IL TRIBUNALE

    Il  giudice  di  Rossano  dott.  Paolo  Coppola,  definitivamente
sciogliendo  la  riserva  posta  alla  udienza  del 12 marzo 2002, ha
pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  n. 1340/1999
R.G.A.C.   tra  Curia  Luigi  nato  a  Rossano  il  1  ottobre  1953,
rappresentato  e  difeso  in  forza  di procura a margine del ricorso
introduttivo dall'avv. Luciano Toretti ed elett. te dom. to presso lo
studio  dello stesso il Rossano (Cosenza), fraz. Scalo, viale Luca De
Rosis n. 41.
    Contro  Istituto  Nazionale  della Previdenza Sociale, in persona
del  Presidente  pro  tempore,  rapp.to  e difeso in forza di procura
generale  alle liti dall'avv. Marcello Carnovale ed elett. te dom. to
presso  la  sede  I.N.P.S.  di  Rossano,  via  Acqua  di Vale, per il
pagamento  della  indennita'  di  disoccupazione speciale edilizia ex
art. 11, comma 2, legge n. 223/1991.
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

                              F a t t o

    Con  ricorso  depositato  in  data  2 dicembre  1999  Curia Luigi
conveniva in giudizio l'I.N.P.S. allegando:
        di aver lavorato in maniera continuativa per l'impresa Cicero
Pietro dal 1 agosto 1996 al 27 aprile 1998 e di essere stato posto in
mobilita'  da  tale  data fino al 1999, a seguito di domanda avanzata
all'Istituto convenuto;
        che  la mobilita' era stata disposta accertata la sussistenza
dei requisiti di cui all'art. 11 della legge n. 223/1991 in relazione
all'art. 37 della legge 9 marzo 1989, n. 88;
        che,  richiesta  la indennita' di mobilita' ex art. 11, comma
2,   legge  n. 223/1991,  la  stessa  gli  era  stata  rigettata  con
corresponsione della sola indennita' di disoccupazione;
        che aveva prestato i diciotto mesi di effettivo lavoro.
    Concludeva  quindi  per l'accoglimento della domanda con condanna
dell'istituto    al    pagamento   della   indennita'   speciale   di
disoccupazione   edilizia   di   cui  all'art. 111,  comma  2,  legge
n. 223/1991.
    L'I.N.P.S.  si costituiva in giudizio allegando che il ricorrente
non  aveva  prestato  i  diciotto  mesi di effettivo lavoro richiesti
dall'art. 11,  comma  2,  della legge n. 223/1991, perche' nei giorni
non  andavano computati quelli di assenza per malattia, maternita' ed
infortunio  sul  lavoro.  La  tesi  dell'istituto  era  fondata sulla
circostanza  il legislatore aveva espressamente previsto un regime di
deroga  alla  previsione  suddetta (art. 6 d.l. n. 57/1993 e poi d.l.
n. 148/1993,  convertito  con legge n. 263/1993) che aveva consentito
di considerare la sola sussistenza del rapporto di lavoro, per cui lo
stesso  poteva  anche  essere  non  effettivo,  ma  che  detto regime
derogatorio  aveva  efficacia  fino  al  31 dicembre  1995  e  che il
rapporto  di  lavora dedotto in giudizio era iniziato dopo detta data
(1 agosto 1996).
    Tanto premesso concludeva per il rigetto del ricorso.

                            D i r i t t o

    Questo giudice dubita della costituzionalita' dell'art. 11, comma
2,  della  legge  n. 223/1991. La questione e' innanzitutto rilevante
atteso  che dalla documentazione in atti emerge un rapporto di lavoro
dal  1 agosto 1996 al 27 aprile 1998, quindi ben superiore ai 18 mesi
di  lavoro  richiesti,  con  90 settimane di occupazione complessiva.
Emergono   altresi'   pero'  i  seguenti  periodi  di  malattia:  dal
3 febbraio  1997  al 25 febbraio 1997, dal 27 marzo 1997 al 25 aprile
1997,  dal  7 agosto  1997  al  1 settembre 1997, dal 22 ottobre 1997
all'8 novembre  1997  dal  31 gennaio  1998  al 31 gennaio 1998 e dal
9 marzo  1998  al  25 aprile  1998,  emerge  altresi'  un  periodo di
infortunio sul lavoro dal 24 febbraio 1998 al 6 marzo 1998.
    Detratto  dal  periodo  di  occupazione le giornate di lavoro non
effettivo  (malattia  e  infortunio  sul  lavoro)  si ha un numero di
giorni  di lavoro effettivo di 500 giorni di lavoro (635 giorni - 124
giorni di malattia - 11 di infortunio sul lavoro), ovvero di anni l e
giorni  135, insufficienti all'ottenimento della providenza economica
richiesta,  ove si escludano dai 18 mesi necessari ex lege, quelli di
assenza per infortunio malattia e maternita'.
    Ritiene   questo   giudice   che   la  interpretazione  sostenuta
dall'I.N.P.S.  si  debba  ritenere  allo stato la piu' corretta e che
quindi   si   debbano   considerare   solo   le  giornate  di  lavoro
effettivamente  prestato  (ed  i giorni festivi) con esclusione delle
giornate  in  cui il rapporto e' stato sospeso per qualunque ragione.
Depongono  in  questo  senso  sia  il  combinato disposto di cui agli
articoli  7,  comma  1,  e  16,  comma 1, della legge n. 223/1991 che
adoperano  analoga espressione letterale (mesi di effettivo lavoro) e
che  sono  stati  sempre interpretati (anche da quesa eccellentissima
Corte con la sentenza n. 423/1995) nel senso di lavoro effettivamente
prestato  (con  esclusione  quindi di tutti i casi di sospensione del
rapporto), sia la circostanza che il legislatore, allorche' ha voluto
considerare i mesi di lavoro non effettivo, ha espressamente derogato
con  l'art. 6  d.l.  n. 57/1993 e con il d.l. n. 148/1993, convertito
con legge n. 263/1993.
    Tanto  premesso, allo stato, la eventuale incostituzionalita' nel
senso  che  si  proporra'  dell'art. 11,  comma  2, legge n. 223/1991
potra' portare a diversa decisione della presente controversia.
    Quanto alla non manifesta infondatezza ritiene questo giudice che
la  disposizione  in  esame,  ove interpretata nel senso suddetto che
pare  il piu' corretto esegeticamente, possa violare l'art. 38, comma
secondo,  della  Costituzione, poiche' non considera tra i periodi di
lavoro utili all'ottenimento della provvidenza in esame gli infortuni
sul  lavoro (che hanno una loro specificita' in ragione del fatto che
la  sospensione  del lavoro trova la sua causa proprio nel precedente
svolgimento  della  prestazione  lavorativa)  e  le  malattie, eventi
questi   che,   mentre   meritano   tutela   per   espresso   dettato
costituzionale,   determinano  nella  fattispecie  in  esame  effetti
negativi (mancato riconoscimento della prestazione).
    Inoltre  appare  vulnerato  altresi'  l'art. 3,  comma  1,  della
Costituzione   allorche'   immotivatamente   disciplina   in  maniera
ingiustificatamente  diversa  la  indennita'  de  qua  rispetto  alla
diversa  indennita'  prevista  dal  combinato  disposto  di  cui agli
articoli  7, comma 1, e 16, comma 1, della legge n. 223/1991 (tertium
comparationis).  Infatti  la  materia  appare  analoga, provvidenze a
favore   del  lavoratore  che  abbia  cessato  la  propria  attivita'
lavorativa  per riduzione di personale, ma mentre l'art. 11, comma 2,
non   equipara   al  lavoro  effettivamente  prestato  i  periodi  di
sospensione  derivanti da ferie, festivita' e infortuni, il combinato
disposto  di  cui  agli  artt. 7,  comma  1,  e  16,  comma  1, legge
n. 223/1991   espressamente   compie  detta  equiparazione,  con  una
differenza che appare priva di giustificazione.
    Inoltre,   quanto   alla  sospensione  per  malattia,  le  ultime
disposizioni  richiamate,  espressamente,  anche  se  implicitamente,
prevedono  la  possibilita'  di un massimo di sei mesi di sospensione
del  rapporto  di  lavoro. Infatti i requisiti previsti dal combinato
disposto  di  cui  agli  artt. 7,  comma  1,  e  16,  comma  1, legge
n. 223/1991  sono due, la anzianita' di servizio di un anno ed almeno
sei  mesi  di  effettivo  lavoro  (con  le  dette  equiparazioni): e'
evidente  quindi  che si prevedono espressamente sei mesi di rapporto
sospeso  per  varie  cause,  tra  cui  la malattia; nel caso di detta
disposizione sono necessari 12 mesi di lavoro di cui sei di effettiva
prestazione  di  attivita'  lavorativa.  Nel  caso della disposizione
censurata  invece  sono necessari 18 mesi di effettivo lavoro, nessun
rilievo  e'  prestato a ragioni di sospensione del rapporto di lavoro
per,  altre  cause, tra cui eventuali stati morbosi che hanno un loro
preciso  rilievo  costituzionale (articoli 38 e 32). Detta differenza
di trattamento appare priva di giustificazione alcuna.
    Tanto  premesso gli atti vanno rimessi al giudice delle leggi per
le sue valutazioni in merito.