Ricorso  per  la  Regione  Marche  in  persona del Presidente pro
tempore  della Giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione
della  Giunta  regionale n. 1763 dell'8 ottobre 2002, rappresentato e
difeso  dall'avv.  prof.  Stefano Grassi ed elettivamente domiciliato
presso  lo  studio  di  quest'ultimo in Roma, piazza Barberini n. 12,
come  da  procura  speciale  per  atto  del notaio Sabatini di Ancona
n. rep. 37176 del 14 ottobre 2002.
    Contro  lo  Stato  in  persona  del  Presidente del Consiglio dei
ministri   pro   tempore,  per  la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 15,
16,  17,  18,  19 e 20 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190
("Attuazione   della   legge   21   dicembre  2001,  n. 443,  per  la
realizzazione  delle  infrastrutture  e degli insediamenti produttivi
strategici  e  di  interesse  nazionale"),  pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale  n. 199  del  26 agosto 2002, per violazione degli articoli
117,  118,  119  e  120,  comma  II,  Cost.,  anche in relazione agli
artt. 76, 9 e 32 Cost., nei termini di seguito prospettati.
    1. - Oggetto del ricorso.
    1.1.  - Il 20 agosto 2002 e' stato emanato il decreto legislativo
n. 190  del  2002,  indicato  in  epigrafe,  con  cui  il  Governo ha
esercitato  la  delega  legislativa  contenuta nell'art. 1, comma II,
della  legge  n. 443  del  2001  ("Delega  al  Governo  in materia di
infrastrutture   ed   insediamenti  produttivi  strategici  ed  altri
interventi  per il rilancio delle attivita' produttive",), pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2001.
    La  Regione Marche, con ricorso depositato il 21 febbraio 2002 ed
iscritto  al  n. 9  del  registro  dei  ricorsi  dell'anno  2002,  ha
impugnato  l'art. 1,  commi  da  l  a  5,  della  legge  indicata per
violazione  delle  competenze regionali costituzionalmente attribuite
dagli articoli 117, 118 e 119 Cost. Il decreto legislativo n. 190 del
2002 contiene una serie di disposizioni che la Regione Marche ritiene
costituzionalmente  illegittime  e  lesive  della  propria  sfera  di
competenza  e  che  impugna ai sensi e per gli effetti dell'art. 127,
comma II, Cost.
    1.2  - Con il presente ricorso, in particolare, la Regione Marche
contesta  la  legittimita' costituzionale delle norme contenute negli
articoli  1,  2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 15, 16, 17, 18, 19,
20 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, in quanto lesivi:
        della    competenza   legislativa   regionale,   cosi'   come
individuata dal combinato disposto dell'art. 117, commi II, III e IV,
Cost.;
        della   competenza   regolamentare   regionale,   cosi'  come
individuata dall'art. 117, comma VI, Cost.;
        della   competenza   amministrativa   regionale,  cosi'  come
individuata dall'art. 118, commi I e II, Cost., anche con riferimento
a  quanto  previsto  dall'art. 120,  comma  II,  Cost.  in  relazione
all'esercizio dei poteri sostitutivi da parte dello Stato;
        dell'autonomia  finanziaria regionale, cosi' come individuata
dall'art. 119 Cost.
    La  Regione  Marche  ritiene,  altresi', che il d.lgs. n. 190 del
2002 invada le proprie attribuzioni costituzionali anche per la parte
in   cui  si  discosta  dalle  stesse  prescrizioni  della  legge  di
delegazione n. 443 del 2001, violando l'art. 76 Cost., nonche' per la
parte   in   cui   viola   il  valore  costituzionale  della  "tutela
dell'ambiente",  che  trova  riconoscimento  nell'art. 117, comma II,
lett. s), Cost. in correlazione con gli artt. 9 e 32 Cost.
    2.  - Illegittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 5,
6,  7,  8,  9,  10,  11,  13,  15,  16,  17,  18,  19, 20 del decreto
legislativo  20  agosto  2002,  n. 190,  per  lesione  della sfera di
competenza  legislativa  regionale,  particolarmente  per  violazione
dell'art. 117, commi II, III e IV, Cost.
    2.1. - La disciplina contenuta nel decreto legislativo impugnato,
come   esplicitamente  chiarito  nell'art. 1,  comma  I,  "regola  la
progettazione,  l'approvazione  dei progetti e la realizzazione delle
infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, nonche'
l'approvazione  [...]  dei  progetti  degli  insediamenti  produttivi
strategici  e  delle infrastrutture strategiche private di preminente
interesse  nazionale,  individuati  a  mezzo  del programma di cui al
comma I dell'art. 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443".
    2.1.1.  -  Tale  oggetto  non e' in alcun modo riconducibile alla
competenza  legislativa esclusiva che l'art. 117, comma II, riconosce
allo   Stato.   Infatti,  nessuna  delle  materie  elencate  in  tale
disposizione   costituzionale  e'  in  grado  di  costituire  per  il
legislatore  statale  titolo  legittimante  all'esercizio di potesta'
legislativa   nella  disciplina  delle  modalita'  di  progettazione,
approvazione dei progetti e realizzazione di infrastrutture pubbliche
e   private  nonche'  di  insediamenti  produttivi  strategici  e  di
preminente interesse nazionale.
    In  particolare,  come  gia'  la  Regione Marche ha sostenuto nel
ricorso n. 9 del 2002, in relazione all'art. 1 della legge n. 443 del
2001,   le   norme   impugnate   non   possono   trovare   fondamento
nell'art. 117,  comma II, lettera e), della Costituzione, che riserva
allo Stato la "tutela della concorrenza".
    La  disciplina  dettata dal legislatore statale non ha difatti lo
scopo  di  proteggere il libero gioco della concorrenza, ma quello di
assicurare la realizzazione di opere "strategiche", con una procedura
del tutto speciale e derogatoria rispetto a quella ordinaria.
    Ne'  si  potrebbe  affermare  che l'oggetto delle norme impugnate
rientri   nella   "determinazione   dei   livelli   essenziali  delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti  sul tutto il territorio nazionale", materia riservata allo
Stato ai sensi della lettera m) del secondo comma dell'art. 117 Cost.
E'  difatti  evidenteche la determinazione dei livelli essenziali per
garantire  determinati  diritti  sul territorio nazionale e' cosa del
tutto diversa dalla decisione circa la necessita' di realizzare opere
ed  impianti  di  preminente  interesse nazionale. Cio' e' dimostrato
dallo  stesso  carattere derogatorio della disciplina e dal carattere
discrezionale  delle scelte, che si ritiene debbano essere effettuate
dagli organi statali indicati dalla stessa legge n. 443 del 2001, per
individuare  le  opere  da  realizzare;  tale  carattere  di  per se'
impedisce qualsiasi collegamento con la definizione di livelli minimi
di  garanzia  predeterminati  dallo  Stato,  ad esempio in materia di
artt. 16 e 4 Cost.
    Ne',  infine,  si  potrebbe ritenere che le norme impugnate siano
riconducibili  alla  "tutela  dell'ambiente",  materia riservata alla
potesta'  legislativa  statale  dall'art. 117,  comma II, lettera s),
Cost.  La disciplina contenuta nel d.lgs. n. 190 del 2002, cosi' come
quella  della legge n. 443 del 2001, non risponde a scopi ed esigenze
di  protezione ambientale, valore quest'ultimo destinato piuttosto ad
operare  come  necessano  controlimite  rispetto  all'interesse  alla
realizzazione  delle infrastrutture strategiche e cioe' all'obiettivo
immediato della norme impugnate.
    2.1.2.  -  Una  simile  disciplina,  nei termini cosi' generici e
onnicomprensivi   prefigurati  nell'art.  1,  comma  I,  del  decreto
impugnato,   non  e'  neppure  riconducibile  agli  ambiti  materiali
tassativamente   individuati   nell'art. 117,  comma  III,  Cost.,  e
affidati  alla  legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni.
Infatti,   la   latitudine   e  il  carattere  "aperto"  dell'oggetto
disciplinato  sembrerebbero  richiamare, almeno in parte, una materia
ipoteticamente  identificabile  come  "lavori  e  opere  pubbliche di
interesse  nazionale";  materia  che  non  e' contemplata nell'elenco
della disposizione costituzionale e la cui configurabilita', anzi, e'
da  ritenere esplicitamente esclusa dal fatto che nel medesimo elenco
compaiono materie delimitate come "porti e aeroporti civili", "grandi
reti  di  trasporto  e  di  navigazione",  "produzione,  trasporto  e
distribuzione   nazionale   dell'energia".  E'  quindi  evidente  che
l'art. 117,  comma  III, potrebbe consentire una potesta' legislativa
concorrente  dello  Stato  solo  ed  esclusivamente in relazione alle
opere  pubbliche  strettamente  ricomprese  nei settori materiali ivi
indicati.
    D'altronde,  anche  per  questo  piu'  circoscritto  profilo,  la
disciplina del decreto impugnato si pone chiaramente in contrasto con
il  ruolo  specificamente  riservato  allo  Stato  nella legislazione
concorrente;   ruolo   che   la   norma  costituzionale  limita  alla
determinazione  dei  principi  fondamentali  della materia e, dunque,
solo  agli  aspetti  relativi  al  "modo  di esercizio della potesta'
legislativa regionale", senza "comportare l'inclusione o l'esclusione
di  singoli  settori  dalla  materia  o  dall'ambito  di  essa". Piu'
precisamente,    si   devono   ritenere   e   qualificare   "principi
fondamentali"   -  anche  con  riferimento  alla  nuova  formulazione
dell'art. 117  Cost.  -  "solo  i  nuclei  essenziali  del  contenuto
normativo  che quelle disposizioni esprimono per i principi enunciati
o da esse desumibili" (Corte cost., sent. n. 482 del 1995).
    Il  decreto legislativo impugnato, prevedendo un'esplicita deroga
ai   normali   procedimenti   e   competenze  nella  decisione  sulla
progettazione   e   realizzazione   di   determinate  infrastrutture,
sacrifica  in  maniera  del  tutto  illegittima  ed  incoerente, quel
contenuto   minimo   dell'autonomia   legislativa  regionale  che  il
legislatore  statale non puo' viceversa comprimere o eliminare, nelle
materie  attribuite  alla  competenza  legislativa  concorrente delle
Regioni.  Piu'  precisamente,  e'  certo  che i principi fondamentali
stabiliti  dalle  leggi-quadro nazionali debbano avere un "livello di
maggior astrattezza" rispetto alle regole positivamente stabilite dal
legislatore,  regionale (Corte cost., sent. n. 65 del 2001) e debbono
comunque  lasciare ampi spazi decisionali agli organi rappresentativi
della  comunita' regionale, nelle materie affidate costituzionalmente
alla loro competenza.
    Anche  ad  ammettere  che  lo  Stato  abbia  il potere di emanare
discipline  autoapplicative  o di dettaglio nelle materie di potesta'
legislativa   concorrente,   si  deve  ricordare  che,  per  costante
giurisprudenza di questa Corte, tale potere si puo' estrinsecare solo
attraverso  norme  a  carattere cedevole rispetto agli interventi del
legislatore  regionale.  Carattere,  con tutta evidenza, da escludere
per  le  norme impugnate, che si riferiscono comunque ad opere che lo
Stato  vuole  disciplinare  in  via  esclusiva  (senza lasciare alcun
spazio  di  autonoma  disciplina  alla legislazione regionale) e che,
pertanto,  risultano  gravemente  lesive della competenza legislativa
della Regione.
    2.1.3.  -  L'ambito  di disciplina del decreto legislativo n. 190
del  2002  comprende esplicitamente anche gli insediamenti produttivi
strategici  e  le  infrastrutture  strategiche  private di preminente
interesse  nazionale,  disciplinati  puntualmente  nell'art. 13. Tale
oggetto,  non  essendo  riconducibile ad alcuno dei settori materiali
elencati  espressamente  nell'art. 117 Cost., e' da ritenere affidato
alla potesta' legislativa residuale delle Regioni, di cui al comma IV
dello stesso art. 117, con conseguente esclusione di qualunque titolo
di legittimazione per interventi normativi da parte dello Stato.
    2.1.4.  -  Ne' un eventuale riferimento all'"interesse nazionale"
potrebbe  giustificare  l'attribuzione  allo  Stato della potesta' di
disciplinare   la   progettazione  e  la  realizzazione  delle  opere
strategiche da realizzare sul territorio delle singole Regioni.
    Indipendentemente  dalla  circostanza  che,  in  nessun  modo, il
limite  dell'interesse  nazionale  e'  espressamente menzionato nelle
norme  del  titolo  V  della  Costituzione,  (quale  risulta  dopo le
modifiche  apportate  con  la  legge  cost.  n. 3  del 2001), si deve
comunque rilevare che il riferimento all'interesse nazionale non puo'
di  per  se' escludere la potesta' legislativa regionale negli ambiti
materiali di competenza concorrente o residuale di cui ai commi III e
IV dell'art. 117 Cost.
    Cio'  e'  dimostrato  dallo  stesso elenco delle materie affidate
alla  competenza  concorrente,  in  cui figurano "i porti e aeroporti
civili",   le  "grandi  reti  di  trasposto  e  di  navigazione",  la
"produzione,   trasporto  e  distribuzione  nazionale  dell'energia":
materie   cioe'   che,   pur   avendo  inequivocabilmente  dimensione
nazionale,  appartengono  espressamente  alla  competenza  regionale.
Senza  contare che tutte le altre infrastrutture non menzionate nelle
categorie  ora citate, che pure possono essere, in qualche misura, di
interesse nazionale, debbono essere considerate tra quelle rientranti
nella competenza legislativa esclusiva regionale.
    La  scelta  del legislatore di revisione costituzionale e' stata,
quindi,  chiaramente  quella  di  non attribuire al rilievo nazionale
dell'opera  e  agli  interessi  nazionali  da  essa  soddisfatti,  il
significato  di  un  fattore di esclusione della potesta' legislativa
regionale.
    Il   nuovo   testo  costituzionale,  non  prevedendo  l'interesse
nazionale  come  limite  alla potesta' legislativa delle Regioni, non
prevede  anche  l'esercizio  di  un  generale  potere  di indirizzo e
coordinamento   (che,   nel   contesto   costituzionale   previgente,
costituiva  il  corollario  positivo  dell'interesse  nazionale). Ed,
infatti,  la tutela degli interessi nazionali - o ultraregionali - e'
espressa,  nel  nuovo  art.  117  Cost.,  solo in sede di elencazione
tassativa   dei  compiti  specificatamente  riservati  alla  potesta'
legislativa esclusiva dello Stato.
    2.2.  -  La  palese  violazione dell'assetto costituzionale delle
competenze  legislative  dello Stato e delle Regioni risulta evidente
anche  nell'ipotesi in cui si volesse ammettere che, sulla base ed in
forza  dell'art. 118, comma I, Cost., si possa riconoscere allo Stato
una   competenza   legislativa   ulteriore   rispetto  ai  titoli  di
legittimazione  ricavabili  dall'art. 117  Cost.  Si  tratterebbe, in
questa  prospettiva,  di  muovere  dalla  necessita', in concreto, di
attribuire  allo  Stato  determinate funzioni amministrative, in base
alla  sussistenza  di  esigenze  di  "esercizio unitario", secondo "i
principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  ed adeguatezza" e di
riconoscere  a  tal  fine una competenza legislativa statale ad hoc -
anche  in  materie  di legislazione regionale - destinata ad allocare
tali  funzioni  e  a  disciplinarne  inevitabilmente  le modalita' di
organizzazione e di esercizio.
    Una  simile ipotesi si pone in contrasto con l'impianto formale e
sostanziale  dell'art. 117, ne' risulta giustificata in ragione della
migliore  attuazione  possibile dei principi contenuti nell'art. 118.
Anche in tale ipotesi, peraltro, l'intervento legislativo dello Stato
dovrebbe comunque rispettare almeno due condizioni:
        a)  che risultassero motivate espressamente e puntualmente le
specifiche    esigenze   di   esercizio   unitario   delle   funzioni
amministrative  in  grado  di  giustificarne l'attrazione nella sfera
statale,    in    conformita'    ai   principi   di   sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza;
        b)  che  fosse  rispettato  un  procedimento  di "codecisione
paritaria"  con  le Regioni, in considerazione dell'incidenza diretta
dell'intervento  normativo  statale  su  ambiti materiali formalmente
spettanti  al  legislatore regionale. La necessita' di rispettare una
simile  condizione  trova  conferma  nel  meccanismo previsto, per le
leggi  del  Parlamento, dall'art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001,
nel quale si prevede che la commissione parlamentare per le questioni
regionali,   integrata   con   i   rappresentanti   delle   autonomie
territoriali,   debba   sempre  esprimere  un  parere,  ad  efficacia
rinforzata,  su  tutti  i progetti di legge riguardanti le materie di
legislazione  concorrente  e  l'autonomia finanziaria delle Regioni e
degli enti locali.
    Tale   norma   costituzionale  puo'  dare  luogo  a  due  diverse
interpretazioni   (ed  entrambe  convincono  dell'illegittimita'  del
decreto  legislativo  impugnato).  O  si  ritiene  che  l'art. 11 sia
direttamente   prescrittivo   e  vincolante,  ed  allora  il  decreto
legislativo   impugnato   e'   costituzionalmente   illegittimo   per
incostituzionalita'  della  stessa  legge di delega (legge n. 443 del
2001),  in  quanto  approvata  in  violazione  dell'art. 11; e cio' a
maggior   ragione,   poiche'   disciplina   anche   ambiti  oggettivi
riconducibili  alla  legislazione  residuale delle Regioni. Ovvero si
ritiene  che  la  norma  abbia carattere meramente facoltizzante, per
l'attivazione  dello  specifico  meccanismo  contemplato, ma si debba
considerare vincolante, in ordine al principio costituzionale ad essa
sotteso:  la  leale  collaborazione  tra  Stato  e  Regioni; cio', in
particolare, sotto il profilo dell'esigenza (opportunamente avvertita
dal   legislatore   di  revisione  costituzionale)  di  garantire  la
partecipazione   paritaria  delle  Regioni  a  tutti  i  procedimenti
decisionali dello Stato che possano incidere sulle sfere di autonomia
costituzionalmente  riconosciute; ed in questa ipotesi, e' innegabile
la  necessita' di adottare, anche per gli atti normativi del Governo,
un  meccanismo  idoneo  a  tale  scopo  (il  che  -  nella  specie ed
illegittimamente - non e' avvenuto).
    2.3.  -  Tutte  le disposizioni citate nell'epigrafe del presente
motivo  sono  da  considerare  costituzionalmente  illegittime per le
ragioni esposte nei precedenti paragrafi.
    2.3.1.  -  In  particolare, si puo' sottolineare l'illegittimita'
dell'art. 1,  che,  nell'ambito  del programma che individua le opere
strategiche, prevede che siano anche individuate, con intese generali
quadro  tra  Governo  e  ogni  singola  Regione,  opere  per le quali
l'interesse  regionale  e'  concorrente  con  il preminente interesse
nazionale    (specificando    che   tale   previsione   riguarda   le
infrastrutture non aventi carattere interregionale o internazionale).
E'  evidente come in tal modo (con previsione che si pone anche al di
la'   delle   indicazioni  e  dei  limiti  individuati  nella  delega
legislativa)  il  Governo  sia  autorizzato  -  tramite la necessaria
intesa   -   a  interferire  nella  programmazione,  progettazione  e
realizzazione  di  opere  che ricadono nel territorio della Regione e
che sono di interesse regionale. Non si vede, d'altra parte, come sia
ammissibile  che  il  legislatore  statale possa imporre la procedura
derogatoria   per   tali  opere,  con  conseguente  esclusione  della
legislazione  regionale. La lesione della competenza della Regione e'
tanto  piu' grave, perche' e' sicuramente difficile individuare quali
siano  le  opere  in  cui  l'interesse  regionale  sia da considerare
concorrente  con quello statale ed e' comunque inammissibile che tale
concorrenza  venga  individuata  sulla  base  di regole imposte dallo
Stato.
    2.3.2.  -  Altrettanto  evidente  e'  la lesione delle competenze
legislative  regionali che deriva dalla disciplina sulla procedura di
approvazione del progetto preliminare dettata dall'art. 3 del decreto
impugnato.  L'approvazione  del  progetto  preliminare,  che  implica
l'accertamento   della   compatibilita'   ambientale   dell'opera   e
perfeziona  ad  ogni  effetto  l'intesa tra Stato e Regione sulla sua
localizzazione,  e' demandata al CIPE che decide a maggioranza con il
consenso,  ai  fini  dell'intesa, del Presidente della Regione che si
pronuncia  sentiti  i  comuni.  Peraltro,  la  procedura  consente di
superare  il  dissenso della Regione sulla localizzazione dell'opera,
attribuendo  agli  organi  statali  il  potere  di  deliberare in via
definitiva la localizzazione anche in contrasto con la manifestazione
di volonta' regionale.
    La  disciplina  della  procedura  di  approvazione  dei  progetti
preliminari e della loro localizzazione, in presenza della competenza
regionale  in  materia  di  "governo del territorio", non puo' essere
dettata   dal   legislatore   statale,   se  non  nei  suoi  principi
fondamentali  e comunque nel rispetto dei principi di coordinamento e
leale  cooperazione,  che  esigono, quantomeno, l'adozione bilaterale
della disciplina da applicare.
    2.3.3.   -   Per   le   stesse   ragioni,   sono  da  considerare
costituzionalmente  illegittime  le  norme contenute, in particolare,
nell'art. 4,  sull'approvazione  del progetto definitivo delle opere,
nell'art. 5,  che  disciplina le interferenze, nonche' negli artt. 6,
7,  8,  9,10  e  11,  che dettano modifiche rilevanti alla disciplina
degli appalti e delle concessioni di lavori pubblici. Tali discipline
rientrano  in  materie  di  competenza  legislativa  residuale  della
Regione,  ne'  le  norme dettate dal decreto legislativo impugnato si
limitano  a  fissare  principi  fondamentali  o norme autoapplicative
cedevoli.
    2.3.4.  - Anche gli artt. 17, 18, 19 e 20 sono costituzionalmente
illegittimi  per  la  parte in cui dettano una disciplina derogatoria
della  procedura  di  valutazione  d'impatto  ambientale  di opere ed
infrastrutture  che,  invece,  sono  sottoposte  a  procedure  di VIA
affidate  alla  disciplina regionale (art. 40; legge n. 146 del 1994;
d.P.R.  12  aprile  1996;  delib.  Giunta reg. Marche 31 luglio 2001,
n. 1829).  Le  deroghe alla disciplina statale e regionale si pongono
in palese contrasto sia con la competenza trasversale che spetta alle
Regioni  nel  settore della tutela dell'ambiente (Corte cost., n. 407
del   2002),   sia   con  la  conseguente  competenza  regionale  nel
disciplinare  gli  strumenti  attuativi  della  tutela  dell'ambiente
dettati dal legislatore comunitario (cfr. direttive n. 337 del 1985 e
n. 11 del 1997), cosi' come previsto dall'art. 117, comma V, Cost.
    3.  -  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  15  del decreto
legislativo  20  agosto  2002.  n. 190,  per  lesione  della sfera di
competenza  regolamentare  regionale,  particolarmente per violazione
dell'art. 117, comma VI, Cost.
    3.1. - L'art. 15 del decreto impugnato attribuisce al Governo una
potesta' normativa diretta alla modificazione e integrazione di tutti
i  regolamenti  di  esecuzione e di attuazione della legge n. 109 del
1994.  I  regolamenti emanati ai sensi di tale disposizione avrebbero
l'effetto di abrogare o derogare, dalla loro entrata in vigore, tutte
"le   norme   di  diverso  contenuto  precedentemente  vigenti  nella
materia".  Oggetto  di  tali  regolamenti,  secondo  i  commi I e III
dell'art. 15,  e'  in  sostanza l'integrazione, il completamento e la
modifica  della  disciplina  esecutiva  ed  attuativa  delle norme in
materia di appalti di opere pubbliche.
    La   disposizione  si  pone  in  evidente  contrasto  con  quanto
stabilito  dall'art. 117, comma VI, Cost., che fissa una ripartizione
rigida   della   potesta'   regolamentare.  Allo  Stato  la  potesta'
regolamentare  spetta  solo  nelle  materie di legislazione esclusiva
statale;  alle  Regioni  spetta,  invece,  "in  ogni  altra materia".
Poiche'  e'  impossibile  ricondurre  l'oggetto  della disciplina del
decreto  impugnato  alle  materie  elencate  nell'art. 117, comma II,
Cost.,  e'  altrettanto  innegabile che la potesta' regolamentare, in
tale ambito disciplinare, deve essere riconosciuta solo alla Regione.
    3.2.  -  L'illegittimita'  dell'art. 15  del  decreto legislativo
impugnato non puo' essere superata sostenendo che lo Stato avrebbe un
potere generale di dettare norme regolamentari, nelle materie diverse
da  quelle  di  legislazione  esclusiva,  a condizione che tali norme
risultino   "cedevoli"   rispetto   alla   successiva  emanazione  di
regolamenti   regionali.   Infatti,   l'art. 15,   comma  I,  prevede
espressamente  che  i  futuri  regolamenti statali debbano applicarsi
alle  Regioni,  Province  autonome,  Province,  Citta' metropolitane,
comuni,  e  loro concessionari ed appaltatori per quanto attiene alle
"procedure   di   intesa   per   l'approvazione  dei  progetti  e  di
aggiudicazione  delle  infrastrutture",  mentre  per tutto quanto non
pertinente a tali procedure l'applicabilita' dei regolamenti statali,
nei  confronti  dei soggetti indicati, dovrebbe essere limitata "sino
alla data di entrata in vigore di diversa normativa regionale". Sotto
questo  profilo,  e'  evidente che l'art. 15 esclude espressamente la
"cedevolezza"     dei    regolamenti    statali,    violando    cosi'
irrimediabilmente  le  attribuzioni  costituzionali  della Regione in
tema di autonomia regolamentare.
    3.3.  -  L'art.  15  del  d.lgs.  n. 190  del  2002  e'  altresi'
costituzionalmente  illegittimo  anche  nella parte in cui stabilisce
che  i regolamenti che il Governo dovra' emanare possano determinare,
a  partire dalla loro entrata in vigore, l'abrogazione o la deroga di
tutte  "le  norme  di diverso contenuto precedentemente vigenti nella
materia". E' evidente l'illegittimita' di una previsione che consente
al   Governo,  mediante  l'esercizio  del  potere  regolamentare,  di
incidere  sulla legislazione regionale preesistente. Cio' costituisce
senz'altro   una   palese   violazione  non  soltanto  del  principio
attualmente  espresso  dall'art,  117,  comma  VI, Cost., ma anche di
quanto  gia'  ripetutamente  affermato  da  questa  Corte anche nella
vigenza  della  precedente  disciplina  costituzionale  (ad es. sent.
n. 482 del 1995).
    4.  -  Illegittimita' costituzionale degli artt. 1, commi I, II e
V;  2;  3, commi I, II, IV, V, VI, VII, VIII e IX; 4, commi III, IV e
V; 5; 7, comma IV; 8, commi I, IV, e V; 13, commi I, III, IV, V e VI:
16,  comma  III;  17,  commi III e IV; 18, commi III, IV, V e VI; 19,
comma  II;  20,  del  decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, per
lesione   della   sfera   di   competenza  amministrativa  regionale,
particolarmente per violazione dell'art. 118 Cost.
    4.1.   -   Le   disposizioni   impugnate  attribuiscono  funzioni
amministrative ad organi dell'amministrazione statale.
    In  proposito,  l'art. 118,  comma  I,  Cost.  stabilisce che "le
funzioni  amministrative  sono  attribuite  ai  comuni salvo che, per
assicurarne  l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Citta'
metropolitane,   Regioni   e   Stato,  sulla  base  dei  principi  di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza".
    La  norma  costituzionale non contiene un'attribuzione diretta di
funzioni  amministrative  ai diversi livelli territoriali di governo;
fissa,  semplicemente, criteri e principi per la ripartizione di tali
funzioni  da parte dell'ente che risulti, di volta in volta, titolare
di  una potesta' legislativa nella specifica materia. Di conseguenza,
l'art. 118, I comma, costituisce necessario parametro di legittimita'
costituzionale  di  ogni intervento normativo finalizzato ad allocare
funzioni amministrative.
    Tale   parametro  e'  individuato  nell'esigenza  che  sussistano
specifiche ragioni di esercizio unitario della funzione, puntualmente
motivate  in  base ai principi di sussidiarieta', differenziazione ed
adeguatezza, tali da giustificare nei singoli casi l'attrazione della
competenza ad un livello di governo superiore rispetto a quello "piu'
vicino"  al  cittadino. Di qui il necessario rigore nel valutare ogni
norma dalla quale consegua l'attribuzione delle competenze al livello
di governo "piu' lontano" dal cittadino, ossia al livello statale.
    Vi  e'  dunque un obbligo per il legislatore, particolarmente per
quello  statale,  di  accompagnare qualunque scelta di allocazione di
funzioni amministrative ad un livello diverso da quello comunale, con
una  analisi  ed  una verifica sostanziale dell'effettiva rispondenza
della  scelta  (pur sempre discrezionale) ai parametri indicati dalla
norma  costituzionale.  Cio'  implica  che  la  norma  che  alloca le
funzioni  dovra'  anche  enunciare  le circostanze e le finalita' che
rendono legittima la scelta effettuata.
    Nessuna  delle  disposizioni  impugnate' soddisfa tali requisiti,
non  essendo  rinvenibile,  neppure  implicitamente o indirettamente,
alcun  riferimento  ad una qualunque ragione in grado di giustificare
la  massiccia  e  generalizzata  attribuzione ad organi statali delle
funzioni    amministrative    relative   alla   realizzazione   delle
infrastrutture  e  degli insediamenti produttivi strategici di cui al
d.lgs. n. 190 del 2002.
    4.2.  -  Anche nella denegata ipotesi in cui questa Corte volesse
ritenere  che  lo Stato possa autoattribuirsi funzioni amministrative
nella  materia  in  oggetto  (a  prescindere  dall'illegittimita' del
riconoscimento  di  una  sua potesta' legislativa, denunciata sub 2),
senza sottostare ad alcun vincolo formale di espressa indicazione dei
presupposti  che  ne motivano la scelta, le disposizioni impugnate si
devono  comunque  ritenere  costituzionalmente  illegittime in quanto
lesive dei limiti sostanziali che l'art. 118, comma I, stabilisce per
la distribuzione delle competenze amministrative nell'ordinamento.
    Il  d.lgs.  n. 190  del 2002 si riferisce, come si e' detto, alle
attivita'  relative  alla  progettazione, approvazione dei progetti e
realizzazione   delle   infrastrutture   strategiche   di  preminente
interesse  nazionale,  nonche'  all'approvazione  dei  progetti degli
insediamenti produttivi strategici e delle infrastrutture strategiche
private  di  preminente  interesse nazionale, individuati a mezzo del
programma di cui al comma I dell'art. l della legge 21 dicembre 2001,
n. 443.
    Si  tratta,  evidentmente,  nell'impianto complessivo della legge
n. 443 del 2001, di attivita' che trovano fondamento in una decisione
di  rilievo  nazionale  formalizzata nel programma delle c.d. "grandi
opere";  per  tali  attivita', peraltro, non e' dato rinvenire alcuna
ragione  che  ne  giustifichi  l'attrazione  ad  organi  dello  Stato
centrale,   oltretutto   con   una   valutazione   della  sussistenza
dell'interesse  regionale meramente eventuale ed affidata comunque ad
un  organo  statale  (v. art. 1, comma I, d.lgs. n. 190 del 2002). In
altri termini, una volta individuate le "grandi opere" attraverso una
valutazione  complessiva  delle  esigenze  e  dei bisogni dell'intera
collettivita'  nazionale  non  si  vede  alcun  motivo per allocare a
livello  centrale  anche  il  complesso delle funzioni amministrative
relative  alla  loro  specifica  localizzazione sul territorio e alla
loro  concreta  realizzazione.  Tali  funzioni,  infatti,  potrebbero
adeguatamente  essere svolte dalle amministrazioni preposte alla cura
degli  interessi  che  insistono sul territorio regionale, ovviamente
garantendo  il necessario coordinamento con i competenti organi dello
Stato.
    Anche  sotto  questo  profilo  risulta  evidente la lesione della
sfera  di  autonomia amministrativa della Regione, nella parte in cui
le  disposizioni  impugnate, non solo attribuiscono ad organi statali
funzioni  che  potrebbero  ragionevolmente  ed  adeguatamente  essere
esercitate   dagli   organi  regionali,  ma  limitano  il  potere  di
codecisione  della  Regione  attraverso  meccanismi che prevedono una
compartecipazione   formalmente   non  paritaria,  sempre  superabile
dall'avocazione  della  decisione  finale  ad  una  sede  unilaterale
statale  (si vedano, in particolare, gli articoli 1, commi I e II; 3,
commi  IV, V, VI, VII e IX; 4, commi III, IV e V; 5; 8, comma IV; 13,
commi I, III, IV, V e VI; 17, commi III e IV; 18, commi III, IV, V, e
VI del decreto legislativo impugnato).
    La  Regione  ricorrente  non nega pregiudizialmente l'esigenza di
prevedere  meccanismi  che  garantiscano, sia pure nell'ambito di una
compartecipazione   paritaria  di  tutti  gli  enti  interessati,  la
definizione  in tempi ragionevolmente certi del processo decisionale;
cio' che si contesta - e che risulta costituzionalmente illegittimo -
e'  che tale risultato sia raggiunto dal decreto impugnato attraverso
il  mero  riconoscimento  ad  un  organo  statale della competenza ad
adottare  la  decisione  finale  in  un  ambito nel quale le funzioni
amministrative  possono  (e  dunque "debbono") essere attribuite alla
Regione.
    5.  -  Illegittimita'  costituzionale degli artt. 2, commi I, II,
lett.  d)  e  f)  VI  e  IX;  9, comma XII; 11, comma II, del decreto
legislativo  20  agosto  2002,  n. 190,  per  lesione  della sfera di
autonomia finanziaria regionale, particolarmente per violazione degli
articoli 118 e 119 Cost.
    5.1.  -  Le disposizioni impugnate, per la parte in cui prevedono
il  finanziamento  con  risorse  reperite  dallo  Stato  di  funzioni
amministrative che (per quanto argomentato sub 4) dovrebbero spettare
alle  regioni  interessate  di  volta in volta dall'opera pubblica da
realizzare,  sono  costituzionalmente  illegittime  per contrasto con
l'art. 119, commi I e V.
    Infatti,   il  principio  dell'autonomia  finanziaria  (sotto  il
profilo  dell'autonomia  di spesa), unitamente alla norma secondo cui
"per  provvedere  a  scopi  diversi  dal normale esercizio delle loro
funzioni,  lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi
speciali   in   favore   di   determinati  comuni,  Province,  Citta'
metropolitane  e  Regioni",  implica  necessariamente  che  tutte  le
funzioni  amministrative  spettanti  alle Regioni e diverse da quelle
"ordinarie"    risultino    adeguatamente    finanziate    attraverso
l'attribuzione  diretta  ai  loro  bilanci  di adeguate risorse senza
vincoli sulle modalita' di spesa.
    5.2.  - Le norme contenute, in particolare, nell'art. 2, commi I,
II,  lett.  d)  e nell'art. 9, comma XII, violano altresi' l'art. 119
Cost.,  per la parte in cui impongono oneri finanziari a carico delle
Regioni  con  grave ed irragionevole limitazione della loro autonomia
di spesa, oltretutto senza indicare la fonte di finanziamento di tali
spese.   Nella   realizzazione   delle   grandi  opere,  infatti,  e'
ammissibile  che  vi  sia  un  interesse  dello  Stato a garantire il
conseguimento   del   risultato   finale  complessivo;  cio'  che  e'
costituzionalmente  inammissibile  e'  la  limitazione dell'autonomia
regionale  sulle  modalita'  e  gli strumenti per la realizzazione in
concreto degli obiettivi da perseguire.
    5.3. - In ogni caso, le norme impugnate individuano meccanismi di
finanziamento  che  prescindono da ogni compartecipazione decisionale
delle  Regioni  interessate,  prevedendo  esclusivamente la decisione
unilaterale da parte di organi dello Stato centrale.
    Anche  l'art.  11  della  legge  cost.  n. 3 del 2001 - come gia'
esposto  sopra  sub  2.2.  -  implica  la  vigenza  di  un  principio
costituzionale  -  espressione  del  piu' generale principio di leale
collaborazione  tra Stato e autonomie territoriali - secondo il quale
e'  necessario garantire forme di compartecipazione paritaria in ogni
processo  decisionale  che  possa incidere sull'autonomia finanziaria
degli   enti  titolari  di  autonomia  costituzionale.  E'  evidente,
infatti,  che  la  decisione  unilaterale  dello Stato concernente le
risorse  finanziarie,  indipendentemente dal "favore" che in concreto
essa   possa   esprimere   nei  confronti  degli  enti  territoriali,
costituisce   di   per   se'   limitazione   della   loro   autonomia
costituzionalmente riconosciuta.
    6.  -  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 2. comma VII, del
decreto  legislativo  20 agosto 2002, n. 190, per lesione della sfera
di autonomia amministrativa regionale, particolarmente per violazione
degli articoli 118 e 120, comma II, Cost.
    6.1. - La norma impugnata, oltre che per i motivi indicati sub 4,
e'  costituzionalmente  illegittima  per  la  parte in cui prevede la
possibilita' di abilitare Commissari straordinari ad adottare atti di
qualunque   natura,  anche  in  deroga  alla  normativa  vigente,  in
sostituzione  dei  soggetti istituzionalmente competenti, tra i quali
certamente  e' da ricomprendere la Regione (tali Commissari, infatti,
potrebbero  essere  attivati  anche  con  riferimento  alle  opere di
competenza  regionale).  La  previsione  di  tale  potere sostitutivo
prescinde   del  tutto  dai  limiti  e  dai  requisiti  espressamente
contemplati  nell'art. 120,  comma  II,  Cost.,  che  abilita il solo
Governo  a  sostituirsi  agli  organi  della  Regione, in presenza di
presupposti tassativamente enumerati e soltanto in forza di una legge
che  definisca  le  procedure  idonee  a  garantire  il  rispetto dei
principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione.
    7.  - Illegittimita' costituzionale degli articoli 1, comma I; 3,
commi  V  e  VI;  4, comma V; e 13, del decreto legislativo 20 agosto
2002,  n. 190,  per  violazione  dell'art. 76  Cost.  anche  sotto il
profilo   della   conseguente   lesione   delle  sfere  di  autonomia
legislativa  e  amministrativa  regionale, di cui agli articoli 117 e
118 Cost.
    7.1.  -  L'art. 1, comma I, eccede l'ambito oggettivo ed i limiti
imposti  dalla  legge di delegazione n. 443 del 2001, per la parte in
cui  stabilisce  che  "nell'ambito  del  programma  di cui al comma 1
dell'art.  1  della  legge  21  dicembre  2001, n. 443, sono altresi'
individuate, con intese generali quadro tra il Governo e ogni singola
regione  o  provincia  autonoma,  le  opere per le quali l'"interesse
regionale e' concorrente con il preminente interesse nazionale".
    Infatti,  l'art. 1, comma I, della legge di delega, contenente la
disciplina  del programma di individuazione delle "grandi opere", non
costituisce  affatto  una  disposizione  di  delega legislativa ma si
presenta, bensi', come norma direttamente applicabile. La delega, cui
il  Governo da' attuazione con il d.lgs. n. 190 del 2002 e' contenuta
piuttosto  nel  comma  II,  dell'art. 1, della legge n. 443 del 2001,
dove,  tuttavia,  l'oggetto  affidato  alla  potesta' legislativa del
Governo  non  e'  il  programma  di  individuazione delle opere ma la
"definizione   di   un   quadro  normativo  finalizzato  alla  celere
realizzazione  delle  infrastrutture e degli insediamenti individuati
ai  sensi  del  comma  I".  La  lettera  della  norma  e' chiarissima
nell'escludere  che  la disciplina del programma delle "grandi opere"
possa considerarsi oggetto della delega. Pertanto la norma impugnata,
che riconosce un potere di individuare, nell'ambito del programma, la
categoria  (del  tutto  nuova  rispetto a quanto previsto dalla legge
n. 443  del 2001) delle "opere di interesse regionale concorrente con
il preminente interesse nazionale", eccede senza dubbio la competenza
legislativa  delegata al Governo e dunque viola le sfere di autonomia
della Regione anche in relazione alla violazione dell'art. 76 Cost.
    Per  le stesse ragioni, sono illegittime le norme contenute negli
articoli 3, comma VI, e 4, comma V, per la parte in cui presuppongono
la  esistenza  della  categoria  delle  "opere di interesse regionale
concorrente  con  il  preminente  interesse  nazionale",  cosi'  come
individuate ai sensi dell'art. 1, comma I.
    7.2. - L'art. 3, comma V, prevede che il progetto preliminare non
venga  sottoposto  a conferenza di servizi. Tale previsione contrasta
palesemente  con quanto stabilito, tra i principi e criteri direttivi
della delega, dall'art. 1, comma II, lett. d), della legge n. 443 del
2001,  in  base  al quale il Governo avrebbe dovuto provvedere ad una
semplice  "modificazione della disciplina in materia di conferenza di
servizi",   garantendo   in   ogni  caso  la  facolta'  di  tutte  le
amministrazioni   competenti   proporre   nella   stessa   conferenza
prescrizioni e varianti migliorative del progetto presentato.
    L'evidente  eccesso  di  delega  si ripercuote chiaramente in una
menomazione  delle  attribuzioni costituzionalmente riconosciute alle
Regioni  e, pertanto, la Regione ricorrente e' da ritenere senz'altro
legittimata a proporne la relativa censura con il presente ricorso.
    7.3.  -  Anche l'art. 13 e' costituzionalmente illegittimo, sotto
gli  stessi profili sopra denunciati sub 7.1. e 7.2.; per la parte in
cui   presuppone   la  esistenza  della  categoria  delle  "opere  di
interesse,   regionale   concorrente   con  il  preminente  interesse
nazionale",  cosi'  come individuate ai sensi dell'art. 1, comma I; e
per  la parte in cui estende la disciplina contenuta negli articoli 3
e   4  alla  realizzazione  degli  insediamenti  produttivi  e  delle
infrastrutture  provate  strategiche  e  dunque  ribadisce la mancata
sottoposizione  dei  progetti alla conferenza dei servizi, si pone in
contrasto  con  la legge di delega e costituisce sicura lesione delle
sfere  di autonomia regionale per i medesimi motivi indicati al punto
precedente
    8.  -  Illegittimita' costituzionale degli articoli 3, 4, 17, 18,
19  e  20,  del  decreto  legislativo  20  agosto  2002,  n. 190, per
violazione  degli  articoli  9  e  32  Cost.,  sotto il profilo della
primarieta'  da  riconoscere al valore costituzionale "ambiente", con
conseguente   lesione   delle   sfere   di  autonomia  legislativa  e
amministrativa regionale, di cui agli articoli 117 e 118 Cost.
    8.1.   -  Le  disposizioni  impugnate  prevedono  una  disciplina
speciale  per  le  procedure  di  valutazione  di  impatto ambientale
relative alle grandi opere contemplate nel d.lgs. n. 190 del 2002. In
particolare,  vengono  stabiliti:  termini rigidi e assai ridotti sia
per  la  predisposizione degli studi di impatto da parte dei soggetti
proponenti,  sia  per  l'istruttoria, sia per la pronuncia definitiva
sulla   compatibilita'   ambientale   dell'opera;  semplificazioni  e
alleggerimenti   procedurali   delle  attivita'  infraprocedimentali;
l'accentramento   generalizzato  in  capo  ad  organi  statali  delle
decisioni  finali  con  coinvolgimento  meramente eventuale e formale
delle autonomie regionali interessate.
    Il  sistema  cosi'  delineato  rende evidente, in primo luogo, la
totale  estromissione  delle  Regioni  da  quel  ruolo sostanziale ed
ineliminabile  nell'attuazione del valore costituzionale ambiente che
questa  Corte  ha  da  sempre  riconosciuto  loro e che avuto modo di
confermare  nella  sentenza  n. 407  del  2002;  in secondo luogo, la
degradazione   dell'interesse  ambientale  da  valore  costituzionale
primario  "insuscettivo  di  essere  subordinato  a  qualsiasi altro"
(sent. n. 151 del 1986), che - in quanto tale - impone non un vincolo
di  risultato  ma  una  ponderazione  procedimentale  rafforzata,  ad
interesse  la  cui  rappresentazione  nel  processo  decisionale puo'
essere  parziale  e  prescindibile  in  ragione  dell'urgenza  e  del
carattere a priori "strategico" di una determinata opera pubblica.