IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza, visto il ricorso depositato il 13 dicembre 1999, con cui la Banca di Roma S.p.A. chiede ex art. 633 c.p.c. che sia ingiunto a Margherita Vallotto il pagamento della somma di L. 95.913.438, per saldo debitore di conto corrente; visto che l'allegato contratto di conto corrente prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi creditori per la banca e annuale di quelli debitori; O s s e r v a Secondo la piu' recente giurisprudenza di legittimita' sono nulle le clausole dei contratti bancari che prevedono in violazione dell'art. 1283 c.c. la capitalizzazione trimestrale degli interessi creditori per la banca (Cass. 30 marzo 1999, n. 3096, e 16 marzo 1999, n. 2374). Sennonche' e' intervenuto l'art. 25 del decreto legislativo 4 agosto 1993, n. 342, il quale, modificando il terzo comma dell'art. 120 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia approvato con decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, prevede che le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti anteriormente stipulati, sono valide ed efficaci fino alla data di entrata in vigore della delibera del CICR che stabilira' le modalita' e i criteri per la produzione degli interessi sugli interessi ed in ogni caso che, nelle operazioni in conto corrente, sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicita' nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori. Orbene, tale norma appare costituzionalmente illegittima sotto i seguenti tre profili: 1) il quinto comma dell'art. 1 della legge 24 aprile 1998, n. 124, delegava il Governo ad emanare disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo n. 385/1993, nel rispetto dei principi e criteri direttivi indicati dall'art. 25, della legge 142/1992, il quale non conteneva affatto principi e criteri in materia di anatocismo, ne' li avrebbe potuti contenere in quanto neppure il decreto legislativo 385/1993 regolava tale materia, disciplinata invece dall'art. 1283 c.c.. Legiferando in materia di anatocismo il Governo ha quindi violato gli articoli 76 e 77 della Costituzione perche' ha in verita' corretto il codice civile, e non il testo unico in materia bancaria e creditizia, secondo i principi e criteri propri, emanando addirittura una norma di interpretazione autentica, la quale , rientrando nell'esercizio di scelte non di discrezionalita' tecnica ma di merito, non sarebbe neppure delegabile da parte del Parlamento. 2) l'art. 24 della Costituzione riconosce a tutti la tutela giurisdizionale dei propri diritti. L'innovato art. 120 del testo unico in materia bancaria e creditizia priva, invece, sostanzialmente i clienti delle banche del diritto di adire il giudice per la dichiarazione di nullita' delle clausole contrattuali contrastando col divieto di anatocismo imposto da una norma imperativa quale l'art. 1283 c.c.. 3) l'innovato art. 120 viola, infine, il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, in quanto esclude il divieto di anatocismo, previsto in via generale dall'art. 1283 c.c., solo per i contratti bancari, negozi per i quali, proprio perche' caratterizzati dalla presenza di un contraente "forte", dovrebbe essere invece maggiormente tutelato il consumatore, cosi' come e' previsto dall'art. 1469 bis c.c. in materia di clausole vessatorie. Discriminazione questa ancor piu' evidente se si considera che l'innovato art. 120 dispone che l'inefficacia delle clausole contrattuali in materia di anatocismo puo' essere fatta valere solo dal cliente della banca mentre il principio generale introdotto dall'art. 1469 quinquies c.c. prevede, a tutela del consumatore, che l'inefficacia delle clausole vessatorie puo' essere rilevata d'ufficio dal giudice. La questione e' ovviamente rilevante ai fini del presente giudizio in quanto, se l'innovato art.'120 del testo unico in materia bancaria e creditizia fosse ritenuto costituzionalmente illegittimo, la domanda dovrebbe essere respinta(art. 640 c.p.c.).