IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE. Ha pronunciato la seguente ordinanza nella camera di consiglio del 14 gennaio 2000 sul ricorso proposto dalla Gesteco S.p.a. e dalla Prefir S.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, rappresentate e difese dagli avv. Bruno Barel e Giuseppe Sbisa', con domicilio eletto nello studio del secondo in Trieste, via S. Francesco 11, come da mandato a margine del ricorso; Contro la provincia di Udine, in persona del presidente in carica, rappresentata e difesa dall'avv. Francesco Pecile, con domicilio eletto presso la segreteria del Tribunale amministrativo regionale, come da mandato a margine dell'atto di costituzione; la regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del presidente in carica della giunta regionale, rappresentata e difesa dall'avv. Renato Fusco, con domicilio eletto presso l'ufficio legislativo e legale regionale in Trieste, via Milano n. 1, come da mandato a margine dell'atto di costituzione; per l'annullamento - previa sospensione dell'esecuzione - del decreto dell'assessore delegato all'ambiente e al territorio della provincia di Udine prot. n. 28429/1996 del 15 novembre 1996, nella parte in cui ha vietato alle ricorrenti di smaltire nelle discariche da esse gestite rifiuti prodotti al di fuori dell'ambito territoriale della regione Friuli-Venezia Giulia e della presupposta circolare n. 7 dell'8 luglio 1996 della presidenza della giunta regionale; Visti gli atti e documenti depositati col ricorso; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate; Vista l'ordinanza della Corte costituzionale n. 442 del 1o dicembre 1999; Udito il relatore, consigliere Enzo Di Sciascio ed uditi, altresi', i procuratori delle parti costituite; Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue: F a t t o Ricorda il collegio che le societa' ricorrenti gestiscono da tempo, in forza di regolari autorizzazioni provinciali, la prima una discarica per rifiuti solidi urbani e speciali assimilabili in comune di Mortegliano ed entrambe una discarica per rifiuti speciali non tossici e non nocivi in comune di Premariacco, e che le autorizzazioni in questione sono state ottenute nel vigore dell'art. 15, comma 6, della legge regionale 7 settembre 1987, n. 30, nel testo introdotto dall'art. 16, comma 4, della legge regionale 28 novembre 1988, n. 65, che recita: "Fino a quando non saranno attuati i piani, di cui all'art. 6 e non saranno entrati in esercizio gli impianti dagli stessi previsti, potranno venir autorizzati dalla regione, dalle province e dai comuni, nell'ambito della rispettiva competenza, solamente la realizzazione e l'esercizio di quelle nuove discariche, che siano al servizio o supporto di impianti tecnologici esistenti o in progetto, ovvero per le quali sia stata dimostrata la sussistenza effettiva del fabbisogno di spazi di deposito in relazione alla quantita' di rifiuti prodotti, rapportata agli ambiti territoriali serviti, di pertinenza esclusivamente regionale". Tale disposizione non trovava peraltro riscontro negli atti autorizzativi, ne' ne derivavano conseguenze per le ricorrenti, fino a che non veniva richiamata nel piano per lo smaltimento dei rifiuti della provincia di Udine, al fine di vietare, per mezzo degli impianti situati in ambito provinciale, che venissero smaltiti i rifiuti di provenienza extraprovinciale, se non previa autorizzazione da rilasciarsi di volta in volta. Alla Gesteco S.p.a. e' stato quindi notificato un atto, in cui si contestava che l'importazione di rifiuti provenienti da fuori regione era in contrasto con la norma succitata e, di seguito, una diffida a smaltire tale genere di rifiuti. Il piano provinciale veniva peraltro annullato d'ufficio in parte qua, in una con i provvedimenti consequenziali indirizzati alla Gesteco S.p.a., dalla provincia stessa in via di autotutela. Era infatti accaduto che sul ricorso proposto da altre societa' era stata accolta l'istanza di sospensione da questo Tribunale amministrativo regionale che successivamente avrebbe annullato la norma di piano con sentenza n. 47 del 20 febbraio 1995 constatando fra l'altro che "non e' dato nemmeno rinvenire ... una norma che in qualche maniera possa legittimare la prescrizione qui avversata". Peraltro, a circa due anni di distanza, con gli atti, che formano oggetto del presente gravame, il divieto a smaltire rifiuti di provenienza non regionale e' stato ribadito con decreto dalla provincia. Con tale provvedimento si e' apposto, quale elemento integrativo delle autorizzazioni rilasciate alle ricorrenti e ad altre imprese la limitazione allo smaltimento di rifiuti prodotti nell'ambito territoriale della regione Friuli-Venezia Giulia. Esso e' stato assunto in base alla circolare interpretativa regionale, che e' anche oggetto di gravame, sull'ulteriore presupposto della sopravvenienza dell'art. 29 della legge regionale 14 giugno 1996, n. 22, che recita: "Ad interpretazione autentica dell'art. 15, comma 6, della legge regionale n. 30/1987, come sostituito dall'art. 16, comma 4, della legge regionale n. 65/1988, nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della presente legge, si intende per "quantita' di rifiuti prodotti, rapportata agli ambiti territoriali serviti di pertinenza esclusivamente regionale la quantita' di rifiuti di provenienza esclusivamente regionale, per i quali e' stata dimostrata l'effettiva necessita' di ulteriori spazi di deposito". Le autorizzazioni rilasciate alle ricorrenti dovevano pertanto intendersi integrate con la limitazione appena descritta, in quanto rilasciate in vigenza della disposizione di legge, oggi modificata, autenticamente interpretata dalla norma sopravvenuta. Le societa' ricorrenti hanno proposto il presente gravame contro la circolare regionale e contro, per la parte che le concerne, il decreto provinciale in epigrafe, del quale ultimo hanno richiesto altresi' la sospensione in via cautelare, deducendo una serie articolata di motivi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto vari profili e proponendo inoltre, in via subordinata, diverse questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 6, della legge regionale 7 settembre 1987, n. 30, cosi' come sostituito dall'art. 16, comma 4, della legge regionale 28 novembre 1988, n. 65, ed autenticamente interpretato dall'art. 29 della legge regionale 14 giugno 1996, n. 22, per violazione degli artt. 3, 5, 41, 116 e 120 della Costituzione e degli artt. 5 e 6 dello statuto regionale. Hanno variamente controdedotto le parti intimate. Con ordinanza n. 44 dell'8 febbraio 1997, resa nella camera di consiglio del 13 dicembre 1996, questo tribunale amministrativo ha ritenuto di dover sollevare, per la definizione della domanda cautelare, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 4, della legge regionale 28 novembre 1988, n. 65, sostitutivo del testo dell'art. 15, comma 6, della legge regionale 7 settembre 1987, n. 30, cosi' come autenticamente interpretato dall'art. 29 della legge regionale 14 giugno 1996, n. 22, che nel loro combinato disposto vietano, nella sostanza, di stoccare e trattare nelle discariche site nel territorio regionale, rifiuti provenienti da altre regioni, con la conseguenza che ne sono state in tal senso modificate, con il decreto oggetto di gravame, anche le autorizzazioni, rilasciate alle ricorrenti dalla provincia di Udine, con l'introduzione del predetto divieto. Di conseguenza il giudizio cautelare e' stato sospeso e gli atti relativi sono stati rimessi alla Corte costituzionale. Con ordinanza n. 432, resa nella stessa camera di consiglio, il decreto assessorile in questione, ritenuto produttivo di danno grave ed irreparabile per la sua incidenza e' stato provvisoriamente sospeso, fino alla restituzione degli atti da parte del giudice delle leggi, restando impregiudicata la definizione del giudizio cautelare, che verra' risolto dopo che, a sua volta, sara' definito l'incidente di costituzionalita'. La rilevanza della questione e' stata ritenuta in quanto si e' ritenuto che non potessero essere attese, in base alla legislazione allora vigente, le censure proposte dalle ricorrenti, che condividono il comune assunto secondo cui le disposizioni regionali, su cui si fondano gli atti impugnati, costituirebbero mere norme d'azione, dirette all'organo preposto - nel caso la provincia di Udine - volte soltanto a prescrivergli in qual modo debba svolgere l'attivita' istruttoria, ai fini di dimensionare l'area di una discarica autorizzanda in cui e' autorizzato lo smaltimento, che deve essere corrispondente alle sole necessita' dell'ambito regionale, senza peraltro incidere sulle autorizzazioni gia' rilasciate, che non riportavano detta limitazione. Il collegio, con la citata ordinanza ha invero ritenuto che le norme in questione devono essere classificate come di relazione, in quanto destinate ad incidere su tutti i titolari di autorizzazioni provinciali allo smaltimento e quindi anche sui ricorrenti, per i quali la limitazione in parola deve ritenersi richiamata fin dall'origine nei provvedimenti autorizzatori loro rilasciati. Si e' considerato che sono infatti in essi contenute sia la clausola secondo cui "qualora non esplicitamente previste, si intendono riportate ... tutte le prescrizioni imposte dalla vigente normativa sullo smaltimento dei rifiuti" fra cui all'epoca del loro assentimento, doveva intendersi compresa quella dell'art. 16, comma 4, della legge regionale n. 65/1988 che, sostituendo l'art. 15, comma 6, della legge regionale n. 30/1987, consentiva di autorizzare la realizzazione o l'esercizio delle discariche, di cui sia dimostrata la necessita' di spazi di smaltimento, in relazione al fabbisogno di rifiuti, prodotti in ambito regionale, sia la riserva per l'ente autorizzante, di aggiornare, modificare, sospendere o [le parole corsivate risultano dalla correzione di errore materiale disposta dallo stesso tribunale con ordinanza del 7 luglio 2000] revocare in ogni momento il provvedimento autorizzatorio. E' vero che all'inizio, l'interpretazione di dette disposizioni condivisa dalla provincia (ma non dalla Regione) e da questo Tribunale amministrativo regionale non le ha considerate come preclusive dello smaltimento di rifiuti di provenienza extraregionale. Con la sopravvenienza peraltro dell'art. 29 della legge regionale n. 22/1996, che le interpreta autenticamente, con effetto retroattivo, il quadro normativo si modifica, legittimando ad avviso del collegio, la provincia ad introdurre, con l'atto di cui si chiede la sospensione, nelle autorizzazioni delle ricorrenti e delle altre imprese destinatarie, l'integrazione secondo cui e' consentito lo smaltimento in discarica soltanto dei rifiuti prodotti in ambito regionale. Detto atto costituisce infatti, ad avviso del collegio, esplicazione di poteri gia' previsti ed applicazione di disposizioni legislative gia' vigenti o, se pur successive, con efficacia retroattiva. Non si e' quindi ritenuto di poter concordare sull'asserito carattere di mere norme di azione delle disposizioni medesime, in quanto destinate inevitabilmente ad incidere su soggetti estranei all'amministrazione, cioe' sulle imprese che, nella loro vigenza, chiedano l'autorizzazione a gestire una discarica, ne' e' possibile una loro interpretazione, diversa da quella fatta palese dal loro significato letterale cosi' come autenticamente interpretato, che le dimostra dirette a vietare che siano smaltiti, nelle discariche site nella regione Friuli-Venezia Giulia, rifiuti non prodotti nel territorio regionale. Si e' quindi reputato che le ricorrenti in tanto possono pervenire alla chiesta sospensione dell'atto impugnato in quanto ottengano la declaratoria, da parte del giudice delle leggi, dell'illegittimita' costituzionale delle norme citate, che ne sono l'indispensabile presupposto. Il collegio ha inoltre osservato che le norme, di cui si chiede la declaratoria di incostituzionalita', ovverosia l'art. 18 della legge regionale n. 65/1988, e il successivo art. 29 della legge regionale n. 22/1996, che non puo' ritenersi innovativa, in quanto rende retroattivamente vincolante una delle sue possibili interpretazioni, stabiliscono il contestato comando, diretto, fra l'altro, alle province, ad autorizzare soltanto, fino a quando non saranno attuati i piani provinciali di smaltimento dei rifiuti urbani e assimilabili e dei rifiuti speciali non tossici o nocivi, quali quelli trattati nelle discariche delle ricorrenti "la realizzazione o l'esercizio di quelle nuove discariche ... per le quali sia dimostrata la sussistenza effettiva del fabbisogno di spazi di deposito in relazione alla quantita' di rifiuti prodotti rapportata agli ambiti territoriali serviti di pertinenza esclusivamente regionale" (art. 18 cit.) e precisa (art. 29 cit.) che detta ultima espressione si intende riferita alla "quantita' di rifiuti di provenienza esclusivamente regionale, per i quali e' stata dimostrata l'effettiva necessita' di ulteriori spazi di deposito". Il collegio ha osservato che dette disposizioni ormai abrogate ma vigenti o retroattivamente applicabili nel momento in cui sono state autorizzate le discariche, gestite dalle ricorrenti possono applicarsi, in base alla lettera del citato art. 18 a due fattispecie distinte. Invero la disposta limitazione dello smaltimento ai rifiuti prodotti in ambito regionale puo' venire in rilievo al momento dell'autorizzazione alla realizzazione di una discarica, al fine di accertare se ve ne sia necessita' ovvero di valutare se le dimensioni, previste nel relativo progetto, siano adeguate, provvedendo pertanto eventualmente a negare l'autorizzazione stessa o a limitare la capacita' dell'impianto, oppure in relazione all'esercizio di una discarica gia' autorizzata, al fine di accertare se i rifiuti smaltiti siano di provenienza regionale e di assumere misure al riguardo. Il caso che ne occupa, e' di questo secondo tipo: le discariche delle ricorrenti sono state infatti autorizzate e realizzate in base al dettato dell'art. 18 della legge regionale n. 65/1988, cosi' come allora interpretato dalla provincia di Udine; intervenuta peraltro la successiva norma di interpretazione autentica si sono poste le impugnate limitazioni con atti integrativi delle rispettive autorizzazioni, che incidono soltanto sulla loro gestione. Si e' concluso che non possono pertanto ritenersi rilevanti, ai fini della decisione sul presente gravame, questioni di legittimita' costituzionale delle indicate norme regionali quali quelle in questa sede proposte, nei limiti in cui le investono anche nella parte nella quale pongono limiti alla autorizzazione della realizzazione di nuove discariche. Esse andranno esaminate pertanto nella sola parte in cui deducono l'incostituzionalita' delle disposizioni predette per aver esse posto limitazioni all'esercizio degli impianti gia' esistenti ed autorizzati in ordine alla provenienza dei rifiuti trattati, in quanto solo sotto questo aspetto hanno dato origine ad atti lesivi dell'interesse delle ricorrenti e pertanto rilevanti ai fini della decisione della proposta istanza cautelare. Con l'indicata limitazione ad opinione del collegio, detta rilevanza non puo' venir esclusa per nessuna delle questioni proposte, essendo possibile decidere se sussista o meno il fumus boni iuris visto quanto sopra enunciato in ordine ai rimanenti motivi di gravame, soltanto in base al riconoscimento della loro fondatezza o meno da parte del giudice delle leggi, e quindi a seguito della permanenza o della rimozione delle norme regionali della cui costituzionalita' si controverte. La questione e' stata ritenuta altresi' non manifestamente infondata sotto i seguenti profili: 1) la regione Friuli-Venezia Giulia, stabilendo, con le citate disposizioni normative, che lo spazio disponibile nelle discariche, situate nel suo territorio, deve essere commisurato alle necessita' del solo ambito regionale e che non puo' venir autorizzata l'attivita' di smaltimento dei rifiuti di provenienza non regionale nelle discariche predette, viola l'art. 1 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, rendendo impossibile il perseguimento delle finalita' da detta norma previste, di evitare danni e pericoli per la salute nonche' inquinamenti di ogni tipo e di salvaguardare l'ambiente e il paesaggio che costituiscono, in base alla disposizione predetta, principi generali della materia. Le norme sospettate di incostituzionalita' infatti rendono indisponibile il territorio della regione alle iniziative (catasto nazionale dei rifiuti e individuazione del fabbisogno di nuovi impianti, programma nazionale che individui un sistema integrato di aree di stoccaggio e pretrattamento, di impianti di smaltimento e di discariche sul territorio nazionale in modo da garantire la copertura delle esigenze programmate e fronteggiare le emergenze) che lo Stato, a mezzo del Ministero dell'ambiente, a norma degli artt. 3 e 5 del d.l. 9 settembre 1988, n. 397, convertito nella legge 9 novembre 1986, n. 475, deve apprestare, per garantire anche a livello nazionale il conseguimento delle finalita' predette. Infatti viene ostacolato il funzionamento di una organizzazione a livello nazionale dello smaltimento che permetta anche alle regioni la cui produzione di rifiuti ecceda le capacita' di smaltimento di collocarli in discariche controllate e non abusive in altra regione senza pericoli per la salute pubblica, che si esprime attraverso i poteri statali di coordinamento interregionale, di cui agli artt. 4, lettera h) e 6, lettera b) del d.P.R. n. 915/1982, non condizionati dai meccanismi consensuali in dette norme previsti nel caso d'urgenza (v. art. 12, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1982). Le controverse disposizioni di legge regionale violerebbero pertanto, nella materia dell'igiene e della sanita', a competenza ripartita i limiti del rispetto dei principi della materia, stabiliti dalle leggi dello Stato e in particolare dall'art. 1 del d.P.R. n. 915/1982, il raggiungimento dei cui obbiettivi e' garantito, a livello ultraregionale, dalla normativa statale sopra indicata violando l'art. 5 dello statuto e di conseguenza, per quanto qui rileva anche l'art. 6; 2) per le stesse ragioni appena indicate le disposizioni regionali de quibus violano l'ulteriore limite, posto in ogni caso alla legislazione regionale, del rispetto di interessi nazionali che debbono essere perseguiti unitariamente, dovendosi avvalere l'attivita' di smaltimento dei rifiuti, per raggiungere le sue finalita' non solo di un servizio, organizzato su base regionale, ma anche di poteri e strutture, dirette da organi statali. Dato che non corrispondono fra loro l'ampiezza del territorio di ogni regione, il numero dei siti in esso identificabili come idonei al trattamento dei rifiuti e la produzione degli stessi, che dipendono da caratteristiche rispettivamente fisiche e socio-economiche, ne deriva il recapito di rifiuti in discariche, situate in ambito regionale diverso da quello, in cui sono stati prodotti che costituisce in determinati casi una ineludibile necessita', la quale va essere soddisfatta in via d'emergenza, almeno quando siano in pericolo interessi pubblici irrinunciabili e tale fenomeno, interessando piu' ambiti regionali, non e' governabile da nessuna regione da sola, ma unicamente dallo Stato, in base ai poteri di indirizzo e coordinamento di cui all'art. 4, lettera a), del d.P.R. n. 915/1982, e alle disposizioni legislative indicate al precedente punto 1), volte a garantire una organizzazione in grado di affrontare anche problemi di carattere sovraregionale, che in particolare derivano dalla non coincidenza tra capacita' di produzione e smaltimento dei rifiuti. Non possono percio' ritenersi costituzionalmente legittime le norme regionali, quali quelle in discussione, che tendono a far coincidere l'ambito territoriale, in cui i rifiuti sono prodotti con quello, in cui sono smaltiti, in quanto si pongono in contrasto con il complessivo funzionamento del sistema di smaltimento su tutto il territorio nazionale, che e' interesse nazionale, espresso attraverso le norme statali sopra menzionate, da perseguirsi unitariamente a mezzo dei summenzionati poteri statali di indirizzo e coordinamento, volto a fronteggiare esigenze di smaltimento verificatesi in una regione che non possono essere soddisfatte nel suo territorio, violando cosi' i limiti della potesta' legislativa regionale, posti dall'art. 4 dello statuto alla potesta' primaria e necessariamente estesi alle potesta' concorrente e integrativa, di cui agli artt. 5 e 6; 3) le norme regionali in questione violano i limiti della potesta' regionale, esplicitamente previsti dall'art. 4 dello statuto, ma che di necessita' si estendono agli artt. 5 e 6, del rispetto della Costituzione, in quanto discriminano, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, gli imprenditori che esercitano l'attivita' di trattamento nell'ambito regionale, vietando a loro il conferimento nelle discariche dei rifiuti provenienti da fuori regione, divieto che non trova riscontro per gli altri produttori nazionali a cui e' anzi consentito trattare anche rifiuti del Friuli-Venezia Giulia, loro conferiti dai produttori, in modo che i primi sono posti in condizione di evidente inferiorita' nel mercato della raccolta dei rifiuti, imponendo una ridotta utilizzazione degli impianti e una conseguente maggior incidenza dei costi fissi, con minore capacita' concorrenziale e perdita di quote di mercato. Tale condizione di inferiorita', incidendo sulla stessa sopravvivenza delle aziende, condannate presto o tardi alla chiusura, comporterebbe la violazione altresi' dell'art. 41 della Costituzione, che, anche quando sia presente una legittima causa di utilita' sociale, potrebbe comprimere ma non estinguere del tutto le capacita' economiche di un'azienda. Sarebbe altresi' violato l'art. 120 della Costituzione, per l'illegittima imposizione di ostacoli e limitazioni, da parte di una regione, alla libera circolazione di cose e all'esercizio della professione. Con ordinanza n. 22 del 18 febbraio 1998 la Corte costituzionale adita ha disposto la restituzione degli atti a questo Tribunale amministrativo regionale per una nuova delibazione della rilevanza della proposta questione di costituzionalita', alla luce della sopravvenienza, nelle more del giudizio incidentale, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, cosi' come modificato ed integrato dal d.lgs. 8 novembre 1997, n. 389, che hanno ridefinito la disciplina della materia dello smaltimento dei rifiuti ed innovato il quadro normativo, su cui si fonda l'ordinanza di rimessione "anche in riferimento all'individuazione dei principi della legislazione statale in materia". Con ordinanza resa nella camera di consiglio del 20 marzo 1998 questo tribunale constatata l'avvenuta restituzione degli atti e il conseguente venir meno della sospensione provvisoria del provvedimento impugnato gia' a suo tempo disposta riconosciuta la permanenza del danno grave ed irreparabile ha ritenuto che sussista tuttora la rilevanza, per i motivi che verranno esposti con successiva ordinanza della questione di legittimita' costituzionale proposta con la precedente ordinanza n. 44 dell'8 febbraio 1997, ed ha stabilito rimanendo sospeso il giudizio cautelare, di rimettere nuovamente gli atti alla Corte costituzionale e di sospendere ulteriormente, l'impugnato decreto assessorile nelle more della decisione definitiva e della successiva restituzione degli stessi da parte del giudice delle leggi cui seguira' la decisione sull'istanza cautelare. Con ordinanza n. 108, resa nella stessa camera di consiglio, questo tribunale amministrativo ha ritenuto la permanente rilevanza della proposta questione di costituzionalita', osservando: 1) che ogni valutazione in argomento va condotta con riferimento al provvedimento, di cui si chiede l'annullamento e in via incidentale, la sospensione interinale, con l'istanza, in ordine alla decisione della quale la questione di costituzionalita' e' stata sollevata verificando se la mutazione del quadro normativo, intervenuta nelle more e citata nelle premesse, si rifletta o meno sulla sussistenza del fumus boni juris in ordine alle censure, mosse nel giudizio a quo, nei confronti dell'atto impugnato, per ottenere che ne siano sospesi gli effetti fino alla decisione di merito; 2) che a tale proposito, ad avviso del collegio, la modifica normativa di cui si e' fatto cenno non si riflette sulla rilevanza della questione di costituzionalita' in argomento, in quanto con il decreto assessorile prot. n. 28429/1996 del 15 novembre 1996 la provincia di Udine ha provveduto a integrare il contenuto delle autorizzazioni gia' rilasciate alle ricorrenti come di altre imprese, introducendovi la limitazione allo smaltimento di rifiuti prodotti nell'ambito territoriale della regione Friuli-Venezia Giulia, per effetto della sopravvenienza dell'art. 29 della legge regionale 14 giugno 1996, n. 22, che interpreta autenticamente l'art. 15, comma 6, della legge regionale 7 settembre 1987, n. 30, nel testo introdotto con l'art. 16 della legge regionale 28 novembre 1988, n. 65, nel senso che gli spazi di deposito, oggetto di autorizzazione, vanno rapportati alla quantita' di rifiuti da smaltire, di provenienza esclusivamente regionale mentre i decreti legislativi, menzionati nell'ordinanza della Corte che pur hanno abrogato detta normativa, incideranno soltanto sulle future autorizzazioni, che dovranno conformarsi al loro dettato almeno fino a quando non intervenga una normativa regionale di adeguamento; 3) cosi' non e', invece, per le autorizzazioni rilasciate alle ricorrenti dove la limitazione introdotta in base alla norma regionale, ora abrogata, di interpretazione autentica e a quella interpretata che piu' sopra si sono illustrate, continua a rimanere in vigore in virtu' dell'atto provinciale impugnato, emanato in base alla normativa previgente, la cui sospensione o annullamento e' possibile soltanto in esito all'eventuale accoglimento della questione di costituzionalita', non incidendo sulla fattispecie il d.lgs. n. 22/1997 e successive modificazioni che non ha efficacia retroattiva; 4) di conseguenza sara' necessario fare applicazione della pregressa normativa regionale, piu' sopra descritta, per la decisione della proposta istanza cautelare, per cui la questione di costituzionalita' proposta continua ad essere rilevante; 5) ad avviso del collegio, pur essendo del tutto assorbenti ed esaustive ai fini della rilevanza le considerazioni suesposte, deve essere altresi' rilevato che la legge delegata sopravvenuta, pur ritenuta non applicabile alla fattispecie, non ha inciso sui termini fondamentali della questione sottoposta al giudice delle leggi, in quanto: l'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 22/1997, che secondo la difesa dell'intervenuta regione avrebbe stabilito un divieto a smaltire rifiuti in regioni diverse da quelle in cui sono stati prodotti, analogo a quello stabilitc dalle leggi regionali contestate concerne i soli rifiuti urbani, oggetto di privativa comunale (art. 21) mentre nel giudizio a quo si controverte, come risulta dalle premesse in fatto dell'ordinanza n. 44/1997 di questo Tribunale amministrativo regionale, dello smaltimento di rifiuti speciali, affidato ad imprenditori privati; il terzo comma del citato art. 5 riconferma la necessita' del ricorso ad una "rete integrata" di smaltimento dei rifiuti, onde realizzare fra l'altro la possibilita' di smaltirli "in uno degli impianti appropriati piu' vicini" obbiettivi che non sembrano diversi da quelli previsti dagli artt. 3 e 5 del d.l. 9 settembre 1988 e ricordati nella citata ordinanza (individuare un sistema integrato di aree di stoccaggio e pretrattamento) da raggiungersi attraverso il catasto nazionale dei rifiuti che anche i decreti legislativi n. 22/1997 e n. 389/1997 prevedono e di cui dispongono la riorganizzazione (art. 11) e la tenuta ad opera dello Stato (art. 18, secondo comma, lettera h); vengono confermate le funzioni statali di indirizzo e coordinamento nella materia (art. 18, primo comma, lettera a) e quelle di intervento in via d'urgenza, sia pure limitate al caso di inerzia della regione (art. 13, comma 2). Non pare pertanto al collegio che vi siano, in ordine alle questioni sottoposte significative modificazioni dei principi fondamentali della legislazione statale nella materia per effetto delle indicate norme sopravvenute. Con ordinanza n. 442 del 1o dicembre 1999 la Corte costituzionale ha disposto nuovamente la restituzione degli atti a questo giudice a quo in base alla considerazione che, essendo sopravvenuta nelle more la legge regionale 9 novembre 1998, n. 13, il cui art. 6 sostituisce espressamente l'art. 28 della legge regionale n. 22/1996, introducendo una nuova disciplina delle autorizzazioni, di cui trattasi e stabilendo in particolare che i rifiuti di provenienza extra regionale, trattati da impianti localizzati nella regione, non concorrono a trasformare il fabbisogno di spazio di deposito, ne viene mutato il complessivo quadro legislativo di riferimento, su cui si fonda la questione di legittimita' costituzionale, imponendo un nuovo esame della sua perdurante rilevanza. Con ordinanza resa nella camera di consiglio del 14 gennaio 2000 questo tribunale, constatata l'avvenuta restituzione degli atti e il conseguente venir meno della disposta sospensione provvisoria del provvedimento impugnato, riconosciuta la permanenza del danno grave ed irreparabile, ha stabilito, rimanendo sospeso il giudizio cautelare, di rimettere nuovamente gli atti alla Corte, sussistendo tuttora la rilevanza della proposta questione di legittimita' costituzionale, per i motivi che verranno esposti con successiva ordinanza ed ha deciso di sospendere ulteriormente l'impugnato decreto assessorile nelle more della decisione definitiva e della successiva restituzione degli stessi da parte del giudice delle leggi cui seguira' la decisione sull'istanza cautelare. D i r i t t o Il collegio non dubita che ogni valutazione circa il permanere o meno della rilevanza della proposta questione di costituzionalita' debba essere condotta con riferimento all'incidenza o meno dello ius superveniens sull'atto di cui si chiede, nel caso di specie, l'annullamento e, in via incidentale, la sospensione cautelare con l'istanza in ordine alla decisione della quale detta questione e' stata sollevata. Deve essere, in altri termini, verificato se la mutazione del quadro normativo, intervenuta nelle more e citata nelle premesse, si rifletta o meno sulla sussistenza del fumus boni iuris in ordine alle censure mosse, nel giudizio a quo, nei confronti del provvedimento impugnato, per ottenere che ne siano sospesi gli effetti fino alla decisione di merito. Nella presente vicenda detta verifica non puo' che concludersi negativamente. Invero l'art. 6 della legge regionale 9 novembre 1998, n. 13, per quanto qui interessa, sostituisce l'art. 28 della legge regionale 14 giugno 1996, n. 22, disponendo che "fino all'approvazione del piano regionale di cui all'art. 6 della legge regionale n. 30/1987, come sostituito dall'art. 6 della presente legge, la realizzazione e l'esercizio di discariche possono venire autorizzati qualora: (omissis); c) sia stata dimostrata la sussistenza del fabbisogno di spazio di deposito in relazione alla quantita' rapportata agli ambiti territoriali serviti, di rifiuti prodotti di provenienza regionale. Il fabbisogno di cui alla lettera c) del comma 1 viene soddisfatto con l'ampliamento e/o la trasformazione qualitativa delle strutture in esercizio o autorizzate alla data di entrata in vigore della presente legge ovvero con nuovi interventi ...". La norma sopravvenuta pertanto ha come destinatari soltanto gli impianti, che necessitano di autorizzazione alla realizzazione o all'esercizio, disponendo per l'appunto in materia di nuove autorizzazioni. Queste possono essere necessarie, oltre naturalmente che per i nuovi interventi, anche per impianti gia' esistenti e autorizzati, ma solo quando si renda necessario, a seguito alla possibilita' di stoccare rifiuti di provenienza soltanto regionale, il loro ampliamento (p. es. in alternativa alla progettata realizzazione di una nuova discarica), o la loro trasformazione qualitativa (in ordine al tipo dei rifiuti trattati), che devono essere oggetto di appositi provvedimenti autorizzatori. La norma in questione non contempla affatto quei gestori, come le societa' ricorrenti, che sono gia' titolari di autorizzazioni e non intendono modificare le condizioni di esercizio dei loro impianti ne' in alcun modo li lede, dal momento che essa non ha carattere retroattivo e non incide sui provvedimenti autorizzatori gia' rilasciati, ma solo su quelli che verranno richiesti dopo la data della sua entrata in vigore. Essi continuano invece ad essere lesi dall'atto impugnato che ha modificato le loro autorizzazioni per effetto del carattere retroattivo del successivo art. 29 della citata legge regionale n. 22/1996, allora ancora in vigore ed abrogato soltanto dall'art. 8, comma 2, lettera c) della legge regionale n. 13/1998 di adeguamento della normativa regionale alle disposizioni del d.lgs. n. 22/1997 e del d.lgs. n. 389/1997. La norma in questione giova ricordarlo anche qui, recita: "ad interpretazione autentica dell'art. 15, comma 6, della legge regionale n. 30/1987, come sostituito dall'art. 16, comma 4, della legge regionale n. 65/1988, nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della presente legge, si intende per quantita' di rifiuti prodotti, rapportata agli ambiti territoriali serviti di pertinenza esclusivamente regionale la quantita' di rifiuti di provenienza esclusivamente regionale per i quali e' stata dimostrata l'effettiva necessita' di ulteriori spazi di deposito". Le autorizzazioni rilasciate alle ricorrenti rispettivamente in data 7 aprile 1988, 16 luglio 1991 e 2 agosto 1991 ricadono sotto la disciplina delle ricordate leggi regionali previgenti, che sono state autenticamente interpretate dalla norma appena riportata, il che ha comportato, con il provvedimento impugnato del 15 novembre 1996 l'impossibilita' di continuare a trattare, negli impianti relativi, rifiuti di provenienza extra regionale, data la modifica con detto atto disposta nel contenuto delle autorizzazioni. L'art. 6 della legge regionale n. 13/1998, che ha sostituito l'art. 28 della legge regionale n. 22/1996, oggetto del controllo sulla rilevanza e' pertanto, in ordine all'obbligo di trattare, negli impianti situati in regione, esclusivamente rifiuti di provenienza regionale, una disposizione che concerne le sole autorizzazioni, rilasciate dopo la sua entrata in vigore sia per nuovi impianti, sia per la modificazione o ampliamento di quelli esistenti. L'atto di cui si chiede la sospensione interinale in questa sede, e' invece stato adottato in applicazione della preesistente normativa regionale, applicativa in dettaglio dei principi di cui all'abrogato d.P.R. n. 915/1982 e della rimanente normativa statale di principio citata nella prima delle ordinanze (n. 44 del 13 dicembre 1996, depositata l'8 febbraio 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - prima serie speciale - n. 38 dell'anno 1997) di questo Tribunale amministrativo regionale Deve pertanto confermarsi la permanente rilevanza della questione di costituzionalita', proposta con la menzionata ordinanza e non essendovi materia per rimettere in discussione la riscontrata non manifesta infondatezza sui motivi della quale espressamente ci si richiama alla appena citata ordinanza n. 44/1997 la questione stessa va nuovamente rimessa alla Corte costituzionale negli stessi termini inizialmente esposti.