di trattazione della procedura giudiziaria di riferimento e dalla natura e dal regime di assunzione delle informazioni probatorie ivi utilizzabili (6) Tale osservazione induce intuitivamente a concludere che, onde scansare ognuno dei profili di incostituzionalita' gia' enumerati tutelando la coerenza assiologica costituzionale del sistema, il regime di adduzione ed assunzione dei dati cognitivi e degli atti procedimentali utilizzabili ai fini della decisione cautelare, lasciato letteralmente imprecisato dall'art. 291 c.p.p., non possa che definirsi in confronto e per mezzo del combinato riferimento al "giudice che procede" contenuto nell'art. 279 c.p.p., ossia intendendosi quest'ultima locuzione utilizzata in funzione definitoria non soltanto della competenza funzionale del giudice, ma anche delle modalita' procedurali dell'esercizio di tale competenza; nel senso che tale locuzione, salvo specifiche disposizioni di legge, deve intendersi inclusiva della indicazione della disciplina degli elementi di prova utilizzabili per la decisione, da individuarsi giustappunto in quelli propri della procedura giurisdizionale di cognizione in corso innanzi allo stesso giudice che procede. Percio' in definitiva, ad avviso di questo remittente, l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 291 c.p.p. deve radicarsi sul riconoscimento che gli "elementi" che il pubblico ministero "presenta" a fondamento della richiesta cautelare rivolta al "giudice che procede" sono soltanto quelli fisiologicamente utilizzabili ai fini della formazione del convincimento di tale giudice secondo le disposizioni di legge regolative del giudizio di cognizione che forma oggetto del procedimento o della fase del procedimento attualmente in corso di svolgimento; e che, di conseguenza, gli atti e gli elementi di prova utilizzabili dal giudice del dibattimento in funzione decisoria sulla richiesta suddetta sono solo quelli legittimamente gia' acquisiti nel corso della istruzione dibattimentale da lui condotta. VIII. - In ordine alla rilevanza della questione di costituzionalita' sollevata con la presente ordinanza, si evidenzia la decisivita' della medesima ai fini della pronuncia sulla richiesta cautelare detentiva domiciliare formulata dal pubblico ministero nel presente procedimento penale come in epigrafe; ed infatti, qualora le risultanze investigative contenute nel fascicolo delle indagini preliminari trasmesso dal pubblico ministero a sostegno della richiesta rivolta al giudice dibattimentale debbano ritenersi inutilizzabili, tale richiesta dovrebbe essere respinta a vista, poiche' allo stato sprovvista di qualsivoglia fondamento. In punto di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' occorre invece sottolineare che questo stesso remittente ritiene che, sul piano concettuologico, la solidita' della relativa quaestio legitimitatis risulti compromessa dalla ampia possibilita' di interpretazione costituzionalmente orientata offerta, nei termini poc'anzi illustrati, dal dato linguistico legislativo di riferimento. Nondimeno, la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' sollevata in questa sede si evince dallo stesso insegnamento della Corte costituzionale secondo cui allorquando "il dubbio di compatibilita' con i principi costituzionali cada su una norma ricavata per interpretazione da un testo di legge e' indispensabile che il giudice a quo prospetti a questa Corte l'impossibilita' di una lettura adeguata ai detti principi, oppure che lamenti l'esistenza di una costante lettura della disposizione denunziata in senso contrario alla Costituzione (cosidetta 'norma vivente')" (Corte cost. sentenza n. 456/1989) (7) Ebbene, questo pare giustappunto il caso della interpretazione dell'art. 291 c.p.p. avversata in questa sede, visto che essa risulta inequivocabilmente e ripetutamente accreditata nel contesto di tutte le pronunce della Corte suprema di cassazione note per avere preso posizione al riguardo. Pertanto, alla stregua del cosiddetto diritto vivente, la interpretazione costituzionalmente orientata ipotizzata da questo stesso remittente deve ritenersi inapplicabile e priva di fondamento; dimodoche', qualora questo giudice si limitasse a definire la questione in sede di pronuncia resa nel giudizio a quo sulla presupposta richiesta formulata dal pubblico ministero - formalizzando, in contrasto con la funzione nomofilattica attribuita dall'art. 65 ord. giud. alla Corte di cassazione, l'orientamento ermeneutico costituente espressione della sua propria indipendenza ed autonomia interpretativa - assumerebbe con cio' una decisione che, siccome suscettibile di immediata impugnazione con conseguente somma probabilita' di riforma nei susseguenti gradi di giurisdizione cautelare, risulterebbe fallimentare in relazione al prioritario scopo di scongiurare la perpetuazione della applicazione incostituzionale della legge costituente espressione della norma interpretativa di diritto vivente della cui costituzionalita' si dubita. (1) Nel contesto della motivazione, affrontandosi il "problema se il giudice del dibattimento, investito della richiesta di applicazione di una misura cautelare, possa conoscere e utilizzare elementi indiziari contenuti nel fascicolo del pubblico ministero", tale principio di diritto e' spiegato assumendosi che "Non vi e' dubbio che il sistema del 'doppio fascicolo' costituisce un riflesso immediato del principio di separazione delle fasi, tipico del processo accusatorio, e contribuisce a definire i rispettivi regimi di utilizzabilita' degli atti. Tuttavia esso non ha e non potrebbe avere valore assoluto. La sua stessa matrice ne delimita l'area di applicazione, considerato che esso e' connaturato e funzionale, come detto, alla sequenza procedimentale di tipo accusatorio, ma non trova spazio nei riti speciali, nei quali si realizza la c.d. alternativa inquisitoria, ne' - secondo alcuni autori (in giurisprudenza vedasi, in senso conforme, Cass. Sez. 1^ 14.3.1990, Bartolomeo) - nell'ambito dei procedimenti incidentali. Cio' premesso, il collegio ritiene che il principio di separazione funzionale delle fasi non sia applicabile in materia cautelare, ancorche' collegata alla scansione dibattimentale, e che, pertanto, al predetto quesito debba darsi risposta affermativa. In tal senso depone, dal punto di vista strettamente formale, l'art. 291 c.p.p. il quale prevede che la misura e' disposta sulla base degli elementi 'presentati' dal P.M. 'al giudice competente' senza alcuna distinzione tra fasi del procedimento. E, se e' indubitabile che - in sede dibattimentale - il P.M. puo' riferirsi, anche tacitamente, alle fonti di prova gia' formatevisi (cfr. Cass. Sez. 1^, 5.11.1994, Pesce ed altro), cio' non esclude che possa altresi' avvalersi degli elementi indiziari acquisiti nel corso delle indagini preliminari o dell'attivita' integrativa compiuta ai sensi dell'art. 430 c.p.p. Anzi, il porsi concretamente in tale ottica suggerisce un'ulteriore considerazione che, ad avviso del collegio, suffraga definitivamente l'interpretazione prescelta anche sul piano sistematico. Se al P.M. non fosse consentito di presentare (e al giudice del dibattimento di utilizzare) gli elementi a carico scaturiti dalle indagini preliminari, la stessa applicazione della misura sarebbe di fatto impossibile prima dell'inizio dell'istruzione dibattimentale (o comunque in un momento in cui la prova non sia stata ancora compiutamente acquisita), naturalmente fuori dell'ipotesi (meramente teorica) che i soli atti includibili - ove esistenti - nel fascicolo del dibattimento confezionato ai sensi dell'art. 431 c.p.p. siano da soli sufficienti ad integrare un quadro indiziano grave". (2) Nella relativa motivazione, la Suprema corte ripete che "il sistema del 'doppio fascicolo' costituisce un riflesso immediato del principio di separazione delle fasi, tipico del processo accusatorio, e contribuisce a definire i rispettivi regimi di utilizzabilita' degli atti. Tuttavia esso non ha e non potrebbe avere valore assoluto. La sua stessa matrice ne delimita l'area di applicazione, considerato che esso e' connaturato e funzionale alla sequenza procedimentale di tipo accusatorio: ed invero, essendo finalizzato alla corretta applicazione dello schema proprio del dibattimento accusatorio, si riferisce esclusivamente agli atti destinati ad avere efficacia probatoria diretta nel dibattimento, in base al principio secondo cui la prova si forma in dibattimento. Per contro ritiene il Collegio che la regola della separazione funzionale delle fasi non trovi applicazione nell'ambito dei procedimenti incidentali in materia cautelare, ancorche' collegata alla scansione dibattimentale, e che pertanto in tale sede ben sia consentito al giudice del dibattimento utilizzare atti di indagine compiuti dal Pubblico Ministero successivamente alle emissione del decreto che dispone il giudizio e non inseriti nel fascicolo del dibattimento. [...] Ne' appare conducente il rilievo che il sistema processuale delineato nel codice di rito e' improntato, nella fase dibattimentale, ai principi della parita' assoluta delle parti dinanzi al giudice e della formazione della prova penale nel contraddittorio, atteso che la richiesta di applicazione di misura cautelare determina l'istaurarsi di un sub-procedimento di carattere incidentale, solo accidentalmente inserito nella scansione temporale del dibattimento, ed e' pertanto alle norme proprie di tale sub-procedimento incidentale che occorre far riferimento al fine della valutazione della ritualita' della richiesta di applicazione della misura cautelare, dovendo per contro la disposizione di cui all'art. 430 c.p.p. ritenersi applicabile solo agli atti destinati ad avere efficacia probatoria diretta nel dibattimento: ed invero la ratio della norma suddetta va ravvisata nell'esigenza di garantire la assoluta parita' delle parti in relazione alla formazione della prova in dibattimento e non in relazione alla applicazione di una misura cautelare per cui troveranno per contro applicazione le norme previste nella sede loro propria". (3) Pertanto, non avendo senso discutere (sia per ammetterla, sia per escluderla) della interferenza di queste ultime regole nella disciplina istruttoria dei procedimenti giurisdizionali cautelari, quest'ultima disciplina deve essere ricavata dal dato normativo positivo, come d'altronde affermato nelle stesse citate sentenze della Suprema corte; le quali tuttavia, nel momento in cui concretizzano l'applicazione di tale assunto, riportano enunciati che apparentemente invertono i termini argomentativi della questione nella misura in cui ne esauriscono la trattazione con il tentativo di confutare l'esistenza di ogni possibile ostacolo normativo alla applicazione di un assioma (appunto quello secondo cui gli elementi cognitivi utilizzabili ai fini della decisione cautelare sarebbero quelli delle indagini preliminari, indipendentemente dal regime istruttorio applicabile decisoria di cognizione del giudice precedente) trascurando la prioritaria esigenza ermeneutica che, difatti, consiste anzitutto proprio nel reperire ab origine un qualche fondamento normativo positivo che consenta di affermare la regola cosi' propugnata. (4) In altri termini, l'ipotesi che l'esigenza pratica (cautelare o di qualsiasi altra natura) insorga oppure si manifesti oppure persista in uno stadio processuale in cui ne sia limitata od impossibile la soddisfazione, in quanto l'applicazione della misura (cautelare o di qualsiasi altra natura) eventualmente occorrente sia non ancora o non piu' consentita, costituisce conseguenza naturale del fatto stesso che i rimedi giuridici sono applicabili alle condizioni e con le limitazioni previste dalla legge; cosicche', sul piano della valutazione della coerenza del sistema normativo, l'inconveniente che allora si verifica non risulta tecnicamente dissimile da quelli riferibili al caso in cui una esigenza cautelare persista oltre il termine di durata massima della misura previsto dal codice, oppure al caso in cui la prova della colpevolezza dell'imputato pervenga all'autorita' giudiziaria nel giorno successivo a quello del passaggio in giudicato della decisione assolutoria. D'altronde, l'ipotesi della configurabilita' di esigenze cautelari attualmente non ancora o non piu' tutelabili siccome . insorte o persistenti proprio in uno stadio processuale in cui il giudice competente non disponga degli atti occorrenti a prenderne cognizione (quale potrebbe essere appunto quello intercorrente tra la trasmissione degli atti al giudice del dibattimento ed il susseguente espletamento della istruzione dibattimentale) nella pratica giudiziaria rappresenta una eventualita' rarissima il cui accadimento, peraltro, verosimilmente presuppone situazioni disfunzionali o di inerzia (nella tempestiva ricerca e raccolta degli elementi occorrenti, e/o nella presentazione della relativa richiesta, e/o nella corretta valutazione di questa) riferibili agli organi giudiziari operanti nella fase delle indagini preliminari; la quale, nel disegno legislativo, appare quella tipicamente e precipuamente deputata alle attivita' di definizione e di tutela delle esigenze in questione. Pertanto, allorquando esigenze siffatte si manifestino soltanto dopo la conclusione di tale fase, altrettanto verosimilmente ricorre una patologia che attiene non al sistema normativo o alla sua interpretazione, bensi' alla attivita' dei soggetti preposti alla sua applicazione; senza che, di conseguenza, il rilievo dei margini di concreta accadibilita' di siffatte accidentalita' possa assurgere alla dignita' di plausibile argomento di interpretazione della legge. (5) Peraltro, proprio quest'ultima precisazione consente di comprendere agevolmente come giammai il pregiudizio in parola possa predicarsi, in relazione alle pregresse pronunce da lui stesso adottate in materia di convalida dell'arresto ed applicazione di misure cautelari personali, in confronto del giudice della cognizione dibattimentale attivata con rito direttissimo; infatti, proprio alla stregua della scansione del procedimento cosi' come positivamente definita dalla legge, tali pronunce costituiscono parte integrante della fase processuale in atto siccome indefettibilmente legittimano, preparano e condizionano la stessa investitura del giudice nella cognizione sul merito della imputazione (cfr. Corte cost. ordinanza n. 316/1996). (6) Infatti il termine "presenta", a seconda delle circostanze e dei contesti di applicazione, puo' essere alternativamente inteso sia nella accezione di "produrre, allegare, introdurre, esibire, trasmettere, comunicare" (ossia nel senso di apportare elementi informativi e dati cognitivi precedentemente estranei alla cognizione del giudice, come appunto avviene allorquando il pubblico ministero trasmette gli atti delle indagini preliminari allegati alla richiesta cautelare) sia nella accezione di "esporre, articolare, sostenere, dedurre, esplicare, relazionare, illustrare, argomentare" (ossia nel senso di apportare elementi argomentativi e criteri valutativi del materiale probatorio gia' noto al giudice, come appunto avviene allorquando Il pubblico ministero, nella motivazione della richiesta cautelare, spiega le ragioni in fatto e in diritto da lui ipotizzate a fondamento della misura alla stregua delle prove gia' note a tutti i soggetti processuali). Analoga considerazione riguarda il termine "elementi" che, per il suo valore semantico ancora piu' marcatamente polisenso, si presta ad indicare qualunque dato cognitivo di qualsivoglia natura emergente e valutabile a qualsiasi fine in ogni situazione procedimentale. (7) Infatti, siccome il controllo di costituzionalita' delle leggi riguarda la compatibilita' di queste con i principi della Costituzione - non potendo sic et simpliciter sostanziarsi in una revisione, in grado ulteriore, delle relative interpretazioni della Corte di Cassazione - "solo allorquando il giudice ritenga [...] che nella giurisprudenza si sia consolidata una reiterata, prevalente e costante lettura della disposizione, e' consentito richiedere l'intervento [della Corte costituzionale] affinche' controlli la compatibilita' dell'indirizzo consolidato con i principi costituzionali" (Corte cost. sentenza n. 456/1989).