Ricorso per la Regione Marche in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 1763 dell'8 ottobre 2002, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Stefano Grassi ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Roma, piazza Barberini n. 12, come da procura speciale per atto del notaio Sabatini di Ancona n. rep. 37176 del 14 ottobre 2002. Contro lo Stato in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 15, 16, 17, 18, 19 e 20 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 ("Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale"), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 199 del 26 agosto 2002, per violazione degli articoli 117, 118, 119 e 120, comma II, Cost., anche in relazione agli artt. 76, 9 e 32 Cost., nei termini di seguito prospettati. 1. - Oggetto del ricorso. 1.1. - Il 20 agosto 2002 e' stato emanato il decreto legislativo n. 190 del 2002, indicato in epigrafe, con cui il Governo ha esercitato la delega legislativa contenuta nell'art. 1, comma II, della legge n. 443 del 2001 ("Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attivita' produttive",), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2001. La Regione Marche, con ricorso depositato il 21 febbraio 2002 ed iscritto al n. 9 del registro dei ricorsi dell'anno 2002, ha impugnato l'art. 1, commi da l a 5, della legge indicata per violazione delle competenze regionali costituzionalmente attribuite dagli articoli 117, 118 e 119 Cost. Il decreto legislativo n. 190 del 2002 contiene una serie di disposizioni che la Regione Marche ritiene costituzionalmente illegittime e lesive della propria sfera di competenza e che impugna ai sensi e per gli effetti dell'art. 127, comma II, Cost. 1.2 - Con il presente ricorso, in particolare, la Regione Marche contesta la legittimita' costituzionale delle norme contenute negli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 15, 16, 17, 18, 19, 20 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, in quanto lesivi: della competenza legislativa regionale, cosi' come individuata dal combinato disposto dell'art. 117, commi II, III e IV, Cost.; della competenza regolamentare regionale, cosi' come individuata dall'art. 117, comma VI, Cost.; della competenza amministrativa regionale, cosi' come individuata dall'art. 118, commi I e II, Cost., anche con riferimento a quanto previsto dall'art. 120, comma II, Cost. in relazione all'esercizio dei poteri sostitutivi da parte dello Stato; dell'autonomia finanziaria regionale, cosi' come individuata dall'art. 119 Cost. La Regione Marche ritiene, altresi', che il d.lgs. n. 190 del 2002 invada le proprie attribuzioni costituzionali anche per la parte in cui si discosta dalle stesse prescrizioni della legge di delegazione n. 443 del 2001, violando l'art. 76 Cost., nonche' per la parte in cui viola il valore costituzionale della "tutela dell'ambiente", che trova riconoscimento nell'art. 117, comma II, lett. s), Cost. in correlazione con gli artt. 9 e 32 Cost. 2. - Illegittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 15, 16, 17, 18, 19, 20 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, per lesione della sfera di competenza legislativa regionale, particolarmente per violazione dell'art. 117, commi II, III e IV, Cost. 2.1. - La disciplina contenuta nel decreto legislativo impugnato, come esplicitamente chiarito nell'art. 1, comma I, "regola la progettazione, l'approvazione dei progetti e la realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, nonche' l'approvazione [...] dei progetti degli insediamenti produttivi strategici e delle infrastrutture strategiche private di preminente interesse nazionale, individuati a mezzo del programma di cui al comma I dell'art. 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443". 2.1.1. - Tale oggetto non e' in alcun modo riconducibile alla competenza legislativa esclusiva che l'art. 117, comma II, riconosce allo Stato. Infatti, nessuna delle materie elencate in tale disposizione costituzionale e' in grado di costituire per il legislatore statale titolo legittimante all'esercizio di potesta' legislativa nella disciplina delle modalita' di progettazione, approvazione dei progetti e realizzazione di infrastrutture pubbliche e private nonche' di insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale. In particolare, come gia' la Regione Marche ha sostenuto nel ricorso n. 9 del 2002, in relazione all'art. 1 della legge n. 443 del 2001, le norme impugnate non possono trovare fondamento nell'art. 117, comma II, lettera e), della Costituzione, che riserva allo Stato la "tutela della concorrenza". La disciplina dettata dal legislatore statale non ha difatti lo scopo di proteggere il libero gioco della concorrenza, ma quello di assicurare la realizzazione di opere "strategiche", con una procedura del tutto speciale e derogatoria rispetto a quella ordinaria. Ne' si potrebbe affermare che l'oggetto delle norme impugnate rientri nella "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti sul tutto il territorio nazionale", materia riservata allo Stato ai sensi della lettera m) del secondo comma dell'art. 117 Cost. E' difatti evidenteche la determinazione dei livelli essenziali per garantire determinati diritti sul territorio nazionale e' cosa del tutto diversa dalla decisione circa la necessita' di realizzare opere ed impianti di preminente interesse nazionale. Cio' e' dimostrato dallo stesso carattere derogatorio della disciplina e dal carattere discrezionale delle scelte, che si ritiene debbano essere effettuate dagli organi statali indicati dalla stessa legge n. 443 del 2001, per individuare le opere da realizzare; tale carattere di per se' impedisce qualsiasi collegamento con la definizione di livelli minimi di garanzia predeterminati dallo Stato, ad esempio in materia di artt. 16 e 4 Cost. Ne', infine, si potrebbe ritenere che le norme impugnate siano riconducibili alla "tutela dell'ambiente", materia riservata alla potesta' legislativa statale dall'art. 117, comma II, lettera s), Cost. La disciplina contenuta nel d.lgs. n. 190 del 2002, cosi' come quella della legge n. 443 del 2001, non risponde a scopi ed esigenze di protezione ambientale, valore quest'ultimo destinato piuttosto ad operare come necessano controlimite rispetto all'interesse alla realizzazione delle infrastrutture strategiche e cioe' all'obiettivo immediato della norme impugnate. 2.1.2. - Una simile disciplina, nei termini cosi' generici e onnicomprensivi prefigurati nell'art. 1, comma I, del decreto impugnato, non e' neppure riconducibile agli ambiti materiali tassativamente individuati nell'art. 117, comma III, Cost., e affidati alla legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni. Infatti, la latitudine e il carattere "aperto" dell'oggetto disciplinato sembrerebbero richiamare, almeno in parte, una materia ipoteticamente identificabile come "lavori e opere pubbliche di interesse nazionale"; materia che non e' contemplata nell'elenco della disposizione costituzionale e la cui configurabilita', anzi, e' da ritenere esplicitamente esclusa dal fatto che nel medesimo elenco compaiono materie delimitate come "porti e aeroporti civili", "grandi reti di trasporto e di navigazione", "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia". E' quindi evidente che l'art. 117, comma III, potrebbe consentire una potesta' legislativa concorrente dello Stato solo ed esclusivamente in relazione alle opere pubbliche strettamente ricomprese nei settori materiali ivi indicati. D'altronde, anche per questo piu' circoscritto profilo, la disciplina del decreto impugnato si pone chiaramente in contrasto con il ruolo specificamente riservato allo Stato nella legislazione concorrente; ruolo che la norma costituzionale limita alla determinazione dei principi fondamentali della materia e, dunque, solo agli aspetti relativi al "modo di esercizio della potesta' legislativa regionale", senza "comportare l'inclusione o l'esclusione di singoli settori dalla materia o dall'ambito di essa". Piu' precisamente, si devono ritenere e qualificare "principi fondamentali" - anche con riferimento alla nuova formulazione dell'art. 117 Cost. - "solo i nuclei essenziali del contenuto normativo che quelle disposizioni esprimono per i principi enunciati o da esse desumibili" (Corte cost., sent. n. 482 del 1995). Il decreto legislativo impugnato, prevedendo un'esplicita deroga ai normali procedimenti e competenze nella decisione sulla progettazione e realizzazione di determinate infrastrutture, sacrifica in maniera del tutto illegittima ed incoerente, quel contenuto minimo dell'autonomia legislativa regionale che il legislatore statale non puo' viceversa comprimere o eliminare, nelle materie attribuite alla competenza legislativa concorrente delle Regioni. Piu' precisamente, e' certo che i principi fondamentali stabiliti dalle leggi-quadro nazionali debbano avere un "livello di maggior astrattezza" rispetto alle regole positivamente stabilite dal legislatore, regionale (Corte cost., sent. n. 65 del 2001) e debbono comunque lasciare ampi spazi decisionali agli organi rappresentativi della comunita' regionale, nelle materie affidate costituzionalmente alla loro competenza. Anche ad ammettere che lo Stato abbia il potere di emanare discipline autoapplicative o di dettaglio nelle materie di potesta' legislativa concorrente, si deve ricordare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, tale potere si puo' estrinsecare solo attraverso norme a carattere cedevole rispetto agli interventi del legislatore regionale. Carattere, con tutta evidenza, da escludere per le norme impugnate, che si riferiscono comunque ad opere che lo Stato vuole disciplinare in via esclusiva (senza lasciare alcun spazio di autonoma disciplina alla legislazione regionale) e che, pertanto, risultano gravemente lesive della competenza legislativa della Regione. 2.1.3. - L'ambito di disciplina del decreto legislativo n. 190 del 2002 comprende esplicitamente anche gli insediamenti produttivi strategici e le infrastrutture strategiche private di preminente interesse nazionale, disciplinati puntualmente nell'art. 13. Tale oggetto, non essendo riconducibile ad alcuno dei settori materiali elencati espressamente nell'art. 117 Cost., e' da ritenere affidato alla potesta' legislativa residuale delle Regioni, di cui al comma IV dello stesso art. 117, con conseguente esclusione di qualunque titolo di legittimazione per interventi normativi da parte dello Stato. 2.1.4. - Ne' un eventuale riferimento all'"interesse nazionale" potrebbe giustificare l'attribuzione allo Stato della potesta' di disciplinare la progettazione e la realizzazione delle opere strategiche da realizzare sul territorio delle singole Regioni. Indipendentemente dalla circostanza che, in nessun modo, il limite dell'interesse nazionale e' espressamente menzionato nelle norme del titolo V della Costituzione, (quale risulta dopo le modifiche apportate con la legge cost. n. 3 del 2001), si deve comunque rilevare che il riferimento all'interesse nazionale non puo' di per se' escludere la potesta' legislativa regionale negli ambiti materiali di competenza concorrente o residuale di cui ai commi III e IV dell'art. 117 Cost. Cio' e' dimostrato dallo stesso elenco delle materie affidate alla competenza concorrente, in cui figurano "i porti e aeroporti civili", le "grandi reti di trasposto e di navigazione", la "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia": materie cioe' che, pur avendo inequivocabilmente dimensione nazionale, appartengono espressamente alla competenza regionale. Senza contare che tutte le altre infrastrutture non menzionate nelle categorie ora citate, che pure possono essere, in qualche misura, di interesse nazionale, debbono essere considerate tra quelle rientranti nella competenza legislativa esclusiva regionale. La scelta del legislatore di revisione costituzionale e' stata, quindi, chiaramente quella di non attribuire al rilievo nazionale dell'opera e agli interessi nazionali da essa soddisfatti, il significato di un fattore di esclusione della potesta' legislativa regionale. Il nuovo testo costituzionale, non prevedendo l'interesse nazionale come limite alla potesta' legislativa delle Regioni, non prevede anche l'esercizio di un generale potere di indirizzo e coordinamento (che, nel contesto costituzionale previgente, costituiva il corollario positivo dell'interesse nazionale). Ed, infatti, la tutela degli interessi nazionali - o ultraregionali - e' espressa, nel nuovo art. 117 Cost., solo in sede di elencazione tassativa dei compiti specificatamente riservati alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato. 2.2. - La palese violazione dell'assetto costituzionale delle competenze legislative dello Stato e delle Regioni risulta evidente anche nell'ipotesi in cui si volesse ammettere che, sulla base ed in forza dell'art. 118, comma I, Cost., si possa riconoscere allo Stato una competenza legislativa ulteriore rispetto ai titoli di legittimazione ricavabili dall'art. 117 Cost. Si tratterebbe, in questa prospettiva, di muovere dalla necessita', in concreto, di attribuire allo Stato determinate funzioni amministrative, in base alla sussistenza di esigenze di "esercizio unitario", secondo "i principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza" e di riconoscere a tal fine una competenza legislativa statale ad hoc - anche in materie di legislazione regionale - destinata ad allocare tali funzioni e a disciplinarne inevitabilmente le modalita' di organizzazione e di esercizio. Una simile ipotesi si pone in contrasto con l'impianto formale e sostanziale dell'art. 117, ne' risulta giustificata in ragione della migliore attuazione possibile dei principi contenuti nell'art. 118. Anche in tale ipotesi, peraltro, l'intervento legislativo dello Stato dovrebbe comunque rispettare almeno due condizioni: a) che risultassero motivate espressamente e puntualmente le specifiche esigenze di esercizio unitario delle funzioni amministrative in grado di giustificarne l'attrazione nella sfera statale, in conformita' ai principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza; b) che fosse rispettato un procedimento di "codecisione paritaria" con le Regioni, in considerazione dell'incidenza diretta dell'intervento normativo statale su ambiti materiali formalmente spettanti al legislatore regionale. La necessita' di rispettare una simile condizione trova conferma nel meccanismo previsto, per le leggi del Parlamento, dall'art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001, nel quale si prevede che la commissione parlamentare per le questioni regionali, integrata con i rappresentanti delle autonomie territoriali, debba sempre esprimere un parere, ad efficacia rinforzata, su tutti i progetti di legge riguardanti le materie di legislazione concorrente e l'autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali. Tale norma costituzionale puo' dare luogo a due diverse interpretazioni (ed entrambe convincono dell'illegittimita' del decreto legislativo impugnato). O si ritiene che l'art. 11 sia direttamente prescrittivo e vincolante, ed allora il decreto legislativo impugnato e' costituzionalmente illegittimo per incostituzionalita' della stessa legge di delega (legge n. 443 del 2001), in quanto approvata in violazione dell'art. 11; e cio' a maggior ragione, poiche' disciplina anche ambiti oggettivi riconducibili alla legislazione residuale delle Regioni. Ovvero si ritiene che la norma abbia carattere meramente facoltizzante, per l'attivazione dello specifico meccanismo contemplato, ma si debba considerare vincolante, in ordine al principio costituzionale ad essa sotteso: la leale collaborazione tra Stato e Regioni; cio', in particolare, sotto il profilo dell'esigenza (opportunamente avvertita dal legislatore di revisione costituzionale) di garantire la partecipazione paritaria delle Regioni a tutti i procedimenti decisionali dello Stato che possano incidere sulle sfere di autonomia costituzionalmente riconosciute; ed in questa ipotesi, e' innegabile la necessita' di adottare, anche per gli atti normativi del Governo, un meccanismo idoneo a tale scopo (il che - nella specie ed illegittimamente - non e' avvenuto). 2.3. - Tutte le disposizioni citate nell'epigrafe del presente motivo sono da considerare costituzionalmente illegittime per le ragioni esposte nei precedenti paragrafi. 2.3.1. - In particolare, si puo' sottolineare l'illegittimita' dell'art. 1, che, nell'ambito del programma che individua le opere strategiche, prevede che siano anche individuate, con intese generali quadro tra Governo e ogni singola Regione, opere per le quali l'interesse regionale e' concorrente con il preminente interesse nazionale (specificando che tale previsione riguarda le infrastrutture non aventi carattere interregionale o internazionale). E' evidente come in tal modo (con previsione che si pone anche al di la' delle indicazioni e dei limiti individuati nella delega legislativa) il Governo sia autorizzato - tramite la necessaria intesa - a interferire nella programmazione, progettazione e realizzazione di opere che ricadono nel territorio della Regione e che sono di interesse regionale. Non si vede, d'altra parte, come sia ammissibile che il legislatore statale possa imporre la procedura derogatoria per tali opere, con conseguente esclusione della legislazione regionale. La lesione della competenza della Regione e' tanto piu' grave, perche' e' sicuramente difficile individuare quali siano le opere in cui l'interesse regionale sia da considerare concorrente con quello statale ed e' comunque inammissibile che tale concorrenza venga individuata sulla base di regole imposte dallo Stato. 2.3.2. - Altrettanto evidente e' la lesione delle competenze legislative regionali che deriva dalla disciplina sulla procedura di approvazione del progetto preliminare dettata dall'art. 3 del decreto impugnato. L'approvazione del progetto preliminare, che implica l'accertamento della compatibilita' ambientale dell'opera e perfeziona ad ogni effetto l'intesa tra Stato e Regione sulla sua localizzazione, e' demandata al CIPE che decide a maggioranza con il consenso, ai fini dell'intesa, del Presidente della Regione che si pronuncia sentiti i comuni. Peraltro, la procedura consente di superare il dissenso della Regione sulla localizzazione dell'opera, attribuendo agli organi statali il potere di deliberare in via definitiva la localizzazione anche in contrasto con la manifestazione di volonta' regionale. La disciplina della procedura di approvazione dei progetti preliminari e della loro localizzazione, in presenza della competenza regionale in materia di "governo del territorio", non puo' essere dettata dal legislatore statale, se non nei suoi principi fondamentali e comunque nel rispetto dei principi di coordinamento e leale cooperazione, che esigono, quantomeno, l'adozione bilaterale della disciplina da applicare. 2.3.3. - Per le stesse ragioni, sono da considerare costituzionalmente illegittime le norme contenute, in particolare, nell'art. 4, sull'approvazione del progetto definitivo delle opere, nell'art. 5, che disciplina le interferenze, nonche' negli artt. 6, 7, 8, 9,10 e 11, che dettano modifiche rilevanti alla disciplina degli appalti e delle concessioni di lavori pubblici. Tali discipline rientrano in materie di competenza legislativa residuale della Regione, ne' le norme dettate dal decreto legislativo impugnato si limitano a fissare principi fondamentali o norme autoapplicative cedevoli. 2.3.4. - Anche gli artt. 17, 18, 19 e 20 sono costituzionalmente illegittimi per la parte in cui dettano una disciplina derogatoria della procedura di valutazione d'impatto ambientale di opere ed infrastrutture che, invece, sono sottoposte a procedure di VIA affidate alla disciplina regionale (art. 40; legge n. 146 del 1994; d.P.R. 12 aprile 1996; delib. Giunta reg. Marche 31 luglio 2001, n. 1829). Le deroghe alla disciplina statale e regionale si pongono in palese contrasto sia con la competenza trasversale che spetta alle Regioni nel settore della tutela dell'ambiente (Corte cost., n. 407 del 2002), sia con la conseguente competenza regionale nel disciplinare gli strumenti attuativi della tutela dell'ambiente dettati dal legislatore comunitario (cfr. direttive n. 337 del 1985 e n. 11 del 1997), cosi' come previsto dall'art. 117, comma V, Cost. 3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 15 del decreto legislativo 20 agosto 2002. n. 190, per lesione della sfera di competenza regolamentare regionale, particolarmente per violazione dell'art. 117, comma VI, Cost. 3.1. - L'art. 15 del decreto impugnato attribuisce al Governo una potesta' normativa diretta alla modificazione e integrazione di tutti i regolamenti di esecuzione e di attuazione della legge n. 109 del 1994. I regolamenti emanati ai sensi di tale disposizione avrebbero l'effetto di abrogare o derogare, dalla loro entrata in vigore, tutte "le norme di diverso contenuto precedentemente vigenti nella materia". Oggetto di tali regolamenti, secondo i commi I e III dell'art. 15, e' in sostanza l'integrazione, il completamento e la modifica della disciplina esecutiva ed attuativa delle norme in materia di appalti di opere pubbliche. La disposizione si pone in evidente contrasto con quanto stabilito dall'art. 117, comma VI, Cost., che fissa una ripartizione rigida della potesta' regolamentare. Allo Stato la potesta' regolamentare spetta solo nelle materie di legislazione esclusiva statale; alle Regioni spetta, invece, "in ogni altra materia". Poiche' e' impossibile ricondurre l'oggetto della disciplina del decreto impugnato alle materie elencate nell'art. 117, comma II, Cost., e' altrettanto innegabile che la potesta' regolamentare, in tale ambito disciplinare, deve essere riconosciuta solo alla Regione. 3.2. - L'illegittimita' dell'art. 15 del decreto legislativo impugnato non puo' essere superata sostenendo che lo Stato avrebbe un potere generale di dettare norme regolamentari, nelle materie diverse da quelle di legislazione esclusiva, a condizione che tali norme risultino "cedevoli" rispetto alla successiva emanazione di regolamenti regionali. Infatti, l'art. 15, comma I, prevede espressamente che i futuri regolamenti statali debbano applicarsi alle Regioni, Province autonome, Province, Citta' metropolitane, comuni, e loro concessionari ed appaltatori per quanto attiene alle "procedure di intesa per l'approvazione dei progetti e di aggiudicazione delle infrastrutture", mentre per tutto quanto non pertinente a tali procedure l'applicabilita' dei regolamenti statali, nei confronti dei soggetti indicati, dovrebbe essere limitata "sino alla data di entrata in vigore di diversa normativa regionale". Sotto questo profilo, e' evidente che l'art. 15 esclude espressamente la "cedevolezza" dei regolamenti statali, violando cosi' irrimediabilmente le attribuzioni costituzionali della Regione in tema di autonomia regolamentare. 3.3. - L'art. 15 del d.lgs. n. 190 del 2002 e' altresi' costituzionalmente illegittimo anche nella parte in cui stabilisce che i regolamenti che il Governo dovra' emanare possano determinare, a partire dalla loro entrata in vigore, l'abrogazione o la deroga di tutte "le norme di diverso contenuto precedentemente vigenti nella materia". E' evidente l'illegittimita' di una previsione che consente al Governo, mediante l'esercizio del potere regolamentare, di incidere sulla legislazione regionale preesistente. Cio' costituisce senz'altro una palese violazione non soltanto del principio attualmente espresso dall'art, 117, comma VI, Cost., ma anche di quanto gia' ripetutamente affermato da questa Corte anche nella vigenza della precedente disciplina costituzionale (ad es. sent. n. 482 del 1995). 4. - Illegittimita' costituzionale degli artt. 1, commi I, II e V; 2; 3, commi I, II, IV, V, VI, VII, VIII e IX; 4, commi III, IV e V; 5; 7, comma IV; 8, commi I, IV, e V; 13, commi I, III, IV, V e VI: 16, comma III; 17, commi III e IV; 18, commi III, IV, V e VI; 19, comma II; 20, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, per lesione della sfera di competenza amministrativa regionale, particolarmente per violazione dell'art. 118 Cost. 4.1. - Le disposizioni impugnate attribuiscono funzioni amministrative ad organi dell'amministrazione statale. In proposito, l'art. 118, comma I, Cost. stabilisce che "le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Citta' metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza". La norma costituzionale non contiene un'attribuzione diretta di funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo; fissa, semplicemente, criteri e principi per la ripartizione di tali funzioni da parte dell'ente che risulti, di volta in volta, titolare di una potesta' legislativa nella specifica materia. Di conseguenza, l'art. 118, I comma, costituisce necessario parametro di legittimita' costituzionale di ogni intervento normativo finalizzato ad allocare funzioni amministrative. Tale parametro e' individuato nell'esigenza che sussistano specifiche ragioni di esercizio unitario della funzione, puntualmente motivate in base ai principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, tali da giustificare nei singoli casi l'attrazione della competenza ad un livello di governo superiore rispetto a quello "piu' vicino" al cittadino. Di qui il necessario rigore nel valutare ogni norma dalla quale consegua l'attribuzione delle competenze al livello di governo "piu' lontano" dal cittadino, ossia al livello statale. Vi e' dunque un obbligo per il legislatore, particolarmente per quello statale, di accompagnare qualunque scelta di allocazione di funzioni amministrative ad un livello diverso da quello comunale, con una analisi ed una verifica sostanziale dell'effettiva rispondenza della scelta (pur sempre discrezionale) ai parametri indicati dalla norma costituzionale. Cio' implica che la norma che alloca le funzioni dovra' anche enunciare le circostanze e le finalita' che rendono legittima la scelta effettuata. Nessuna delle disposizioni impugnate' soddisfa tali requisiti, non essendo rinvenibile, neppure implicitamente o indirettamente, alcun riferimento ad una qualunque ragione in grado di giustificare la massiccia e generalizzata attribuzione ad organi statali delle funzioni amministrative relative alla realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici di cui al d.lgs. n. 190 del 2002. 4.2. - Anche nella denegata ipotesi in cui questa Corte volesse ritenere che lo Stato possa autoattribuirsi funzioni amministrative nella materia in oggetto (a prescindere dall'illegittimita' del riconoscimento di una sua potesta' legislativa, denunciata sub 2), senza sottostare ad alcun vincolo formale di espressa indicazione dei presupposti che ne motivano la scelta, le disposizioni impugnate si devono comunque ritenere costituzionalmente illegittime in quanto lesive dei limiti sostanziali che l'art. 118, comma I, stabilisce per la distribuzione delle competenze amministrative nell'ordinamento. Il d.lgs. n. 190 del 2002 si riferisce, come si e' detto, alle attivita' relative alla progettazione, approvazione dei progetti e realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, nonche' all'approvazione dei progetti degli insediamenti produttivi strategici e delle infrastrutture strategiche private di preminente interesse nazionale, individuati a mezzo del programma di cui al comma I dell'art. l della legge 21 dicembre 2001, n. 443. Si tratta, evidentmente, nell'impianto complessivo della legge n. 443 del 2001, di attivita' che trovano fondamento in una decisione di rilievo nazionale formalizzata nel programma delle c.d. "grandi opere"; per tali attivita', peraltro, non e' dato rinvenire alcuna ragione che ne giustifichi l'attrazione ad organi dello Stato centrale, oltretutto con una valutazione della sussistenza dell'interesse regionale meramente eventuale ed affidata comunque ad un organo statale (v. art. 1, comma I, d.lgs. n. 190 del 2002). In altri termini, una volta individuate le "grandi opere" attraverso una valutazione complessiva delle esigenze e dei bisogni dell'intera collettivita' nazionale non si vede alcun motivo per allocare a livello centrale anche il complesso delle funzioni amministrative relative alla loro specifica localizzazione sul territorio e alla loro concreta realizzazione. Tali funzioni, infatti, potrebbero adeguatamente essere svolte dalle amministrazioni preposte alla cura degli interessi che insistono sul territorio regionale, ovviamente garantendo il necessario coordinamento con i competenti organi dello Stato. Anche sotto questo profilo risulta evidente la lesione della sfera di autonomia amministrativa della Regione, nella parte in cui le disposizioni impugnate, non solo attribuiscono ad organi statali funzioni che potrebbero ragionevolmente ed adeguatamente essere esercitate dagli organi regionali, ma limitano il potere di codecisione della Regione attraverso meccanismi che prevedono una compartecipazione formalmente non paritaria, sempre superabile dall'avocazione della decisione finale ad una sede unilaterale statale (si vedano, in particolare, gli articoli 1, commi I e II; 3, commi IV, V, VI, VII e IX; 4, commi III, IV e V; 5; 8, comma IV; 13, commi I, III, IV, V e VI; 17, commi III e IV; 18, commi III, IV, V, e VI del decreto legislativo impugnato). La Regione ricorrente non nega pregiudizialmente l'esigenza di prevedere meccanismi che garantiscano, sia pure nell'ambito di una compartecipazione paritaria di tutti gli enti interessati, la definizione in tempi ragionevolmente certi del processo decisionale; cio' che si contesta - e che risulta costituzionalmente illegittimo - e' che tale risultato sia raggiunto dal decreto impugnato attraverso il mero riconoscimento ad un organo statale della competenza ad adottare la decisione finale in un ambito nel quale le funzioni amministrative possono (e dunque "debbono") essere attribuite alla Regione. 5. - Illegittimita' costituzionale degli artt. 2, commi I, II, lett. d) e f) VI e IX; 9, comma XII; 11, comma II, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, per lesione della sfera di autonomia finanziaria regionale, particolarmente per violazione degli articoli 118 e 119 Cost. 5.1. - Le disposizioni impugnate, per la parte in cui prevedono il finanziamento con risorse reperite dallo Stato di funzioni amministrative che (per quanto argomentato sub 4) dovrebbero spettare alle regioni interessate di volta in volta dall'opera pubblica da realizzare, sono costituzionalmente illegittime per contrasto con l'art. 119, commi I e V. Infatti, il principio dell'autonomia finanziaria (sotto il profilo dell'autonomia di spesa), unitamente alla norma secondo cui "per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni", implica necessariamente che tutte le funzioni amministrative spettanti alle Regioni e diverse da quelle "ordinarie" risultino adeguatamente finanziate attraverso l'attribuzione diretta ai loro bilanci di adeguate risorse senza vincoli sulle modalita' di spesa. 5.2. - Le norme contenute, in particolare, nell'art. 2, commi I, II, lett. d) e nell'art. 9, comma XII, violano altresi' l'art. 119 Cost., per la parte in cui impongono oneri finanziari a carico delle Regioni con grave ed irragionevole limitazione della loro autonomia di spesa, oltretutto senza indicare la fonte di finanziamento di tali spese. Nella realizzazione delle grandi opere, infatti, e' ammissibile che vi sia un interesse dello Stato a garantire il conseguimento del risultato finale complessivo; cio' che e' costituzionalmente inammissibile e' la limitazione dell'autonomia regionale sulle modalita' e gli strumenti per la realizzazione in concreto degli obiettivi da perseguire. 5.3. - In ogni caso, le norme impugnate individuano meccanismi di finanziamento che prescindono da ogni compartecipazione decisionale delle Regioni interessate, prevedendo esclusivamente la decisione unilaterale da parte di organi dello Stato centrale. Anche l'art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001 - come gia' esposto sopra sub 2.2. - implica la vigenza di un principio costituzionale - espressione del piu' generale principio di leale collaborazione tra Stato e autonomie territoriali - secondo il quale e' necessario garantire forme di compartecipazione paritaria in ogni processo decisionale che possa incidere sull'autonomia finanziaria degli enti titolari di autonomia costituzionale. E' evidente, infatti, che la decisione unilaterale dello Stato concernente le risorse finanziarie, indipendentemente dal "favore" che in concreto essa possa esprimere nei confronti degli enti territoriali, costituisce di per se' limitazione della loro autonomia costituzionalmente riconosciuta. 6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2. comma VII, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, per lesione della sfera di autonomia amministrativa regionale, particolarmente per violazione degli articoli 118 e 120, comma II, Cost. 6.1. - La norma impugnata, oltre che per i motivi indicati sub 4, e' costituzionalmente illegittima per la parte in cui prevede la possibilita' di abilitare Commissari straordinari ad adottare atti di qualunque natura, anche in deroga alla normativa vigente, in sostituzione dei soggetti istituzionalmente competenti, tra i quali certamente e' da ricomprendere la Regione (tali Commissari, infatti, potrebbero essere attivati anche con riferimento alle opere di competenza regionale). La previsione di tale potere sostitutivo prescinde del tutto dai limiti e dai requisiti espressamente contemplati nell'art. 120, comma II, Cost., che abilita il solo Governo a sostituirsi agli organi della Regione, in presenza di presupposti tassativamente enumerati e soltanto in forza di una legge che definisca le procedure idonee a garantire il rispetto dei principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione. 7. - Illegittimita' costituzionale degli articoli 1, comma I; 3, commi V e VI; 4, comma V; e 13, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, per violazione dell'art. 76 Cost. anche sotto il profilo della conseguente lesione delle sfere di autonomia legislativa e amministrativa regionale, di cui agli articoli 117 e 118 Cost. 7.1. - L'art. 1, comma I, eccede l'ambito oggettivo ed i limiti imposti dalla legge di delegazione n. 443 del 2001, per la parte in cui stabilisce che "nell'ambito del programma di cui al comma 1 dell'art. 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sono altresi' individuate, con intese generali quadro tra il Governo e ogni singola regione o provincia autonoma, le opere per le quali l'"interesse regionale e' concorrente con il preminente interesse nazionale". Infatti, l'art. 1, comma I, della legge di delega, contenente la disciplina del programma di individuazione delle "grandi opere", non costituisce affatto una disposizione di delega legislativa ma si presenta, bensi', come norma direttamente applicabile. La delega, cui il Governo da' attuazione con il d.lgs. n. 190 del 2002 e' contenuta piuttosto nel comma II, dell'art. 1, della legge n. 443 del 2001, dove, tuttavia, l'oggetto affidato alla potesta' legislativa del Governo non e' il programma di individuazione delle opere ma la "definizione di un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma I". La lettera della norma e' chiarissima nell'escludere che la disciplina del programma delle "grandi opere" possa considerarsi oggetto della delega. Pertanto la norma impugnata, che riconosce un potere di individuare, nell'ambito del programma, la categoria (del tutto nuova rispetto a quanto previsto dalla legge n. 443 del 2001) delle "opere di interesse regionale concorrente con il preminente interesse nazionale", eccede senza dubbio la competenza legislativa delegata al Governo e dunque viola le sfere di autonomia della Regione anche in relazione alla violazione dell'art. 76 Cost. Per le stesse ragioni, sono illegittime le norme contenute negli articoli 3, comma VI, e 4, comma V, per la parte in cui presuppongono la esistenza della categoria delle "opere di interesse regionale concorrente con il preminente interesse nazionale", cosi' come individuate ai sensi dell'art. 1, comma I. 7.2. - L'art. 3, comma V, prevede che il progetto preliminare non venga sottoposto a conferenza di servizi. Tale previsione contrasta palesemente con quanto stabilito, tra i principi e criteri direttivi della delega, dall'art. 1, comma II, lett. d), della legge n. 443 del 2001, in base al quale il Governo avrebbe dovuto provvedere ad una semplice "modificazione della disciplina in materia di conferenza di servizi", garantendo in ogni caso la facolta' di tutte le amministrazioni competenti proporre nella stessa conferenza prescrizioni e varianti migliorative del progetto presentato. L'evidente eccesso di delega si ripercuote chiaramente in una menomazione delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute alle Regioni e, pertanto, la Regione ricorrente e' da ritenere senz'altro legittimata a proporne la relativa censura con il presente ricorso. 7.3. - Anche l'art. 13 e' costituzionalmente illegittimo, sotto gli stessi profili sopra denunciati sub 7.1. e 7.2.; per la parte in cui presuppone la esistenza della categoria delle "opere di interesse, regionale concorrente con il preminente interesse nazionale", cosi' come individuate ai sensi dell'art. 1, comma I; e per la parte in cui estende la disciplina contenuta negli articoli 3 e 4 alla realizzazione degli insediamenti produttivi e delle infrastrutture provate strategiche e dunque ribadisce la mancata sottoposizione dei progetti alla conferenza dei servizi, si pone in contrasto con la legge di delega e costituisce sicura lesione delle sfere di autonomia regionale per i medesimi motivi indicati al punto precedente 8. - Illegittimita' costituzionale degli articoli 3, 4, 17, 18, 19 e 20, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, per violazione degli articoli 9 e 32 Cost., sotto il profilo della primarieta' da riconoscere al valore costituzionale "ambiente", con conseguente lesione delle sfere di autonomia legislativa e amministrativa regionale, di cui agli articoli 117 e 118 Cost. 8.1. - Le disposizioni impugnate prevedono una disciplina speciale per le procedure di valutazione di impatto ambientale relative alle grandi opere contemplate nel d.lgs. n. 190 del 2002. In particolare, vengono stabiliti: termini rigidi e assai ridotti sia per la predisposizione degli studi di impatto da parte dei soggetti proponenti, sia per l'istruttoria, sia per la pronuncia definitiva sulla compatibilita' ambientale dell'opera; semplificazioni e alleggerimenti procedurali delle attivita' infraprocedimentali; l'accentramento generalizzato in capo ad organi statali delle decisioni finali con coinvolgimento meramente eventuale e formale delle autonomie regionali interessate. Il sistema cosi' delineato rende evidente, in primo luogo, la totale estromissione delle Regioni da quel ruolo sostanziale ed ineliminabile nell'attuazione del valore costituzionale ambiente che questa Corte ha da sempre riconosciuto loro e che avuto modo di confermare nella sentenza n. 407 del 2002; in secondo luogo, la degradazione dell'interesse ambientale da valore costituzionale primario "insuscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro" (sent. n. 151 del 1986), che - in quanto tale - impone non un vincolo di risultato ma una ponderazione procedimentale rafforzata, ad interesse la cui rappresentazione nel processo decisionale puo' essere parziale e prescindibile in ragione dell'urgenza e del carattere a priori "strategico" di una determinata opera pubblica.