per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) e dell'art. 29, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, primo e secondo comma, 30 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 24, paragrafo 3, della Carta dei diritti Fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e alla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, dal Tribunale ordinario di Venezia, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 ottobre 2020. F.to: Mario Rosario MORELLI, Presidente e Redattore Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria Depositata in Cancelleria il 4 novembre 2020. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA Allegato: Ordinanza letta all'udienza del 20 ottobre 2020 ORDINANZA Visti gli atti relativi al giudizio di legittimita' costituzionale introdotto dal Tribunale ordinario di Venezia, sezione civile, in composizione collegiale, con ordinanza del 3 aprile 2019 (reg. ord. n. 108 del 2019), avente ad oggetto gli artt. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) e 29, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui non consentono la formazione di un atto di nascita in cui vengano indicati come genitori due donne tra loro unite civilmente e che abbiano fatto ricorso (all'estero) alla procreazione medicalmente assistita. Rilevato che e' intervenuta nel giudizio davanti a questa Corte, con atto ad adiuvandum depositato il 30 luglio 2019, l'Avvocatura per i diritti LGBTI APS, in persona del suo legale rappresentante pro tempore. Considerato che detto soggetto non e' stato parte nel giudizio a quo; che la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, sentenze n. 13 del 2019, n. 217 e n. 180 del 2018; ordinanze allegate alle sentenze n. 158, n. 119 e n. 30 del 2020, n. 237, n. 221, n. 159, n. 141 e n. 98 del 2019, n. 217, n. 194, n. 180 e n. 77 del 2018, n. 29 del 2017, n. 286, n. 243 e n. 84 del 2016; ordinanze n. 202, n. 111 e n. 37 del 2020) e' nel senso che la partecipazione al giudizio di legittimita' costituzionale e' circoscritta, di norma, alle parti del giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4 delle Norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale); che a tale disciplina e' possibile derogare - senza venire in contrasto con il carattere incidentale del giudizio di costituzionalita' - soltanto a favore di soggetti terzi che siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura; che, pertanto, l'incidenza sulla posizione soggettiva dell'interveniente non deve derivare, come per tutte le altre situazioni sostanziali governate dalla legge denunciata, dalla pronuncia della Corte sulla legittimita' costituzionale della legge stessa, ma dall'immediato effetto che tale pronuncia produce sul rapporto sostanziale oggetto del giudizio principale; che nel presente giudizio l'Avvocatura per i diritti LGBTI APS non e' titolare di interessi direttamente riconducibili all'oggetto del giudizio stesso, sebbene di meri indiretti, e piu' generali, interessi, connessi ai suoi scopi statutari; che, pertanto, l'intervento della suddetta associazione deve essere dichiarato inammissibile. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara inammissibile l'intervento dell'Avvocatura per i diritti LGBTI APS. F.to Mario Rosario Morelli, Presidente