Ricorso   per  conflitto  di  attribuzioni  dei  signori  Daniele
  Capezzone,  Michele  De  Lucia  e  Mariano  Giustino  - nella  loro
  qualita'  di  promotori  e  presentatori  dei referendum abrogativi
  indetti,  per il 21 maggio 2000, con i decreti del Presidente della
  Repubblica  del  29  marzo 2000 pubblicati nella Gazzetta Ufficiale
  del  4  aprile 2000, n. 79 - rappresentati e difesi dall'avv. prof.
  Nicolo'  Zanon  del  Foro di Milano ed elettivamente domiciliati in
  Roma,  presso  lo  studio  dell'avv.  Giandomenico  Caiazza,  viale
  Mazzini,  140, come da procura speciale del notaio Antonio Manzi di
  Roma, del 19 aprile 2000, allegata al presente atto;
    Nei  confornti  della  commissione  parlamentare  per l'indirizzo
  generale   e   la   vigilanza   dei   servizi  radiotelevisivi  per
  l'annullamento,  previa  sospensione,  degli  artt.  1, comma 2; 2,
  comma  1,  lett. c) e d); 7, comma 2, della deliberazione approvata
  in data 29 marzo 2000, intitolata "comunicazione politica, messaggi
  autogestiti,   informazione  e  tribune  della  concessionaria  del
  servizio  radiotelevisivo  pubblico  per  la  campagna referendaria
  2000"  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  del  1o aprile 2000,
  n. 77;
    Nei  confronti dell'autorita' per le garanzie nelle comunicazioni
  per   l'annullamento,   previa   sospensione,   dell'art. 8   della
  deliberazione  n. 55/00/CSP,  approvata  in  data  29  marzo  2000,
  intitolata  "disposizioni di attuazione della disciplina in materia
  di  comunicazione  politica  e  di  parita'  di accesso ai mezzi di
  informazione  relative  alla  campagna  per i referendum abrogativi
  della  primavera  2000", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 1o
  aprile 2000, n. 77.
                          Fatto e dirirtto
    1. - Con il presente ricorso per conflitto, i promotori dei sette
  referendum indetti per il 21 maggio 2000 lamentano la lesione della
  loro sfera costituzionale di attribuzioni in conseguenza degli atti
  (meglio  specificati in epigrafe) della commissione parlamentare di
  vigilanza  e  dell'autorita'  per  le garanzie nelle comunicazioni,
  adottati  in attuazione di quanto stabilito dalla legge 22 febbraio
  2000,  n. 28  "disposizioni  per  la parita' di accesso ai mezzi di
  informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la
  comunicazione politica".
    I   ricorrenti   ritengono  che  la  commissione  parlamentare  e
  l'autorita' abbiano fatto cattivo uso dei poteri loro spettanti: il
  contenuto  degli atti impugnati, infatti, non contiene la effettiva
  attuazione  dei  principi  previsti nella legge, cio' che determina
  restrizioni  allo  svolgimento  della campagna referendaria tali da
  incidere sulla formazione della volonta' di coloro che esprimono il
  loro  voto  nel  referendum  e,  di  conseguenza,  nella  sfera  di
  attribuzioni  garantita,  ai sensi dell'art. 75 Cost., ai promotori
  (cfr.  Corte  cost., sentenza n. 161 del 1995; ordinanza n. 171 del
  1997).
    2. - Per  meglio comprendere come nasce il presente conflitto, e'
  opportuno  illustrare  sinteticamente i contenuti della legge n. 28
  del 2000.
    Essa   contiene   la   nuova   disciplina   relativa   alla   cd.
  "comunicazione   politica",   sia  radiotelevisiva  che  attraverso
  quotidiani  e  periodici,  applicabile  in  generale  e,  con norme
  particolari,  nei  periodi  di  campagna elettorale e (cio' che qui
  piu' interessa) referendaria. Per "comunicazione politica" la legge
  intende  la  diffusione, nelle varie forme possibili, di "programmi
  contenenti opinioni e valutazioni politiche" (art. 2, comma 2), con
  cio'   riferendosi  alle  diverse  opzioni  politico-programmatiche
  espresse  dalle  forze  politiche. La legge si dichiara ispirata al
  criterio  fondamentale  (artt.  1  e  2,  comma  1) di garantire la
  parita'  di  trattamento,  l'imparzialita'  e  l'equita' rispetto a
  tutti i soggetti politici.
    La  legge  n. 28  del  2000  contiene, dunque, in primo luogo, la
  disciplina  che  riguarda  l'accesso  ai  mezzi di informazione dei
  diversi soggetti politici, sia nei periodi di campagna elettorale o
  referendaria,  sia  fuori  di  questi:  si  tratta delle regole che
  disciplinano  tempi  e  modalita'  attraverso i quali tali soggetti
  possono  essere ospitati dai mezzi di informazione per presentare i
  propri  programmi,  i  propri candidati e i propri obiettivi, cioe'
  per  far  conoscere,  come  la  legge  dice,  le proprie opinioni e
  valutazioni politiche.
    Tuttavia,   la   legge  n. 28  del  2000  contiene  anche  alcune
  disposizioni, di significato assai diverso, in tema di informazione
  e   comunicazione   di   carattere   istituzionale,   che   valgono
  particolarmente   per   i   periodi   di   campagna   elettorale  e
  referendaria.  Si  tratta  di regole attraverso le quali i mezzi di
  comunicazione (e in particolare la RAI, concessionaria del servizio
  pubblico) sono tenuti non gia' ad offrire spazi ai diversi soggetti
  politici, affinche' questi possano illustrare le proprie opinioni e
  valutazioni  politiche,  ma  a  fornire  direttamente  essi  stessi
  un'informazione  obbiettiva  e  neutrale  circa il significato e le
  modalita' del voto cui i cittadini sono chiamati.
    Oltre   all'art.   5,  comma  1,  che  ragiona  di  obiettivita',
  completezza  ed  imparzialita'  dell'informazione,  e' da ricordare
  soprattutto  l'art.  9  (intitolato "disciplina della comunicazione
  istituzionale  e  obblighi  di  informazione"),  il quale, al primo
  comma,  stabilisce  che  "dalla  data  di  convocazione  dei comizi
  elettorali  e  fino alla chiusura delle operazioni di voto e' fatto
  divieto  a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attivita'
  di  comunicazione  ad  eccezione  di  quelle  effettuate  in  forma
  impersonale  ed  indispensabili  per  l'efficace assolvimento delle
  proprie  funzioni".  Il  secondo  comma  precisa  che "le emittenti
  radiotelevisive   pubbliche   e   private,   su  indicazione  delle
  istituzioni  competenti,  informano  i cittadini delle modalita' di
  voto e degli orari di apertura e chiusura dei seggi elettorali".
    E'  subito  da segnalare che tale art. 9 non contiene soltanto un
  divieto  di  informazione  per  le  amministrazioni pubbliche, come
  invece  accadeva per l'art. 5 della legge 10 dicembre 1993, n. 515,
  il quale e' stato esplicitamente abrogato (cfr. art. 13 legge n. 28
  del  2000).  Mentre  tale  art.  5  della legge n. 515 del 1993 era
  appunto  significativamente  rubricato  come "divieto di propaganda
  istituzionale",  l'attuale art. 9 prevede esplicitamente, fin dalla
  rubrica,  degli "obblighi di informazione", e contiene in ogni caso
  una   "disciplina"   (quindi  una  normazione  in  positivo)  della
  comunicazione      istituzionale,     espressione     che     assai
  significativamente sostituisce quella, utilizzata in precedenza, di
  "propaganda istituzionale".
    La  distinzione  tra  comunicazione  istituzionale  e  propaganda
  istituzionale   e'   assai   importante.  Con  la  seconda,  si  fa
  riferimento  ai  casi  (patologici)  nei  quali  forze politiche di
  governo,  in  periodi  di  campagna  di  elettorale o referendaria,
  utilizzino   mezzi   e   strumenti,  anche  finanziari,  dei  quali
  dispongano  in  ragione  della  loro  posizione istituzionale e per
  finalita'   di   interesse   generale,   a   scopi   di  propaganda
  politico-partitica,  facendo  cosi'  valere slealmente, nella lotta
  politica,  la  loro  oggettiva  condizione  di  supremazia. Se cio'
  accadesse,  verrebbero  violati  quelli  che, particolarmente nella
  giurisprudenza   del  Bundesverfassungsgericht,  sono  definiti  il
  principio    di    parita'   delle   chances   nella   competizione
  politico-elettorale,  nonche'  il  principio  di  neutralita' dello
  Stato,  il  quale  implica  il  divieto,  per le forze politiche di
  governo, di utilizzare le istituzioni (e la posizione di supremazia
  di queste) come strumenti di lotta politica partigiana.
       Con   l'espressione  comunicazione  istituzionale  si  intende
  qualcosa  di  profondamente  diverso.  In  particolare,  nel  campo
  dell'informazione  finalizzata  al regolare svolgimento di campagne
  elettorali  o  referendarie,  si  ha una tal forma di comunicazione
  laddove  le  amministrazioni  pubbliche forniscano ai cittadini, in
  forma impersonale e obiettiva, un servizio informativo che consenta
  loro  di  essere  effettivamente  posti  nelle  condizioni di poter
  esercitare  con consapevolezza i diritti previsti e garantiti dalla
  Costituzione,  in particolare il diritto a esprimere un voto libero
  e consapevole (art. 48 Cost.).
    Dal punto di vista delle autorita' pubbliche, quello di informare
  i  cittadini,  non  e'  ovviamente  un  diritto  di liberta', ma un
  dovere.  Dal  punto  di vista dei cittadini, la liberta' di voto si
  converte  nella legittima pretesa che le autorita' intervengano con
  una  adeguata  organizzazione  e  con  idonee  misure per agevolare
  l'esercizio del voto da parte di tutti coloro che ne hanno diritto,
  rimuovendo  pertanto  gli  ostacoli  di vario ordine che potrebbero
  impedirlo o soltanto scoraggiarlo (cfr. E. Bettinelli, voce Diritto
  di  voto, in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, p. 228). Cio'
  significa  che  la  disciplina legislativa in tema di comunicazione
  istituzionale  presenta  profili di obbligatorieta' costituzionale,
  potendo  essere  ricollegata,  oltre  che  agli  artt.  1, 48 e 75,
  all'art. 3, secondo comma, Cost.
    D'altra parte, e' convinzione dei ricorrenti che la comunicazione
  istituzionale acquisisca un ruolo costituzionale ancora piu' chiaro
  nel caso delle campagne referendarie.
    La   disciplina   della   comunicazione   politica,   e   percio'
  dell'accesso  dei  diversi  soggetti  ai mezzi di informazione, ben
  puo'  essere  comune  alle  campagne  elettorali  e  alle  campagne
  referendarie.   In   proposito,   la   Corte   costituzionale,  con
  affermazioni  peraltro  prudenti, ha stabilito che "nulla vieta che
  il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalita', possa di
  massima  regolare  elezioni  e  referendum in termini identici, una
  volta  constatata, rispetto al profilo della parita' di trattamento
  cui  sono tenuti i mezzi di informazione di massa nei confronti dei
  soggetti  politici,  l'unitarieta'  della ratio della disciplina da
  adottare"  (Corte  cost.,  sentenza  n. 161  del  1995).  In  altri
  termini,  la  particolarita'  della  consultazione referendaria non
  rende   costituzionalmente   dovuta  una  disciplina  differenziata
  dell'accesso  dei diversi soggetti politici ai mezzi d'informazione
  (comunicazione politica).
    Cio'  non  vale, ad avviso dei ricorrenti, per quanto concerne la
  comunicazione  istituzionale.  Salve le indispensabili informazioni
  sulla  data  e  sulle  modalita'  tecniche del voto, nel caso delle
  campagne  elettorali  (politiche  o  amministrative  che  siano) il
  formarsi  della  libera  e  consapevole volonta' dell'elettore puo'
  essere  sufficientemente  garantito  dalla  presenza,  sui mezzi di
  informazione,    di    forme    di   comunicazione   politica,   in
  contraddittorio tra i diversi soggetti o autogestite da ciascuno di
  questi.   L'intervento  normativo  pubblico,  in  tali  casi,  puo'
  limitarsi  ad  assicurare  alcune  chiare  regole  procedurali, che
  disciplino l'accesso dei diversi soggetti ai mezzi di informazione,
  garantendo rigorose condizioni di parita'.
    Nel  caso del referendum, invece, l'intervento normativo pubblico
  non puo' limitarsi alla regolazione di aspetti procedurali, ma deve
  predisporre  le  misure  che  consentano  agli elettori di ottenere
  un'adeguata informazione sui contenuti dei quesiti, sul significato
  del  si  e  del  no  all'abrogazione,  sul significato della stessa
  astensione    (cui    l'art. 75    Cost.    assicura    un    ruolo
  costituzionalmente significativo). Non depone in senso contrario la
  struttura  binaria  del  quesito,  con  la  conseguente (apparente)
  semplificazione  dei messaggi e della propaganda politica (rectius,
  della  comunicazione  politica):  lo  stesso carattere abrativo del
  referendum,  la  tecnicita'  delle  materie sulle quali insistono i
  quesiti,  le eventuali conseguenze peculiari dell'abrogazione, sono
  aspetti   di   difficolta'  oggettivamente  presenti  nel  tipo  di
  consultazione  prevista  dall'art. 75 Cost., e impongono, affinche'
  il  diritto  di  voto  dei  cittadini  non  sia  frustrato, compiti
  informativi neutrali e istituzionali differenziati.
    Ne'  si  potrebbe ritenere che tali oggettive complicazioni siano
  ascrivibili  al  numero dei quesiti referendari, ovvero al modo nel
  quale  i  quesiti  sono  formulati.  Se  una  eventuale  disciplina
  limitatrice   del   numero   dei  quesiti  appartiene  alle  scelte
  discrezionali  del  legislatore  (non  potendosi  comunque  dedurre
  dall'art.   75   Cost.  nessuna  volonta'  in  tal  senso),  e'  la
  giurisprudenza della Corte costituzionale, come e' noto, ad imporre
  l'omogeneita',   la   chiarezza   e   la  semplicita'  dei  quesiti
  referendari,  a pena di inammissibilita', in modo tale da garantire
  la  liberta'  e la consapevolezza del voto (in nome degli artt. 1 e
  48 Cost.: cfr. le sentenze "capostipite" n. 16 del 1978 e n. 27 del
  1981).
    Ma   l'assolvimento,  da  parte  dei  promotori,  di  tale  onere
  preliminare,  cui  consegue  la dichiarazione di ammissibilita' del
  referendum,  non  elimina  affatto  gli  obblighi costituzionali di
  comunicazione  istituzionale e di informazione neutrale, perche' le
  oggettive  difficolta'  di  comprensione dei quesiti, e percio' del
  significato del voto richiesto, possono permanere indipendentemente
  dalla  presenza,  nei  quesiti  stessi, delle qualita' tecniche che
  facciano  ritenere  soddisfatti,  dal  punto  di vista giuridico, i
  requisiti di omogeneita', chiarezza e semplicita'.
    La   stessa  convinzione  dell'opportunita'  dell'astensione,  al
  cospetto  del  voto  referendario,  ha bisogno di informazione, per
  potersi  consapevolmente  formare:  altrimenti,  e'  plausibile che
  un'informazione  insufficiente o squilibrata induca a comportamenti
  astensionistici  non  spontanei  e non genuini (cfr. E. Bettinelli,
  voce   Propaganda   elettorale,   in   Digesto   delle   Discipline
  Pubblicistiche, p. 91).
    In  altri  paesi  di  democrazia  matura,  nei quali lo strumento
  referendario  e'  frequentemente  utilizzato,  la  disciplina della
  comunicazione  istituzionale  e' particolarmente sviluppata. Emerge
  dal  diritto  comparato che in Svizzera, paese di grandi tradizioni
  referendarie,  in  occasione  dei  referendum  il  Parlamento  puo'
  formulare  delle  raccomandazioni  di  voto  al popolo e il governo
  federale   e'   incaricato  di  redigere  un  prospetto  ufficiale,
  distribuito  a tutti gli elettori, nel quale e' riprodotto il testo
  dell'iniziativa  e  viene  spiegato  il  punto di vista dei fautori
  dell'iniziativa e delle autorita' (si allegano nel fascicolo alcuni
  opuscoli  illustrativi  distribuiti  nel Canton Ticino in occasione
  delle  votazioni  del  6 febbraio e 12 marzo 2000). Da ricordare la
  legge cantonale ticinese sull'esercizio dei diritti politici (del 7
  ottobre  1998)  la  quale  prevede,  all'art.  25,  che  in caso di
  referendum l'autorita' competente metta a disposizione una breve ed
  oggettiva  spiegazione  dei  testi  in  votazione,  e  all'art.  26
  stabilisce  anche  i  tempi di invio al domicilio di ogni cittadino
  del materiale relativo.
    Negli  Stati  Uniti,  ove pure gli istituti di democrazia diretta
  hanno  larga  fortuna,  il  ballot  pamphlet,  pur non riproducendo
  l'opinione delle autorita', comporta un'esposizione sistematica del
  punto  di  vista  dei partigiani e degli oppositori dell'iniziativa
  referendaria.
    E'  da  notare  che il legislatore italiano gia' in altri casi ha
  dimostrato di aver presenti le esigenze peculiari di informazione e
  chiarezza  che caratterizzano la consultazione referendaria: in tal
  senso  e'  da valutare l'art. 1 della legge 17 maggio 1995, n. 173,
  in  base  al quale l'ufficio centrale presso la Corte di cassazione
  stabilisce  la  denominazione  della  richiesta  di  referendum  da
  riprodurre  nella  parte interna delle schede di votazione, al fine
  della  piu'  facile  identificazione  dell'oggetto  del referendum.
  Anche  questa disposizione fa a buon titolo parte della complessiva
  disciplina,   costituzionalmente   necessaria,   che  assicura  una
  corretta  comunicazione  istituzionale  in  tema  di  consultazioni
  referendarie.
    Tutto cio' premesso, risulta chiaro, ad avviso dei ricorrenti, il
  significato di norma costituzionalmente necessaria, con riferimento
  alle campagne referendarie, dell'art. 9 della legge n. 28 del 2000.
  Esso  prevede  che  le  amministrazioni  pubbliche debbano svolgere
  attivita'   di   comunicazione  in  forma  impersonale  (cioe'  con
  carattere  di  neutralita' ed obiettivita') in tutte le circostanze
  in  cui  cio'  risulti  indispensabile  per l'efficace assolvimento
  delle proprie funzioni.
    Alla  luce  di  quanto detto, non c'e' dubbio che lo svolgersi di
  una  campagna referendaria configura proprio quella circostanza che
  rende  indispensabile una comunicazione e un'informazione adeguata,
  onde assicurarne il regolare svolgimento e garantire la consapevole
  formazione della volonta' dell'elettore.
    Il  comma  2  dell'articolo  in questione indica inoltre, tra gli
  obblighi  cui  sono tenute le emittenti radiotelevisive pubbliche e
  private,  l'informazione  ai  cittadini non solo circa gli orari di
  apertura e chiusura dei seggi, ma anche circa le modalita' di voto,
  espressione  che, nel caso della campagna referendaria, deve essere
  intesa in senso lato, in modo da ricomprendere anche il significato
  oggettivo  del voto, positivo o negativo, nel referendum abrogativo
  ex art. 75 Cost.
    Si  deve  anche  sottolineare  che  lo stesso comma 2 dell'art. 9
  ragiona  di  "indicazioni delle istituzioni competenti" quanto alla
  identificazione  degli  obblighi  di  informazione  delle emittenti
  private  e pubbliche, con cio' chiarendo che obblighi di informare,
  o  comunque di fornire criteri e indicazioni in materia, gravano in
  primo luogo in capo a tali istituzioni.
    Va   infine   notato  che  la  predisposizione,  da  parte  della
  commissione  parlamentare  e  dell'autorita'  garante,  di regole e
  criteri  che  consentano  l'applicazione  dei  principi della legge
  n. 28  del  2000, vale anche con riguardo alla parte della suddetta
  legge  dedicata  non  gia'  a  disciplinare  l'accesso dei soggetti
  politici  ai  mezzi  di informazione (comunicazione politica), ma a
  disciplinare   le  modalita'  di  svolgimento  della  comunicazione
  istituzionale.  Cio'  e'  reso  esplicito  nello  stesso atto della
  commissione parlamentare (nelle premesse, lett. o) ove si considera
  "l'opportunita'   che  la  concessionaria  pubblica  garantisca  il
  massimo   di   informazione   e   conoscenza   su  ciascun  quesito
  referendario, anche nelle trasmissioni che non rientrano nei generi
  della comunicazione e dei messaggi politici".
    3. - Ad  avviso  dei  ricorrenti,  la deliberazione 29 marzo 2000
  della  commissione  parlamentare di vigilanza e la deliberazione in
  pari  data  dell'autorita'  per le garanzie nelle comunicazioni non
  hanno  dato  attuazione  alle ricordate norme della legge n. 28 del
  2000   che   impongono   obblighi   di  informazione  di  carattere
  istituzionale, neutrale ed obbiettivo.
    Anche  ad  un  primo  e superficiale sguardo, e' facile osservare
  come,  al  cospetto di una minuziosa e dettagliata disciplina degli
  aspetti  relativi alla comunicazione politica, e quindi degli spazi
  di  accesso  dei  diversi  soggetti  politici  presso  i  mezzi  di
  informazione, risultano invece del tutto generiche e insufficienti,
  in  entrambi  gli  atti  richiamati,  le  regole dettate in tema di
  comunicazione  istituzionale.  Questa  genericita'  e' anzi tale da
  indurre  a  qualificare  le  regole  appena  citate,  per  la parte
  relativa  alla  comunicazione  istituzionale,  come strutturalmente
  inidonee  alla  funzione,  che pur dovrebbe essere loro propria, di
  concretizzazione dei principi contenuti nella legge n. 28 del 2000.
    Per   quanto  concerne  l'atto  della  commissione  parlamentare,
  l'unica  disposizione che si puo' ritenere (pretesamente) attuativa
  dei  principi legislativi in tema di comunicazione istituzionale e'
  l'art. 4.   Esso   stabilisce   che,   a   partire  dal  giorno  di
  pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei decreti di indizione dei
  referendum, "la Rai cura l'illustrazione dei quesiti referendari, e
  informa  sulle modalita' di votazione, sulla data e gli orari della
  consultazione".   Ben   lungi   dall'essere   una  disposizione  di
  concretizzazione  e  di  attuazione  di quanto previsto dall'art. 9
  della  legge  n. 28  del  2000,  tale art. 4 si presenta largamente
  generico  e insufficiente. Basti solo confrontare tale disposizione
  con  le minuziose regole stabilite al successivo art. 5, dedicato a
  "tribune  referendarie  e  trasmissioni  di comunicazione politica"
  nelle   quali   l'atto   di   indirizzo  scende  a  predisporre  la
  programmazione sulle tre reti televisive e radiofoniche nella varie
  fasce di ascolto, cosi' vincolando la determinazione dei palinsesti
  Rai (cfr. art. 5, n. 6).
    La medesima considerazione (strutturale inidoneita' a presentarsi
  come attuazione e concretizzazione dei principi legislativi in tema
  di  comunicazione  istituzionale) puo' farsi per l'art. 7, comma 2,
  dell'atto  della  commissione,  il  quale  si  limita a parafrasare
  l'art.  9  della  legge,  stabilendo che "le trasmissioni di cui al
  presente  articolo  forniscono  per i referendum un'informazione di
  carattere  istituzionale,  intesa  a  illustrare  imparzialmente la
  data, le modalita' e i contenuti dei quesiti referendari".
    Di  nessun  pregio  appare  poi,  allo  scopo  di  assicurare una
  sufficiente  comunicazione  istituzionale, l'art. 2, comma 1, lett.
  c)  dell'atto  della  commissione,  il quale parla genericamente di
  un'informazione  assicurata  mediante  i  notiziari  e  i  relativi
  approfondimenti:  qualora  si  riferiscano  specificamente  ai temi
  propri dei referendum, tali trasmissioni sono infatti ricondotte (o
  meglio:  abbandonate),  senza  indicazione  di  alcun  principio  o
  criterio  direttivo,  alla  responsabilita' della specifica testata
  giornalistica.
    Che   non  si  diano  ulteriori  possibilita'  di  assicurare  la
  necessaria  informazione  sui  temi  dei quesiti e' fatto del resto
  palese  dall'art.  1,  comma  2,  dell'atto  di indirizzo, il quale
  testualmente  stabilisce  che  in tutte le trasmissioni che operano
  riferimenti   ai   temi   propri  del  referendum  (e  percio'  sia
  trasmissioni   di   comunicazione  politica,  sia  trasmissioni  di
  comunicazione  istituzionale),  gli  spazi sono ripartiti in misura
  uguale fra i favorevoli ed i contrari ai relativi quesiti.
    Ben  vero  che tale disposizione e' attuazione di quanto disposto
  dall'art.  4,  comma 2, lettera d), legge n. 28 del 2000: ma, negli
  intendimenti   della   commissione,  risulta  che  attraverso  tale
  attuazione del principio (riferito alla comunicazione politica), lo
  spazio  concesso  ai soggetti favorevoli e contrari all'abrogazione
  dovrebbe  esaurire  ogni  possibilita'  di comunicazione in tema di
  referendum.
    Per  la  commissione parlamentare, in sostanza, solo favorevoli e
  contrari possono dividersi la scena delle possibili opzioni in tema
  di  referendum.  Ma  e'  chiaro  come  in  tal  modo si finisca per
  vanificare   qualunque   forma   di  comunicazione  e  informazione
  istituzionale,  che  invece  l'art.  9  della  legge n. 28 del 2000
  esplicitamente  richiede.  Prima  di presentare all'elettorato ogni
  valutazione   politica   sui   quesiti   referendari.   e'  infatti
  indispensabile fornirgli informazione su tali quesiti.
    La  medesima  considerazione vale per l'art. 2, comma 1, lett. d)
  (in  tema di tipologia della programmazione Rai durante la campagna
  referendaria),  che  addirittura  stabilisce  che  non possono aver
  luogo  riferimenti  specifici  ai  quesiti  referendari al di fuori
  delle  specifiche  tipologie di trasmissione previste nell'articolo
  (trasmissioni  in  contraddittorio,  messaggi politici autogestiti,
  generici   notiziari   e  approfondimenti):  a  parte  il  puntuale
  contrasto  con l'auspicio contenuto nella lett. o) delle "premesse"
  all'atto,  tutto  cio'  e'  stabilito  sul  presupposto  che alcune
  (poche)  trasmissioni  di  propaganda delle diverse opzioni possano
  giustificare  l'imposizione  del silenzio sui temi referendari, che
  invece abbisognano di informazione.
    Tale  disposizione, gravemente lesiva della sfera di attribuzioni
  dei  ricorrenti,  non  e'  certo in grado di superare quel rigoroso
  scrutinio   di  ragionevolezza  e  proporzionalita'  che  la  Corte
  costituzionale   evoca   in   presenza   di  norme  che,  limitando
  l'informazione,  abbiano  ricadute  negative  sull'esercizio  di un
  diritto politico fondamentale quale il diritto di voto (Corte cost.
  sent. n. 161 del 1995).
    Del  resto,  il  calendario  delle tribune referendarie approvato
  dalla  Rai  conferma tali assunti. Sulle reti nazionali, e' assente
  qualunque trasmissione di informazione e approfondimento reale, e i
  confronti  e  i  dibattiti  sui  sette referendum sono confinati in
  orari  palesemente  inidonei  a  raggiungere  la  generalita' degli
  elettori:  le  fasce  orarie prescelte per la messa in onda di tali
  trasmissioni  (intorno  alle 14 e intorno alle 23) sembrano pensate
  per una minoranza di non lavoratori o di nottambuli.

    4. - La  delibera  n. 55/00/CSP  dell'autorita'  per  le garanzie
  nelle  comunicazioni, per parte sua, si presta alle stesse censure.
  Anch'essa  contempla  soltanto trasmissioni e messaggi nei quali si
  presentano    le    opzioni   dei   favorevoli   e   dei   contrari
  all'abrogazione,   mortificando   la   comunicazione  di  carattere
  istituzionale.
    L'unica  disposizione  esplicitamente  dedicata  a questo tipo di
  comunicazione  e' infatti l'art. 8, al cui cospetto non si puo' che
  ripetere,   con  qualche  aggravante,  quanto  gia'  detto  per  le
  impugnate  disposizioni dell'atto della commissione parlamentare di
  vigilanza:  tale  articolo,  strutturalmente inidoneo a presentarsi
  quale   atto   di   concretizzazione   e  attuazione  dei  principi
  legislativi,  non solo si limita a parafrasare, in forma ancor piu'
  generica,  quanto stabilito dall'art. 9 della legge n. 28 del 2000,
  ma  addirittura  rende  del  tutto  facoltativa  l'informazione  di
  carattere istituzionale.
    Esso  prevede infatti che nei programmi di comunicazione politica
  puo'  altresi' essere fornita, per i referendum una informazione di
  carattere  istituzionale,  intesa  a  illustrare  imparzialmente la
  data, le modalita' di voto e i contenuti dei quesiti referendari".
    Il  comma  2  dell'art.  8  in  questione conferma poi, come gia'
  previsto   nell'atto   della   commissione  parlamentare,  che  "in
  qualunque   trasmissione   radiotelevisiva  diversa  da  quelle  di
  comunicazione politica e dai messaggi, e' vietato fornire, anche in
  forma  indiretta,  indicazioni  o  preferenze  di  voto relative ai
  referendum".  Il  timore  che  qualche  informazione  in piu' possa
  spezzare  l'equilibrio,  o  la  pari  condizione,  tra  le  diverse
  opzioni, comporta una sorta di assurda censura. Il diritto alla par
  condicio  vantato  dai  diversi  soggetti  quanto  all'accesso alla
  comunicazione  politica,  si converte cosi', paradossalmente, in un
  obbligo  al silenzio della comunicazione istituzionale, altrettanto
  (se   non  piu')  importante  per  i  cittadini  chiamati  al  voto
  referendario.
    5. - Non contenendo la effettiva attuazione dei principi previsti
  nella  legge  n. 28  del 2000, le ricordate disposizioni degli atti
  della  commissione  parlamentare  e  dell'autorita' per le garanzie
  nelle  comunicazioni determinano restrizioni allo svolgimento della
  campagna  referendaria,  tali  da  incidere  sulla formazione della
  volonta'  di coloro che esprimono il loro voto nel referendum e, di
  conseguenza,  nella  sfera  di  attribuzioni  garantita,  ai  sensi
  dell'art. 75 Cost., ai promotori (cfr. Corte cost., sentenza n. 161
  del 1995; ordinanza n. 171 del 1997).
    L'identificazione della sfera di attribuzioni costituzionali lesa
  dagli  atti  impugnati  si  appalesa  insieme  alla  legittimazione
  soggettiva  dei  promotori  a stare in giudizio in un conflitto del
  tipo di quello qui sollevato.
    Oltre  ai precedenti gia' richiamati, puo' ricordarsi l'ordinanza
  n. 118    del    1995    (in    sede    di   giudizio   preliminare
  sull'ammissibilita'   del  conflitto  poi  risolto  con  la  citata
  sentenza  n. 161 dello stesso anno), in cui la Corte costituzionale
  ha  attribuito  la  qualifica  di  potere  dello  Stato al comitato
  promotore,  che  aveva  presentato  un  ricorso  per  conflitto  di
  attribuzioni  contro il Governo e contro l'autorita' garante per la
  radiodiffusione  e  l'editoria, autori di provvedimenti restrittivi
  delle  possibilita'  di  comunicazione  politica  nell'ambito della
  campagna referendaria.
    In  quella  circostanza, la Corte riconobbe esplicitamente che vi
  era  materia di un conflitto costituzionale, attinente alla lesione
  delle attribuzioni di rilievo costituzionale spettanti ai promotori
  nello svolgimento della campagna referendaria ai sensi dell'art. 75
  Cost. e dell'art. 52 della legge 25 maggio 1970, n. 352.
    Ancora  di  recente,  nella  sentenza  n. 49  del  1998, la Corte
  costituzionale  ha  ribadito  la  competenza  dei  promotori  della
  richiesta  di referendum abrogativo a dichiarare definitivamente la
  volonta' della frazione del corpo elettorale titolare del potere di
  iniziativa  referendaria  ex  art. 75 Cost. anche in relazione alle
  attivita' preordinate all'esercizio del voto referendario.
    6. - La   giurisprudenza   costituzionale   richiamata   dimostra
  chiaramente come anche nell'ipotesi di restrizioni all'informazione
  istituzionale apportate in campagna referendaria, dovute al cattivo
  uso   dei   poteri   spettanti   alla  commissione  parlamentare  e
  all'autorita'   garante,   sussista  l'interesse  a  ricorrere  dei
  promotori a tutela della propria sfera di attribuzioni.
      Per  giustificare  la  sussistenza  di  tale  interesse  non e'
  necessario  ricorrere  ad ulteriori ricostruzioni, quali quelle che
  qualificano  il comitato promotore del referendum abrogativo - ente
  esponenziale   della   frazione   degli  elettori  firmatari  della
  richiesta - come "organo di tutto il popolo", incaricato di compiti
  di   tutela   di   valori  funzionali  agli  interessi  dell'intera
  comunita',  che  percio' non puo' essere ridotto a "rappresentante"
  degli elettori favorevoli all'abrogazione della legge.
    Per vero, in dottrina, e' stato da tempo chiarito (C. Mezzanotte,
  procedimento  di referendum e innovazioni legislative sopravvenute,
  in  Giur. cost., 1978, I, 734) come non sia possibile escludere, in
  un  sistema  in cui la sottoscrizione della richiesta di referendum
  e' formalmente priva di motivazione, che alcuni dei cinquecentomila
  firmatari,  anziche'  avversione  ad  una  data scelta legislativa,
  intendano  esprimere  dissenso  solo  circa  le peculiari modalita'
  attraverso  le  quali  quella scelta (in principio condivisa) si e'
  concretamente tradotta in legge, e come non sia possibile escludere
  a   priori   addirittura  richieste  di  referendum  con  finalita'
  conservative,  ove alcuno dei cinquecentomila firmatari speri che i
  principi  legislativi  gia'  presenti  nella  normativa  soggetta a
  referendum vengano ulteriormente rafforzati.
    Ed  e'  ulteriormente  da notare come nella stessa giurisprudenza
  costituzionale  emerga  tale  possibile non univocita' di posizione
  dei  sottoscrittori,  laddove  si  ragiona  dei  promotori  come di
  soggetti   "di  norma  favorevoli  all'abrogazione"  (Corte  cost.,
  sentenza n. 49 del 1998, punto n. 4 del considerato in diritto).
    Ma,  lo si ripete, l'interesse a ricorrere del comitato promotore
  sussiste  indipendentemente  da queste ricostruzioni e deriva dalla
  giurisprudenza  costituzionale  ricordata.  Ne'  vi  e'  bisogno di
  affermare   che   il   ruolo   del   comitato   riassorbe  in  se',
  organicisticamente, le posizioni di coloro che sostengono il "si" e
  il  "no":  il  ruolo  del comitato, quale desumibile dalle sentenze
  ricordate,  si  situa  a un livello distinto rispetto alle concrete
  scelte di merito relative a ciascun quesito, che ovviamente possono
  essere  validamente  rappresentate  da  enti esponenziali del tutto
  diversi dai promotori (i comitati per il "si" e per il "no").
    L'unica  ricostruzione  certa  del  ruolo  di  potere dello Stato
  attribuito  al  comitato promotore e' quella che lo configura quale
  organo  di  garanzia  del  referendum,  destinato  a  curare che la
  richiesta   giunga  alla  consultazione  popolare,  attraverso  una
  campagna di informazione idonea a consentire una consapevole scelta
  degli elettori.
    Dopo  il giudizio di ammissibilita' della Corte costituzionale, e
  prima che il referendum si svolga, il comitato promotore ha insomma
  l'attribuzione  costituzionale  di  cooperare a garantire che tutti
  gli  elettori,  vogliano  essi  esprimersi per il "si" per il "no",
  siano  posti  nelle condizioni di poter consapevolmente maturare la
  propria scelta.
    D'altra parte, verrebbe fatto di domandarsi, quale organo o ente,
  nell'attuale diritto positivo, potrebbe mai svolgere tale ruolo, se
  esso non venisse in qualche misura riconosciuto al comitato, quanto
  meno attraverso lo strumento del conflitto di attribuzioni?
    La Corte costituzionale ha insomma compiuto una scelta di sistema
  non  casuale,  laddove ha riconosciuto che il comitato promotore e'
  titolare  di attribuzioni di rilievo costituzionale in relazione al
  corretto  svolgimento  della  campagna  referendaria,  e ha percio'
  titolo a vigilare su ogni indebita restrizione all'informazione sui
  temi referendari.
    7. - Nessun   dubbio   puo'   essere   nutrito   circa   il  tono
  costituzionale   del   conflitto  di  attribuzioni  prospettato  in
  relazione  all'atto della commissione parlamentare di vigilanza. La
  Corte  costituzionale  ha stabilito che gli atti di indirizzo delle
  Camere  nei  confronti  del  servizio pubblico radiotelevisivo sono
  intesi  ad  assicurare,  in  tale  servizio,  la  realizzazione del
  principio del pluralismo (cfr. sentenze n. 420 del 1994, n. 112 del
  1993, n. 49 del 1998).
    Gli  atti  della  commissione  sono  pertanto  espressione di una
  attribuzione  di livello costituzionale, che nel caso di specie non
  e'  stata  correttamente  esercitata.  E la grave limitazione delle
  possibilita' di informazione e di comunicazione imparziale sui temi
  del  referendum,  che  essi  comportano,  lede  l'integrita'  delle
  attribuzioni  costituzionali  che  la giurisprudenza costituzionale
  affida ai comitati promotori.
    E' da notare, inoltre, che l'impugnazione di tali atti attraverso
  il  conflitto  risulta  l'unica strada praticabile, alla luce della
  giurisprudenza   che,   da  un  lato,  sottrae  le  delibere  della
  commissione parlamentare al sindacato del giudice amministrativo, e
  dall'altro  e'  riluttante  a  configurare un diritto soggettivo in
  tema  di  accesso  dei  soggetti  politici al mezzo radiotelevisivo
  (cfr.  Corte  di  cassazione,  sez. unite civili, 25 novembre 1983,
  n. 7072, in Foro it., 1984, I, 1328).
    Allo  stesso  modo, nessun dubbio puo' riguardare la possibilita'
  che  parte  passiva  legittimata  al  conflitto  sia la commissione
  parlamentare  per  l'indirizzo  generale e la vigilanza dei servizi
  radiotelevisivi,    essendo    essa    legittimata   a   dichiarare
  definitivamente  la volonta' della Camera dei deputati e del Senato
  della  Repubblica,  in  materia  che  attiene,  da  un  lato,  agli
  indirizzi per l'informazione e la propaganda attraverso il servizio
  pubblico radiotelevisivo (Corte cost., sentenza n. 49 del 1998), e,
  dall'altro,  all'informazione  e  alla  propaganda  in relazione ai
  procedimenti  di  referendum  abrogativo  (Corte  cost.,  ordinanza
  n. 171 del 1997).
    8. - Per  cio'  che  concerne  l'autorita'  per le garanzie nelle
  comunicazioni,  dira'  la  Corte  se  essa puo' considerarsi potere
  dello  Stato,  legittimata passiva al conflitto, anche in relazione
  all'ampia   produzione   dottrinale  che  sostiene  come  tutte  le
  autorita'  indipendenti  siano  configurabili  quali  poteri  dello
  Stato.
    Ben  vero  che nell'ordinanza n. 226 del 1995, con riferimento al
  garante per la radiodiffusione per e l'editoria, la Corte osservo':
      a) che  le  attribuzioni  del  garante,  disciplinate  da legge
  ordinaria, non assumevano uno specifico rilievo costituzionale;
      b) ne'  erano  tali da giustificare - nonostante la particolare
  posizione  di  indipendenza riservata all'organo nell'ordinamento -
  il  riferimento  all'organo stesso della competenza a dichiarare in
  via definitiva la volonta' di uno dei poteri dello Stato.
    E  tuttavia,  quanto  alla  prima  delle  due argomentazioni, ben
  potrebbe   obiettarsi   che   il  fondamento  costituzionale  delle
  attribuzioni dell'autorita' per le garanzie nelle comunicazioni sta
  nelle  norme  costituzionali  attinenti  al settore "sensibile" cui
  l'attivita'  dell'organo  si riferisce (e, in particolare, per quel
  che qui piu' interessa, negli artt. 3 comma 2, 21, 48, 75).
    D'altra parte, nulla impedisce di ritenere che nella Costituzione
  risieda   la   attribuzione   dell'autorita'   che   qui  interessa
  evidenziare,  cioe'  la  funzione  di garanzia dell'imparzialita' e
  della  completezza dell'informazione relativa al voto referendario,
  mentre  nella legge ordinaria si rinvengano le regole relative alle
  modalita' del funzionamento dell'autorita', cioe' l'identificazione
  in    concreto    della    sua   competenza,   ovvero   la   misura
  dell'attribuzione  (cfr.,  anche se con riferimento alla figura del
  precedente garante, M. Passaro, Il garante per la radiodiffusione e
  l'editoria come potere dello Stato, in Giur. cost., 1995, p. 1687).
    Quanto  alla  seconda argomentazione, l'impostazione che la Corte
  sembra abbracciare risente dell'incertezza che circonda l'equazione
  tra  definitivita'  dell'atto  e  sua  non  rimovibilita'. Ma se si
  intende per definitivita' dell'atto l'impossibilita' che l'atto sia
  rimosso  o  annullato  da  altri organi dello stesso potere, non si
  dovrebbe  negare  tale  qualita'  agli  atti  del  garante, a nulla
  rilevando  che  essi  siano  suscettibili  di annullamento o di non
  applicazione in sede giudiziaria, cioe' da parte di altro e diverso
  potere   dello   Stato.   Del  resto,  l'annullabilita'  o  la  non
  applicabilita'   in  sede  giudiziaria  degli  atti  del  C.S.M.  o
  dell'esecutivo  non  impedisce  certo  a  C.S.M. e Governo di esser
  qualificati poteri dello Stato, legittimati a stare in giudizio nei
  conflitti  di  attribuzione  (cfr.  S.  Niccolai,  Quando  nasce un
  potere, in Giur. cost., 1995, p. 1677).
    9. - In   subordine,  i  ricorrenti  prendono  in  considerazione
  l'evenienza  in  cui  la  Corte costituzionale ritenga che gli atti
  impugnati   costituiscano   una  coerente  e  idonea  attuazione  e
  concretizzazione delle disposizioni contenute nella legge n. 28 del
  2000, anche in tema di comunicazione istituzionale.
    Se  cosi'  la  Corte ritenesse, non c'e dubbio che la lesione dei
  principi  di  cui  agli  artt.  1,  3  secondo comma, 48 e 75 Cost.
  dovrebbe  essere  direttamente  imputata  alla  legge stessa, nelle
  disposizioni   specificamente   dedicate   alla   comunicazione  di
  carattere  istituzionale,  le  quali dovrebbero allora considerarsi
  viziate  in  quanto  non  contengono  una disciplina sufficiente ad
  assicurare l'esistenza, costituzionalmente necessaria, di una reale
  ed efficace comunicazione istituzionale in campagna referendaria.
    La  Corte, sospendendo il giudizio per conflitto, dovrebbe allora
  sollevare  di fronte a se' questione di legittimita' costituzionale
  degli  artt.  5,  comma 1, e 9 della legge 22 febbraio 2000, n. 28,
  per  violazione  degli artt. 1, 3 secondo comma, 21, 48 e 75 Cost.,
  nella  parte in cui non prevedono le misure legislative minime atte
  ad  assicurare  la  presenza  e  l'efficacia di una simile forma di
  comunicazione.
    Essendosi  in  presenza  di materia da coprire tramite disciplina
  legislativa  costituzionalmente  necessaria, che non puo' difettare
  ma   il   cui  contenuto  specifico  e'  determinabile  solo  dalla
  discrezionalita'   del   legislatore,   la   Corte  potrebbe  cosi'
  accogliere   la   questione  con  una  sentenza  cd.  "additiva  di
  principio",  somministrando al legislatore il principio da attuare,
  ma lasciandogli la scelta quanto alle modalita' di concretizzazione
  di esso.
                       Istanza di sospensione
    Nella  sentenza n. 161 del 1995, la Corte costituzionale osservo'
  che   la  decisione  del  conflitto  di  attribuzioni  nel  merito,
  intervenuta  in  tempi  rapidissimi e tali da soddisfare le pretese
  dei ricorrenti, assorbiva ogni pronuncia in ordine alla sospensione
  dell'atto impugnato.
    Nell'ordinanza  n. 171  del  1997,  la  Corte costituzionale, pur
  lasciando  formalmente impregiudicata la valutazione in ordine alla
  configurabilita'    dell'istituto   della   sospensione   dell'atto
  impugnato  nel  giudizio  sui  conflitti  tra  poteri  dello Stato,
  concretamente rispose (sia pur negativamente) all'istanza cautelare
  avanzata dai ricorrenti. Tali due pronunce dimostrano la ritualita'
  della  richiesta di sospensione degli atti impugnati, che in questa
  sede esplicitamente si presenta.
    Il  fondamento  della  istanza  di  sospensione  delle  impugnate
  disposizioni, contenute negli atti della commissione parlamentare e
  dell'autorita'  per  le  garanzie nelle comunicazioni, e' del resto
  insito   nell'approssimarsi  della  consultazione  referendaria,  e
  nell'effetto   di   stimolo   a   provvedere   alla   comunicazione
  istituzionale  che l'accoglimento dell'istanza potrebbe avere sulle
  autorita' competenti.
    L'inidoneita'  delle  disposizioni impugnate a dare attuazione ai
  principi legislativi in tema di comunicazione istituzionale, per le
  gravi  conseguenze  che  comporta  sulla regolarita' della campagna
  referendaria,  configura  del  resto  una  "oggettiva situazione di
  carattere   eccezionale,   capace   di   determinare   un'effettiva
  menomazione dell'esercizio del diritto di voti referendario" (Corte
  cost., ordinanza n. 131 del 1997).
    Vi e' estrema urgenza dell'intervento del giudice costituzionale,
  a    pena    della   vanificazione   sostanziale   della   garanzia
  costituzionale  rappresentata  dalla  tutela, ottenibile in sede di
  conflitto  tra  poteri,  delle attribuzioni del comitato promotore.
  Per  questo, sussistono le condizioni di necessita' e di rischio di
  gravissimo  danno  che  giustificano  l'emissione  di  un'ordinanza
  cautelare, in applicazione analogica degli artt. 40 legge n. 87 del
  1953  e  28  delle  norme integrative del 1956, immediatamente dopo
  l'emissione  dell'ordinanza  che  decidera' sull'ammissibilita' del
  ricorso, o contestualmente ad essa.