IL GIUDICE DI PACE

    A scioglimento della riserva che precede;
    Letti gli atti ed esaminati i documenti della causa;

                     Osserva in fatto e diritto

    1. - I  due  ricorrenti  sono  stati  dipendenti  della Compagnia
Portuale  di  Ravenna:  dal  1 marzo 1962 al 30 aprile 1987 Gamberini
Roberto; dal 23 marzo 1964 al 30 aprile 1987 Spadoni Gabriele;
        sono andati in pensione di anzianita' entrambi con decorrenza
dal 1 maggio 1987;
        i   ricorrenti   hanno   ricevuto  dall'INAIL  l'attestazione
positiva di esposizione all'amianto per oltre un decennio ex art. 13,
comma 8,  legge  n. 257/1992 (come modificato con legge n. 271/1993),
essendo  stata  riconosciuta la loro esposizione per tutto il periodo
di lavoro svolto alle dipendenze della Compagnia Portuale;
        secondo  quanto  accertato in sede amministrativa (v. atto di
indirizzo  del  Ministero  del  lavoro e della previdenza sociale del
20 aprile  2000;  doc.  in atti) per i lavoratori che esercitavano le
loro  mansioni  nella  compagnia  portuale di Ravenna (come per altri
lavoratori   portuali   di   altri   porti   italiani)  l'esposizione
all'amianto,  attraverso manipolazione diretta, ha avuto inizio dalla
data  di  assunzione  (iscrizione  nei  registri  portuali)  e  si e'
consumata  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge  n. 257/1992
essendo la stessa cessata il 31 dicembre 1990; secondo quanto risulta
dallo   stesso  atto  ministeriale,  l'esposizione  quantitativamente
maggiore si e' avuta negli anni 60, mentre in seguito sono migliorate
le  tecniche di imballaggio della sostanza che pure non sono valse ad
evitare una esposizione nociva;
        i   due   ricorrenti,   dopo  aver  ricevuto  l'attestato  di
esposizione,  hanno  richiesto  all'INPS l'applicazione dell'art. 13,
comma 8,   della  legge  n. 257/1992  (come  modificato  dalla  legge
n. 271/1993)  il  quale  riconosce  in  beneficio della rivalutazione
contributiva  in  questi  termini:  "per i lavoratori che siano stati
esposti  all'amianto  per un periodo superiore a dieci anni, l'intero
periodo  lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le
malattie   professionali   derivanti   dall'esposizione  all'amianto,
gestita  dall'INAIL,  e'  moltiplicato,  ai  fini  delle  prestazioni
pensionistiche, per il coefficiente di 1,5";
        secondo  i conteggi non contestati depositati in giudizio, in
forza del riconoscimento del beneficio per una esposizione ad amianto
ultradecennale  il  ricorrente  Spadoni maturerebbe una differenza di
lire 66.803  mensili  sul  rateo  di  pensione  in  godimento, mentre
Gamberoni  avrebbe  diritto  ad  una  maggiorazione della pensione di
lire 158.822 mensili;
        l'I.N.P.S.  non  ha pero' accolto la richiesta dei ricorrenti
ai  quali,  come  risulta  dal provvedimento, in atti ha risposto nei
seguenti  termini:  "pur  risultando  dalla  dichiarazione  INAIL  un
periodo  di  esposizione  all'amianto  di  oltre  dieci  anni la S.V.
titolare  di  pensione  alla  data  di  entrata in vigore della legge
n. 257/1992 (28 aprile 1992) non era in attivita' lavorativa ala data
di  entrata  in vigore dei provvedimenti in oggetto: 28 aprile 1992 e
5 agosto 1993";
        in  sostanza  l'INPS  sostiene che il beneficio non spetti ai
lavoratori  pensionati  prima  della  legge  n. 257/1992, per il solo
fatto di essere tali;
        anche  la  giurisprudenza  costante della Corte di cassazione
afferma  che  l'art. 13,  comma 8,  non  si  applichi  in  favore dei
lavoratori  esposti  che  siano andati in pensione di anzianita' o di
vecchiaia, prima dell'entrata in vigore della legge n. 257/1992.
    La  questione  che deve essere esaminata sul piano costituzionale
investe dunque il problema dei destinatari del beneficio contributivo
di  cui all'art. 13, comma 8, della legge n. 257/1992 come modificato
con legge n. 271/1993.
    2. - La  Corte  costituzionale si e' gia' occupata della norma in
oggetto  sotto  profili diversi da quelli che vengono qui in rilievo,
attraverso una pronuncia (sentenza n. 5/2000) con la quale sono stati
lucidamente   ed   esattamente  ricostruiti  origine,  presupposti  e
finalita'   della  disposizione;  nella  stessa  pronuncia  la  Corte
costituzionale ha superato i dubbi di legittimita' costituzionale che
erano   stati   sollevati   in   relazione  alla  determinatezza  dei
destinatari   del   beneficio   correlandone   l'individuazione  alle
condizioni   di   operativita'   del   T.U.  1124/65  sulle  malattie
professionali.
    3. - Sulla vicenda che ha condotto all'attuale formulazione della
norma,  occorre  ricordare che la Cassazione nelle sue prime pronunce
(senza  cogliere  il  valore  delle  modifiche  che  erano gia' state
appositamente  introdotte  nel  testo della norma) aveva collegato il
beneficio in questione alla cessazione dell'uso dell'amianto disposto
con  la stessa legge n. 257; ed aveva quindi sostenuto la tesi che il
beneficio  fosse  destinato  a  sopperire  alla  perdita del posto di
lavoro  per i lavoratori del c.d. settore amianto e pertanto fosse da
riconoscere ai soli lavoratori in attivita' di servizio a quella data
in determinate aziende.
    La  Corte  costituzionale  ha  superato  questa  tesi limitativa,
contrastante con la volonta' del legislatore, ed ha messo in evidenza
come la legge n. 257/1992 abbia una disciplina composita, preveda una
varieta'   di   benefici   ("una   diversificata  gamma  di  benefici
previdenziali")  distinti  per  natura, presupposti e destinatari; in
particolare la Corte si e' soffermata sull'evoluzione legislativa che
aveva subito questa specifica disposizione (l'art. 13, comma 8, della
legge  n. 257/1992), che era stata ad un certo punto novellata con un
decreto  legge  (il  n. 139  del  5 giugno  1993) col quale si faceva
riferimento ad una categoria piu' ristretta di lavoratori "dipendenti
delle  imprese che estraggono o utilizzano amianto come materia prima
...".
    Ebbene  a questo proposito la Corte costituzionale, richiamando a
ragion  veduta  gli  atti  parlamentari,  ha  ribadito:  "In  sede di
conversione  del  predetto provvedimento d'urgenza, la legge 4 agosto
1993,  n. 271 ha soppresso la locuzione "dipendenti dalle imprese che
estraggono o lavorano l'amianto come materia prima, anche se in corso
di  dismissione  o  sottoposte  a  procedure fallimentari o fallite o
dismesse , cosi' intendendo soddisfare - secondo quanto si evince dai
lavori  preparatori  -  l'esigenza di attribuire centralita', ai fini
dell'applicazione del beneficio previdenziale all'assoggettamento dei
lavoratori   all'assicurazione   obbligatoria   contro   le  malattie
professionali  derivanti  dall'amianto,  escludendo  al tempo stesso,
ogni  selezione  che  potesse derivare dal riferimento alla tipologia
dell'attivita' produttiva del datore di lavoro".
    Dunque  secondo  la  pronuncia  della Corte costituzionale non e'
possibile   alcuna  limitazione  del  beneficio  ai  soli  lavoratori
appartenenti  al  c.d.  settore amianto (ovvero ad astratte categorie
merceologiche),  perche'  il  beneficio  e'  stato voluto per tutti i
lavoratori comunque esposti alla sostanza nociva per oltre dieci anni
(questo  essendo in verita' l'unico semplice presupposto che la norma
richiede per la sua applicazione).
    4. - Del  resto  per  convincersi  di  questo  basta  leggere  il
resoconto  della  seduta  della  Camera dei deputati del 12-14 luglio
1993 in cui venne illustrata (dal relatore on. Morgando) la finalita'
dell'emendamento  specificamente  introdotto dalla Commissione lavoro
della  Camera  "facendo riferimento non alla tipologia dell'attivita'
produttiva dell'azienda - come nelle modifiche introdotte al Senato -
bensi'  all'assoggettamento  o  meno  all'assicurazione  obbligatoria
contro   le   malattie   professionali   derivanti   dall'esposizione
all'amianto";  "le  modifiche introdotte dalla Commissione tendenti a
sopprimere  una  parte  del  primo  comma del decreto dell'art. 1 del
decreto-legge,  volte  a far si' che per tutti i lavoratori che siano
stati  esposti  all'amianto  per  un  periodo  superiore a dieci anni
l'intero  periodo  lavorativo  soggetto ad assicurazione obbligatoria
sia moltiplicato per il coefficiente di 1,5".
    Verso  questa univoca direzione interpretativa si sono mosse pure
tutte  le  circolari  applicative  emesse  all'indomani  della  legge
dall'INPS  e  dall'INAIL,  enti  chiamati  a  garantire  la  corretta
applicazione della norma in sede amministrativa.
    Dopo  la  sentenza  della Corte costituzionale, anche la Corte di
cassazione,  che  pur  aveva  utilizzato  la  tesi  originaria (della
limitazione del beneficio al settore amianto) come argomento centrale
e  determinante  per  respingere  in  tutta  una serie di sentenze le
domande  dei lavoratori pensionati (cfr. ad esempio la prima sentenza
sull'argomento  del  7 luglio  1998  n. 6605),  lo  ha  ora disatteso
esplicitamente  come risulta dalla sentenza n. 4913 del 3 aprile 2001
(sentenza  resa  tuttavia nei confronti di lavoratori non pensionati)
con  la  quale ha riconosciuto: "la legge del 4 agosto 1993 n. 271 di
conversione  del decreto-legge 193/1993 non resse quindi al confronto
parlamentare  sicche' venne eliminato il riferimento ai lavoratori di
"imprese che estraggono o utilizzano amianto come materia prima" e si
segui'  una  soluzione  che tenendo conto della capacita' di produrre
danni  sull'organismo  in  relazione al tempo di esposizione consente
una maggiorazione dell'anzianita' contributiva per tutti i dipendenti
che siano esposti all'amianto per piu' di dieci anni".
    5. - In  coerenza  con  la volonta' del legislatore, la ratio del
beneficio in questione viene oramai correttamente ricondotta da tutti
gli  interpreti ad una finalita' di natura compensativa-risarcitoria;
non  piu'  di  ammortizzatore  sociale  o  di tutela preventiva della
salute,  come  si  affermava  nelle  prime  sentenza della Cassazione
(allorche'  si  parlava  pure di "finalita' chiaramente perseguita di
allontanamento dei lavoratori in relazione ... a fatti di esposizione
avvenuti nel passato ...").
    Anche  su  questo  versante  la  sentenza  n. 5/2000  della Corte
costituzionale   ha   offerto   una   interpretazione   difficilmente
superabile.  La  Corte costituzionale ha ricordato che la ratio della
normativa non puo' essere ne' di riparazione per la perdita del posto
(o  di  incentivo  all'esodo),  ne'  di "prevenzione" dal rischio (da
ritenersi  scongiurato,  almeno  sul  piano dell'ordinamento, dopo la
legislazione   preventiva   emanata   con   il   decreto  legislativo
n. 277/1991  sull'amianto,  e  dopo  che  la stessa legge n. 257/1992
aveva  disposto  la cessazione dell'uso dell'amianto); bensi' secondo
la  stessa  Corte  costituzionale:  "Lo  scopo  della disposizione va
rinvenuta   nella   finalita'   di   offrire  ai  lavoratori  esposti
all'amianto  per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10 anni) un
beneficio   correlato   alla   possibile   incidenza  invalidante  di
lavorazioni   che,   in   qualche   modo,   presentano  potenzialita'
morbigene".
    La  stessa  Corte  ha poi richiamato sotto il profilo del rischio
tutelato  tutte  le patologie correlate all'amianto ("patologie quali
esse siano"); ed ha sottolineato come ai fini dell'individuazione dei
destinatari  del beneficio la norma andasse necessariamente correlata
con  i  presupposti  di  operativita'  del  sistema  di assicurazione
obbligatoria    sulle    malattie    professionali   (pertanto   pure
espressamente   richiamato  nel  corpo  della  stessa  disposizione);
sistema,  il  cui funzionamento e' incentrato (sia dal punto di vista
oggettivo,  sia  dal  punto  di  vista  soggettivo)  sul concetto del
rischio  ambientale;  com'e'  noto,  la nozione di rischio ambientale
vale  per  la  nostra ultradecennale giurisprudenza, (Cass. 29 luglio
1942  n. 2246  e  da  ultimo  Cass.  sez.  unite  3476/94),  sia  per
delimitare  oggettivamente le attivita' protette, sia per individuare
i  soggetti che sono tutelati nell'ambito delle attivita' protette (a
prescindere dalla "manualita'" della mansione).
    Anche  la  Cassazione  condivide  oramai questa interpretazione e
nella sentenza sopra citata (Cass. 4913/2001) ha riconosciuto (in una
sentenza  resa  nei confronti di un lavoratore non pensionato) che la
norma mira ad attribuire un beneficio che tiene conto della capacita'
dell'amianto di procurare danni all'organismo dei lavoratori.
    Nulla  autorizza  quindi  ad allontanarsi nell'applicazione della
disposizione  da questa chiara ricostruzione del suo tenore normativo
gia'  effettuata  dalla Corte costituzionale; che' anzi a sostegno di
questa  ricostruzione potrebbero essere richiamati ulteriori elementi
logici  e  testuali,  di carattere scientifico e di natura normativa,
interni  ed  esterni alla disposizione, tutti armonicamente diretti a
convalidare la fondatezza della stessa interpretazione.
    6. - Sotto  il  profilo scientifico e' oramai divenuto un dato di
comune  esperienza,  un  patrimonio  condiviso  dalla  giurisprudenza
italiana  (cfr.  Cass.  sent.  5 ottobre 1999, est. Battisti; Cass. 2
luglio  1999,  Romis;  Cass.  11 maggio  1998, Tatozzi) avvalorato da
ricerche   e  consulenze  epidemiologiche  e  da  letteratura  medica
inoppugnabili,  il  fatto che l'uso su larga scala di questa sostanza
ha comportato conseguenze nefaste e drammatiche sul piano sanitario e
sociale per i lavoratori.
    Un dato che fa riflettere sotto questo aspetto e' contenuto nella
relazione  approvato dalla Commissione lavoro del Senato il 22 luglio
1997 a seguito di una indagine conoscitiva; concludendo, dopo diversi
mesi,  un  ampio ed approfondito lavoro "con numerosissimi audizioni,
raccolta di dati e documenti, sopralluoghi" la Commissione dichiarava
a  proposito  della  nocivita' dell'amianto "che benche' sia noto che
l'impiego  di  tale sostanza sia all'origine dei tumori dell'apparato
respiratorio e che l'utilizzo eccessivo che se ne e' fatto negli anni
passati  avrebbe  determinato secondo una stima approssimativa, circa
4000   casi   di   tumore   di   origine  professionale  all'anno,  i
riconoscimenti  di  tumore  come malattia professionale sono soltanto
una decina ogni anno".
    7. - Sul  punto  e'  inoltre utile ricordare che e' assolutamente
dimostrato  dalla  letteratura  medica il fatto che il lavoratore che
sia  stato  esposto  all'amianto  non  si  libera  mai del rischio di
contrarre una malattia asbesto correlata. Si tratta di un rischio che
ovviamente  non  cambia in funzione della circostanza che un soggetto
sia  pensionato o meno ad una certa data; e che per la caratteristica
lunghezza  del  periodo  di  latenza che lo contraddistingue potrebbe
intervenire   anche   ad   oltre  30 anni  dall'esposizione  (per  il
mesotelioma);  il  punto  e'  anche  convalidato  sul piano giuridico
dall'allegato 8  al  t.u.  1124/65  ove  non  sono previsti limiti al
periodo massimo di indennizzabilita' dalla cessazione del lavoro, per
le  malattie  correlate  all'asbesto;  dal  che si evince pure che la
speranza  di  vita  attesa  nella  categoria  dei  lavoratori esposti
all'amianto e' minore rispetto all'aspettativa di vita in generale.
    8. - Si consideri, sotto questo profilo, che l'Istituto superiore
per  la  prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL) nel suo primo
rapporto,  recentemente pubblicato (giugno 2001) - dopo l'attivazione
del  registro  nazionale  dei  mesoteliomi (previsto dall'art. 36 del
decreto  legislativo  n. 277/1991, traendo origine dall'art. 17 della
direttiva  comunitaria  n. 477/1983)  -  ha documentato una incidenza
crescente   nel  corso  degli  ultimi  anni  del  numero  dei  (soli)
mesoteliomi  (secondo  i  dati  raccolti  nelle  5 regioni  che hanno
attivato il sistema di sorveglianza e di registrazione dei casi), con
una  previsione  di  ulteriori  incrementi  (fino al picco di massima
diffusione  della  neoplasia previsto per il 2015 e 2018). Secondo le
stime  pure  effettuate  nel  rapporto  (998  casi  del 1994) si puo'
fondatamente  sostenere  che  sono  attesi  circa  diecimila casi nei
prossimi dieci anni (senza contare l'altrettanto mortale asbestosi ed
il  cancro  polmonare).  Uno  dei  settori  piu'  a  rischio  tra  le
esposizioni   di   origine   professionale  e',  secondo  la  ricerca
dell'ISPESL, proprio quello dell'attivita' portuale.
    9. - Sul   piano   strettamente   giuridico  e'  pure  importante
ricordare  la condanna che lo Stato italiano ha subito nel 1990 dalla
Corte  di  giustizia della CEE (sentenza 13 dicembre 1990 n. 240) per
inadempimento  agli  obblighi  del  trattato,  non avendo recepito ed
attuato la direttiva CEE n. 477 sulla prevenzione del rischio amianto
risalente al 1983 (direttiva successivamente recepita nel 1991 con il
decreto legislativo n. 277/1991).
    Questo  dato  di  fatto  vale  anche  a sostenere che se lo Stato
italiano  si  fosse  piu' tempestivamente attivato per l'applicazione
della direttiva CEE sarebbero maturate piu' rapidamente le condizioni
giuridiche   e   culturali   per   una   piu'   efficace  prevenzione
dall'amianto,  e  cio' avrebbe probabilmente impedito l'insorgenza di
molte malattie da amianto.
    Questa stessa premessa non e' stata poi estranea alle ragioni che
hanno  portato  alla  specifica  norma  in  oggetto; basta leggere le
dichiarazioni  contenute  negli  atti parlamentari che documentano il
passaggio  nelle  due  Camere,  ai  fini  della conversione, del gia'
menzionato decreto-legge di modifica dell'art. 13, comma 8: "L'Italia
e'  stata  per  molti  anni inadempiente quanto all'adeguamento delle
disposizioni  comunitarie,  che  gia' dieci anni fa prevedevano per i
Paesi  membri  misure di prevenzione e di protezione per i lavoratori
utilizzatori  dell'amianto",  (intervento  dell'on. Muzio, effettuato
alla Camera dei deputati).
    10. - La  ratio essenziale del beneficio sta dunque nel fatto che
a  fronte  di  un uso massiccio e generalizzato di questa sostanza, i
lavoratori  sono  stati  lasciati  per lungo tempo in balia della sua
azione  nociva  senza  informazioni  e  senza protezioni adeguate; si
tratta  di  una  riparazione  postuma  che  il  legislatore ha voluto
offrire  a  questi lavoratori che hanno corso e corrono tuttora gravi
rischi per la loro salute.
    Se  dunque e' questo il contesto storico, sociale e giuridico che
ha  portato  alla  norma  in oggetto, non puo' la stessa legge, senza
ledere  palesemente  il  principio di eguaglianza, lasciare fuori dal
proprio  ambito  di  operativita'  (non considerare "lavoratore"), un
soggetto, il quale, benche' pensionato, sia stato esposto all'amianto
per piu' di dieci anni, prima dell'entrata in vigore della legge; non
puo'  escludere  dal  beneficio  un  lavoratore  che  si  sia trovato
precisamente  nella  stessa  situazione  di  pericolo descritta dalla
norma,  la  quale  considera  essenzialmente l'esposizione subita dai
lavoratori  prima dell'entrata in vigore della legge ("lavoratori che
siano stati esposti").
    La  stessa  legge  non puo' negare il rischio che ha corso questo
lavoratore  il piu' delle volte in termini maggiormente nocivi (sotto
il  profilo quantitativa, della conoscenza, dei mezzi di prevenzione)
rispetto  alle esposizioni piu' recenti, avvenute quando del problema
amianto  si parlava di piu' ed i lavoratori sapevano qualcosa in piu'
della sua pericolosita'.
    Si  pensi  cosa avveniva sotto il profilo tutela della salute dei
lavoratori,  prima  che  con  il  d.lgs.  277/91  venisse  imposto un
imponente  apparato  di  prevenzione  e di tutela del lavoro rispetto
all'esposizione   all'amianto;   nei  periodi  in  cui,  come  emerge
quotidianamente  nelle  cause che si trattano su questo argomento, si
impastava  l'amianto  con  le mani, si raschiava, tagliava, sagomava,
spolverava,  spazzava,  amianto  senza  adottare  nessuna  misura  di
prevenzione (ed alcune volte adottando come misure protettive proprio
strumenti con presenza di amianto).
    Sotto   questo   stesso   aspetto   occorre   riflettere  che  e'
storicamente  accertato  e  scientificamente  documentato,  anche  in
sentenze  della  Cassazione,  che piu' si va indietro nel tempo nella
ricostruzione delle condizioni dell'esposizione alle fibre di amianto
e  tanto  piu'  emerge  che  nel passato l'esposizione dei lavoratori
fosse  maggiormente  elevata;  con  apprezzabile  possibilita' quindi
l'esposizione subita da un pensionato e' stata piu' elevata di quella
subita in tempi piu' recenti da un lavoratore non pensionato.
    Si  pensi  che  nel  passato si assicurava il rischio asbestosi a
concentrazioni  di  fibre  migliaia  di  volte piu' elevate di quelle
ritenute necessarie in tempi piu' recenti ai fini dell'assicurazione.
    La  stessa  Cassazione  con  sentenza  n. 2441/1991  osservava  a
proposito  dei limiti di concentrazione valevoli per il pagamento del
premio   supplementare   per   asbestosi:  "si  deve  ricordare  come
l'associazione   degli  igienisti  industriali  (A.I.D.I.I.)  con  le
delibere  annuali  che  definiscono  i  valori limite di soglia (c.d.
T.L.V.)   in   genere   recependoli   dalla  American  Conference  of
Governemental Industrial Hygienist (A.C.G.I.H.), da ultimo ad esempio
per  il 1987-1988 con riguardo all'asbesto ha fissato tali valori nel
modo  seguente:  Amosite 0,5 fibre per cm cubo; crisotilo 2 fibre per
cm  cubo;  crocidolite  0,2  per  cm cubo; altre forme 2 fibre per cm
cubo".
    Si trattava di valori altissimi che venivano richiesti ancora nel
1987-1988  per  il pagamento del premio per asbestosi; nell'ordine di
migliaia di volte superiori a quelli richiesti solo dopo tre anni con
il  d.lgs.  277/1991  (art. 24,  comma  3).  Basta  fare una semplice
comparazione  con le dovute equivalenze: se nel 1988 erano necessarie
per  pagare  il  premio  per  asbestosi  2 fibre per cm3 (pari a 2000
fibre/litro),  nel  1991 secondo il d.lgs. 277 ne occorrono 0,1 fibre
per cm3 (pari a 100 fibre/litro); con una differenza di 1900 fibre di
amianto in un litro.
    Non   si   puo'   tacere  poi  che,  come  risulta  da  tutte  le
pubblicazioni  scientifiche  sull'argomento, negli anni '60 il limite
era  di  12 fibre per cm cubo ossia 12000 fibre/litro (11900 fibre in
piu);  e quelle richieste negli anni '70 erano di 5 fibre per cm cubo
ossia 5000 fibre/litro (4900 fibre di differenza).
    Ebbene  un  lavoratore  che ha lavorato in una simile condizione,
secondo  la  norma  in  oggetto  non sarebbe considerato esposto, pur
essendo  stato  probabilmente  soggetto  ad  un  rischio piu' elevato
dell'altro lavoratore a cui il beneficio viene invece accordato.
    Il  fatto  e' talmente vero che lo stesso I.N.A.I.L. ha affermato
(nonostante  alcune  contrarie  pronunce di giudici di merito) che il
presupposto  per il riconoscimento del beneficio previsto dalla norma
non  possa  essere  costituito dal pagamento del premio per asbestosi
per  la  ragione fondamentale che "in passato i criteri meno rigorosi
potevano   aver  escluso  quest'obbligo  anche  per  lavoratori  oggi
considerati   esposti"  (v.  introduzione  alla  nota  Contarp  sulla
valutazione   dell'esposizione   all'amianto  ai  fini  dei  benefici
previdenziali).
    11.  -  Deve  essere  inoltre  rimarcato  come  sia pacificamente
acclarato  che  la  norma  di  cui  si  tratta  non  richieda affatto
l'attualita'  dell'esposizione,  al  momento  della  sua  entrata  in
vigore,  come  presupposto per il riconoscimento del beneficio; conta
quindi  (anche)  l'esposizione  che  e'  avvenuta  al  passato  prima
dell'entrata    in    vigore   della   legge;   conta   l'esposizione
ultradecennale  subita  dal  lavoratore  quale  che sia il sua status
occupazionale  al  momento  dell'entrata  in  vigore  (disoccupato  o
sospeso o occupato in altro settore e magari non piu' esposto).
    Sul  punto  dei  destinatari  del beneficio la Cassazione, mentre
aveva  sostenuto  in  diverse  pronunce  che  era  necessario  essere
lavoratori attivi al momento dell'entrata in vigore della norma (vedi
ad  es.  Sez. unite 207/1999 in sede di regolamento di giurisdizione,
secondo  cui  i beneficiari dell'art. 13, comma 8, sono costituiti da
"lavoratori  necessariamente  in  attivita' di servizio" e che quindi
non possono essere pensionati), ora la Cassazione ammette che non sia
piu'  necessaria  l'attualita'  dell'attivita' di servizio al momento
dell'entrata in vigore della legge.
    Illuminante  a  questo  proposito  e'  la  recente sentenza della
Cassazione 5764/01 con la quale e' stato esteso il beneficio di legge
ai  lavoratori  disoccupati  al  momento dell'entrata in vigore della
legge. La Corte sostiene " ... per la spettanza del beneficio poi non
assume   rilevanza  che  i  soggetti  svolgessero  o  meno  attivita'
lavorativa  alla  data  di  entrata  in  vigore  della  citata  legge
n. 257/1992,  considerato  che  letteralmente  cio'  che  rileva come
elemento  ostativo  del  beneficio e' solo il fatto che a tale data i
lavoratori  avessero  gia'  conseguito  la pensione di vecchiaia o di
anzianita'  ovvero  di  inabilita'  e,  dall'altro,  che il requisito
dell'attualita'     lavorativa     comporterebbe    un'ingiustificata
disuguaglianza   fra  i  lavoratori  transitati  in  settori  diversi
dall'amianto  e  i lavoratori che, pur avendo contratto l'asbestosi o
comunque  essendo  rimasti  esposti  al rischio di malattia per oltre
dieci   anni   siano   rimasti   disoccupati;   ne'   la   necessita'
dell'attualita'  lavorativa puo' essere dedotta dalle disposizioni di
cui all'art. 80, comma 25, legge 23 dicembre 2000 n. 388." ...
    La  norma si rivolge quindi secondo questa giurisprudenza a tutti
i  lavoratori,  anche  a  coloro  che  non erano in servizio all'atto
dell'entrata   in   vigore   della   legge,   ma   ciononostante  non
riguarderebbe i pensionati.
    Si  tratta  di una soluzione fortemente illogica e sperequata; se
si devono considerare i rischi di esposizione avvenuti nel passato da
soggetti  che  non  erano  in  servizio,  la  platea  dei destinatari
inevitabilmente  -  per  le  stesse ragioni di eguaglianza richiamate
dalla  Cassazione  a proposito dei disoccupati, licenziati, di chi ha
cambiato  settore  -  si  allarga  anche  oltre: a tutti i lavoratori
esposti all'amianto nel passato.
    Se  si  abbandona  (com'e'  obbligatorio  dato  il  tenore  della
modifica   introdotta   con   la   legge   n. 271/93,   il   criterio
(insostenibile) della perdita del posto di lavoro in atto, al momento
dell'entrata  in  vigore  della  legge nessuna giustificazione sembra
possa  sorreggere  una discriminazione fra diversi lavoratori esposti
nel  passato,  nell'uno  o  nell'altro  settore, in attivita' o meno,
pensionati o meno, pensionati di anzianita' o meno.
    Se   rileva   il  rischio  alla  salute  subito  nel  passato  da
chicchessia  si impone l'affermazione del principio "che a parita' di
rischio  non  puo'  che  esservi  parita'  di  tutela"  (come afferma
costantemente  la  Corte costituzionale in relazione al t.u. 1124/65;
v. da ultimo Corte cost. sent. 137/89).
    12.  -  Questa  disparita' e' divenuta ora ancora piu' tangibile,
allorche'  da  ultimo  la giurisprudenza ha superato anche l'ostacolo
letterale  che  era stato opposto alle rivendicazioni dei pensionati;
la  Cassazione  affermava  infatti  che  per "lavoratori" ex art. 13,
comma  8  devono  intendersi i soli "soggetti ancora attivi nel campo
del   lavoro  ed  ai  fini  di  prestazioni  non  ancora  usufruite";
recentemente   pero'   la   Corte  di  cassazione  ha  affermato  che
l'argomento   letterale   non   sia   preclusivo  e  decisivo  ed  ha
esplicitamente  sostenuto  (sent.  n. 5746  del 19 aprile 2001): "Non
sono  esclusi  invece  dalla rivalutazione dei periodi contributivi i
titolari  di pensione o di assegno di invalidita' poiche' ai medesimi
si  addice  la  qualifica  di  lavoratori dato che il godimento della
prestazione non preclude lo svolgimento di attivita' lavorativa e che
per  essi  vi e' l'esigenza di incrementare l'anzianita' assicurativa
per poter conseguire le prestazioni di vecchiaia".
    Dunque  anche  i pensionati possono essere considerati lavoratori
secondo  la  Cassazione;  solo  ad  alcuni di essi si addice pero' il
termine  lavoratori,  mentre  ad  altri non si addice; solo ad alcuni
pensionati  ante  legge  n. 257  spetta  il  beneficio,  ad altri non
spetta: ma davvero non si intuisce in base a quale giusta e razionale
ragione.
    13.  -  Un'ulteriore  considerazione vale poi a rendere manifesta
l'ingiustificata  esclusione dei pensionati di anzianita' dall'ambito
di  operativita'  del  beneficio  in  oggetto,  derivante dalla norma
secondo la giurisprudenza.
    Infatti,  la  giurisprudenza  ripete  in maniera tralatizia (come
residuo riflesso della superata tesi secondo cui il beneficio sarebbe
destinato  a sopperire alla perdita del posto di lavoro) che la norma
si  applichi  ai  soli  fini  del  "conseguimento  della  pensione di
anzianita'  o  di vecchiaia" (e quindi non potrebbe riguardare chi la
pensione  di  anzianita'  l'ha  gia'  conseguita  all'atto  della sua
entrata in vigore).
    E'  del  tutto  evidente  pero'  che la norma non operi in questi
termini. Anzitutto perche' la rivalutazione contributiva riconosciuta
dalla  norma  non e' da sola in grado di assicurare il raggiungimento
di  questo  scopo, essenziale ed inderogabile, in vista del quale, si
dice,   sarebbe   stata  esclusivamente  voluta  (non  per  niente  i
prepensionamenti   sono   regolati  a  parte  nella  stessa  legge  e
prescindono  da  qualsiasi  concreta esposizione); il "conseguimento"
della pensione cioe' potrebbe non essere in concreto raggiunto con la
stessa  concessione  del beneficio (ad es. se un soggetto ha lavorato
solo poco piu' di dieci anni nel "settore amianto" non va in pensione
di  anzianita'  con  poco piu' di 15 anni di contributi che sarebbero
garantiti  dall'applicazione  del  beneficio;  e  non  va  nemmeno in
pensione  di  vecchiaia  se  non ha nel contempo maturato almeno i 60
anni  d'eta);  l'argomento  non regge quindi ad una semplice verifica
logica e sistematica.
    Ma  soprattutto  tale  tesi  e'  infondata  perche'  il beneficio
dell'art. 13,  comma  8  e' stato bensi' concepito per valere sempre,
sia  per  il  conseguimento  della  pensione  sia per la misura della
pensione.
    Sotto  questo  profilo  occorre  tenere  conto del modo in cui e'
stato  strutturato  il  beneficio  dalla  legge:  rapportato al tempo
dell'esposizione;    al   lavoratore   spetta   tanta   rivalutazione
contributiva  quanto  e'  il tempo di esposizione. Anche se la stessa
contribuzione  non  fosse  sufficiente per far conseguire la pensione
(da conseguire piu' in la); anche se, per converso, essa fosse invece
sovrabbondante  rispetto  al  traguardo  rappresentato  dal requisito
contributivo minimo necessario per il conseguimento della pensione, e
quindi  anche  se  esso  serva  solo  ad incrementare la pensione (da
conseguire o gia' conseguita dopo la legge).
    Insomma  nella  norma  non  c'e'  alcun  tetto alla rivalutazione
contributiva, nessuna sterilizzazione e decurtazione di periodi utili
e'  consentita;  dice  la  legge:  "l'intero periodo lavorativo .. e'
moltiplicato  per il coefficiente di 1,5"; "ai fini delle prestazioni
pensionistiche" (vi sono due, non uno, argomenti testuali nella legge
a questo proposito).
    Tutto  cio'  e'  pacifico  anche  in  sede  amministrativa,  dove
l'I.N.P.S. riconosce la rivalutazione contributiva, ai singoli aventi
diritto,  non solo ai fini del conseguimento della pensione, ma anche
ai  fini  dell'incremento  della  pensione;  e  cio' qualunque sia il
momento  in  cui  lo stesso incremento venga erogato. In questo senso
sono  tutte  le  disposizioni  applicative dettate dall'I.N.P.S. ed i
concreti  provvedimenti di riliquidazione emessi dall'Istituto; e sul
punto non residua alcuna discussione.
    Non si capisce quindi, se cosi' e', perche' al pensionato si nega
anche  quella  parte  (minore) del beneficio previsto dalla norma che
potrebbe influire sulla misura della sua pensione; come sia possibile
cioe'  che  una legge, dinanzi a due soggetti che siano trovati nella
stessa  identica  situazione di rischio per la salute possa negare ad
uno  anche  la parte piu' piccola (quella che vale ad incrementare la
sua  pensione)  di  quel  beneficio  piu' grande che eroga per intero
all'altro  lavoratore (ai fini del conseguimento e della misura della
pensione).
    Il  fatto  e'  pure  riscontrato  in  questo giudizio; sono stati
infatti  depositati  in  atti documenti relativi a colleghi di lavoro
dei  ricorrenti  i  quali  sono  andati  in  pensione  dopo  la legge
n. 257/1992  in  forza  dei  contributi  gia'  versati;  solo dopo il
conseguimento  della  pensione  questi  lavoratori  hanno ottenuto la
liquidazione  di  una  maggiorazione della pensione in godimento, per
effetto della rivalutazione dei periodi contributivi assicurata dalla
norma; in sostanza questi lavoratori hanno ottenuto dall'applicazione
di  questa norma un semplice aumento della misura della pensione (non
gia'  il conseguimento della pensione che avevano conseguito per loro
conto); lo stesso aumento che chiedono i ricorrenti in questa causa e
che invece la norma non riconoscerebbe secondo la giurisprudenza.
    14.  -  Nemmeno  e' possibile giustificare questa discriminazione
sostenendo,  come  pure e' stato detto in giurisprudenza, che qualora
la  legge  riconoscesse  il beneficio ai pensionati, si aprirebbe una
questione  di  disparita' ingiustificata di trattamento nei confronti
di  un  eventuale  pensionato  che  avesse  gia' raggiunto il massimo
contributivo  ...  nei cui confronti il beneficio non potrebbe essere
operativo!
    Ma  a parte il fatto che una situazione simile potrebbe essere in
concreto riscontrata anche rispetto ad un lavoratore in attivita' che
continui  a  lavorare pur avendo gia' raggiunto il massimo contributo
(non c'e' nessun divieto in tal senso), occorre in ogni obiettare che
il  legislatore  ha  previsto come beneficio di tutti gli esposti una
rivalutazione contributiva ed e' il legislatore che decide secondo la
propria  discrezionalita';  per  cui  in  concreto  il  beneficio  e'
destinato  ad  operare  nei  limiti del sistema all'interno del quale
esso si colloca.
    L'obiezione  non  e'  poi  fondata  nemmeno  in diritto anche nei
confronti  del  pensionato che avesse gia' raggiunto il massimo della
contribuzione versata, il riconoscimento del beneficio legale sarebbe
in grado di portare ad un risultato permettendo la liquidazione di un
supplemento  di pensione ( cioe' di una quota aggiuntiva che si somma
all'importo gia' determinato) ex art. 7 legge n. 155/1981 (circ. Inps
259/94).
    15.  -  Se  questo  e'  il  quadro applicativo in cui deve essere
calata la disposizione in oggetto, risulta allora che la questione di
legittimita'  costituzionale  sollevata  dalla  difesa dei ricorrenti
appaia non manifestamente infondata, oltre che rilevante.
    Diverse sono le doglianze di costituzionalita' che possono essere
sollevate nei confronti della norma, costantemente interpretata dalla
giurisprudenza  ed  applicata  in  sede  amministrativa nel senso che
abbia  lasciato fuori dal proprio ambito applicativo i lavoratori che
abbiano  conseguito  la  pensione  di  anzianita', come i ricorrenti,
prima  dell'entrata  in vigore della legge, pur essendo stati esposti
all'amianto  per  piu'  dieci  anni  (prima  della legge, come i loro
colleghi a cui il beneficio e' stato invece riconosciuto ai soli fini
dell'incremento della pensione):
        a)  in  primo  luogo questa norma viola l'art. 3 e l'art. 38,
secondo  comma  della Costituzione perche', pur dinanzi all'accertata
sussistenza della medesima situazione di rischio ("esposizione ad una
sostanza  che presenti potenzialita' morbigena rispetto alle malattie
quali  esse  siano che l'amianto e' capace di generare"), considerata
come  necessario presupposto per il riconoscimento di un beneficio di
natura previdenziale, la norma nega lo stesso beneficio, senza alcuna
giusta  e  razionale  ragione,  a  soggetti che si sono trovati nella
identica  situazione di fatto richiesta per la sua applicazione; deve
ritenersi infatti che a tanto non possa giungere la legge senza porsi
in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza;
        b)  in secondo luogo non si intuisce in base a quale criterio
logico  e  di  giustizia la legge possa discrezionalmente distinguere
(ex  art.  3  e  38  Cost.)  i  lavoratori  che fossero pensionati di
anzianita' o di vecchiaia al momento della sua entrata in vigore, dai
lavoratori  pensionati di invalidita', dai lavoratori disoccupati, da
chi  avesse  cambiato  azienda, al momento del vigore della legge, da
parte; e dall'altra parte, dagli stessi pensionati di anzianita' dopo
la legge e per i quali la legge operi ai soli fini della misura della
pensione;  perche'  cioe'  a  tutti  questi soggetti il beneficio sia
stato  concesso  ed  ai pensionati di anzianita' o di vecchiaia prima
della legge la norma non lo conceda.
        c)   in   terzo   luogo  e'  pure  violato  il  principio  di
razionalita'  e  di  coerenza normativa ex art. 3 Cost. perche' se la
norma  fosse quella che sostiene la giurisprudenza dominante (pur fra
tantissime  contraddizioni)  essa  sarebbe  in  conflitto  con la sua
stessa  ratio  (offrire  un  indennizzo a tutti i lavoratori che sono
stati  esposti ad un rischio ritenuto morbigeno), perche' finisce per
negare  lo stesso indennizzo ad un circoscritta categoria di soggetti
che hanno subito la stessa esposizione parimenti morbigena per motivi
di lavoro.
    La  questione  si ripete e' esemplificata chiaramente nel caso di
specie  in  cui  i ricorrenti sono colleghi di lavoro di una serie di
lavoratori  ai  quali  il  beneficio  e' stato gia' accordato pur non
essendo  del  settore amianto, pur non avendo rischiato la perdita di
nessun   posto   di   lavoro,   pur   non  avendo  beneficiato  della
rivalutazione  ai  fini  del conseguimento della pensione, ma solo al
fine  di  incrementare  la  misura  della  pensione di anzianita' (un
vantaggio   quest'ultimo  che  potrebbe  essere  ottenuto  anche  dai
ricorrenti).
    16.  -  Per  quanto  occorrer  possa, l'eccezione di legittimita'
costituzionale deve essere sollevata anche nei riguardi dell'art. 80,
comma  25  della  legge  finaziaria  n. 388/2000,  nel caso in cui si
ritenga  che  anche  questa  norma,  pur  esssendo norma dall'ambiguo
significato,  abbia  disposto  l'esclusione dei pensionati ante legge
n. 257/1992 dal godimento del beneficio.
    La  norma  recita:  "In  caso  di rinuncia all'azione giudiziaria
promossa  da  parte  dei  lavoratori  esposti  all'amianto  aventi  i
requisiti  di  cui  alla  legge  27  marzo  1992,  n. 257  e  cessati
dall'attivita'  lavorativa  antecedente  all'entrata  in vigore della
predetta  legge,  la  causa  si  estingue  e  le  spese e gli onorari
relativi  alle  attivita' antecedenti all'estinzione sono compensati.
Non  si  da'  luogo  da  parte dell'I.N.P.S. al recupero dei relativi
importi oggetto di ripetizione di indebito nei confronti dei titolari
di pensione interessati".
    Anzitutto  dal  punto  di vista letterale, non e' chiaro a chi si
rivolga  questa disposizione, posto che almeno nella prima parte essa
si  riferisce  letteralmente a tutti i lavoratori esposti della legge
n. 257,  non  solo a quelli dell'art. 13, comma 8 (ma anche ai malati
ed ai lavoratori delle cave previsti negli altri commi dell'art. 13).
    In secondo luogo non si intuisce perche' si debba rinunciare alla
domanda  e come si possa estinguere la causa, se, come dice la stessa
norma,  l'azione  deve  essere stata promossa dai "lavoratori esposti
aventi i requisiti di cui alla legge 27 marzo 1992 n. 257".
    Nemmeno  la  successiva  condizione  dettata  dalla  norma, ossia
essere    "cessati    dall'attivita'    lavorativa   antecedentemente
all'entrata  in  vigore della legge" puo' spiegare l'estinzione di un
procedimento giudiziario promosso per conseguire il beneficio ex art.
13,  comma  8,  perche'  e'  oramai  acclarato che la norma, comunque
interpretata, non possa lasciare fuori dal proprio ambito applicativo
i  soggetti  la  cui  esposizione  era di fatto, per qualsiasi motivo
cessata,  prima  dalla  legge (i licenziamenti, i disoccupati, coloro
che  avevano  cambiato  lavoro  per  un  qualsiasi  motivo, ed oggi i
pensionati  di  invalidita); la norma, come si e' detto, non richiede
come suo presupposto applicativo l'attualita' dell'esposizione ne' un
rapporto  di  lavoro  in atto al momento dell'entrata in vigore della
legge,  ed  oggi secondo la Cassazione si applica anche ai pensionati
di  invalidita'  civile  che non lavoravano all'atto della entrata in
vigore della legge.
    Se   tuttavia   si   volesse   sostenere   che   la  norma  valga
esclusivamente nei confronti dei pensionati di cui alla seconda parte
("titolari  di  pensione  interessati"),  la  stessa disposizione che
prevede  la  compensazione delle spese processuali, difetta in questa
parte di reale utilita'; perche' le stesse domande del pensionato, in
quanto    promosseper   ottenere   una   prestazione   previdenziale,
rientrerebbero   nell'ambito  dell'art.  152  delle  disposizioni  di
attuazione del c.p.c. e quindi, anche in mancanza della rinuncia alla
prosecuzione  del giudizio, non sarebbero assoggettabili al pagamento
delle  spese  processuali sostenute dagli istituti convenuti, siccome
questo   genere  di  domande  difficilmente  potrebbero  essere  pure
qualificate come manifestamente infondate o temerarie.
    In  ogni  caso  laddove la norma, nella seconda parte, stabilisce
che  non  si faccia luogo al recupero dei relativi importi oggetto di
ripetizione  di indebito, in conseguenza della rinucia dell'azione da
parte  del  pensionato  e  della  estinzione del procedimento, sembra
presupporre (oppure implicitamente disporre) che i benefici stabiliti
dall'art.  13  non si applichino ai pensionati, tant'e' che qualifica
come indebito le eventuali prestazioni gia' erogate.
    Anche  questa norma puo' essere dunque fatta oggetto delle stesse
censure di costituzionalita' che si sollevano nei confronti dell'art.
13,  comma  8,  della  legge n. 257; ed anche perche' la stessa norma
sembra  configurare,  e  per  i  soli  lavoratori esposti all'amianto
cessati dall'attivita' prima dell'entrata in vigore della legge (art.
3   Cost.),  una  forma  indiretta  di  coazione  a  rinunciare  alla
prosecuzione del giudizio.
    17.  -  Nemmeno il problema della copertura finanziaria che viene
sempre genericamente sollevato avverso le domande dei pensionati puo'
rappresentare  un  argomento  valido  per  sottrarre  la  norma dalle
censure di costituzionalita' sopra esposte.
    Sul  punto  occorre  rilevare  che  la  legge  ha  una  copertura
finanziaria,   come  e'  gia'  stato  affermato  dalla  stessa  Corte
costituzionale  (che  non  e'  di  soli  72  miliardi  come  e' stato
sostenuto  in giurisprudenza, perche' lo stanziamento di 72 miliardi,
stabilito  con  l'art.  1 del decreto-legge n. 169/93 e' aggiuntivo a
quello che era previsto nell'art. 13, comma 12, della legge n. 257/92
di lire 110 miliardi).
    Detto  cio' va osservato che la preoccupazione per la sufficienza
di questa copertura non puo' valere in una unica direzione soggettiva
(per  i pensionati di anzianita' soltanto), una volta accertato che i
lavoratori   pensionati   hanno   pari  dignita'  costituzionale  per
rientrare  nella  categoria  dei  destinatari  del beneficio previsto
dall'art.  13,  comma  8. Tanto piu' se si tiene conto che secondo le
stime  effettuate  dall'I.N.A.I.L.  il  beneficio in oggetto e' stato
gia' riconosciuto ad oltre 15.000 lavoratori esposti.
    Se  il problema della copertura c'e', esso dovrebbe valere quindi
per  tutti  coloro  che  hanno  titolo  per  essere  destinatari  del
beneficio.
    L'esigenza   del   contenimento   della  spesa  non  puo'  invece
autorizzare    un    uso    sperequato    e   discriminatorio   della
discrezionalita'  normativa,  che sconfini nella aperta violazione di
altri  principi  cardine  dell'ordinamento costituzionale (cfr. Corte
cost. sent. 136/2001).
    Si  consideri  come  anche  sotto  il profilo distributivo, della
graduazione   e  dell'equa  ripartizione  delle  risorse  finanziarie
impegnate  dal legislatore, la norma in esame si segnali per l'enorme
disparita'  di  trattamento  che ingenera, senza alcun bilanciamento,
fra  le  due  categorie  di  lavoratori  (pensionati  e  non) poste a
raffronto; infatti l'aver conseguito o meno la pensione viene elevato
ad elemento differenziale rispetto ad un beneficio che e' destinato a
funzionare non solo ai fini del conseguimento della pensione ma anche
sulla sua misura; per cui, come si e' gia' messo in rilievo, la norma
produce  questa situazione: rispetto a due lavoratori che hanno avuto
la  stessa  identica  esposizione  nel  passato  (magari  cessata per
entrambi  prima  della  legge n. 257, come per i ricorrenti ed i loro
colleghi  considerati  in questa causa), ad uno si riconosce tutta la
sua  esposizione e tutto il beneficio ai fini del conseguimento della
pensione  ed  anche  oltre  ai  fini  della  misura  della  pensione;
all'altro,  per il solo fatto di aver gia' conseguito la pensione, si
nega  radicalmente  tutto,  anche  quella  parte  del  beneficio  che
potrebbe  agire  sulla  misura della pensione; il che appare privo di
una adeguata e coerente giustificazione.
    Per   ultimo,   ma   non   ultimo,  va  pure  osservato  come  la
preoccupazione  di carattere finanziario nei confronti dei pensionati
valga  meno  che  nei  confronti  degli  altri beneficiari: si tratta
infatti  di  soggetti  che  a  parita'  (e forse maggiore gravita) di
rischio,  costano  meno  del lavoratore che invece col beneficio puo'
andare in pensione: costano meno in termini di presumibile periodo di
godimento  della  pensione  perche'  sono  mediamente piu' anziani, e
costano  meno  in  termini  di sottrazione all'onere di contribuzione
avendo  gia' conseguito la loro pensione in forza del lavoro svolto e
senza alcun beneficio previdenziale.