IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Visto  l'art. 23  della  legge  11 marzo  1953,  n. 87,  dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 32  comma  1  del d.P.R. n. 448/1988, cosi'
come  modificato  dall'art. 22  della  legge  1 marzo 2001, n. 63, in
relazione agli artt. 3, 10, 24 comma 2, 31 comma 2, 101 comma 2 della
Costituzione   nella   parte   in   cui,   richiedendo   il  consenso
dell'imputato  minorenne  per  la  definizione del procedimento nella
fase  di  udienza  preliminare,  in  caso di assenza o contumacia de1
mimore,  il  giudice  non  possa  pronunciare sentenza di non luogo a
procedere  nei  casi  previsti  dall'art. 425 del codice di procedura
penale o per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del
fatto;

                             Motivazione

    A seguito di richiesta di rinvio a giudizio d.d. 19 gennaio 2001,
n. A.  e'  stato  citato  a  comparire  dinanzi  a  questo g.u.p. per
rispondere   del  reato  di  rissa  aggravata.  All'odierna  udienza,
svoltasi in contumacia dell'imputato, all'esito della discussione tra
le   parti,  il  collegio  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 32 comma 1 del d.P.R. n. 448/1988.
    La    predetta   norma   sancisce   testualmente:   "Nell'udienza
preliminare,  prima  dell'inizio della discussione, il giudice chiede
all'imputato  se  consente  alla  definizione  del processo in quella
stessa  fase,  salvo  che  il  consenso  sia  prestato validamente in
precedenza.  Se il consenso e' prestato, il giudice, al termine della
discussione  pronuncia  sentenza  di  non  luogo a procedere nei casi
previsti   dall'art. 425   c.p.p.   o  per  concessione  del  perdono
giudiziale  o per irrilevanza del fatto". Nella specie, in contumacia
dell'imputato  non  e'  stato  possibile  acquisirne il consenso alla
definizione del procedimento in udienza preliminare, ne' lo stesso e'
stato fornito dal difensore d'ufficio.
    Osserva  questo  giudice che la questione della costituzionalita'
della norma citata appare rilevante atteso che gli elementi acquisiti
nel   corso  delle  indagini  preliminari  potrebbero  consentire  un
proscioglimento  dell'imputato  ex  art. 425,  comma  3  c.p.p.,  non
essendo  gli  stessi idonei a sostenere un'accusa in giudizio (i C.C.
di  Borgo  Valsugana  nell'informativa  d.d.  8 agosto  2000  avevano
escluso  la  partecipazione  del  minorenne  alla  rissa,  mentre una
successiva  dichiarazione  della  proprietaria  del locale dove erano
avvenuti  i  fatti  aveva  fatto  emergere  indizi in ordine alla sua
partecipazione, essendo il ragazzo presente nel locale, ma, ad avviso
di  questo g.u.p., non in un ruolo attivo) o, quanto meno, potrebbero
consentire  la  dichiarazione  di non luogo a procedere nei confronti
del  minore  per  concessione  di  perdono giudiziale, non risultando
precedenti   ostativi   al   riconoscimento   del  beneficio  stesso.
Viceversa,  in  assenza  del citato consenso, questo collegio sarebbe
tenuto,  secondo  quanto richiesto dal p.m., al rinvio a giudizio del
ragazzo.
    La  soluzione che in concreto scaturisce dalla nuova formulazione
dell'art. 32  comma  i  del  d.P.R.  n. 448/1988  risulta in evidente
contrasto  con  diversi  parametri costituzionali, in particolare con
gli artt. 3, 10, 24 comma 2, 31 comma 2, 101 comma 2 Costituzione. La
norma   denunciata,  infatti,  sebbene  sia  scaturita  dall'indubbia
esigenza  di  adeguamento  del  processo  penale  minorile  ai  nuovi
principi  costituzionali  scaturiti  dall'introduzione  dell'art. 111
della  Costituzione, pare aver tradito lo stesso spirito garantistico
che  l'aveva  ispirata.  Invero,  a  prescindere  dal  rilievo che le
esigenze   difensive   dell'imputato  minorenne  sono  salvaguardate,
riguardo  alle  sentenze  di  proscioglimento  che  presuppongono  la
responsabilita'   dell'imputato,   dalla   possibilita'  di  proporre
opposizione  dinanzi  al tribunale per i minorenni, per effetto della
sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 77/1993 che ha esteso tale
facolta',  prima limitato alle sole sentenze di condanna dall'art. 46
decreto  legislativo  n. 12/1991,  nel  caso  di mancato consenso del
minore  per  sua  assenza  o  contumacia,  si verifica la paradossale
conseguenza   che  il  g.u.p.  non  possa  pervenire  non  solo  alla
concessione   del   perdono   giudiziale   o  alla  dichiarazione  di
irrilevanza  del  fatto (formule che presuppongono un accertamento di
responsabilita),  ma neppure a un proscioglimento pieno dell'imputato
ex  art. 425  c.p.p. Ancor piu' paradossale e punitivo per l'imputato
sembra il corollario che lo stesso debba essere rinviato a giudizio a
fronte  di  assenza  di elementi di responsabilita' a suo carico o di
elementi  dubbi,  insufficienti  o  inidonei  a sostenere l'accusa in
giudizio, subendo le dannose conseguenze in termini psicologici di un
dibattimento  dinanzi  al  tribunale  ed i relativi costi (economici,
educativi, familiari, sociali).
    Conseguendo  dalla  norma  censurata la necessita' di una fase di
giudizio ulteriore (quella dibattimentale) scaturisce un aggravamento
del  diritto  della  difesa ex art. 24 comma 2 della Costituzione che
appare  ancor  piu' evidente se si pensa che si tratta di un imputato
minorenne.
    Si  ravvisa,  inoltre,  un  profilo  di incostituzionalita' della
norma con riferimento all'art. 3 della Costituzione attesa l'illogica
disparita' di trattamento con gli imputati maggiorenni per i quali il
g.u.p.  presso  il  tribunale ordinario ben puo' emettere sentenza di
proscioglimento   ex   art. 425  c.p.p.  senza  necessita'  di  alcun
consenso.  L'art. 32  del  d.P.R.  n. 448/1998  appare  in  ogni caso
costituzionalmente   illegittimo   nella  parte  in  cui  prevede  la
necessita' del consenso anche nel caso di proscioglimento ex art. 425
c.p.p.  (come  nel  caso  di specie in cui l'imputato potrebbe essere
prosciolto per non aver commesso il fatto).
    Ulteriore  profilo di incostituzionalita' deriva dalla violazione
dell'art. 10  della  Costituzione  che  sancisce al primo con una che
l'ordinamento  giuridico  italiano  si conforma alle norme di diritto
internazionale generalmente riconosciute. La nuova formulazione della
norma,   con   l'introduzione  di  un  meccanismo  di  consenso  alla
definizione  del  procedimento penale la cui mancanza possa ritardare
la rapida definizione dello stesso, pare contraddire tutto lo spirito
della  legislazione  minorile, improntata ai principi di residualita'
dell'intervento  penale,  di  minore  offensivita'  dello  stesso, di
incentivazione di meccanismi di diversion e conseguente rapida uscita
del   minore  dal  "circuito  penale",  come  sanciti  dagli  impegni
internazionali   assunti   dall'Italia   con   la  sottoscrizione  di
fondamentali  documenti  quali  le  c.d.  Regole  Minime  di Pechino,
stabilite  dalla  Convenzione di New York del 1985 (v. in particolare
l'art. 20  che  prevede:  "Ogni  caso,  fin  dall'inizio, deve essere
trattato  rapidamente,  evitando  ritardi");  dalla  Convenzione  sui
diritti del fanciullo, emanata a New York nel 1989 (v. in particolare
gli  artt. 3 e 40, che prevedono che nelle procedure giudiziarie deve
essere  salvaguardato  l'interesse  del  minore  e  che  il  percorso
giudiziario   venga   definito   senza   indugio,  per  mezzo  di  un
procedimento  equo  ai sensi di legge); nonche' dalla Raccomandazione
sulle   risposte  sociali  alla  delinquenza  minorile,  emanata  dal
Consiglio  d'Europa il 17 settembre 1987 (v. in particolare l'art. 4,
che  prevede "di assicurare una giustizia dei minori piu' rapida, che
eviti  dei  ritardi  eccessivi,  affinche' essa possa avere un'azione
educativa efficace").
    Palese  appare  il  contrasto  dell'art. 32  comma  1  del d.P.R.
n. 448/1988  anche  con  l'art. 31  comma  2  della  Costituzione  in
relazione  alla  circostanza  che la protezione dell'infanzia e della
gioventu'  sancita  dalla carta costituzionale viene a subire un duro
colpo  con  la  previsione della possibilita' di trattenere il minore
nel  circuito  processuale, facendogli subire conseguenze perverse di
un meccanismo che dovrebbe tendere al rispetto della sua personalita'
e  propendere  alla sua educazione. Tali diritti verrebbero ad essere
sacrificati   proprio  nei  casi  di  una  sua  evidente  assenza  di
responsabilita'  o  a  fronte  di  possibili  soluzioni  diverse  dal
giudizio dibattimentale (perdono giudiziale e irrilevanza del fatto),
considerato  secondo  il  comune  sentire  e tra gli stessi operatori
minorili  esperienza  "forte"  dal  punto  di  vista  psicologico  ed
educativo,   con   conseguente   prolungamento  della  situazione  di
incertezza processuale.
    Parimenti  deve essere evidenziato come la norma censurata appare
essere  in  contrasto  con l'autonomia della funzione giurisdizionale
per  violazione  dell'art. 101  della  Costituzione,  atteso  che  e'
escluso  che il giudice possa emettere sentenza di proscioglimento ex
art. 425 c.p.p. ovvero di proscioglimento per concessione del perdono
giudiziale o per irrilevanza del fatto, anche in mancanza di consenso
nei  casi  previsti dallo stesso art. 32 citato. Cio' appare illogico
se  si considera che mentre la dichiarazione di irrilevanza del fatto
puo'  essere  effettuata  anche  da  parte del g.i.p. nel corso delle
indagini  preliminari  "...  sentiti  il  minorenne  e l'esercente la
potesta'  dei genitori ..." (art. 27 comma 2 del d.P.R. n. 448/1988),
senza  che  sia  richiesto  alcuna  espressione  di  assenso da parte
dell'indagato,   nel  corso  dell'udienza  preliminare  non  si  puo'
pervenire alla stessa conclusione senza il consenso dell'imputato.
    Ulteriore  profilo  di  illogicita' della previsione censurata e'
evidenziato nelle condivisibili motivazioni contenute nelle ordinanze
di  rimessione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale da parte del
g.u.p.  presso  il  Tribunale per i minorenni di Palermo numeri 556 e
756  del 2001, secondo cui "... se e' vero che l'art. 129 c.p.p., non
abrogato  dalla  novella  del  2001  n. 63 al primo comma consente al
giudice di emettere sentenza di proscioglimento in ogni grado e stato
del  processo  nelle  stesse  ipotesi  previste  dall'art. 425 c.p.p.
mentre  al  secondo  comma prevede la possibilita' della emissione di
una  sentenza  di assoluzione o di non luogo a procedere quando dagli
atti  risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non
lo  ha  commesso  o  che  il  fatto  non  costituisce reato, o non e'
previsto  dalla  legge  come  reato anche quando ricorre una causa di
estinzione   del,  reato,  e'  anche  vero  che  tale  norma  diventa
sostanzialmente   inapplicabile   dinanzi   al  g.u.p.  minorile  con
conseguente  ulteriore  illogica  disparita'  di  trattamento con gli
imputati maggiorenni ed illogico protrarsi del giudizio".
    Per  quanto fin qui esposto, appare necessario rimettere gli atti
alla   Corte   costituzionale   affinche'  esamini  la  questione  di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 32   comma   1  del  d.P.R.
n. 448/1988,  cosi'  come modificato dall'art. 22 della legge 1 marzo
2001,  n. 63,  in relazione agli artt. 3, 10, 24 comma 2, 31 comma 2,
101  comma  2  della  Costituzione nella parte in cui, richiedendo il
consenso  dell'imputato minorenne per la definizione del procedimento
nella  fase  di  udienza preliminare, in caso di assenza o contumacia
del  minore, il giudice non possa pronunciare sentenza di non luogo a
procedere  nei  casi  previsti  dall'art. 425 del codice di procedura
penale o per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del
fatto.