ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 223, comma 2,
numero  1),  del  regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento,    del    concordato   preventivo,   dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con
ordinanza   emessa   il  15 marzo  2001  dal  giudice  per  l'udienza
preliminare del Tribunale di Catania nel procedimento penale a carico
di  C.  F. ed altri, iscritta al n. 504 del registro ordinanze 2001 e
pubblicata  sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, 1a serie
speciale, dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 19 giugno 2002 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto che con ordinanza emessa il 15 marzo 2001 il giudice per
le  indagini  preliminari  del  Tribunale di Catania ha sollevato, in
riferimento all'art. 27 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 223,  secondo  comma,  numero 1), del regio
decreto   16 marzo  1942,  n. 267  (Disciplina  del  fallimento,  del
concordato   preventivo,  dall'amministrazione  controllata  e  della
liquidazione  coatta amministrativa), nella parte in cui, richiamando
l'art. 2621  del codice civile, non richiede, per la configurabilita'
del  delitto di bancarotta fraudolenta, un nesso causale tra le false
comunicazioni sociali ed il successivo fallimento della societa';
        che  il  giudice  a  quo  premette di essere investito, quale
giudice   dell'udienza  preliminare,  della  richiesta  di  rinvio  a
giudizio  degli amministratori di una societa' dichiarata fallita per
il  delitto  di  bancarotta  fraudolenta di cui all'art. 223, secondo
comma,   numero   1),  del  r.d.  n. 267  del  1942,  in  riferimento
all'art. 2621  cod. civ., per avere concorso, con false comunicazioni
sociali - e, in particolare, con falsita' nei bilanci - a cagionare o
ad aggravare il dissesto della societa';
        che sebbene il perito nominato nell'udienza preliminare abbia
escluso ogni collegamento eziologico tra le falsita' contestate ed il
fallimento   sociale  -  prosegue  l'ordinanza  di  rimessione  -  la
richiesta  di  rinvio  a giudizio dovrebbe essere egualmente accolta,
giacche',  secondo  l'interpretazione  data dalla Corte di cassazione
alla  norma  impugnata - interpretazione dalla quale il giudice a quo
non  ritiene  di  potersi  discostare  -  il  delitto  di  bancarotta
fraudolenta  impropria per false comunicazioni sociali si configura a
prescindere   dal   nesso   causale   tra   la   condotta   descritta
dall'art. 2621 cod. civ. ed il successivo fallimento;
        che  in tale lettura, tuttavia, la disposizione denunciata si
porrebbe   in  contrasto  con  il  principio  di  personalita'  della
responsabilita'  penale,  enunciato dall'art. 27 Cost., nella portata
ad esso riconosciuta da questa Corte con le sentenze n. 364 e n. 1085
del 1988;
        che  le  citate decisioni avrebbero chiarito, infatti, che il
primo  comma  dell'art. 27  Cost.  non si limita a porre un tassativo
divieto  di  responsabilita'  penale  per  fatto  altrui, ma esclude,
altresi',  la  responsabilita'  penale per fatto proprio incolpevole,
richiedendo  "almeno  la colpa dell'agente in relazione agli elementi
significativi della fattispecie tipica";
        che  nella  cornice  dell'ipotesi  criminosa in questione, il
dissesto  (o  il fallimento) della societa' sarebbe un evento che, da
un  lato,  contribuisce  a  delineare  il  disvalore  della figura di
bancarotta  fraudolenta,  e, dall'altro lato, produce un aggravamento
della  pena  rispetto  alla fattispecie delineata dall'art. 2621 cod.
civ;
        che  ponendo il predetto evento a carico del soggetto pure in
assenza  di  un  nesso  eziologico  con  la  sua  condotta,  la norma
incriminatrice   censurata   verrebbe   dunque   a   prefigurare  una
"responsabilita'  per  fatto  non  proprio",  esponendo  in  sostanza
l'agente "ad una reazione punitiva determinata da qualcosa di diverso
dalla sua azione";
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata non fondata.
    Considerato che, successivamente alla pronuncia dell'ordinanza di
rimessione,  l'art. 4  del  decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61
(Disciplina  degli  illeciti  penali  e amministrativi riguardanti le
societa'  commerciali, a norma dell'articolo 11 della legge 3 ottobre
2001,  n. 366)  ha  sostituito  il  numero  1) dell'art. 223, secondo
comma,   del   regio   decreto  16 marzo  1942,  n. 267,  richiedendo
specificamente  -  per la configurabilita' dell'ipotesi di bancarotta
fraudolenta  impropria  da  esso  delineata  -  che i reati societari
richiamati  abbiano  "cagionato,  o concorso a cagionare, il dissesto
della societa'";
        che  l'art. 1  del citato d.lgs. n. 61 del 2002 - sostituendo
l'intero  titolo  XI del libro V del codice civile e, in particolare,
riscrivendo  gli  artt. 2621  e  2622  di  detto  codice - ha inoltre
modificato  sotto  piu'  profili  la  fisionomia  del  reato di false
comunicazioni  sociali,  precedentemente  contemplato dall'art. 2621,
primo comma, numero 1), cod. civ;
        che  a  fronte di tali modifiche normative sopravvenute - che
investono  sia  la norma incriminatrice impugnata, che quella da essa
richiamata  -  deve  dunque  disporsi  la  restituzione degli atti al
giudice  rimettente  affinche' verifichi se la questione proposta sia
tuttora rilevante nel giudizio a quo.