ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 500, comma 4,
513  e  210,  comma  5,  del codice di procedura penale, promosso con
ordinanza   del   18 febbraio   2002  dal  Tribunale  di  Novara  nel
procedimento penale a carico di A.M. ed altri, iscritta al n. 287 del
registro  ordinanze  2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 26, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Udito  nella  camera  di consiglio del 23 ottobre 2002 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con ordinanza emessa il 18 febbraio 2002 nel corso
di  un  procedimento  penale  relativo  a  fatti  di  corruzione,  il
Tribunale  di Novara ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo
comma,   e  111,  quinto  comma,  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale  degli  artt. 500,  comma  4, 513 e 210,
comma  5,  del  codice  di  procedura penale, "nella parte in cui non
prevedono   l'acquisizione  e  l'utilizzabilita'  dei  verbali  delle
dichiarazioni utilizzate per le contestazioni nei casi in cui risulti
provato  che il testimone ha reso in dibattimento dichiarazioni false
o reticenti";
        che  il  giudice  a  quo premette, in punto di fatto, che una
persona   gia'   imputata  in  procedimento  connesso  -  sentita  in
dibattimento   nella   veste   di   "testimone  assistito"  ai  sensi
dell'art. 197-bis   cod.  proc.  pen.,  avendo  definito  la  propria
posizione  con  sentenza  irrevocabile  di applicazione della pena ex
art. 444 cod. proc. pen. - era risultata palesemente reticente, tanto
da  indurre il Tribunale a trasmettere gli atti al pubblico ministero
affinche'  procedesse  nei  suoi  confronti  per  il  reato  di falsa
testimonianza, di cui all'art. 372 cod. pen;
        che   la   configurabilita'   di  tale  ipotesi  criminosa  -
ulteriormente  avvalorata  da  successive risultanze dibattimentali -
non   legittimerebbe,   peraltro,  l'acquisizione  al  fascicolo  del
dibattimento  e  l'utilizzazione  ai fini della decisione dei verbali
delle  dichiarazioni  rese  dal  testimone  nel  corso delle indagini
preliminari ed utilizzate per le contestazioni;
        che   l'acquisizione   e   l'utilizzazione   anzidette   sono
consentite,  infatti,  dall'art. 500,  comma  4, cod. proc. pen. solo
quando  risulti  che  il  testimone  e'  stato sottoposto a violenza,
minaccia,  offerta o promessa di denaro o di altra utilita' affinche'
non  deponga  o  deponga  il  falso,  e  non anche nel caso in cui la
deposizione  falsa  o  reticente  sia  frutto  di  libera  scelta del
testimone medesimo;
        che  per  tale  aspetto,  tuttavia, l'art. 500, comma 4, cod.
proc.  pen. - richiamato dagli artt. 513 e 210, comma 5, del medesimo
codice  -  si  porrebbe  in  contrasto  con l'art. 111, quinto comma,
Cost.,  che demanda alla legge ordinaria di regolare i casi in cui la
formazione  della  prova non ha luogo in contraddittorio "per effetto
di provata condotta illecita";
        che  il riferimento alla "condotta illecita", contenuto nella
norma costituzionale, non potrebbe ritenersi infatti limitato ai soli
comportamenti  dei  terzi  che  influiscono  sulla  libera scelta del
testimone,   ma  risulterebbe  al  contrario  comprensivo  anche  del
comportamento  autonomamente  tenuto da quest'ultimo in dibattimento,
posto  che  la  condotta  illecita  verrebbe  in considerazione quale
causa,  non  gia'  della  testimonianza  falsa  o  reticente,  quanto
piuttosto    della    deroga   alla   formazione   della   prova   in
contraddittorio;
        che,  inoltre,  il diverso trattamento dell'ipotesi in cui la
falsa   testimonianza   consegua  a  violenza  o  minaccia  ovvero  a
subornazione  del  teste, rispetto a quella in cui essa sia dovuta ad
una  scelta  del teste non determinata da tali condotte, risulterebbe
del  tutto  irragionevole,  in  quanto l'"inquinamento probatorio" si
realizzerebbe comunque, a prescindere dai motivi che hanno indotto il
testimone a tacere o a mentire.
    Considerato  che  questa Corte, scrutinando analoga questione, ha
gia'  avuto  modo  di  escludere  che l'art. 500, comma 4, cod. proc.
pen. contrasti  con  i  parametri costituzionali evocati dall'odierno
giudice rimettente, nella parte in cui consente di utilizzare in modo
pieno  le  dichiarazioni  precedentemente rese dal testimone soltanto
nei casi di subornazione ovvero di violenza o minaccia esercitate sul
testimone  stesso,  e  non  anche  quando  la  sua deposizione appaia
integrativa  del  reato di falsa testimonianza (cfr. ordinanza n. 453
del 2002);
        che,  al  riguardo,  questa  Corte ha in particolare chiarito
come - contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente - l'art. 111,
quinto  comma,  Cost.,  nel prefigurare una deroga al principio della
formazione  della  prova  in  contraddittorio "per effetto di provata
condotta  illecita",  abbia  inteso  riferirsi  alle  sole  "condotte
illecite"  poste  in  essere "sul" dichiarante (quali la violenza, la
minaccia  o  la  subornazione), e non anche a quelle realizzate "dal"
dichiarante stesso in occasione dell'esame in contraddittorio (quale,
in primis la falsa testimonianza, anche nella forma della reticenza):
e cio' alla luce sia della ratio del precetto costituzionale, che del
suo  necessario  coordinamento  con la previsione del secondo periodo
del  quarto  comma  del  medesimo  art. 111,  che  immediatamente  lo
precede;
        che  questa Corte ha rilevato, altresi', come l'eterogeneita'
delle situazioni poste a confronto - intimidazione o subornazione che
coarta  od  orienta  ab  externo  l'atteggiamento  dibattimentale del
testimone,   da   un   lato;  libera  scelta  del  teste  di  rendere
dichiarazioni non veritiere o di tacere in dibattimento, dall'altro -
renda  palese  l'insussistenza  della  dedotta violazione dell'art. 3
Cost.
        che  il  giudice  a  quo  non prospetta argomenti ulteriori e
diversi rispetto a quelli gia' esaminati;
        che    la   questione   deve   essere   dichiarata   pertanto
manifestamente infondata.
    Visti  gli artt. 26, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e
9,  secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.