TRIBUNALE DI FIRENZE prima sezione penale Il giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato a carico di: 1. E. A., nato in ..., in Italia s.f.d. - elettivamente domiciliato presso l'avv. Matilde Gabrielli del Foro di Firenze (elezione nel corso dell'interrogatorio in sede di convalida), difeso di fiducia dall'avv. Matilde Gabrielli del Foro di Firenze (nomina a seguito dell'arresto); sottoposto per questa causa alla misura dell'obbligo, di presentazione alla Polizia giudiziaria; ammesso al Patrocinio a spese dello Stato; che parla e comprende la lingua italiana (accertamento all'udienza del 31 agosto 2019); 2. F. H. M. Z., nata in ..., cittadina italiana, elettivamente domiciliata presso l'avv.Matilde Gabrielli del Foro di Firenze (elezione nel corso dell'interrogatorio in sede di convalida), difesa di fiducia dall'avv. Matilde Gabrielli del Foro di Firenze (nomina a seguito dell'arresto); sottoposta per questa causa alla misura dell'obbligo, di presentazione alla Polizia giudiziaria; che parla e comprende la lingua italiana (accertamento all'udienza del 31 agosto 2019); arrestati in quasi flagranza di reato in data ... e oggetto del decreto di presentazione diretta in giudizio per il rito direttissimo con la seguente imputazione in ordine al reato di cui agli articoli 116 e 628, comma 2 c.p. perche', in concorso tra loro e comunque previo concerto, sottraevano dagli scaffali del supermercato ad insegna ... sito in ... nel Comune di ... alcuni generi alimentari (una confezione di gelati, una bottiglia di aranciata, una lattina di Redbull, dei biscotti e della schiacciata, per un valore complessivo di euro 8,77, che occultavano all'interno dei loro zainetti) e, una volta giunti alle casse senza pagare, per assicurare a se' il possesso di tali cose e procurarsi l'impunita', la F. H. usava violenza contro la direttrice del negozio V. S. nel frattempo intervenuta a bloccarla all'uscita, spintonandola violentemente e strattonandola per un braccio, dandosi quindi a precipitosa fuga all'esterno del predetto esercizio commerciale, venendo seguita anche dall'E. finche' non venivano bloccati da personale dell'U.P.G.S.P. della Questura di Firenze nel frattempo intervenuto, che li trovava in possesso e intenti a consumare la merce appena sottratta. In ..., il ... con la recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale e dopo l'esecuzione della pena per E. premesso che: i predetti erano tratti in arresto in quasi flagranza di reato in data ...; all'udienza del 31 agosto 2019 il giudice convalidava l'arresto, applicava ad entrambi i prevenuti la misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria e disponeva procedersi col rito direttissimo nei confronti dei predetti per il citato reato contestato dal pubblico ministero; il processo era poi rinviato essendo stato richiesto un termine a difesa; all'udienza del 7 ottobre 2019 il difensore degli imputati, munito di procura speciale, chiedeva per entrambi il rito abbreviato ed il giudice provvedeva in conformita'. Le parti illustravano poi le rispettive conclusioni. In particolare il pubblico ministero chiedeva per F. la condanna ad anni 1, mesi 1 e giorni 10 di reclusione ed euro 800 di multa; per E. il riconoscimento delle circostanze attenuanti in misura prevalente sulla contestata aggravante e la condanna ad anni 1, mesi 1 e giorni 10 di reclusione ed euro 800 di multa. Il difensore chiedeva l'assoluzione o, in subordine, la riqualificazione ai sensi dell'art. 626 del codice penale e quindi il non doversi procedere per difetto di querela o, in ulteriore subordine, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante ex art. 62 n. 4 del codice penale e, per E. la non applicazione della recidiva; all'udienza odierna, cui il processo era rinviato per eventuali repliche, le parti vi rinunciavano; Rilevato che in base agli atti d'indagine, alle ore 13,40 circa del 30 agosto 2019 una volante della questura di si recava nella locale presso l'esercizio commerciale in relazione alla segnalazione di un furto appena perpetrato. Contemporaneamente altra volante, in base alle indicazioni fornite dalla centrale operativa e all'indicazione della direzione seguita (una giovane donna caraibica o sudamericana con capelli raccolti, con un vestitino nero corto, ed un uomo nordafricano con barba e pantaloni verdi, entrambi con zaino in spalla, che si erano appena allontanati in direzione di via di Camaldoli), rintracciava li' vicino i due giovani indicati come autori del fatto, intenti a consumare dei prodotti alimentari. Gli operanti constatavano la presenza negli zaini dei due ragazzi di ulteriore merce alimentare probabilmente asportata dal Carrefour (E. aveva nello zaino una confezione di gelati ed una bottiglia di aranciata; F. aveva in mano una lattina di Redbull e nello zaino biscotti e schiacciata). Gli accertamenti immediatamente eseguiti confermavano che detti prodotti erano stati appena sottratti all'interno del supermercato in questione; gli articoli avevano un valore complessivo di euro 8,77. La direttrice del punto vendita - tale S. V. - riconosceva i due fermati, che si trovavano a bordo della volante, come gli autori del reato appena perpetrato. La donna in particolare riferiva che alle ore 13,15 circa, mentre lavorava presso l'esercizio commerciale in questione, veniva avvisata dai suoi collaboratori che era appena entrata, insieme ad un uomo, una giovane che gia' in precedenti occasioni si era resa responsabile di furti all'interno del supermercato; quindi la V ., mantenendosi a distanza, cercava di controllarli; ad un certo punto notava i due ragazzi occultare della merce all'interno dello zaino della ragazza; vista la situazione la V. si indirizzava immediatamente all'uscita del negozio e contattava il 113; proprio in quel frangente la ragazza oltrepassava le casse senza pagare; la direttrice quindi le si poneva di fronte chiedendole di mostrare il contenuto della borsa, ma la giovane la spingeva, strattonandola per un braccio, cagionandole cosi' dei graffi e riuscendo a scappare; anche il giovane (E.) subito dopo si allontanava a passo svelto raggiungendo la ragazza. In sede di relazione orale l'operante di P.G. ha riferito di avere visto sul braccio della persona offesa dei segni (graffi/rossore). Entrambi gli imputati in sede d'interrogatorio (nella fase di convalida dell'arresto) hanno ammesso la sottrazione dei generi alimentari, affermando di avere avuto fame e di vivere in una casa occupata nei pressi del citato esercizio commerciale. Entrambi fanno inoltre uso di stupefacenti (la circostanza e' pacifica: dopo l'arresto entrambi sono stati accompagnati dalla P.G. presso un ospedale cittadino per l'assunzione di metadone). La F. ha negato di avere spinto la direttrice del negozio, affermando di averla urtata accidentalmente. Alla luce di quanto precede appare comprovata la responsabilita' di entrambi gli imputati per il fatto loro ascritto. Corretta appare anche la qualificazione in termini di rapina consumata. In base alle s.i.t. della V. la F. ha esercitato nei suoi confronti un atto di violenza per poi immediatamente allontanarsi, con la merce sottratta, dal negozio: in ragione della sequenza e della tempistica dei fatti si deve ritenere ricorra il dolo specifico richiesto dalla norma; inoltre i due soggetti, per quanto monitorati dalla direttrice, hanno conseguito un possesso autonomo dei beni, che sono fuoriusciti dalla sfera di controllo del titolare per un apprezzabile lasso di tempo, essendo stati recuperati solo dopo che la volante della Polizia ha rintracciato - a circa 100 metri di distanza, secondo la relazione orale dell'operante - i due giovani. Per effetto dell'estensione operata dall'art. 116 del codice penale, e' responsabile della rapina impropria anche E., che pur aveva programmato il solo furto (non vi sono elementi per ritenere che egli avesse previsto e accettato il rischio di realizzazione del piu' grave reato di rapina, anche solo in termini di dolo eventuale); era infatti prevedibile che l'atto predatorio potesse degenerare in una rapina. Gia' in astratto la giurisprudenza di legittimita' ha sottolineato che «sussiste il necessaria rapporto di causa ad effetto tra il reato di furto inizialmente programmato e quello di rapina impropria, commesso successivamente, poiche' e' del tutto prevedibile che un compartecipe possa trascendere ad atti di violenza o minaccia nei confronti della parte lesa o di terzi, per assicurarsi il profitto del furto, o comunque guadagnare l'impunita'» (cosi', tra le tante, Cassazione sentenza n. 49443 del 3 ottobre 2018 rv 274467; nello stesso senso Cassazione sentenza n. 45446 del 6 ottobre 2016 rv 268564 e Cass. sentenza n. 32644 del 18 giugno 2013 rv 256841); nel caso di specie tale principio e' ancor piu' condivisibile in considerazione delle circostanze del caso concreto e in particolare del luogo chiuso in cui il fatto era posto in essere e della presenza di personale del supermercato, e quindi in definitiva della maggior probabilita' che per scappare uno dei due soggetti, nella concitazione del momento, potesse porre in essere un atto di violenza. Quanto alle circostanze del reato, il pubblico ministero nel decreto di presentazione non ha contestato la circostanza aggravante delle «piu' persone riunite» ex art. 628, comma 3, n. l del codice penale, espressamente motivando al riguardo («[...] nel caso di specie, si puo' dire che la mera presenza dell'altro correo che, materialmente, non ha posto in essere la violenza ai danni della responsabile dell'esercizio commerciale al momento e nel luogo in cui essa e' stata viceversa compiuta dalla complice, sia stata del tutto casuale e soprattutto neutra nello sviluppo dell'azione criminosa, non potendosi certo dire che lo stesso, con la propria presenza, abbia agito al fine di effettuare un rafforzamento della violenza posta in essere dalla correa, ed anzi essendosi egli allontanato dall'esercizio commerciale solo dopo qualche istante rispetto alla complice, senza esercitare alcuna violenza»); tale argomentazione, alla luce degli insegnamenti della Suprema Corte, risulta condivisibile; E' stata viceversa contestata ad E. la recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale e dopo l'esecuzione della pena. In effetti i certificati penali del medesimo (relativi alle varie modalita' leggermente diverse con cui e' scritto il cognome - «E.», «E.», «O.» - ferma restando l'identita' del nome proprio e del luogo e data di nascita, generalita' che comunque trovano conferma nel raffronto con la visura dei rilievi dattiloscopici) evidenziano numerosi precedenti, anche specifici e recenti: tra gli altri, una sentenza di applicazione pena del Tribunale di Rimini del 22 agosto 2008 per furto tentato (commesso il 15 agosto 2008); un decreto penale di condanna del giudice per le indagini preliminari Bologna del 2 luglio 2009 per furto (commesso il 20 maggio 2008); una sentenza del Tribunale di Firenze del 10 febbraio 2012 per resistenza a pubblico ufficiale (commessa il 31 ottobre 2011); una sentenza del Tribunale di Firenze del 30 agosto 2012 per furto in concorso e resistenza a pubblico ufficiale (commessi il 22 agosto 2012); una sentenza della Corte d'Appello di Firenze del 9 giugno 2015 per rapina impropria, lesioni personali e ricettazione (commessi/accertati il 4 agosto 2014); una sentenza del Tribunale di Lucca del 23 marzo 2016 per danneggiamento ai sensi degli articoli 635-625 n. 7 del codice penale (commesso il 12 gennaio 2015). Tra l'altro varie pene detentive tra quelle applicate dalle citate sentenze risultano essere state concretamente eseguite. Inoltre, gia' in plurimi provvedimenti giudiziari tra quelli sopra elencati e' stata riconosciuta e applicata la recidiva reiterata (sentenze del 10 febbraio 2012, del 9 giugno 2015 e del 23 marzo 2016). Alla luce di tali precedenti l'attuale reato manifesta una maggiore pericolosita' e colpevolezza dell'imputato, evidentemente insensibile ai ripetuti provvedimenti adottati nei suoi confronti e quindi da un lato maggiormente rimproverabile e dall'altro da ritenersi tanto piu' incline a reiterare atti predatori e/o violenti. Nei confronti dell'imputato E. sono riconoscibili anche plurime circostanze attenuanti. Innanzi tutto si puo' riconoscere l'attenuante ex art. 116, comma 2, del codice penale: gli elementi risultanti in atti depongono infatti nel senso che egli volesse compiere il reato di furto; con riguardo al piu' grave reato di rapina, materialmente posto in essere dalla F. e di cui egli deve rispondere a titolo di concorso anomalo (come contestato nello stesso capo d'imputazione), e' applicabile l'attenuante in questione. E' poi evidente la riconoscibilita' della circostanza attenuante ex art. 62 n. 4 del codice penale in ragione del valore assolutamente modesto dei beni sottratti (prezzo complessivo di euro 8,77); peraltro anche l'offesa al bene dell'integrita' fisica della V. e' stata di minima entita'. Infine si possono riconoscere le circostanze attenuanti generiche in ragione dell'entita' modesta della violenza e della natura dei beni oggetto della condotta delittuosa (generi alimentari), con cui i due imputati - che versano in condizioni economiche molto precarie - miravano a soddisfare un bisogno fondamentale (i prevenuti erano tratti in arresto mentre si accingevano a consumare detti alimenti, subito dopo la sottrazione e a breve distanza). Quanto al bilanciamento della citata recidiva qualificata e delle menzionate circostanze attenuanti, per poter addivenire ad una corretta decisione appare necessario il pronunciamento della Corte costituzionale in ordine al divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata fissato dall'art. 69, comma 4, del codice penale ed in particolare del divieto di prevalenza della circostanza attenuante ex art. 116, comma 2, del codice penale sulla recidiva reiterata e del divieto di prevalenza di una pluralita' di circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata; Cio' premesso, osserva Rilevanza della questione. La citata disposizione di cui all'art. 69, quarto comma, cod. pen., come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, prevede un divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, prevista dall'art. 99, quarto comma, del codice penale. Nel caso in esame ricorre per l'appunto la recidiva reiterata (peraltro specifica, infraquinquennale e dopo l'esecuzione della pena); quest'ultima non solo e' stata correttamente contestata, ma si deve concretamente applicare: in considerazione del carattere recente dei precedenti giudiziari, dell'omogeneita' tra gli stessi e il reato ora in esame, del tipo di devianza di cui gli stessi sono espressione, dell'insufficienza in chiave dissuasiva delle condanne e delle pene gia' eseguite, si deve ritenere che la ricaduta nel reato sia effettivo sintomo di una maggiore pericolosita' e colpevolezza dell'imputato. Si deve solo rilevare che l'applicazione della recidiva (reiterata, specifica, infraquinquennale e post esecuzione della pena) non appare affatto incompatibile con l'istituto del concorso anomalo: e' si' vero che quest'ultimo comporta l'attribuzione all'imputato di un reato piu' grave di quello da lui voluto, sulla base - oltre che della sussistenza di un nesso causale tra la condotta posta in essere e il diverso evento realizzatosi - di un coefficiente di prevedibilita' in concreto di tale diverso evento da parte di chi ha voluto solo il reato meno grave; e dunque e' vero che il concorso anomalo postula l'assenza del dolo, anche solo eventuale, rispetto al piu' grave evento realizzatosi, in quanto ove tale dolo sussistesse - si configurerebbe un normale concorso di persone nel reato; tuttavia il citato minor coefficiente psicologico (prevedibilita' dello sviluppo piu' grave poi concretizzatosi) si innesta comunque necessariamente su una componente dolosa e cioe' sulla rappresentazione e volizione del reato meno grave; con riguardo a tale componente e' dunque possibile quella valutazione di maggior pericolosita' e colpevolezza richiesta ai fini dell'applicazione della recidiva. Tale interpretazione e' stata peraltro implicitamente fatta propria dalla Corte di cassazione, allorquando quest'ultima ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dedotta rispetto al divieto di prevalenza della circostanza attenuante ex art. 116, comma 2, del codice penale sulla recidiva reiterata (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24710 del 13/05/2015 Rv. 263960 - 01). Come si e' rilevato, nel caso in esame sono riconoscibili all'imputato E. la circostanza attenuante di cui all'art. 116, del codice penale, la circostanza attenuante ex art. 62 n. 4 del codice penale e le circostanze attenuanti generiche. Tali attenuanti per la loro pregnanza - ed in particolare per il valore irrisorio dei beni sottratti e quindi per l'assoluta lievita' del danno patrimoniale causato, per l'entita' altrettanto modesta della violenza esplicata, peraltro non dall'E. (che intendeva porre in essere soltanto un furto) ma dalla coimputata, nonche' per la tipologia di bisogno che gli imputati intendevano soddisfare con la propria condotta - meriterebbero di essere ritenute prevalenti rispetto alla citata recidiva qualificata e di essere applicate nella loro estensione massima o quasi massima. Lo stesso pubblico ministero nelle proprie conclusioni, pur non deducendo alcuna questione di legittimita' costituzionale, ha chiesto condannarsi alla pena di anni 1, mesi 1 e giorni 10 di reclusione ed euro 800 di multa, previa applicazione delle attenuanti in misura prevalente sulla citata recidiva. Il divieto posto dall'art. 69, quarto comma, del codice penale osta ad un tale giudizio di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata. Non manifesta infondatezza. Il precetto normativo pare di dubbia legittimita' costituzionale. La Corte costituzionale ha gia' affrontato in plurime occasioni e sotto differenti profili la questione della legittimita' della norma censurata. Dopo avere in alcune prime pronunce ritenuto inammissibili le questioni sollevate (poiche' le ordinanze di rimessione muovevano dall'erroneo presupposto che la riforma del 2005 avesse reso obbligatoria l'applicazione della recidiva reiterata), la Corte ha con diverse sentenze dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del codice penale nella parte in cui vieta la prevalenza di singole circostanze attenuanti (di cui agli arti. 73 comma 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, 648 comma 2 del codice penale , 219 comma 3 legge fallimentare, 609-bis comma 3 del codice penale, 73 comma 7 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990) sulla recidiva reiterata. In particolare, la Corte costituzionale nella sentenza 251 del 2012 ha cosi ricostruito il quadro normativo, l'operativita' del divieto e i limiti in cui lo stesso e' sindacabile: «Nell'attuale formulazione, l'art. 69, quarto comma, del codice penale costituisce il punto di arrivo di un'evoluzione legislativa dei criteri di bilanciamento iniziata con l'art. 6 del decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99 (Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 1974, n. 220, che ha esteso il giudizio di comparazione alle circostanze autonome o indipendenti e a quelle inerenti alla persona del colpevole. L'effetto e' stato quello di consentire il riequilibrio di alcuni eccessi di penalizzazione, ma anche quello di rendere modificabili, attraverso il giudizio di comparazione, le cornici edittali di alcune ipotesi circostanziali, di aggravamento o di attenuazione, sostanzialmente diverse dai reati base; ipotesi che solitamente vengono individuate dal legislatore attraverso la previsione di pene di specie diversa o di pene della stessa specie, ma con limiti edittali indipendenti da quelli stabiliti per il reato base, come nel caso regolato dall'art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. E' rispetto a questo tipo di circostanze che il criterio generalizzato, introdotto con la modificazione dell'art. 69, quarto comma, del codice penale, ha mostrato delle incongruenze, inducendo il legislatore a intervenire con regole derogatorie, come e' avvenuto con l'aggravante della «finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico» (art. 1, decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, recante «Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica», convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio 1980, n. 15) e, in seguito, con varie altre disposizioni, generalmente adottate per impedire il bilanciamento della circostanza comma d. privilegiata, di regola un'aggravante, o per limitarlo, in modo da escludere la soccombenza di tale circostanza nella comparazione con le attenuanti; ed e' appunto questo il risultato che si e' voluto perseguire con la norma impugnata. Come e' stato sottolineato da questa Corte, il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee consente al giudice di «valutare il fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale, sia eliminando dagli effetti sanzionatori tutte le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di quelle che aggravano la quantitas delicti, ppure soltanto di quelle che la diminuiscono» (sentenza n. 38 del 1985). Deroghe al bilanciamento pero' sono possibili e rientrano nell'ambito delle scelte del legislatore, che sono sindacabili da questa Corte «soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio» (sentenza n. 68 del 2012), ma in ogni caso non possono giungere a determinare un'alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilita' penale». Nell'attuale processo il citato divieto fissato dall'art. 69 comma 4 del codice penale pare per l'appunto trasmodare in una manifesta irragionevolezza sia nella misura in cui operi con riguardo alla circostanza attenuante ex art. 116 del codice penale, sia nella misura in cui operi a fronte di una pluralita' di circostanze attenuanti. Sotto il primo profilo, questo giudice e' consapevole del fatto che l'attenuante prevista dall'art. 116 comma 2 del codice penale e' una circostanza attenuante ad effetto comune, a differenza di tutte le circostanze (di cui agli articoli 73 comma 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, 648 comma 2 del codice penale, 219 comma 3 legge fallimentare, 609-bis comma 3 del codice penale, 73 comma 7 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990) rispetto alle quali la Corte costituzionale ha gia' dichiarato l'illegittimita' del divieto fissato dalla norma qui censurata. Questo giudice e' altresi' conscio del fatto che e' stata proprio la peculiare efficacia diminuente delle citate circostanze attenuanti («enorme divaricazione delle cornici edittali stabilite dal legislatore per il reato circostanziato e per la fattispecie base») il principale fattore che ha condotto la Corte a ritenere manifestamente sproporzionato, sul piano delle conseguenze in termini sanzionatori, il citato divieto di prevalenza. In base alla massima (la sentenza e' attualmente in fase di valutazione per oscuramento, per cui il testo non e' disponibile) e' stata peraltro proprio la natura di circostanza ad effetto comune della diminuente ex art. 116 comma 2 del codice penale a far ritenere alla Corte di cassazione (Sez. 1, Sentenza n. 24710 del 13/05/2015 Rv. 263960 - 01 ) manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale che ora si propone. La circostanza prevista dall'art. 116 comma 2 del codice penale, tuttavia, per quanto ad effetto comune, pare meritevole di una considerazione peculiare, in quanto necessaria ad assicurare la «tenuta costituzionale» dell'istituto del concorso anomalo. Tale istituto, ispirato ad un certo rigore, porta a ritenere responsabile del reato diverso e piu' grave commesso anche il concorrente che avesse voluto un reato meno grave, sulla base del relativo contributo causale. Tale particolare rigore permane anche nella configurazione data al concorso anomalo dall'orientamento, ormai unanime, formatosi sulla scia delle pronunce della Corte di cassazione e della stessa Corte costituzionale, che postula che il piu' grave reato costituisca uno sviluppo logicamente prevedibile da colui che aveva voluto il reato meno grave. Si equipara infatti al vero e proprio dolo (rispetto al piu' grave reato posto in essere da altro concorrente) un elemento psicologico connotato dalla volizione del reato meno grave programmato e dalla prevedibilita' logica del reato piu' grave concretatosi. Cio' anche nel caso in cui il piu' grave reato realizzato vada ad offendere un bene giuridico diverso rispetto a quello su cui avrebbe inciso il reato programmato, come per l'appunto nel caso di progressione del delitto di furto in rapina: un soggetto - nel nostro caso E. - aveva previsto e voluto un fatto che offendesse solo (minimamente: 8,77 euro) il patrimonio; per effetto della condotta violenta della concorrente (F.), da lui non voluta ma prevedibile, egli e' chiamato a rispondere di un delitto che offende anche la persona. Quelli cosi equiparati sono due atteggiamenti psicologici profondamente diversi. Sulla base di tale equiparazione peraltro colui che aveva voluto il reato meno grave si puo' trovare assoggettato ad un trattamento sanzionatorio estremamente piu' severo, cio' che per l'appunto avviene nel caso di specie. In assenza della spinta di strattonamento posta in essere dalla correa, E. avrebbe risposto - peraltro solo in presenza di una querela, che concretamente non e' stata presentata - del delitto di furto di cui all'art. 626 del codice penale: ai fini dell'inquadramento in tale fattispecie del furto che i due soggetti avevano programmato, si rilevi che gli stessi hanno sottratto beni di (molto) tenue valore, di natura alimentare; considerato che i due prevenuti vivono in condizioni molto precarie (sono tossicodipendenti, privi di occupazione lavorativa e di una stabile dimora; vivono in una casa occupata) e che hanno consumato i generi alimentari sottratti subito dopo il fatto e vicino al supermercato (benche' fosse ampiamente prevedibile l'arrivo della Polizia), e' ragionevole ritenere che gli stessi non mangiassero da tempo e volessero cosi' provvedere ad un grave ed urgente bisogno. Il furto di cui all'art. 626 del codice penale e' punito - a querela della persona offesa - con la reclusione fino a un anno oppure anche solo con la multa. Quindi E. aveva previsto e voluto un reato per il quale avrebbe potuto subire a pena solo pecuniaria o una pena detentiva pari nel minimo a 15 giorni di reclusione e nel massimo ad un anno di reclusione. In ragione della prevedibilita' logica di uno sviluppo ulteriore, da lui non voluto, per il concorso anomalo si trova responsabile di un reato punito ora (dopo la legge n. 36/2019) con la pena minima di anni cinque di reclusione (pari ad oltre 120 volte la pena detentiva minima prevista per il furto ex art. 626 del codice penale) e la pena massima di dieci anni di reclusione. Quand'anche si ritenesse che quello programmato fosse un furto ordinario ex art. 624 del codice penale, la pena detentiva prevista da tale norma (pena minima di sei mesi di reclusione, pena massima di tre anni di reclusione) sarebbe comunque decisamente inferiore a quella prevista dall'art. 628 del codice penale per il delitto di rapina. Tanto rigore costituisce peraltro un'eccezione ove si confronti il regime previsto dall'art. 116 del codice penale con quello previsto da altre norme con riguardo a situazioni simili, ove parimenti viene in rilievo quanto all'elemento psicologico del reato una componente dolosa ed un quid pluris costituito - dalla prevedibilita' di un dato ulteriore piu' grave: cosi' ad esempio, l'art. 586 cod. pen. prevede, per l'ipotesi di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto doloso (1) , soltanto il concorso tra i reati con un aumento (entro il terzo) della pena prevista per l'omicidio colposo o le lesioni colpose; analogamente l'art. 83 cod. pen., con riguardo all'aberratio delicti, prevede che - se, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, si cagioni un evento diverso da quello voluto - il colpevole risponde, a titolo di colpa, dell'evento non voluto, quando il fatto e' preveduto dalla legge come delitto colposo; cosi' ancora, in plurimi casi di delitti dolosi aggravati dall'evento (danneggiamento seguito da incendio rispetto all'incendio; rissa seguita da morte o lesioni rispetto ad omicidio e lesioni personali; ecc.) la pena prevista contempla normalmente una riduzione superiore al terzo rispetto al delitto doloso connotato tipicamente da quell'evento. Gia' nel 1965, con la sentenza n. 42, la Corte costituzionale aveva peraltro auspicato un intervento del Legislatore che ponesse fine a dubbi e discrasie in proposito («Cio' che invece questa Corte ritiene di dover rilevare e' che le incertezze e i contrasti suscitati dalla disposizione dell'art. 116, sebbene da ultimo avviati dalla giurisprudenza a una piu' equilibrata ed esatta soluzione, non possono dirsi del tutto dissipati nella coscienza sociale giuridica: onde la opportunita' di un intervento del legislatore, al fine di stabilire se la norma in questione debba rimanere nel nostro ordinamento e, in caso positivo, quali esattamente debbano esserne il fondamento e i limiti, e in quali termini, inoltre, debba realizzarsi una logica coordinazione della norma stessa con tutto il sistema e con norme analoghe, in particolare con quella dell'art. 83 del del codice penale»). In questo quadro la circostanza attenuante di cui all'art. 116 del codice penale appare essenziale per assicurare la legittimita' costituzionale ex art. 3 Cost. dell'istituto del concorso anomalo, consentendo che situazioni profondamente diverse (da un lato un vero e proprio dolo, dall'altro il dolo di un fatto diverso, potenzialmente del tutto diverso, accompagnato dalla prevedibilita' del fatto piu' grave del correo) siano sanzionate in modo almeno un minimo differente. Il divieto di prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 116 del codice penale sulla recidiva reiterata, fissato dall'art. 69, comma 4, del codice penale, vanifica tale distinzione, imponendo l'applicazione al concorrente anomalo del trattamento sanzionatorio previsto per il reato piu' grave da lui non voluto. Nel caso di specie, in ragione della recidiva reiterata e dell'impossibilita' di un giudizio di prevalenza delle attenuanti, la pena minima prevista per E. e' pari ad anni cinque di reclusione (fatta salva la riduzione per il rito). Paradossalmente, per effetto della ricorrenza delle altre attenuanti - riconoscibili anche alla F - nei confronti di quest'ultima (formalmente incensurata, ma negli ultimi mesi arrestata piu' volte per fatti analoghi) puo' essere applicata una pena detentiva decisamente inferiore (anni cinque di reclusione, ridotta per l'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 del codice penale ad anni tre e mesi quattro, ridotta per le attenuanti generiche ad anni due e mesi tre, fatta salva l'ulteriore riduzione per il rito). Dunque, colui che ha previsto e voluto un reato molto meno grave (punito dall'art. 626 del codice penale con la reclusione fino a un anno o anche solo con la multa) per effetto della recidiva reiterata e' punito, in relazione al diverso reato voluto e realizzato da un concorrente (rapina impropria), con una pena enormemente piu' alta di quella prevista per il reato da lui voluto e anche sensibilmente piu' alta di quella irroganda alla concorrente che ha voluto e commesso il piu' grave reato. Il citato divieto di prevalenza pare cosi' trasmodare in una manifesta irragionevolezza e ungile violare il disposto dell'art. 3 della Costituzione. Risulta violato altresi' il disposto dell'art. 27, comma 3, della Costituzione. La pena di anni cinque di reclusione - che, fatta salva la riduzione per il rito, per effetto del divieto di prevalenza si dovrebbe applicare - sarebbe eccessiva e ingiusta, violando il canone della proporzionalita' rispetto al fatto di reato posto in essere, globalmente considerato, ivi compreso l'atteggiamento psicologico dell'imputato; in quanto sproporzionata, la pena non potrebbe mai essere percepita dal condannato come giusta ed esplicare quindi la propria funzione rieducativa; al contrario il condannato - che per effetto della recidiva reiterata si veda assoggettato ad una pena enormemente piu' alta di quella prevista per il reato da lui voluto e anche sensibilmente piu' alta di quella irrogata al concorrente che ha voluto e commesso il piu' grave reato - non potrebbe che percepire come irragionevole la pena stessa e non aderirebbe quindi al trattamento rieducativo. Venendo al secondo profilo di sospetta illegittimita' della norma, peraltro in parte gia' anticipato, si deve rilevare che nel caso di specie sono riconoscibili all'imputato piu' circostanze attenuanti, sia pure tutte ad effetto comune. La singola circostanza attenuante, isolatamente considerata, comporterebbe in assenza della recidiva reiterata una diminuzione di pena fino al terzo. Il concorso delle tre circostanze attenuanti potrebbe comportare viceversa - senza considerare il rito abbreviato - una riduzione nella misura massima di 19 ventisettesimi (circa il 70%); la pena finale (fatto salvo il rito) potrebbe cioe' essere pari ad 8 ventisettesimi della pena base (pena base * 2/3 *213 *2/3). Come si e' gia' visto, nel caso di specie sussisterebbero i presupposti per applicare le citate circostanze attenuanti nella loro portata massima o quasi. In particolare, si riterrebbe congrua ex art. 133 del codice penale una pena di anni uno e mesi sei di reclusione (fatta salva la riduzione per il rito), cosi' determinata: pena base anni cinque di reclusione (2) , ridotta per l'attenuante ex art. 116, comma 2, del codice penale, ad anni tre e mesi quattro di reclusione, ridotta per l'attenuante ex art. 62 n. 4 del codice penale ad anni due, mesi due e giorni venti di reclusione, ridotta per le attenuanti generiche ad anni uno e mesi sei di reclusione. Viceversa, per effetto della recidiva reiterata e del divieto di prevalenza delle attenuanti, la pena da irrogare sarebbe quella di anni cinque di reclusione. Enorme e' la divaricazione tra la pena che sarebbe irrogata in assenza della recidiva (o del divieto di prevalenza) e la pena che e' invece possibile irrogare in presenza della stessa (e del citato divieto), sia in valore assoluto (una differenza di tre anni e sei mesi) sia in proporzione (la pena di cinque anni e' pari ad oltre il triplo di quella di anni uno e mesi sei). Si tratta di una distorsione irragionevole: la recidiva reiterata, anziche' comportare un aumento della pena della meta' (50%) o di due terzi (66,6%) secondo quanto previsto dall'art. 99, comma 4, del codice penale, per effetto del divieto di prevalenza delle attenuanti finisce per comportare un aumento del 233% rispetto alla pena che sarebbe stata altrimenti applicata (3) . Tale aumento per un verso appare irragionevolmente diverso, per eccesso, rispetto ai casi in cui la recidiva reiterata non concorra con nessuna attenuante e percio' comporti un aumento del 50% o del 66,6% rispetto alla pena che sarebbe applicata in sua assenza, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost. Per altro verso la citata incidenza della recidiva finisce per attribuire un peso eccessivo al passato giudiziale della persona rispetto alla gravita' del fatto di reato commesso, globalmente considerato anche nei suoi aspetti circostanziali, con violazione dell'art. 25, comma 2, Cost. (nel caso di specie tutte le circostanze riconosciute afferiscono ad aspetti riconducibili alla gravita' del reato, sotto il profilo dell'oggetto della condotta, del danno cagionato, dell'entita' della violenza posta in essere e dell'intensita' del dolo). Infine, la norma censurata pare violare l'art. 27, comma 3, Cost. Come ha gia' rilevato la Corte costituzionale, «L'art. 69, comma quarto, del codice penale, nel precludere la prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, realizza una "deroga rispetto a un principio generale che governa la complessa attivita' commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione della pena base con quelli mediante i quali essa, secondo un processo finalisticamente indirizzato dall'art. 27, terzo comma, Cost., diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo dell'applicazione delle circostanze"» (cosi' Corte costituzionale sentenza n. 105 del 2014, che a sua volta richiama precedenti pronunce); nel caso in esame il citato divieto normativo impedisce il necessario adeguamento al caso concreto, determinando un trattamento sanzionatorio palesemente sproporzionato e quindi impossibile da accettare come giusto da parte del reo, con conseguente ostacolo alla funzione rieducativa della pena. Impossibilita' di un'interpretazione conforme. Non risultano percorribili interpretazioni conformi della norma ora censurata alle citate disposizioni della Costituzione, chiaro e univoco essendo il dato letterale (la disposizione e' peraltro interpretata in modo costante dalla giurisprudenza in conformita' al citato dato letterale). (1) (Cfr. tra le altre Cassazione Su. 5, Sentenza n. 1795 del 6 luglio 2006 Rv. 236298 - 01: «Al fine della sussistenza del delitto di cui all'art. 586 del codice penale (morte o lesioni come conseguenza di altro delitto), e' necessario, oltre al legame eziologico, che l'evento di morte o lesioni sia conseguenza prevedibile del delitto base».) (2) (Per semplicita' si ha riguardo alla sola pena detentiva.) (3) (Nel caso di due circostanze attenuanti, l'incidenza della recidiva - se pur minore - sarebbe comunque eccessiva, determinando un aumento del 125% della pena che sarebbe applicabile in sua assenza.)