ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 197, comma 1, lettera b), e 197-bis, comma 1, del codice di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dalla Corte di assise di Catanzaro con ordinanza del 23 ottobre 2001, iscritta al n. 84 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, 1a serie speciale, dell'anno 2002. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 25 settembre 2002 il giudice relatore Guido Neppi Modona. Ritenuto che la Corte di assise di Catanzaro ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 197, comma 1, lettera b), e 197-bis, comma 1, del codice di procedura penale, "nella parte in cui rispettivamente non prevedono: che non possono essere assunte come testimoni le persone imputate di un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b), prima che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere per difetto di querela; che l'imputato di un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b), puo' essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti e' stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere per difetto di querela"; che la Corte rimettente, che procede per il reato di omicidio volontario aggravato, premette che il pubblico ministero ha chiesto l'audizione di un soggetto che aveva "reso, nel corso delle indagini, dichiarazioni di sicuro rilievo ai fini della ricostruzione dei fatti portati all'esame della Corte", nei cui confronti il giudice per leindagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Catanzaro aveva pronunciato, nel febbraio 1998, decreto di archiviazione per concorso nel reato di omicidio poi contestato all'attuale imputato e, successivamente, sentenza di non luogo a procedere per difetto di querela con riferimento ad un reato di lesioni personali probatoriamente collegato a quello per il quale si procede; che la rimettente precisa che la rilevanza della questione sarebbe "evidentemente assorbita ove si ravvisassero, nei confronti dello stesso soggetto, altri profili di incompatibilita' a testimoniare", ma ritiene che non trovi applicazione nel caso in esame il disposto di cui all'art. 197, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. (secondo cui non possono assumere la veste di testimoni i coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444, cod. proc. pen., in quanto la persona di cui il pubblico ministero ha chiesto l'audizione non "riveste ne' la qualita' di coimputato [...], ne', avendola perduta a seguito dell'archiviazione [...], quella di coindagato del medesimo reato o in un procedimento connesso"; che in particolare, a parere della rimettente, nonostante il disposto dell'art. 61, cod. proc. pen., l'incompatibilita' sancita dall'art. 197, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., non opererebbe nel caso di specie in forza: della portata letterale delle disposizioni citate che, menzionando, rispettivamente, "la persona sottoposta alle indagini preliminari" - con inequivoco riferimento all'attualita' di detta sottoposizione a indagine - e i "coimputati del medesimo reato" o le "persone imputate in un procedimento connesso", non possono essere estese agli ex indagati, del divieto di analogia che l'art. 14 preleggi detta in materia di norme eccezionali; di quanto recentemente affermato dalla Corte di cassazione che, nella sentenza n. 25564 del 2 maggio 2001, ha ritenuto che "l'intervenuta archiviazione del procedimento probatoriamente collegato produce l'effetto di dissolvere l'incompatibilita' a testimoniare"; del costante insegnamento della giurisprudenza di legittimita', in base al quale, avendo le disposizioni concernenti l'incompatibilita' a testimoniare natura eccezionale, non e' consentito escludere l'obbligo di testimonianza sulla base di un'interpretazione in contrasto con la lettera della legge; della circostanza che "l'ex indagato, al pari del soggetto mai indagato, risulta adeguatamente garantito dal rischio di autoincriminazione, in forza delle disposizioni di cui agli articoli 198, comma 2, e 63, comma 1, cod. proc. pen."; che pertanto la persona indicata nelle liste del pubblico ministero non potrebbe essere assunta come testimone nel giudizio a quo soltanto per effetto del combinato disposto degli artt. 197, comma 1, lettera b), e 197-bis comma 1, cod. proc. pen., e cioe' perche' la sentenza di non luogo a procedere per difetto di querela per il reato di lesioni, probatoriamente collegato a quello per cui si procede, non e' irrevocabile; che, nel merito, la rimettente osserva che le disposizioni censurate, introdotte con la legge che ha dato attuazione ai principi del giusto processo, prevedono che l'imputato di reato collegato non puo' assumere la veste di testimone prima che nei suoi confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena, mentre dopo la pronuncia di una sentenza irrevocabile il "consolidamento della vicenda processuale" costituirebbe il "fondamento logico-giuridico" della "riespansione del generale dovere di testimoniare"; che la ratio della disciplina starebbe nel fatto che l'imputato di reato collegato, una volta che sia stato definitivamente giudicato, non sarebbe piu' "esposto ad alcun pregiudizio in conseguenza delle dichiarazioni rese come testimone", anche perche' assistito dalle ulteriori garanzie di cui all'art. 197-bis commi 4 e 5, cod. proc. pen; che in tale contesto normativo, che ha sostanzialmente ridotto l'area di operativita' del diritto al silenzio, l'esclusione dell'incompatibilita' a testimoniare soltanto per coloro nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, condanna o patteggiamento, e non anche per l'imputato che abbia definito la sua posizione in udienza preliminare con sentenza di non luogo a procedere per difetto di querela, realizzerebbe "un'ingiustificata e, quindi, irragionevole disparita' di trattamento fra "tipi" diversi di imputati di reato collegato, [...] nonostante tutti siano "tutelati" dal rischio di autoincriminazioni, in virtu' di pronunce aventi lo stesso grado di "resistenza"; che sarebbe infatti "evidente come la sentenza di non luogo a procedere per difetto di querela sia caratterizzata, al pari delle altre pronunce sopra richiamate, dall'immodificabilita' della definizione della posizione processuale del dichiarante", il quale non potrebbe ricevere alcun pregiudizio dalle risultanze dell'esame dibattimentale sostenuto nella veste di testimone, dal momento che in difetto della condizione di procedibilita' non sarebbe neppure astrattamente ipotizzabile la revoca ex art. 434, cod. proc. pen., della sentenza di non luogo a procedere; che la posizione del dichiarante sarebbe comunque pienamente garantita dal comma 5 dell'art. 197-bis dello stesso codice; che la disciplina censurata violerebbe anche gli artt. 24, 111 e 112 Cost., in quanto, "apprestando ad alcuni soggetti una garanzia (quella di non testimoniare), senza che [...] ve ne sia necessita' [...], frustra l'effettivita' della funzione del processo penale, preordinato all'accertamento della verita' ed alla punizione del colpevole, in assenza di un prevalente interesse di pari rango costituzionale"; che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata; che ad avviso dell'Avvocatura la diversita' di trattamento riservata dagli artt. 197, comma 1, lettera b), e 197-bis comma 1, cod. proc. pen. ai diversi tipi di imputati di reato connesso o collegato appare piu' che giustificata alla luce della ratio della disciplina in materia di testimonianza, connotata da una individuazione dei soggetti cui viene riconosciuta la facolta' di non rispondere fondata sulla necessita' di evitare il rischio che la dichiarazione sul fatto altrui possa risolversi in dichiarazione sul fatto proprio a causa della "stretta interdipendenza fra la posizione processuale di testimone [...] e quella di ex imputato connesso/collegato"; che a parere dell'Avvocatura la mancata inclusione della sentenza di non luogo a procedere tra le ipotesi di cui alle disposizioni censurate discenderebbe dalla natura di "debole schermo processuale" di tale sentenza, revocabile ex art. 434, cod. proc. pen., anche nell'ipotesi presa in esame dalla rimettente in cui sia stata pronunciata per difetto di querela. Considerato che la Corte di assise di Catanzaro, al di la' del tenore formale delle questioni, dubita della legittimita' costituzionale degli artt. 197, comma 1, lettera b), e 197-bis, comma 1, cod. proc. pen., in quanto prevedono che il soggetto, gia' imputato di un reato probatoriamente collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen., possa essere sentito come testimone soltanto dopo che nei suoi confronti e' stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena, e non anche quando nei suoi confronti e' stata pronunciata in udienza preliminare sentenza di non luogo a procedere per mancanza di querela; che ad avviso del giudice a quo tale disciplina si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 112 Cost., in quanto la sentenza di improcedibilita' per difetto di querela pronunciata nell'udienza preliminare sarebbe sostanzialmente immodificabile al pari di quella dibattimentale e dovrebbe pertanto essere equiparata - quantomeno ai fini del venire meno dell'incompatibilita' a testimoniare - alla sentenza irrevocabile di proscioglimento menzionata negli artt. 197, comma 1, lettera b), e 197-bis, comma 1, cod. proc. pen; che, quanto alla rilevanza, la Corte rimettente precisa che la questione sarebbe irrilevante ove nei confronti del soggetto di cui e' stata chiesta l'assunzione come testimone si profilassero altri motivi di incompatibilita'; che nel caso di specie tale soggetto riveste la doppia qualita' di ex indagato per il medesimo reato di omicidio contestato all'imputato contro cui si procede, in quanto nei suoi confronti e' stato emesso provvedimento di archiviazione, e di ex imputato per il reato di lesioni, probatoriamente collegato al reato di omicidio per cui e' stato chiamato a deporre come testimone, in quanto nei suoi confronti e' stata emessa in udienza preliminare sentenza di non luogo a procedere per difetto di querela; che, ad avviso della Corte rimettente, la posizione della persona sottoposta a indagini per il medesimo reato, nei cui confronti e' stato pronunciato provvedimento di archiviazione, non rientrerebbe tra i casi per i quali l'art. 197, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., prevede l'incompatibilita' ad assumere l'ufficio di testimone, posto che, da un lato, gli artt. 61, comma 1, e 197, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., menzionando, rispettivamente, la persona sottoposta alle indagini e i coimputati del medesimo reato, presuppongono l'attualita' di tali posizioni, e, dall'altro, il carattere eccezionale dei divieti di assumere l'ufficio di testimone non consente di estenderne la portata a chi non riveste piu' la qualita' di indagato o imputato; che a sostegno di questa impostazione il giudice a quo richiama il "costante insegnamento della giurisprudenza di legittimita'", citando, tra l'altro, la sentenza della Corte di cassazione, sezione sesta penale, n. 25564 del 22 giugno 2001; che la Corte rimettente omette pero' di considerare che tale decisione si riferisce esclusivamente al provvedimento di archiviazione pronunciato per un reato probatoriamente collegato ex art. 197, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., nel testo in vigore prima delle modifiche apportate dalla legge n. 63 del 2001, e non anche alla situazione, oggetto del giudizio a quo e prevista dall'art. 197, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., della persona indagata del medesimo reato; che il giudice a quo trascura inoltre di prendere in considerazione le pronunce di questa Corte, in particolare le sentenze n. 108 del 1992 e n. 294 del 2000 in tema di rapporti tra incompatibilita' a testimoniare e provvedimento di archiviazione, dalle quali, sempre con riferimento al quadro normativo precedente alla legge n. 63 del 2001, emerge la peculiarita' della posizione dell'"archiviato" per il reato probatoriamente collegato; che non avere tenuto conto che la giurisprudenza di legittimita' menzionata e quella costituzionale riferivano "l'effetto di dissolvere l'incompatibilita' ad assumere l'ufficio di testimone" esclusivamente all'ipotesi dell'archiviazione per un reato probatoriamente collegato e, piu' in generale, non avere compiuto alcuna verifica sulla compatibilita' della tesi interpretativa sostenuta con il quadro normativo risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 63 del 2001 alla disciplina del diritto al silenzio e alle ipotesi di incompatibilita' ad assumere l'ufficio di testimone previste dall'art. 197, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., si traduce in un difetto di motivazione sul presupposto sul quale si basa la rilevanza della questione; che la questione va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.