LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso proposto da:
Aldo  Boffa,  domiciliato  in Roma, viale delle Medaglie d'Oro n. 29,
presso  1'avv.  prof. Sergio Ferrari, che lo rappresenta e difende in
virtu' di procura a margine del ricorso, ricorrente;
    Contro   Alfonso  Perrone,  elettivamente  domiciliato  in  Roma,
Lungotevere  Flaminio  n. 46, IV B (studio del dott. Gianmarco Grez),
presso gli avv. Felice LauDadio e Carlo Russo, che lo rappresentano e
difendono   in   virtu'  di  procura  a  margine  del  controricorso,
controricorrente;
    Nonche'  Regione  Campania,  presidente  del  consiglio regionale
della  Campania,  procuratore  generale  della  Repubblica  presso la
Cassazione, intimati;
    avverso  la sentenza della Corte d'appello di Napoli n. 1069/2002
depositata il 3 aprile 2002, notificata il 12 aprile 2002.
    Udita  la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
30 settembre 2002 dal relatore cons. dott. Giuseppe Marziale;
    Uditi, per le parti, gli avvocati Ferrari e Laudadio;
    Udito  il  p.m.,  in  persona  del sostituto procuratore generale
dott.  Fulvio  Uccella,  il  quale ha concluso per il rinvio, come da
istanza del ricorrente, ovvero per il rigetto del ricorso.

                          Ritenuto in fatto

    Che  con  sentenza 2295/1999 il Tribunale di Napoli dichiarava il
sig.  Aldo Boffa colpevole dei reati di cui agli artt. 110, 318 e 321
codice  penale,  ascrittigli nella qualita' di assessore alle acque e
agli  acquedotti  della  Regione Campania, condannandolo alla pena di
anni uno e mesi quattro di reclusione;
    che,  a  seguito  di  tale condanna, il 22 giugno 2001 la regione
conveniva   in   giudizio   il  Boffa,  chiedendone  la  condanna  al
risarcimento  dei  danni  arrecati  alla  propria  immagine  dal  suo
comportamento delittuoso, accertato in sede penale;
    che  il 9 novembre 2001, il signor Alfonso Perrone, primo dei non
eletti  nella  lista  presentata  dal  Partito Democratico Cristiano,
conveniva  a  sua  volta  in  giudizio  il  Boffa,  chiedendo che, in
considerazione  della  pendenza  di quel giudizio, fosse accertata la
sua   decadenza   dalla   carica   di   consigliere   regionale   per
"incompatibilita'", ai sensi degli artt. 3, n. 4 e 6, legge 23 aprile
1981, n. 154;
    che  la  domanda  era  accolta  dal tribunale con sentenza del 18
dicembre 2001;
    che l'appello del Boffa veniva respinto dalla Corte territoriale;
    che  il  ricorrente ha chiesto la cassazione di tale sentenza con
tre motivi di ricorso;
    che  il  Perrone  resiste,  mentre  gli  altri intimati non hanno
svolto alcuna attivita' difensiva;
    che  il  18 settembre 2002 il ricorrente ha presentato istanza di
rinvio, deducendo l'imminenza dell'approvazione, da parte del Senato,
del  disegno  di  legge  di  origine  parlamentare  A.S.  1517,  gia'
approvato dalla Camera dei deputati (A.C. 2284), diretto ad estendere
ai  consiglieri  regionali  la  disciplina dettata dall'art. 3-ter 22
febbraio  2002, n. 13 (convertito nella legge 24 aprile 2002, n. 75),
il   quale   stabilisce,  in  relazione  ai  consiglieri  comunali  e
provinciali e con effetto anche rispetto ai giudizi in corso, che "la
lite  promossa  a  seguito  di  o  conseguente a sentenza di condanna
determina  incompatibilita'  soltanto  in  caso  di  affermazione  di
responsabilita'   con  sentenza  passata  in  giudicato",  precisando
inoltre  che "la costituzione di parte civile nel processo penale non
costituisce causa di incompatibilita'".

                       Considerato in diritto

    Che  la  richiesta  di  rinvio,  ribadita dal difensore nel corso
della  discussione  non  puo' essere accolta, dovendo le cause essere
decise in base alle norme in vigore al momento della decisione, salva
restando l'incidenza di eventuali disposizioni sopravvenute;
    che, d'altro canto, la concessione di detto rinvio contrasterebbe
con il particolare carattere delle controversie in materia elettorale
contemplate dagli artt. 82 e segg., d.p.r. 16 maggio 1960, n. 570, da
ritenersi  "urgenti"  per  espressa  valutazione  e definizione dello
stesso legislatore (Cass. 12 maggio 1992, n. 5625);
    che  il ricorrente censura, sotto molteplici profili, la sentenza
impugnata   per  aver  ritenuto  applicabile,  nel  caso  di  specie,
l'art. 3,  n. 4,  il  quale,  nel  testo in vigore, ricomprende tra i
soggetti   che   non  possono  ricoprire  la  carica  di  consigliere
"regionale"  anche  coloro  che hanno "lite pendente" con la regione,
"in quanto parte in un procedimento civile o amministrativo";
    che  tale  disposizione, che nella sua formulazione originaria si
riferiva    anche    ai    consiglieri   "provinciali,   comunali   o
circoscrizionali", e' stata, a tale riguardo, abrogata dall'art. 274,
d.lgs.  18  agosto 2000, n. 267, recante il (nuovo) testo unico delle
disposizioni sugli enti locali;
    che  le  incompatibilita'  di  tali  soggetti  sono  ora regolate
dall'art. 63 di detto decreto;
    che  detta  disciplina, originariamente dettata, per la parte che
viene  in considerazione nel presente giudizio, in termini identici a
quelli  prevista  dall'art.  3,  n. 4,  legge  n. 154/1981,  e' stata
successivamente    modificata,    nei    sensi    sopra    precisati,
dall'art. 3-ter, d.l. n. 13/2002;
    che  a  seguito  di  tale  innovazione,  che ha riguardato solo i
consiglieri  comunali  e  provinciali,  si  e'  creata,  a livello di
legislazione statale, destinata a rimanere in vigore fino a quando le
sue  disposizioni  non  saranno sostituite dalla normativa regionale,
una  sia  pur transitoria diversita' di regime nella regolamentazione
delle incompatibilita', idonea a determinare, tra i tali soggetti e i
consiglieri  regionali,  disparita'  di trattamento che, ad una prima
sommaria  delibazione,  appare  arduo  non considerare arbitrarie (e,
come  tali,  non lesive del principio di uguaglianza formale, sancito
dall'art.   3,  primo  comma,  Cost.)  tenuto  conto  delle  profonde
affinita' ravvisabili nelle situazioni poste a raffronto;
    che  e',  quindi,  non  manifestamente  infondato  il  dubbio che
l'art. 3,  primo  comma, n. 4, legge 23 aprile 1981, n. 154, si ponga
in contrasto con il citato art. 3, primo comma, Cost., nella parte in
cui,   nell'individuare,   quale   causa   di   incompatibilita'  dei
consiglieri  regionali  l'esistenza  di  una  lite  pendente  con  la
regione,  non  prevede  -  a  differenza  di  quanto  stabilito per i
consiglieri  comunali  e provinciali dall'art. 63, primo comma, n. 4,
d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (cosi' come modificato dall'art. 3-ter,
d.l.  22  febbraio  2002, n. 22, convertito, con modificazioni, nella
legge  24 aprile 2002, n. 75) - che, quando la lite e' stata promossa
a   seguito   o   in   conseguenza  di  sentenza  di  condanna,  tale
incompatibilita'  si  determina  soltanto  in caso di affermazione di
responsabilita' con sentenza passata in giudicato;
    che  la  rilevanza  della  questione appare manifesta, risultando
dagli  atti e non essendo comunque controverso che il processo penale
non e' stato ancora definito con sentenza passata in giudicato;
    che, conseguentemente, la questione deve essere rimessa all'esame
della  Corte  costituzionale,  alla  quale vanno quindi trasmessi gli
atti del presente giudizio che deve essere pertanto sospeso.