ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 5-bis comma
7-bis,  del  decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per
il    risanamento    della   finanza   pubblica),   convertito,   con
modificazioni,  nella  legge  8 agosto  1992,  n. 359,  promosso  con
ordinanza  emessa  il 25 maggio 1999 dal Tribunale di Reggio Calabria
nel  procedimento  civile  vertente  tra  Lagana' Paola ed altri e il
comune  di  Villa  San  Giovanni,  iscritta  al  n. 119  del registro
ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 9, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 21 novembre 2001 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
    Ritenuto  che  nel  corso  del procedimento civile - promosso, al
fine  di  ottenere il risarcimento del danno in misura pari al valore
commerciale  del  terreno,  dai  proprietari  di  un  suolo  agricolo
occupato  nel  mese  di febbraio  del  1988  dal  comune di Villa San
Giovanni,  che lo aveva destinato ad ampliamento del locale cimitero,
senza  porre  in  essere  alcun  atto espropriativo - il Tribunale di
Reggio  Calabria, ritenendo applicabile anche alle aree agricole, per
il  suo  carattere  onnicomprensivo,  la  disposizione  -  introdotta
dall'art. 3,  comma  65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure
di  razionalizzazione  della  finanza  pubblica)  -  del  comma 7-bis
dell'art. 5-bis  del  decreto-legge  11 luglio  1992,  n. 333 (Misure
urgenti  per  il risanamento della finanza pubblica), convertito, con
modificazioni,  nella  legge 8 agosto 1992, n. 359, ha sollevato, con
ordinanza  del  25 maggio  1999  (r.o. n. 119 del 2001), questione di
legittimita'  costituzionale  di  tale disposizione, la quale prevede
che  "in  caso  di  occupazioni  illegittime  di  suoli  per causa di
pubblica utilita', intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, si
applicano, per la liquidazione del danno, i criteri di determinazione
dell'indennita'  di  cui al comma 1" (semisomma del valore venale del
bene maggiorata del dieci per cento), "con esclusione della riduzione
del  40 per cento. In tal caso l'importo del risarcimento e' altresi'
aumentato  del  10  per  cento",  proprio  nella parte in cui essa si
applicherebbe anche ai suoli agricoli;
        che,  ad avviso del giudice a quo tale disciplina si porrebbe
in  contrasto  anzitutto con gli artt. 3 e 42 della Costituzione, per
la  sua  irragionevolezza,  ravvisabile  nella  circostanza  che essa
prevede   un   trattamento  deteriore  rispetto  a  quello  stabilito
dall'art. 15  della  legge  22 ottobre  1971,  n. 865,  che  fissa il
criterio  di  commisurazione della indennita' di espropriazione sulla
scorta   del   valore   agricolo   con   riferimento   alle   colture
effettivamente praticate sul fondo espropriato;
        che  la  norma  denunciata  apparirebbe,  sempre  secondo  il
collegio  rimettente,  inconciliabile  altresi'  con  l'art. 97 della
Costituzione,  finendo per costituire incentivo alla violazione della
procedura stabilita in tema di espropriazione;
        che,   al   riguardo,   si   richiamano,  nell'ordinanza  del
Tribunale,  le  considerazioni  svolte  dalla  sentenza  della  Corte
costituzionale   n. 369   del   1996,   che   aveva   dichiarato   la
illegittimita'  costituzionale  del  comma 6 dell'art. 5-bis il quale
aveva  sancito  la  equiparazione  della  misura del risarcimento del
danno   da   occupazione  illegittima  all'indennizzo  espropriativo;
considerazioni    che,    nella   specie,   assumerebbero   pregnanza
ancora maggiore,  avuto  riguardo  al rilievo che la norma censurata,
nella interpretazione accoltane dal giudice a quo che ne estenderebbe
l'applicabilita'  anche  ai suoli agricoli, consentirebbe addirittura
una  differenziazione  in  peius in danno del privato proprietario di
aree  agricole,  che  subisca  la  occupazione, rispetto a quello che
subisca una regolare procedura espropriativa;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato,
che  ha  concluso  per  la  inammissibilita'  o  l'infondatezza della
questione,  non condividendo la opzione ermeneutica del giudice a quo
invero  accolta  da  alcune  decisioni della Cassazione precedenti la
ordinanza, ma smentita da numerose sentenze successive;
        che   secondo   l'Avvocatura   dello   Stato,   il  Tribunale
rimettente,  in  considerazione  proprio  di quegli aberranti effetti
derivanti  dalla  esegesi  prescelta,  avrebbe  dovuto  escluderne la
validita'  ed  approfondire  l'indagine  ermeneutica  nella direzione
opposta.
    Considerato   che   l'ordinanza  di  rimessione  si  basa  su  un
presupposto  completamente e palesemente erroneo, che coinvolge tutto
il ragionamento sulla scelta tra le diverse possibili interpretazioni
della  norma  denunciata  ai fini della concreta applicabilita' della
stessa norma nel giudizio a quo riguardante terreni agricoli, di modo
da   renderlo  carente  nella  motivazione  per  quanto  riguarda  la
rilevanza;
        che,  innanzitutto,  il  richiamo operato nell'ordinanza alla
interpretazione  della  Cassazione  con  sentenza  24 luglio  1998  -
rectius:  1997  -  n. 6912,  considerata  come  una  sorta di diritto
vivente,  che  andava  in contrario avviso rispetto ad una precedente
pronuncia  della stessa Corte di cassazione del 3 marzo 1998, n. 2336
(in   realta'   successiva),  risulta  superato  dall'ormai  costante
indirizzo interpretativo, anche della stessa Corte di cassazione, nel
senso    della    bipartizione    del    trattamento    differenziato
dell'indennita'  di  espropriazione  per  le  aree edificabili da una
parte,  e per i suoli agricoli o comunque non edificabili dall'altra,
e  conseguentemente  anche  per  l'indennizzo  in caso di occupazioni
senza titolo;
        che   la  scelta  interpretativa  (viziata  e  carente  nella
motivazione e palesemente implausibile) operata dal giudice a quo non
tiene  conto  del  sopravvenuto  indirizzo  giurisprudenziale  (Cass.
n. 2336  del  1998;  n. 5893  del  1998; n. 1090 del 2000, confermato
anche  dagli artt. 43, comma 6, e 55 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327
recante  "Testo  unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in  materia di espropriazione per pubblica utilita'"; v. anche, sulla
dicotomia,  ai  fini  dell'indennita',  tra  aree edificabili ed aree
agricole, Cass., Sezioni unite, n. 172 del 2001) e finisce per essere
contraddittoria con le premesse da cui parte (tutela della proprieta'
e   del   principio   ricavabile   dall'art. 3  della  Costituzione),
comportando  - in maniera del tutto irragionevole e con una soluzione
dagli  effetti  aberranti ed in contrasto con la tutela che si voleva
conseguire  -  per  il proprietario di fondo agricolo danneggiato dal
fatto   illecito   della   pubblica  amministrazione  un  trattamento
palesemente  deteriore rispetto a quello del proprietario privato del
bene in base ad un titolo legittimo e a procedura regolare;
        che  le  carenze  e  le  contraddittorieta'  nel ragionamento
dell'ordinanza di rimessione risultano confermate dalla mancata presa
in  considerazione  sia  delle pronunce di questa Corte successive al
1996, proprio in relazione alla norma denunciata (sentenza n. 148 del
1999;  ordinanze  n. 208  e n. 396 del 1999 e, per quanto riguarda il
calcolo   delle  indennita'  di  espropriazione  per  aree  agricole,
ordinanza  n. 444  del 2000), sia del principio secondo il quale, tra
una  pluralita'  di  scelte interpretative, ogni giudice e' tenuto ad
adottare  quella conforme al dettato costituzionale (ordinanze n. 277
del 2000; n. 147 del 1998 e n. 63 del 1989);
        che    pertanto   deve   essere   dichiarata   la   manifesta
inammissibilita' della questione.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
avanti alla Corte costituzionale.